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Autore: Impossible Prince    18/04/2012    1 recensioni
Un rapporto andato a male spesso produce in una persona effetti devastanti che la porteranno a fare "Bang Bang".
Liberamente ispirata a "Gang Bang" di Madonna.
Genere: Drammatico, Song-fic, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salii le scale di quel fatiscente palazzo di ringhiera. Ogni pianerottolo sembrava lo stesso, graffiti, odore di urina e porte murate, come se li avessero fatti con lo stampino.
Ogni tanto, salendo le scale si poteva incontrare qualche bambino che vedendoti scappava in casa.
Stranieri, solo stranieri. Non credo che oltre a me e al mio amico fossero presenti italiani in questa piccola fogna romana… persone disperate, non mi posso spiegare se no il perché della loro presenza in quel posto.
Arrivata al quarto piano percorsi il lungo pianerottolo fino ad arrivare al bilocale che avevo affittato, 500 euro al mese, mica male per essere a Roma.
Mi chiusi la porta alle spalle chiudendo accuratamente ogni serratura e poi mi girai.
Lui era seduto al centro della stanza, così come lo avevo lasciato, piangeva allora e piangeva anche adesso e anzi; quando mi vide arrivare cominciò a piangere ancora di più. Lo sentivo mentre cominciava a mugugnare, ma lo straccio che aveva in bocca gli impediva di parlare, di dire qualche cazzata delle sue.
Mi avvicinai al suo orecchio, sporco di sangue e di non so cos’altro sussurrando: “Puzzi. Puzzi tremendamente.”
In effetti dopo averlo trascinato legato per i polsi ad una corda per quattro piani, strisciando su quelle luride scale, non credo potesse essere altrimenti.
“E anche questa casa puzza terribilmente, sarà che sei bloccato qui dentro da quanti giorni? Quattro?” non potei fare a meno di ridere.
Mi guardava con disprezzo, odio, rabbia. Ogni tanto sentivo le corde che sfregavano contro i suoi polsi, tentava di divincolarsi inutilmente. Provavo un senso di tenerezza guardandolo in quello stato, ma la mia collera era troppa per esser fermata o anche lievemente addolcita dai lacrimoni che scendevano da quegli occhi feroci.
Spostai l’altra sedia presente in casa davanti a lui, mi sedetti e accesi la sigaretta fissandolo ipnotizzata dal suo sguardo che comunque era magnetico, anche in quel lurido stato.
“Incredibile che nonostante tutto i tuoi occhi mi ispirano ancora qualcosa. Mi avresti amato per tutta la vita, ricordi? E io ci ho creduto, pff. – Mi presi un secondo per pensare, nel frattempo continuavo a fumare e a guardarlo - Mi hai rovinato l’esistenza e lo sai che ogni tanto mi piace dare il ben servito – risi di nuovo – Ricordo quando mi dicevi che ero troppo dura con le persone, che pretendevo troppo da loro. Dimmi, pretendevo troppo anche da te?”
Annuì nervosamente.
“Hai paura ora?”
Annuì.
“E fai bene ad averne. Ti dispiace per quello che hai fatto?”
Mi guardò in cagnesco.
Mi alzai di colpo, presi il coltellino che tenevo nella giacca del mio cappotto di pelle nero e con un solo colpo tagliai facendo cadere a terra lo straccio che teneva fra le labbra.
Mi portai alle sue spalle e con la mano sinistra gli tirai i capelli e tutta la testa verso di me costrigendolo a guardarmi, mentre con la destra mi portai la sigaretta alla bocca e aspirai a pieni polmoni buttandogli poi tutto il fumo in bocca.
Cominciò a tossire.
Era musica per le mie orecchie, ma non era abbastanza. Presi la sigaretta e gliela spensi in fronte, gridò dal dolore.
Mi rimisi al mio posto e continuai ad osservarlo, lui faceva lo stesso, questa volta con le lacrime agli occhi dalla fatica e dal dolore.
Con un impeto mi rialzai dalla sedia e lo spinsi fino a farlo cadere a terra.
Gridò dal male e forse anche dallo spavento.
“Ora ti dispiace per quello che hai fatto? Ti dispiace?”
Con il tacco del mio stivale andai sul palmo della sua mano destra. Gridò di sì, gli dispiaceva tantissimo.
“Vuoi farti perdonare?” Più passavano i secondi e più il mio tacco entrava nella sua mano e più ripeteva gridando quel monosillabo pieno di sofferenza tanto quanto pieno di falsità.
