Beh,
che dire, questo capitolo è stato davvero un parto.
Avevo
paura di non riuscire a rendere bene un momento così
importante nella storia.
Perchè
già, qui finalmente potremo vedere Blaine e Kurt che..
Ehehe,
lo scoprirete solo leggendo!
Ci
vediamo a fine capitolo, donzelle :)
Capitolo 3
“Kurt,
tesoro non stare lì impalato. Ti va già bene che
ti aiuti, ma non
posso portare giù tutto il tuo guardaroba condensato in
trenta valigie. Perché
dev’essere per forza tutto il tuo guardaroba, insomma, trenta valigie, Kurt, tren-“
“Va
bene Mercedes, arrivo, tranquilla” interruppe Kurt con un
tono
esasperato la ragazza che stava scendendo le scale del suo appartamento
trascinando con sé tre valige enormi.
“Tranquilla?
Tranquilla dici? Kurt è tre ore che trascino le tue valige fuori dal tuo
appartamento mentre tu trovi sempre
una scusa per non fare niente!” Sbottò la ragazza
distrutta “Potrei anche
capire il cercare il Taxi, anche se è inutile dato che hai
ancora, o meglio ho ancora,
ventimila valigie da portare
giù e ci metterò la vita se qualcuno
non mi aiuta, capisco il controllare che nessuno le rubi, anche se a
rigor di
logica sarebbe compito mio visto che le valigie sono tue e tu dovresti
fare i
lavori più pesanti, ma il controllare che non cadano schitte
su di loro no, eh!
Cosa vuoi fare? Se ne vedi una cadere ti tuffi sulle valigie per sacrificarti al posto loro? E’
così
grande il tuo amore Hummel?”
In tutta
risposta il soprano sbuffò, alzò gli occhi al
cielo, e si mise
pazientemente a spiegare come un set di trenta valigie Gucci non
potesse essere
rovinato, in quanto senza la trentesima non avrebbe avuto assolutamente
senso e
avrebbe dovuto buttarlo, aggiungendoci anche che, essendo un attore di
Broadway
di fama mondiale, le sue mani non avrebbero dovuto rovinarsi con dei
calli per
aver trascinato valigie su e giù per le scale.
Cosa che
Mercedes accolse con uno sbuffo piuttosto cinico, dato che non
capiva come delle mani un poco rovinate potessero influire su una
performance
musicale, ma tenne i suoi pensieri per sé sapendo che tutto
ciò che avrebbe
potuto ricevere sarebbe stata un’ occhiataccia ed un commento
sarcastico su
come non potesse capire la vita difficile di una star.
Era passato un
mese da quella volta che si erano incontrati fuori dall’
Anonymus, un mese da quando erano ritornati a parlare, un mese da
quando Kurt
si era aperto di nuovo a qualcuno, un mese fatto di risate, momenti di
malinconia, parole tabù e ricordi non troppo difficili da
sopportare,
sussurrati perché dirli ad alta voce avrebbe fatto troppo
male.
Un mese da
quella lettera.
Tutto
ciò che Kurt si ricordava del momento in cui
l’aveva aperta erano le
sue mani.
Mani tremanti.
Mani che si
agitavano.
Mani che prima
stringevano convulsamente il foglio e che poi lo lasciavano
cadere a terra, come se fosse una maledizione da cui scappare.
E piedi.
Piedi che la
calpestavano.
Piedi che si
calpestavano a vicenda.
Piedi che
correvano disordinati a prendere il cappotto blu e scendevano di
corsa le scale per precipitarsi dall’ unica persona che,
nonostante l’avesse
ritrovata da poco, avrebbe potuto aiutarlo, consolarlo, dirgli che non
c’era
niente di cui preoccuparsi, che andava tutto bene.
Mercedes.
E Mercedes
l’aveva accolto, non appena l’aveva visto varcare
il locale dove
si stava esibendo, aveva chiesto il giorno libero e l’aveva
abbracciato.
Perché
Kurt era lì, sconvolto, bianco come uno straccio e tremante
come una
foglia, e mai gli era sembrato così fragile, mai gli era
sembrato così
distruggibile, come se fosse stato pronto a spezzarsi per colpa di un
misero
alito di vento.
