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Autore: Madcap    13/11/2006    1 recensioni
Non ci credo più.
Solo quattro parole; solo quattro, insulse parole.
Com’è possibile che solo a pronunciarle mi sia sentito così freddo dentro?
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ci credo più

Non ci credo più.

 

Solo quattro parole; solo quattro, insulse parole.

 

Com’è possibile che solo a pronunciarle mi sia sentito così freddo dentro?

 

Un brivido lungo la schiena, una vertigine quasi… solo per un attimo, ma accidenti se era forte! È stato fin troppo forte, come una doccia gelida.

 

Non ci credo più.

 

Saranno stati i tuoi occhi che, trasparenti come sempre, mi hanno mostrato tutta la loro delusione?

 

“Eri un simbolo”

 

Ma cresci, ragazzina! Cos’ero, la tua guida spirituale, forse? Il tuo punto di riferimento?

 

Ma cosa ne può capire una come te… sei brava a parlare, a dire che se ci crediamo il mondo può cambiare, ma l’hai mai dimostrato?

 

Qualcuno, chiunque, l’ha mai dimostrato? Beh, non a me.

 

E tu non rispondi, ragazzina, stupida ragazzina.

 

Non lo sai neanche tu.

 

È per questo che non ci credo più.

 

Se è vero, perché accidenti mi sento così? Mi sento come se una parte di me fosse scivolata via con quelle parole.

 

So che sono ancora io che cammino, io che torno a casa nell’oscurità della notte nascente, ma allo stesso tempo so che non mi riconoscerò mai più pienamente.

 

Quei due tipi che avanzano barcollando mi ricordano qualcosa… mi ricordano le sere di pochi mesi fa.

 

Cristo, come ci divertivamo!

 

Quelle meravigliose serate all’insegna di alcool e fumo… quando credevamo di essere in grado di cambiare il mondo, allora sì che ci divertivamo! Quando fumavamo la nostra voglia di libertà, quando bevevamo per dimenticare, ma non qualche dolore nascosto, solo quei maledetti posti da imprenditori che ci attendevano alla fine degli studi.

 

Come vorrei riavere un po’ di quell’oblio per tornare quello di un tempo… dannazione, non sono mai stato più spaventato in vita mia!

 

Mi ricordo che la prima volta che mio padre mi vide attaccato alla bottiglia me lo disse… “un giorno non ci crederai più, quando crescerai anche tu”… che la maledizione si sia avverata?

 

Perché cos’altro potrebbe essere, se non l’infanzia, quella parte di me che sembra essersene andata per sempre?

 

Quasi senza accorgermene, accelero il passo.

 

Scosto i capelli dagli occhi, con un gesto quasi infastidito. Già, i miei capelli.

 

Lunghi, così lunghi che l’insegnante di biologia non poteva fare a meno di intimarmi di legarli.

 

Quei capelli erano il simbolo per eccellenza della ribellione, erano le mie mute parole “non ci sto”!

 

Ma se ora torno a pensarci su, mi chiedo… sarà valsa la pena, essere guardato come un alieno dalle mie compagne di classe?

 

Sarà valsa la pena prendere tutti quei brutti voti e quelle umiliazioni perché agli insegnanti non piaceva l’aria trasandata?

 

“Credo che li raserò a zero”

 

Mi hai guardato come se fossi impazzito, come se una debolezza non fosse concessa al tuo punto di riferimento.

 

Come se quel simbolo di ribellione dovesse essere un cimelio da tenere per sempre.

 

E poi mi hai chiamato per parlarne, da soli. Per chiedermi il perché.

 

Beh, le parole che mi hai detto mi sono semplicemente scivolate addosso, è così.

 

“Non ci credo più”

 

E’ bastato dire questo per vedere i tuoi occhi persi come se fosse crollato il tuo mondo.

 

Possibile che a me non ci pensi? Possibile che tu non abbia pensato al perché del mio cambiamento? Ah, ma certo.

 

Tu non la conoscevi.

