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Autore: BlueCinnamon15    20/04/2012    5 recensioni
“Blaine-“
“Tu non sai più chi sei, Kurt, tu-“
“BLAINE! Credi che sia stato facile non correre indietro? Credi che non abbia pensato mai a come sarebbe stata la mia vita se non avessi fatto quello che ho fatto? Ma non posso, dannazione, non posso!”
“Il problema è che non mi hai mai detto perché! Una spiegazione, Kurt è tutto quello che ti ho sempre chiesto!”
“Era il mio sogno, Blaine, non potevo lasciarlo, tu mi hai sempre detto di inseguire i miei sogni-“
“Beh, sai che ti dico Kurt? Vaffanculo! Perché indovina un po’ qual’era il mio sogno Kurt? Tu.”
E detto questo si girò e corse via, infilandosi velocemente in macchina e lasciando un Kurt tanto distrutto quanto non si era mai sentito in tutta la sua vita.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Beh, che dire, questo capitolo è stato davvero un parto.
Avevo paura di non riuscire a rendere bene un momento così importante nella storia.
Perchè già, qui finalmente potremo vedere Blaine e Kurt che..
Ehehe, lo scoprirete solo leggendo!
Ci vediamo a fine capitolo, donzelle :)




Capitolo 3


“Kurt, tesoro non stare lì impalato. Ti va già bene che ti aiuti, ma non posso portare giù tutto il tuo guardaroba condensato in trenta valigie. Perché dev’essere per forza tutto il tuo guardaroba, insomma, trenta valigie, Kurt, tren-“
“Va bene Mercedes, arrivo, tranquilla” interruppe Kurt con un tono esasperato la ragazza che stava scendendo le scale del suo appartamento trascinando con sé tre valige enormi.
“Tranquilla? Tranquilla dici? Kurt è tre ore che trascino le tue valige fuori dal tuo appartamento mentre tu trovi sempre una scusa per non fare niente!” Sbottò la ragazza distrutta “Potrei anche capire il cercare il Taxi, anche se è inutile dato che hai ancora, o meglio ho ancora, ventimila valigie da portare giù e ci metterò la vita se qualcuno non mi aiuta, capisco il controllare che nessuno le rubi, anche se a rigor di logica sarebbe compito mio visto che le valigie sono tue e tu dovresti fare i lavori più pesanti, ma il controllare che non cadano schitte su di loro no, eh! Cosa vuoi fare? Se ne vedi una cadere ti tuffi sulle valigie per sacrificarti al posto loro? E’ così grande il tuo amore Hummel?”
In tutta risposta il soprano sbuffò, alzò gli occhi al cielo, e si mise pazientemente a spiegare come un set di trenta valigie Gucci non potesse essere rovinato, in quanto senza la trentesima non avrebbe avuto assolutamente senso e avrebbe dovuto buttarlo, aggiungendoci anche che, essendo un attore di Broadway di fama mondiale, le sue mani non avrebbero dovuto rovinarsi con dei calli per aver trascinato valigie su e giù per le scale.
Cosa che Mercedes accolse con uno sbuffo piuttosto cinico, dato che non capiva come delle mani un poco rovinate potessero influire su una performance musicale, ma tenne i suoi pensieri per sé sapendo che tutto ciò che avrebbe potuto ricevere sarebbe stata un’ occhiataccia ed un commento sarcastico su come non potesse capire la vita difficile di una star.
Era passato un mese da quella volta che si erano incontrati fuori dall’ Anonymus, un mese da quando erano ritornati a parlare, un mese da quando Kurt si era aperto di nuovo a qualcuno, un mese fatto di risate, momenti di malinconia, parole tabù e ricordi non troppo difficili da sopportare, sussurrati perché dirli ad alta voce avrebbe fatto troppo male.
Un mese da quella lettera.
Tutto ciò che Kurt si ricordava del momento in cui l’aveva aperta erano le sue mani.
Mani tremanti.
Mani che si agitavano.
Mani che prima stringevano convulsamente il foglio e che poi lo lasciavano cadere a terra, come se fosse una maledizione da cui scappare.
E piedi.
Piedi che la calpestavano.
Piedi che si calpestavano a vicenda.
Piedi che correvano disordinati a prendere il cappotto blu e scendevano di corsa le scale per precipitarsi dall’ unica persona che, nonostante l’avesse ritrovata da poco, avrebbe potuto aiutarlo, consolarlo, dirgli che non c’era niente di cui preoccuparsi, che andava tutto bene.
Mercedes.
E Mercedes l’aveva accolto, non appena l’aveva visto varcare il locale dove si stava esibendo, aveva chiesto il giorno libero e l’aveva abbracciato.
Perché Kurt era lì, sconvolto, bianco come uno straccio e tremante come una foglia, e mai gli era sembrato così fragile, mai gli era sembrato così distruggibile, come se fosse stato pronto a spezzarsi per colpa di un misero alito di vento.
Aveva chiamato un taxi e l’aveva accompagnato a casa sua, l’aveva fatto stendere sul divano, aveva adagiato su di lui una coperta di lana pesante e aveva preparato una tazza enorme di cioccolata calda, fregandosene dei farfugliamenti di Kurt riguardo a quanti grassi contenesse e a quanti giri del parco sotto casa avrebbe dovuto fare per smaltirli.
E poi Mercedes aveva aspettato.
 
 
La coperta di lana pizzicava sulla pelle lasciata scoperta dalla maglia a mezze maniche di Kurt, ma per la prima volta il soprano non si ritrovò ad elencare nella sua mente tutti i problemi che ne sarebbe conseguiti sulla sua pelle così delicata ed amata.
Si era solo rannicchiato su sé stesso, cingendosi le ginocchia con le braccia e poggiandoci sopra la testa.
Mercedes era seduta su una sedia davanti a lui.
Sembrava tranquilla, ma in realtà Kurt sapeva che stava aspettando che lui le raccontasse ciò che era successo.
“Mi-Mi-“ iniziò con voce rotta, poi, accorgendosi che parlare era fuori dalle sue capacità, le porse la lettera semi-distrutta che si era premurato di raccogliere prima di uscire di casa. “Ecco”
Mercedes si accigliò, poi prese la lettera e fece scorrere velocemente gli occhi su ciò che era scritto.
Possibile che Kurt sapesse? Lei si era premurata di non dirglielo e credeva che lui non avesse avuto relazioni con nessuno dei componenti del Glee negli ultimi anni.
E allora perché aveva quell’ espressione spaventata? Blaine era diventato insegnante della Dalton da poco, e da ancora meno direttore degli Warblers. Kurt non poteva immaginarsi che ci sarebbe anche lui, alla gara di canto.
Doveva essere per forza spaventato da altro, di sicuro.
“io-“Kurt  interruppe esitante i pensieri di Mercedes “Ho paura,’ Cedes, ho paura di rivederli, insomma mi-“ si fermò per asciugarsi una lacrima sfuggita “Non gli parlo da una vita, sono stato uno stronzo, li ho evitati! Mi odieranno!”
Mercedes, vedendolo in quello stato, lo abbracciò subito, e Kurt, avvolto nella sicurezza e nel calore che quel paio di braccia potevano dargli, si sfogò.
Disse di come avesse paura di essere odiato, che i ragazzi del Glee non volessero più avere a che fare con lui.
Disse di come avesse paura che Rachel, la sua compagna di sogni e aspirazioni, non gli rivolgesse  più la parola, che Santana e Brittany lo guardassero come un perdente, che si era arreso a come il mondo lo voleva, che Finn non gli parlasse, che la sua famiglia non lo volesse più.
E disse anche che ringraziava il cielo che non ci fosse lui.
Per la prima volta parlò con Mercedes di lui.
E Mercedes decise che non gli avrebbe detto che invece Blaine ci sarebbe stato.
Prese quella decisione di fretta, senza pensarci veramente. Perché sapeva che Kurt era tornato un combattente.
E che avrebbe combattuto, e avrebbe vinto.
Bastava dargli l’occasione giusta.
 
 
L’aeroplano sarebbe partito entro poche ore.
Kurt non sapeva se ringraziare o odiare che gli avessero concesso due settimane libere per fare da giudice.
Il suo agente ne era estremamente felice, credeva che quell’ occasione sarebbe stata un’ enorme pubblicità.
E così si ritrovava in aeroporto con tutte le sue valige che, lo sapeva, gli sarebbero costate una fortuna, e con Mercedes che lo salutava felice, promettendogli che lo avrebbe raggiunto la sera successiva per accompagnarlo a fare da giudice alla gara.
Dopo aver trascinato i suoi bagagli per tutto l’aeroporto e completate tutte le procedure burocratiche si poté finalmente imbarcare sull’ aereo.
Sistemò il suo bagaglio a mano, che consisteva in una tracolla firmata Marc Jacobs dalla quale non si sarebbe mai diviso, poi si sedette sul suo sedile, che fu felice di sapere essere vicino al finestrino, e si lasciò andare ad un lungo, enorme e potente sospiro, per scaricare la tensione e prepararsi psicologicamente a quello che sarebbe stato costretto ad andare incontro.
 
 
Era il giorno prima della gara.
Era il giorno prima della gara.
Era il giorno prima della gara, cazzo.
Blaine si stava letteralmente distruggendo le mani dal nervoso.
Senza contare che era anche il giorno prima del suo appuntamento con Steve.
Beh, forse non proprio appuntamento, era più un incontro, ma era Blaine quello che lo aveva proposto quindi si sentiva ragionevolmente in ansia. Nervoso. Agitato. Pronto ad uccidere qualcuno.
Fece un grande respiro di preparazione ed entrò nella sala prove degli Warblers.
Forse sei ancora in tempo a scappare Blaine, un passo indietro, due-
“Mr. Anderson!”
Merda.
“Mr. Anderson, abbiamo un problema! I costumi non sono pronti!”
Un ragazzo con una zazzera di capelli rossi si precipitò da lui e per poco non gli ruzzolò addosso, gli occhi spalancati in un’espressione di orrore.
“Calmati Derek, indossiamo le divise, non abbiamo costumi di scena, ricordi?”
“Oh” disse lui con un espressione confusa “Giusto.”
“Mr. Anderson!”
Blaine si girò dalla parte opposta, maledicendo le sue gambe corte che non gli avevano permesso di scappare prima.
“Mr. Anderson!” Un ragazzo correva verso di lui, il fiato corto ed i capelli in disordine per la corsa.
“Ehm, sì Jonathan?”
“Mark dice che se non accettiamo che il suo gatto si esibisca con noi non si esibirà neanche lui!”
 Il moro si lasciò sfuggire un gemito di sofferenza e frustrazione e, prima che qualcun altro potesse aggiungere qualcosa e fermando un altro paio di Mr. Anderson calmò quella massa di ragazzini a cui voleva tanto bene e si posizionò in mezzo all’ aula.
Inforcò la sua chitarra fece un cenno al ragazzo al piano e decise di fare l’unica cosa che poteva aiutarlo a calmarsi ed a calmare loro.
Cantare.
 
I've paid my dues
Time after time
I've done my sentence
But committed no crime
And bad mistakes
I've made a few
I've had my share of sand
Kicked in my face
But I've come through
 
Blaine sperava che quella canzone riuscisse a tranquillizzare l’atmosfera pre - regionali che caratterizzava gli Warblers.
Aveva scelto un classico, giusto per incoraggiarli, e per incoraggiare sé stesso.
Strimpellò allegramente la chitarra mentre i suoi studenti lo assecondavano cantando con la loro solita armonia, che caratterizzava gli Warblers.
 
And we mean to go on and on and on and on
 
 We are the champions - my friends
And we'll keep on fighting
Till the end
We are the champions
We are the champions
No time for losers
'Cause we are the champions of the World
 
Al ritornello gli Warblers si scatenarono come adoravano fare e mentre uno di loro prendeva un plico di fogli e li gettava al vento, in un’ inconsapevole imitazione del suo insegnante quando era lui che si esibiva tra le mura della Dalton, gli altri erano saliti sul tavolo ridendo come dei matti e dandosi le mani, portandole in alto e ridendo come matti.
Blaine quasi si commosse per quanto fossero uniti quei ragazzi, e dopo aver strimpellato le ultime strofe si fermò, fece un bel sorriso e si disse che sì, nessuno avrebbe vinto contro gli Warblers, non se c’era Blaine Anderson.
 
 
Era arrivato.
Era arrivato, aveva appena messo i piedi sul terreno dell’ aeroporto e già si sentiva mancare l’aria ed il fiato.
Da una parte c’era l’emozione di vedere suo padre, che gli mancava più di tutti, Carole e, perché no, anche il suo fratellastro Finn.
Dall’ altra la paura, una maledettissima paura.
Si tolse il cappotto, investito dal calore del giorno. Non si ricordava che quel posto fosse così soffocante.
Perché faceva così caldo?
Si affrettò a prendere le sue valige, alla fine aveva optato per lasciarne a casa la metà, e con fatica uscì.
Il primo che vide fu Burt, le gambe gli diventarono molli, e sul sorriso gli si stampò un sorriso enorme.
Dio quanto gli era mancato suo padre.
Non lo vedeva da mesi.
La verità era che non tornava a Lima da quel fatidico giorno. Due lunghissimi anni.
Suo padre, per le festività, lo raggiungeva a New York, insieme a Carole e, raramente, a Finn, e non gli aveva mai chiesto niente. Non gli aveva mai chiesto il perché di quella telefonata, due anni prima, della sua voce rotta dal pianto e del fatto che non volesse più mettere piede a Lima.
Ed era per quello che era rimasto il figlio, gli aveva detto, due settimane prima, che sarebbe stato da lui per due settimane.
Due intere settimane.
Quasi si era messo a piangere per la felicità quando lo aveva sentito.
Ed ora su figlio era lì, il suo adorato figlio era lì, sommerso dalle valige, adorabilmente curato, con i capelli scrupolosamente laccati ed un cappotto che teneva elegantemente appeso ad un braccio.
Dio quanto gli era mancato.
Non appena lo vide gli corse incontro, emozionato, stringendolo tra le sue braccia.
Kurt si beò di quel contatto che tanto gli era mancato, e quando venne raggiunto anche da Carole che gli si aggrappò addosso felice, e da un timido Finn che rimaneva in disparte, sorridendogli, si accorse di quanto fosse stato difficile per lui rimanere lontano da casa per tutto quel tempo.
Nonostante odiasse Lima, la chiusura mentale della gente in quel posto, la malignità delle persone, il fatto che fosse in mezzo al nulla, era pur sempre lì che era cresciuto.
“Oh Kurt, che bello averti qui con noi!” sospirò Carole sciogliendo l’abbraccio.
Burt annuì convinto e Finn, dopo averlo abbracciato un po’ impacciato si offrì di aiutarlo con le valige, cosa che fece molto piacere a Kurt, che già iniziava a preoccuparsi per le sue amate mani.
Raggiunsero a fatica la macchina mentre Carole, per la gioia di tutti, riempiva i silenzi parlando di cosa avesse preparato per pranzo e di come si sentisse la mancanza di un cuoco come lui in casa, dato che Burt e Finn erano dei disastri in cucina.
Kurt rise e promise che per due intere settimane non avrebbe più dovuto preoccuparsi.
Perché ci sarebbe stato lui.
 
 
Dopo un po’ di imbarazzo iniziale Kurt si era completamente sciolto. Aveva iniziato a scherzare con Carole, a raccontare del lavoro a Burt e di parlare di Mercedes con Finn.
Quando era entrato in casa si era commosso come poche volte in vita sua e, notando che la sua vecchia camera era esattamente come l’aveva lasciata, si era lasciato andare in un pianto liberatorio.
Scrisse un messaggio a Mercedes per dirle che il viaggio era andato bene e che si trovava a casa, poi si infilò in doccia per darsi una lavata ed indossare una tuta comoda, ed aveva declinato gentilmente l’invito di Finn ad uscire con lui ed i ragazzi a mangiare qualcosa.
“Io-“ aveva detto dopo aver sentito la domanda “Ehm, Finn, preferirei andare con calma, davvero. Magari un’ altra volta, va bene?”
Finn aveva annuito, non comprendendo fino a fondo il problema del fratello, ma felice che gli avesse detto che prima o poi sarebbe andato con lui.
Quindi si era diretto a passo spedito in cucina, aveva spostato gentilmente Carole dei fornelli ed aveva iniziato a cucinare lui.
Quella sera, dopo aver mangiato con Burt e Carole, riso e scherzato come non faceva da tempo, raccontando della sua vita a New York e di come fosse bello cantare su un palco di Broadway, mentre si stendeva nel letto tirando su le coperte, si addormentò con un sorriso in volto.
 
 
“Bene ragazzi, oggi è il gran giorno. Date il meglio di voi, sono sicuro che questa volta vinceremo. Siamo forti, siamo bravi, ma soprattutto siamo uniti, e nessuno ci potrà sconfiggere, mai!” Blaine pronunciò quel discorso di incoraggiamento più per se stesso che per i suoi alunni, che per il nervoso si muovevano frenetici in sala prove, dove stavano sistemando per l’ultima volta il loro numero.
Mancavano due ore, poi sarebbero dovuti salire sul pullmino della Dalton, raggiungere il McKinley, ed esibirsi sul palco davanti a tantissime persone.
Ed il peso della loro sconfitta o della loro vittoria gravava tutto sulle spalle di Blaine.
Fantastico.
Era così nervoso che neanche si accorse che la porta in sala prove si fosse aperta, e che Steve fosse entrato chiedendo di Blaine Anderson.
Quando si accorse del silenzio carico di aspettativa che si era creato nella sala e che tutti stavano guardando proprio lui, si risvegliò dallo stato di trance in cui era caduto e mise a fuoco la figura di Steve che lo stava fissando con un enorme sorriso.
La sua omosessualità non -era un segreto alla Dalton, e forse era per quello che i suoi studenti, quando lo videro arrossire e balbettare qualche frase senza senso per scusarsi, iniziarono a darsi delle gomitate ed emettere dei risolini.
A volta stare in una scuola maschile era peggio che avere a che fare con milioni di donne pettegole messe assieme.
Quindi prese Steve per un braccio e lo trascinò fuori dall’ aula.
“Scusali, è il nervosismo pre-spettacolo” si scusò passandosi una mano tra i capelli.
 “Traquillo, anch’io sono nervoso quando mi trovo davanti a molte persone, probabilmente se fossi al posto loro mi sarei già chiuso in un qualche sgabuzzino per nascondere eventuali attacchi di panico.” Sorrise l’altro.
Blaine lo trovò decisamente adorabile.
“Comunque” riprese Steve “Volevo solo chiedere una conferma sullo spettacolo di stasera, è alle otto, giusto?”
“Sì perfetto” annuì Blaine “Quindi verrai?” non potè fare a meno di chiedere con ansia.
“Non me lo perderei per niente al mondo, Blaine” e dopo avergli sorriso gli diede un leggero bacio sulla guancia che lo fece sussultare, per poi andarsene.
 
 
Mercedes lo aveva raggiunto esattamente due ore prima del grande evento.
Quel giorno Kurt si era svegliato tardi, come non si concedeva il lusso di fare da tempo, dopo aver fatto un sonno pesante e privo di sogni.
Aveva bighellonato per casa tutta la mattina e poi preparato una torta al cioccolato che sapeva Finn e Burt avrebbero adorato.
Il pomeriggio invece lo aveva passato a disperarsi per la scelta dei vestiti che avrebbe indossato quella sera, gettando tutti i suoi completi sul letto e distruggendo la sua amata pettinatura a forza di passarsi le mani nei capelli per la disperazione.
Dire che era nervoso era poco.
Ci sarebbe di sicuro stata Rachel, e Santana e Brittany avrebbero di sicuro assistito all’ esibizione, dato che lavoravano in quella scuola.
Quando il campanello suonò e si accorse che Mercedes era già arrivata a prenderlo optò per un completo informale, un paio di pantaloni neri stetti ed una camicia azzurra arrotolata ai gomiti e scese di corsa mentre si abbottonava l’indumento.
La ragazza lo stava aspettando sulla porta con un’ espressione indecifrabile, quasi impaurita.
Kurt decise di non farci caso, prese il suo cappotto, la sua tracolla e, dopo aver salutato di fretta Burt e Carole che gli urlarono buona fortuna, corse in macchina e seguì quella di Mercedes fino al McKinley.
 
 
Blaine era seduto in prima fila.
I suoi ragazzi lo circondavano ridendo e scherzando. Chissà come il più nervoso lì fosse lui.
Steve era arrivato e si era seduto qualche fila più in là, dato che non poteva stare nell’ area riservata ai cori ed ai giudici, dopo averlo salutato e auguratogli buona fortuna.
Mancavano cinque minuti.
Cinque maledettissimi minuti poi le luci si sarebbero spente, il sipario sarebbe stato alzato, ed il presentatore avrebbe annunciato l’inizio delle esibizioni.
 
 
Kurt non aveva ancora incontrato nessuno che conoscesse, Mercedes lo aveva letteralmente scortato dentro l’ auditorium e successivamente si erano divisi, lui per entrare in una saletta dove si doveva incontrare con i giudici, e Mercedes per andare a prendere posto nell’ auditorium.
Si ritrovò quindi a parlare con gli altri due colleghi, un atleta che prendeva di sicuro steroidi e il cui cervello, se esisteva, doveva essere intasato dai chili di frullati energetici che sicuramente ingurgitava, e con una nonna che aveva partecipato alla seconda, Kurt sospettava che, dall’ aspetto, fosse non fosse la seconda ma la prima, guerra mondiale vantandosi di aver fatto lo scalpo a tutti quelli che aveva ucciso con una semplice mossa di karate.
E quando Kurt si mise a ridere per l’impossibilità di quella storia e si ritrovò la nonnina indignata sopra di lui che gli girava un braccio sulla schiena, decise che forse l’avrebbe dovuta prendere un po’ più sul serio.
Mai ridere davanti ad una nonnina che dice di aver partecipato ad una guerra mondiale.
Si appuntò quindi in testa rialzandosi e massaggiandosi il braccio.
Si incontrarono quindi con il presentatore che spiegò loro quello che avrebbero dovuto fare, e, subito dopo, si diressero nell’ auditorium dato che entro pochi minuti sarebbe iniziata la gara.
 
 
Le luci si erano finalmente spente, Blaine finì di mangiarsi l’ultima unghia delle mani e, quando se ne accorse, decise di dedicarsi alle pellicine.
Il sipario si aprì ed il presentatore fece il canonico discorso di benvenuto, nominò le squadre in gara ed iniziò a parlare dell’ importanza della musica nel mondo dei giovani.
Daidaidaidai.
Blaine era nervosissimo, aveva visto Rachel poco prima e l’aveva visto così sicura di sé che ne era uscito spaurito e sconfortato.
I suoi ragazzi erano già dietro le quinte a prepararsi, la loro esibizione era la prima e quindi in quel momento stavano sicuramente facendo casino, che poi era il loro modo di scaricare la tensione.
“Bene, ora presentiamo i giudici in gara!” disse il presentatore.
Oh, santo cielo, ma quanto dura?
Pensò esasperato Blaine. Non ne poteva più.
“Direttamente dallo spot dei cerali più famosi d’America, ecco a voi Bruce Hogan!”
Blaine non si prese neanche la briga di guardare verso il tavolo dei giudici, in quel momento era troppo preoccupato a scovare tutte le pellicine possibili da morsicare per scaricare la tensione.
Dissero il nome di un’ altra donna che doveva avere a che fare con una delle due guerre mondiali, ma non ci fece molto caso.
“Ed infine, il nostro ultimo giudice, direttamente da-“
Il cellulare di Blaine iniziò a suonare.
Maledizione. Imprecò tra sé e sé Blaine, guardò lo schermo del telefono e, notando che era sua madre, uscì da una porta secondaria dell’ auditorium per rispondere.
Al diavolo sua madre ed il suo tempismo.
 
 
Quando Kurt venne presentato capì che era la fine, tutti i suoi amici che erano lì lo dovevano di sicuro aver visto, era impossibile che non lo avessero fatto.
Si sedette già pensando a come potesse giustificarsi quando il presentatore annunciò che il coro della Dalton stava per esibirsi.
Kurt provò una fitta enorme a rivedere quei ragazzi in divisa, che gli ricordavano tanto Blaine.
Provò a non pensarci e si concentrò sull’ esibizione.
Ne rimase sbalordito. Erano veramente bravi, cantavano con una precisione ed armonia che non si ricordava.
Soddisfatto si lasciò trasportare dalla musica.
Non si accorse neanche che avevano già cantato tre canzoni diversi, era così preso dalla canzone che quando finirono sentì un moto di tristezza pervaderlo.
Gli piacevano, gli facevano ricordare del bel periodo nel Glee.
Quindi non si stupì quando, alla fine di tutte le esibizioni, vennero decretati vincitori.
Se l’erano meritato, quel trofeo.
Poi, dopo che alcuni di loro saltarono, altri si abbracciarono ed altri si misero ad improvvisare balletti strani, tutto contornato da urla di gioia e stupore, uno dei ragazzi chiese in un orecchio al presentatore il permesso di fare una cosa, che evidentemente lui gli concesse perché annui con un gran sorriso.
Quindi prese il microfono e disse, con un enorme sorriso in faccia: “Vorremmo ringraziare il nostro professore che ci ha fatto arrivare fin qui.” Si fermò soddisfatto ed annuì a qualcuno giù dal palco “Quindi può smetterla di mangiarsi le unghie per il nervoso, Mr. Anderson e salire sul palco!”
A Kurt mancava l’aria. Iniziò a boccheggiare.
Le orecchie che pulsavano.
Le mani che stringevano convulsamente i bordi del tavolo.
I fogli dei punteggi caduti.
Nessun rumore.
Niente.
Non era più niente.
Perché non era possibile.
Non era possibile cazzo con tutti i lavori che esistevano al mondo che lui facesse proprio quello, che fosse proprio .
Si sentiva bruciare tutto.
La testa pulsava, gli occhi bruciavano.
No.
Ed invece lui era lì. Davanti a Kurt.
E gli fece male al cuore vederlo. Perché gli mancava, dannazione, gli mancava come l’ossigeno.
Aveva sperato di non vederlo più, dopo quella volta, perché sapeva, sapeva che se l’avesse fatto non avrebbe retto.
E la dimostrazione che avesse ragione era la fitta al cuore quando lo aveva visto.
Un ragazzo, un uomo, leggermente impacciato davanti a tutta quella gente, con un ammasso di riccioli perfetti in testa, un sorriso che illuminava il mondo, le guance rosse per l’emozione e due occhi che non si sarebbe mai scordato.
Quelli che lo tormentavano ogni notte, ricordandosi che era tutto sbagliato, che era sbagliato svegliarsi e non essere abbracciato da lui, che era sbagliato cucinare solo per se stesso e non dover nascondergli le ghiottonerie per on fargliele mangiate tutte, era sbagliato tornare a casa e non trovare nessuno ad aspettarlo, era maledettamente sbagliato.
E quando quegli occhi, ancora spalancati per la felicità, si volsero distrattamente verso al tribuna dei giudici, quando si soffermarono su un volto, un volto famigliare, quando incontrarono gli occhi di Kurt, che lo fissava attonito. Distrutto. Kurt capì che non aveva mai smesso di farlo.
Che poteva averci provato, poteva aver vissuto nell’ illusione di avercela fatta, poteva aver nascosto a se stesso le fitte che provava ogni volta che pensava a lui, ma non aveva mai smesso di amare Blaine Anderson.
 
 
“Vorremmo ringraziare il nostro professore che ci ha fatto arrivare fin qui. Quindi può smetterla di mangiarsi le unghie per il nervoso, Mr. Anderson, e salire sul palco!
Blaine era felice. Gli Warblers erano stati fantastici. Ed avevano vinto. Avevano superato il Glee club di Rachel Berry! Glielo avrebbe rinfacciato a vita.
Salì sul palco un attimo a disagio ma quando venne abbracciato dai suoi ragazzi non potè che sentirsi bene, a casa.
Fece vagare distrattamente lo sguardo sul pubblico, e, un po’ curioso di vedere la vecchietta che aveva combattuto la seconda, dall’ aspetto avrebbe detto prima, guerra mondiale, volse lo sguardo in direzione della tribuna dei giudici.
Ma non fu la vecchietta che attirò la sua attenzione, né l’atleta pieno di steroidi, furono un paio di occhi azzurri, limpidi come l’oceano che lo stava inghiottendo in quel preciso istante.
 

 BluCannella


Allora, che ne dite?
Si sono incontrati, alla fine!

Dio spero sul serio che non sia stato troppo lungo, il fatto è che continuavo a dirmi "Ora lo finisco" e poi mi veniva in mente qualcos' altro da scrivere! Davvero, è stata una faticata.

In compenso ho pronto un altro capitolo, dove finalmente si parleranno, e non vedo l'ora di sapere che ne pensate, risponderò subito alle recensioni! 

Già sono uno schifo, è che sono stata così presa a scrivere che me ne sono scordata!

Ah, e poi ho scoperto che l'ora di Greco può essere fantastica se passo tutto il tempo a scrivere, davvero, potrei amarla quell'ora!

Ok, ehm, sto divagando, lo so..

Mi farebbe molto piacere sapere che ne pensate,

Un abbraccione

BluCannella

 

 

 

 

   
 
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