Aveva chiamato
un taxi e l’aveva accompagnato a casa sua, l’aveva
fatto
stendere sul divano, aveva adagiato su di lui una coperta di lana
pesante e
aveva preparato una tazza enorme di cioccolata calda, fregandosene dei
farfugliamenti di Kurt riguardo a quanti grassi contenesse e a quanti
giri del
parco sotto casa avrebbe dovuto fare per smaltirli.
E poi Mercedes
aveva aspettato.
La coperta di
lana pizzicava
sulla pelle lasciata scoperta dalla maglia a mezze maniche di Kurt, ma
per la
prima volta il soprano non si ritrovò ad elencare nella sua
mente tutti i
problemi che ne sarebbe conseguiti sulla sua pelle così
delicata ed amata.
Si era solo
rannicchiato su sé
stesso, cingendosi le ginocchia con le braccia e poggiandoci sopra la
testa.
Mercedes era
seduta su una sedia
davanti a lui.
Sembrava
tranquilla, ma in realtà
Kurt sapeva che stava aspettando che lui le raccontasse ciò
che era successo.
“Mi-Mi-“
iniziò con voce rotta,
poi, accorgendosi che parlare era fuori dalle sue capacità,
le porse la lettera
semi-distrutta che si era premurato di raccogliere prima di uscire di
casa.
“Ecco”
Mercedes si
accigliò, poi prese
la lettera e fece scorrere velocemente gli occhi su ciò che
era scritto.
Possibile che
Kurt sapesse? Lei
si era premurata di non dirglielo e credeva che lui non avesse avuto
relazioni
con nessuno dei componenti del Glee negli ultimi anni.
E allora
perché aveva quell’
espressione spaventata? Blaine era diventato insegnante della Dalton da
poco, e
da ancora meno direttore degli Warblers. Kurt non poteva immaginarsi
che ci
sarebbe anche lui, alla gara di canto.
Doveva essere
per forza
spaventato da altro, di sicuro.
“io-“Kurt interruppe esitante i
pensieri di Mercedes
“Ho paura,’ Cedes, ho paura di rivederli, insomma
mi-“ si fermò per asciugarsi
una lacrima sfuggita “Non gli parlo da una vita, sono stato
uno stronzo, li ho evitati! Mi odieranno!”
Mercedes,
vedendolo in quello
stato, lo abbracciò subito, e Kurt, avvolto nella sicurezza
e nel calore che
quel paio di braccia potevano dargli, si sfogò.
Disse di come
avesse paura di
essere odiato, che i ragazzi del Glee non volessero più
avere a che fare con
lui.
Disse di come
avesse paura che
Rachel, la sua compagna di sogni e aspirazioni, non gli rivolgesse più la parola,
che Santana e Brittany lo
guardassero come un perdente, che si era arreso a come il mondo lo
voleva, che
Finn non gli parlasse, che la sua famiglia non lo volesse
più.
E disse anche
che ringraziava il
cielo che non ci fosse lui.
Per la prima
volta parlò con
Mercedes di lui.
E Mercedes
decise che non gli
avrebbe detto che invece Blaine ci sarebbe stato.
Prese quella
decisione di fretta,
senza pensarci veramente. Perché sapeva che Kurt era tornato
un combattente.
E che avrebbe
combattuto, e
avrebbe vinto.
Bastava dargli
l’occasione
giusta.
L’aeroplano
sarebbe partito entro poche ore.
Kurt non sapeva
se ringraziare o odiare che gli avessero concesso due
settimane libere per fare da giudice.
Il suo agente ne
era estremamente felice, credeva che quell’ occasione
sarebbe stata un’ enorme pubblicità.
E
così si ritrovava in aeroporto con tutte le sue valige che,
lo sapeva,
gli sarebbero costate una fortuna, e con Mercedes che lo salutava
felice,
promettendogli che lo avrebbe raggiunto la sera successiva per
accompagnarlo a
fare da giudice alla gara.