 

Tu non sapevi cosa mi aveva fatto l’estate, quella maledetta. Tu non sapevi perché avevo smesso di fumare, e non te l’eri neanche chiesto, vero?

 

È stato quel maledetto giorno che ho perso la mia fiducia.

 

Rabbrividisco solo al pensiero.

 

Una bara.

 

Una bara così disperatamente concreta, dura, chiusa.

 

Lei non parlerà mai più.

 

A cosa vale continuare a crederci, se tutti siamo destinati a finire così miseramente?

 

Quel giorno, ero accanto a lui.

 

Lui la amava, la amava incredibilmente, da sempre, come se fosse legato a quella ragazza dal filo del destino.

 

Non dimenticherò mai di quando stavamo tutti insieme, nel suo garage, di quando loro due facevano finta di litigare, ma tanto sapevamo tutti che i loro erano solo scherzi!

 

Non dimenticherò mai di quando entrò, livida in volto, gli occhi gonfi di pianto.

 

“Ho un cancro. I dottori hanno detto che mi resta un mese”

 

Allora sono diventato adulto. Appena maggiorenne, eppure del tutto adulto.

 

A lui era riuscita a dirlo solo dopo una settimana, e da allora guardandolo negli occhi, avevo capito che anche lui era diventato un uomo, che mai più i suoi occhi sarebbero stati quelli di un ragazzo.

 

E così, abbiamo smesso di fumare, perché lei ce lo aveva fatto promettere.

 

Il giorno prima della fine.

 

Poi è arrivato anche quel giorno.

 

E lui era lì, accanto a me, a tremare, e a spargere tutte quelle lacrime per essere stato solo un amico per lei, da sempre, solo un amico.

 

Perché mai aveva avuto il coraggio di parlarle di quell’infinito amore che gli squarciava il petto, come mai a me riuscì a dire quello che provava nel momento in cui la sua bara veniva chiusa.

 

Per sempre.

 

Ma lo capii, lo vidi con i miei nuovi occhi da adulto.

 

Sconforto, odio per il mondo, un abisso sconfinato e nero di rabbia.

 

Il mondo è cattivo, la vita è cattiva, non voglio fare più niente per migliorarlo, non lo merita!

 

Non dopo averci tolto lei, che più di tutti inneggiava alla vita!

 

Poi tu sei andata via, a casa, turbata.

 

E io ti ho guardata, ti ho osservata fino a quando eri solo un punto irriconoscibile.

 

Non ti ho abbracciata, non ti ho chiesto di farmi tornare delle mie vecchie idee, non ti ho raccontato di quella dannata estate, non mi sono offerto di proteggerti dalla cattiveria del mondo che non sembra averti ancora toccata.

 

Perché era davvero come ripeteva mio padre, anch’io sono parte del mondo, anche se faccio di tutto per nasconderlo.

 

Non sono immune alla sua meschineria, ne sono parte.

 

Và via, quindi, lo capirai anche tu.

 

Spero solo che sia il più tardi possibile, e che per allora avrai realizzato la tua piccola felicità in cui non sono previsto, in cui la cattiveria non è prevista.

 

Sorrido nel buio, mentre pochi metri ancora mi separano da casa.

 

Eccomi, varco la soglia, la televisione è accesa sul telegiornale delle otto.

 

Mi siedo, e in silenzio lascio che le notizie del giorno mi scivolino addosso senza tangermi.

 

Senza rendermi conto di quanto quel piccolo gesto mi faccia apparire così differente a mia madre.

 

Solo la notte continuo a sorridere, solo, sorrido per celare l’orrore di quello che ben presto diventerò.

 

Sorrido per cacciare via quella bara che fluttua nei miei incubi da adulto preso alla sprovvista.

 

Sorrido di scherno alla tua sorpresa e alla tua delusione, traendone quasi un piacere perverso e insensato.

 

Sorrido per non fare fuggire quell’ultimo fantasma di fanciullezza che accompagna chi fanciullo non è più; per stringermelo al petto e farmi forza nel mondo adulto.

 

  
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