“E allora muori. Muori per me.”
Mi spostai, notando come la sua mano era diventata cianotica.
Presi un profumo dalla mia borsa e me lo spruzzai addosso, poi mi piegai e presi il suo dolce faccino nella mia mano e sussurrai: “Lo riconosci? Ti piace questo profumo, vero? E’ il suo…”
Il suo respirò per un attimo si fermò e il suo sgardò fissò il vuoto mentre io ridevo dentro di me come non avevo mai riso in vita mia.
Incominciò a singhiozzare di nuovo.
Stufa di quella scena ormai così ripetitiva mi misi a frugare nella mia borsetta di pelle nera.
“Sai, la tua amichetta troietta si è già sdebitata ieri notte con me. Dovevi vedere che scena.” Trovai quello che stavo cercando. Presi in mano i tre oggetti e mi misi a cavallo fra la sua testa, mentre lui continuava a fissare il mio stivale destro singhiozzando.
Feci cadere davanti a lui tre bussolotti di proiettile esplosi. “Certo – ripresi a parlare – non è stato mica facile, ha combattuto con le unghie con i denti pur di rimanere viva, gliene do atto… Non ho provato così tanto divertimento in vita mia da tipo mai. Davvero.”
Mi sedetti sulla mia sedia ricominciandolo a fissare.
“Ho un sacco di domande da farti, ma sei totalmente incapace di rispondere. Lo sei sempre stato. Se non mi sei utile che senso ha vivere? Davvero.”
Mi chiamò stronza incitandomi a morire. Feci finta di nulla e proseguì con il mio discorso.
“Tornando alla tua amica… stava guidando la sua macchina azzurrina. Mi misi affianco a lei al semaforo, quello vicino a casa sua, hai presente no? Mi ha fissato schifata, con aria di superiorità, come se fosse realmente superiore. Ho accelerato nonostante il semaforo fosse rosso. Poi feci inversione ad U e gli andai addosso colpendola in pieno. BANG 100 punti! Ha accelerato e ha iniziato a scappare, ma io gli ero dietro. E dentro di me gridavo “GUIDA PUTTANA, GUIDA!” e sembrava che mi dava retta, perché hey, ha accelerato come una pazza! Non riuscivo a scorgere la sua faccia, ma immagino fosse terrorizzata. Ogni tanto riuscivo a colpirla, andarle addosso, ma poi riusciva a riprendere velocità e mi lasciava indietro di nuovo, accidenti. Abbiamo corso per quanto? Mezz’ora? Forse un’ora. Sfrecciavamo per Roma alla velocità della luce fino a che non si è schiantata contro un palo della luce. Fermai la macchina a non più di dieci metri di distanza… Aprì la portiera e vedevo che si muoveva ancora, l’airbag le aveva salvato quella faccia di merda che si ritrovava. Mi guardò come hai fatto tu poco fa: disprezzo, odio e rabbia. Presi la mia pistola, gliela infilai in bocca ed esclamai: “Se vivi come una puttana…” gliela tolsi e puntai al suo fianco.
Bang.
Gridò dal dolore mentre il sangue schizzava fuori dal suo corpo come una fontanella. Chiusi la portiera e sparai altri due colpi dal finestrino sussurrando “…morirai come una puttana”.
Bang Bang.”
Ma lui continuava a piangere, in maniera patetica, perché solo le persone patetiche piangono nei momenti in cui devono mostrare i coglioni.
Davvero, fra me e me pensai che se avrebbe tirato fuori le palle lo avrei lasciato libero in quel momento stesso, tanto il mio volo per Cuba sarebbe partito comunque. E invece no, continuò a piangere la morte della sua dolce fidanzatina che tanto dolce poi non era.
“Sai, è da ieri che ho in testa : “Bang bang, sparerò al mio amore, gli sparerò in testa perché se l’è meritato. Il mio amore è morto.” Buffo, non trovi?”
Inventai quel motivetto dopo aver sfracassato di proiettili la testa di quella cagna, e da quel momento mi risuonava in testa in maniera malsana, come un’ossessione.
Ci fu un momento di silenzio in cui i nostri sguardi s’incrociarono ancora, per l’ultima volta.
“Un ultimo desiderio?”
Vai all’inferno disse. Risi di gusto: “Andrò all’inferno, ma ci rivediamo tutti e tre lì. E vi ammazzerò ancora, ancora, ancora, ancora, ancora, ancora, ancora…”
Bang bang.
   
 
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