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Autore: Nonamedgirl    19/04/2012    4 recensioni
Un monatto.
La feccia della società.
E i suoi pensieri, prima di morire.
Di peste, ovviamente.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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È finita.
 
Eccomi qui.
 
È finita anche per me.
 
D'altra parte, prima o poi doveva succedere, a furia di toccare tutti quei morti.
Esatto, ho detto “toccare i morti”. Si, sono un monatto. Uno schifoso monatto, ripugnante almeno quanto lo sporco lavoro che fa; anzi, faceva, ormai.
Alla fine, togliere cadaveri dalla strada mi ha aiutato a tirare avanti un po'. Cosa credevate, che i monatti fossero ricchi e comodi? Come no. Morti di fame, disperati, chiunque non abbia un posto dove andare diventa un monatto.
 
Io, per esempio, stavo in carcere. Ho ricevuto la grazia solo perché cercavano qualcuno che volesse fare il monatto, ma non lo trovavano. All'inizio ero terrorizzato, avrei preferito stare a marcire nel mio buco. È stato il mio compagno di cella che mi ha dato una speranza, con i suoi discorsi mezzi sensati e mezzi no. Era un vecchio mezzo pazzo, rinchiuso come eretico, perché non credeva in Dio e andava in giro cercando di convincere la gente a credere nella scienza moderna. Nulla in contrario, ma uno dev'essere proprio stupido ad andare a sbandierare ai quattro venti la sua religione quando tutti gli danno contro! Voleva finire in croce come Gesù Cristo?!
Comunque, per fortuna era lì, e faceva anche dei discorsi sensati, in confronto a quello che dicevano gli altri. Mi parlava di medicine miracolose che sarebbero arrivate col futuro, di medicamenti per alleviare le sofferenze, di semplici rimedi che avrebbero impedito di ammalarsi...
D'accordo, era pazzo, ma se non altro ascoltandolo avevo qualcosa da fare. 
 
Poi, non lo so, forse mi sarò lasciato convincere, forse sono impazzito anch'io, fatto sta che ho accettato l'incarico di monatto.
Con gli sproloqui del matto ancora negli orecchi me ne sono uscito di prigione, pronto (o rassegnato? non lo so nemmeno io) alla mia futura carriera.
 
Quando uscii di nuovo all'aperto rimasi deluso. Mi aspettavo un paesaggio triste e cupo, certo, ma non fino a questi livelli.
Per strada non c'era nessuno, solo cadaveri, e un cane macilento che vegliava su uno di essi, probabilmente il padrone.
In quel momento capii che mi aspettava un lavoro aspro e interminabile, al quale avrei dovuto fare l'abitudine, mettendo da parte ogni sentimento, ogni emozione.
 
Quella del cane fu l'ultima scena che mi colpì. Anzi no: la penultima. Ce n'è stata una che mi ha commosso tanto da piangere, quasi. La bambina si chiamava Cecilia, e dimostrava all'incirca 9 o 10 anni, vestita di bianco con l'abitino per la messa domenicale. La madre, giovanissima e ancora molto bella, la portava verso il mio carro in braccio, come se fosse stata viva, addormentata.
Lei stessa aveva deposto la bimba sul carretto, non voleva che io la toccassi. Nessuno doveva toccarla.
Tanto meno uno schifoso monatto.
Nessuno aveva assistito alla scena, se non io, il mio compagno di carro, una vecchia commossa affacciata a una finestra e tizio, che quando portammo via il carro si mise in posizione di preghiera.
 
Un tipo curioso.
Non immaginavo che lo avrei rincontrato, più tardi, inseguito da una marmaglia urlante che lo accusava come untore e che voleva ucciderlo.
Idioti.
Idioti e ignoranti.
Ma d'altronde, quando c'è una disgrazia si cerca sempre qualcuno a cui dare la colpa, qualcuno da punire. Ce ne sarà sempre bisogno.
In ogni caso, non vorrei mai trovarmi nei suoi panni! Poveraccio... fatto sta che ci ha raggiunti e si è seduto sul carro, al quale nessuno della folla sarebbe stato così stupido da avvicinarsi.
È sceso alla porta orientale, vicino al lazzaretto; le voci che girano dicono che andasse a cercare la sua donna..
 
Vi lascio immaginare i commenti che ha fatto il mio compagno di carro. Di tutti i “colleghi” che mi sono toccati, lui è stato sicuramente il più pettegolo, mi sembrava una comare.
Avrò cambiato compagno almeno 4 o 5 volte, senza contare le volte che sono stato da solo!
Tutto merito del pazzo. Mi diceva di non toccare i morti direttamente, di proteggermi con dei guanti, con quante più paia possibili. Me l'ha ripetuto così tante volte che ci ho pure creduto; e in effetti ha funzionato, eh!
Con i miei primi soldi mi sono comprato i guanti da un vecchio nobile decaduto, poi da un altro, e ancora... hanno funzionato, certo... solo che li ho dati a un altro. Un bambino, il mio ultimo compagno di carro, Domenico, si chiamava; avrà avuto si e no 10, al massimo 11 anni, e doveva già fare un lavoro così schifoso.
All'inizio mi è andata bene, ma poi mi sono ammalato anch'io. La carità e la pietà per il prossimo non portano proprio da nessuna parte,  ma ne è valsa comunque la pena. La vita di un bambino vale molto di più di quella di un monatto qualunque.
Gli ho raccomandato di non darli a nessuno. E di indossarli uno sopra l'altro, sempre nello stesso ordine, così lo avrebbero protetto meglio.
 
Spero tanto che quel ragazzino ce la faccia. Mi ricorda mio fratello, che non ho potuto salvare.
 
 
Questi ricordi fanno male...
Io ero dentro...
Io non ho potuto fare niente... niente per salvarlo...
Niente.
 
Mi sento così impotente. Debole, fuori e dentro di me.
Un bruciore tremendo mi avvolge, al petto, allo stomaco, alla testa...
Spero di morire in fretta, almeno questo supplizio finirà.
 
Infine voglio scrivere qualche parola per chi la leggerà:
 
Domenico, ricordati sempre i guanti.
Spero che arriverai a vedere i campi e il cielo come li vedevo io alla tua  età.
Sconosciuto del carro: ti auguro di trovare la tua bella, sposarla e vivere con lei felicemente.
Michele: tieni pure tutti i miei (pochi, per la verità) averi, solo ti raccomando Domenico: è piccolo, trattalo come se fosse davvero mio fratello.
Biagio: brutta carogna, ci vediamo all'inferno (è una storia troppo lunga da raccontare, ma tu sai di cosa sto parlando).
 
Detto questo non ho più niente da aggiungere.
Buonanotte a tutti.
Seriamente, cercate di non morire in troppi.
Tranne te, Biagio.
Muori, ti odio.
   
 
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