Dopo aver
trascinato i suoi bagagli per tutto l’aeroporto e completate
tutte le procedure burocratiche si poté finalmente imbarcare
sull’ aereo.
Sistemò
il suo bagaglio a mano, che consisteva in una tracolla firmata Marc
Jacobs dalla quale non si sarebbe mai diviso, poi si sedette sul suo
sedile,
che fu felice di sapere essere vicino al finestrino, e si
lasciò andare ad un
lungo, enorme e potente sospiro, per scaricare la tensione e prepararsi
psicologicamente a quello che sarebbe stato costretto ad andare
incontro.
Era il giorno
prima della gara.
Era il giorno
prima della gara.
Era il giorno
prima della gara, cazzo.
Blaine si stava
letteralmente distruggendo le mani
dal nervoso.
Senza contare
che era anche il giorno prima del suo
appuntamento con Steve.
Beh, forse non
proprio appuntamento, era più un
incontro, ma era Blaine quello che lo aveva proposto quindi si sentiva
ragionevolmente in ansia. Nervoso. Agitato. Pronto ad uccidere qualcuno.
Fece un grande
respiro di preparazione ed entrò nella sala prove degli
Warblers.
Forse sei ancora
in tempo a
scappare Blaine, un passo indietro, due-
“Mr.
Anderson!”
Merda.
“Mr.
Anderson, abbiamo un problema! I costumi non sono pronti!”
Un ragazzo con
una zazzera di capelli rossi si precipitò da lui e per poco
non gli ruzzolò addosso, gli occhi spalancati in
un’espressione di orrore.
“Calmati
Derek, indossiamo le divise, non abbiamo costumi di scena,
ricordi?”
“Oh”
disse lui con un espressione confusa “Giusto.”
“Mr.
Anderson!”
Blaine si
girò dalla parte opposta, maledicendo le sue gambe corte che
non
gli avevano permesso di scappare prima.
“Mr.
Anderson!” Un ragazzo correva verso di lui, il fiato corto ed
i
capelli in disordine per la corsa.
“Ehm,
sì Jonathan?”
“Mark
dice che se non accettiamo che il suo gatto si esibisca con noi non
si esibirà neanche lui!”
Il moro si lasciò
sfuggire un gemito di
sofferenza e frustrazione e, prima che qualcun altro potesse aggiungere
qualcosa e fermando un altro paio di Mr.
Anderson calmò quella massa di ragazzini a cui
voleva tanto bene e si
posizionò in mezzo all’ aula.
Inforcò
la sua chitarra fece un cenno al ragazzo al piano e decise di fare
l’unica cosa che poteva aiutarlo a calmarsi ed a calmare loro.
Cantare.
I've
paid my dues
Time
after time
I've
done my sentence
But
committed no crime
And
bad mistakes
I've
made a few
I've
had my share of sand
Kicked
in my face
But
I've come through
Blaine sperava
che quella canzone riuscisse a tranquillizzare l’atmosfera
pre
- regionali che caratterizzava gli Warblers.
Aveva scelto un
classico, giusto per incoraggiarli, e per incoraggiare sé
stesso.
Strimpellò
allegramente la chitarra mentre i suoi studenti lo assecondavano
cantando con la loro solita armonia, che caratterizzava gli Warblers.
And
we mean to go on and on and on
and on
We
are
the champions - my friends
And we'll keep on fighting
Till the end
We are the champions
We are the champions
No time for losers
'Cause we are the champions of the World
Al ritornello
gli Warblers si scatenarono come adoravano fare e mentre uno
di loro prendeva un plico di fogli e li gettava al vento, in
un’ inconsapevole
imitazione del suo insegnante quando era lui che si esibiva tra le mura
della
Dalton, gli altri erano saliti sul tavolo ridendo come dei matti e
dandosi le
mani, portandole in alto e ridendo come matti.
Blaine quasi si
commosse per quanto fossero uniti quei ragazzi, e dopo aver
strimpellato le ultime strofe si fermò, fece un bel sorriso
e si disse che sì, nessuno
avrebbe vinto contro gli Warblers, non se c’era Blaine
Anderson.
Era arrivato.
Era arrivato,
aveva appena messo i piedi sul terreno dell’ aeroporto e
già
si sentiva mancare l’aria ed il fiato.
Da una parte
c’era l’emozione di vedere suo padre, che gli
mancava più di
tutti, Carole e, perché no, anche il suo fratellastro Finn.
Dall’
altra la paura, una maledettissima paura.
Si tolse il
cappotto, investito dal calore del giorno. Non si ricordava che
quel posto fosse così soffocante.
Perché
faceva così caldo?
Si
affrettò a prendere le sue valige, alla fine aveva optato
per lasciarne
a casa la metà, e con fatica uscì.
Il primo che
vide fu Burt, le gambe gli diventarono molli, e sul sorriso
gli si stampò un sorriso enorme.
Dio quanto gli
era mancato suo padre.
Non lo vedeva da
mesi.
La
verità era che non tornava a Lima da quel fatidico giorno.
Due
lunghissimi anni.
Suo padre, per
le festività, lo raggiungeva a New York, insieme a Carole e,
raramente, a Finn, e non gli aveva mai chiesto niente. Non gli aveva
mai
chiesto il perché di quella telefonata, due anni prima,
della sua voce rotta
dal pianto e del fatto che non volesse più mettere piede a
Lima.
Ed era
per quello che era rimasto il figlio, gli aveva detto, due settimane
prima, che sarebbe stato da lui per due settimane.
Due intere
settimane.
Quasi si era
messo a piangere per la felicità quando lo aveva sentito.
Ed ora su figlio
era lì, il suo adorato figlio era lì, sommerso
dalle
valige, adorabilmente curato, con i capelli scrupolosamente laccati ed
un
cappotto che teneva elegantemente appeso ad un braccio.
Dio quanto gli
era mancato.
Non appena lo
vide gli corse incontro, emozionato, stringendolo tra le sue
braccia.
Kurt si
beò di quel contatto che tanto gli era mancato, e quando
venne
raggiunto anche da Carole che gli si aggrappò addosso
felice, e da un timido
Finn che rimaneva in disparte, sorridendogli, si accorse di quanto
fosse stato
difficile per lui rimanere lontano da casa per tutto quel tempo.
Nonostante
odiasse Lima, la chiusura mentale della gente in quel posto, la
malignità delle persone, il fatto che fosse in mezzo al
nulla, era pur sempre
lì che era cresciuto.
“Oh
Kurt, che bello averti qui con noi!” sospirò
Carole sciogliendo
l’abbraccio.
Burt
annuì convinto e Finn, dopo averlo abbracciato un
po’ impacciato si
offrì di aiutarlo con le valige, cosa che fece molto piacere
a Kurt, che già
iniziava a preoccuparsi per le sue amate mani.
Raggiunsero a
fatica la macchina mentre Carole, per la gioia di tutti,
riempiva i silenzi parlando di cosa avesse preparato per pranzo e di
come si
sentisse la mancanza di un cuoco come lui in casa, dato che Burt e Finn
erano
dei disastri in cucina.
Kurt rise e
promise che per due intere settimane non avrebbe più dovuto
preoccuparsi.
Perché
ci sarebbe stato lui.
Dopo un
po’ di imbarazzo iniziale Kurt si era completamente sciolto.
Aveva
iniziato a scherzare con Carole, a raccontare del lavoro a Burt e di
parlare di
Mercedes con Finn.
Quando era
entrato in casa si era commosso come poche volte in vita sua e, notando
che la sua vecchia camera era esattamente come l’aveva
lasciata, si era
lasciato andare in un pianto liberatorio.
Scrisse un
messaggio a Mercedes per dirle che il viaggio era andato bene e
che si trovava a casa, poi si infilò in doccia per darsi una
lavata ed
indossare una tuta comoda, ed aveva declinato gentilmente
l’invito di Finn ad
uscire con lui ed i ragazzi a mangiare qualcosa.
“Io-“
aveva detto dopo aver sentito la domanda “Ehm, Finn,
preferirei
andare con calma, davvero. