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Autore: Emily Alexandre    18/04/2012    4 recensioni
Rosso deserto. Una volta ho letto da qualche parte che una donna è capace di riconoscere ogni sfumatura di ogni colore, mentre per un uomo esistono solo i colori base... Giallo, non oro o zafferano. Lilla, non pervinca o malva.
Ecco, io sono come gli uomini in certe cose, ma quei colori, quelle sfumature che al mio occhio parevano così strane e innaturali... Quelle le ricordo bene. Rosso deserto.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rosso deserto

 

È tutta una questione di colori, alla fine. Ogni singolo colore porta con sé una storia, quasi l’eco di un racconto lontano narrato tra le tende di un harem. Sembra quasi di poterlo vedere l’harem, lì, tra quel paesaggio rosso, di un rosso che non si può descrivere perché qui, in Europa, quel rosso non esiste. È il rosso bruciato da sole e privato di acqua, è il rosso di rocce che se ne stanno immote da tempi a cui l’umana memoria non può accedere.

Rosso deserto.  Una volta ho letto da qualche parte che una donna è capace di riconoscere ogni sfumatura di ogni colore, mentre per un uomo esistono solo i colori base... Giallo, non oro o zafferano.  Lilla, non pervinca o malva.

Ecco, io sono come gli uomini in certe cose, ma quei colori, quelle sfumature che al mio occhio parevano così strane e innaturali... Quelle le ricordo bene. Rosso deserto.

Così diverso dal verde che sono abituata a vedere dagli aerei in decollo e in atterraggio. Così diverso da qualsiasi cosa avessi mai visto, eppure l’eco di quelle storie sembrava familiare. Naturale, quasi.

Il deserto è ovunque, persino nella città, tra le sue strade piene di salite, i negozi aperti sino a notte fonda e quella lingua così dolce e incomprensibile. È tra i colori dei veli delle donne, neri o di tutte le tonalità dell’arcoaleno. È tra le mura bianche delle case, tra gli alberi dei rari giardini, tra le voci dei bambini nei cortili e il richiamo del muezzin.

Anche dove non si vede, il deserto è sempre presente, parte integrante di una cultura antica che forse non possiamo capire fino in fondo. Sono occhi europei, i miei, occhi di una ragazza cresciuta lontano dal quel mondo... Ma sono anche occhi che hanno imparato a osservare.

Dicono che la città sia stata eretta su quattordici montagne e dev’essere vero, perchè le strade sono decisamente piene di salite e discese; strade moderne, ma anche strade più piccole fatte di sassi e sabbia.

Comprendi il significato di nudità, in quei luoghi. Con il mio jeans lungo e le mie maglie a mezze maniche mi sento esposta, scrutata da occhi non abituati a vestiti occidentali su una donna. Non era così, anni fa. Dicono sia colpa dell’America e forse è davvero così. So che, nonostante sia in compagnia di due ragazzi arabi, tra i piccoli negozi accanto alla moschea, il mio essere straniera è inciso a chiare lettere su ogni lembo di pelle scoperta... Che non è molto, ma è comunque troppo.

Deserto.

Lo stesso deserto in cui sorgono le ambasciate o le ville dei signori, con mura candide e fortificate, splendidi tetti e macchine sportive. Deserto, nel quartiere più povero dove intere famiglie condividono piccole case e i bambini ti guardano sorridenti e curiosi.

Questo era il negozio di tuo nonno, ti dice una voce.

Negozio... Un locale quadrato e minuscolo in cui è stipato di tutto, dalle merendine alle lampadine, passando per l’immancabile pepsi. Strano come la parola modernità assuma un significato diverso in quei luoghi.

Italiana per nascita e per cultura, ma non ne sangue. Non totalmente.

In quel luogo dimenticato, groviglio di storie, so che è racchiuso anche il filo che ha dato origine alla mia. Nella piazzetta è organizzato un cinema all’aperto: qualcuno porta un proiettore, tutti portano le sedie da casa e si riuniscono lì, a osservare film vecchi e sbiaditi.

Credevo che alcune realtà esistessero solo nei racconti, ma sbagliavo... E non potrò mai comprenderle, ma so che non potrò mai dimenticarle.

Deserto, inesorabile, lungo la strada. Attorno a me le voci allegre e concitate dei turisti mi riempiono le orecchie: sono lì per vedere una delle sette meraviglie del mondo.

Non ho mai capito come si possa parlare davanti a quello spettacolo. La bellezza mi toglie la voce, riempiendomi il cuore.

La città morta brullica di vita. Non la nostra, ma quella di ogni essere umano che hanno vissuto in quei luoghi sin da... Da quando? Neolitico. Forse anche prima.

Il rosso deserto lì sembra quasi oro, brillante di vita propria, struggente, a tratti melodrammatico... O forse, semplicemente, riflette l’animo di chi la guarda. Cosa importa, dopotutto, a chi riposa in quei luoghi, delle semplici vite dei turisti?

Non mi sono mai sentita una turista, pur essendolo. Ho sempre pensato che lì, tra quelle tombe e quelle rocce, fosse un po’ casa, quel concetto astratto che non riuscirò mai a definire.

Poi il rosso perde la sfumatura di oro liquido per volgere quasi al verde. Il monte dove Mosè ebbe la visione della Terra Promessa. Lì, in cima, allungando la mano sembra quasi di poter sfiorare Gerusalemme. Non sono mai stata molto praticante, non sarò mai una religiosa convinta, ma persino il cuore più duro si emozionerebbe davanti a quella vista, a quell’immensa valle rossa e verde, sfiorata dal blu del mare. C’è pace, in quei luoghi, c’è la calma immobile del deserto.

Ma poi il verde passa e il rosso assume la sfumaura del sangue, vivo e palpitante. È il deserto, è quello vero. Dune e dune e dune... Non comprendi cosa sia l’infinito, finché non vivi il deserto. Quando raggiungiamo l’accampamento la strada non è più visibile: solo sabbia, in ogni lato. Bellissima. Letale.

I dromedari sono animali strani... Avevo insistito tanto per salirci, ma quando mi sono trovata in cima mi sono chiesta se fosse stata una buona idea.

Sono alti.

Tanto alti.

La sabbia è sottile e calda, illuminata dal sole che sta calando. Rosso deserto al tramonto, ecco un altro colore che ho imparato, ma se dovessi definirlo le parole mi verrebbero meno. È quasi liquido l’orizzonte, sempre ammesso che un orizzonte esista lì, in quell’immensità di sabbia e rocce.

Una somiglia ad una bara... Pensavo di essere io la solita fissata, poi scopro che quella su cui sono salita –con difficoltà, cadendo venti volte, ma quello è normale- non è una roccia normale.

Una nave naufragata lì in tempi lontani, quando il deserto era mare e la sabbia su cui cammino la profondità degli abissi. È una roccia in tutto e per tutto ormai, ma era una nave... Quanto tempo prima? Chi può dirlo. Tanto sembra un’unità di misura misera per certe immensità temporali.

Scende la notte, l’azzurro del cielo e il rosso della sabbia diventano più scuri. Mangiamo, fumiamo il narghilé, poi ci armiamo ci torce e ci allontaniamo, dedendoci alle spalle di una roccia.

Silenzio.

Il silenzio vero, quello che ti assorda per l’intensità, che ti lascia in balia dei tuoi pensieri. Un silenzio che in città non potrà mai esistere, sembra che persino il suono del respiro ne venga assorbito fino a disintegrarsi.

D’un tratto qualcuno spegne una torcia, poi un’altra e un’altra ancora, fino a che non resta solo la mia.

Quando la spengo, faccio un’altra scoperta.

Il buio.

Se pensate di conoscere il buio vi disilludo. Non è così. Il buio dentro una stanza, quel buio che non ti fa scorgere nulla, non è comunque abbastanza.

Non vedevo le mie mani, né altre parti del mio corpo. Non vedevo chi era con me.

Vedevo le stelle, quello sì, ma in una notte senza luna la loro luce non è abbastanza. Non è nulla. Buio, penetrante, avvolgente, vivo...

D’un tratto sentiamo un rumore di zoccole e ruote, l’aria illuminata da un paio di luci: un carro ci passa accanto, una donna velata ci guarda, l’uomo alla guida ci ignora... Poi svaniscono, portandosi via anche l’eco dei loro suoni.

Silenzio e buio, così assoluti da spingerti a chiederti se non fosse stato solo un miraggio.

Una torcia viene accesa, poi un’altra... Siamo di nuovo illuminati, ma basta guardarci alle spalle per comprendere che è solo un’illusione.

Ovunque, attorno a noi, c’è solo il buio.

Nero.

E no, neanche quel colore potrei mai descrivere.

 

 

 

Luoghi volutamenti privi di un nome preciso, benché ce l’abbiano e sia facilmente intuibile. Non ho mai scritto nulla di così introspettivo, di così autobiografico, così mio, ma sentivo il bisogno di farlo, oggi... Non ha pretese, né una particolare trama. È parte di cuore e ricordi, che spero vi abbiano potuto trasmettere qualcosa.

 

Em

   
 
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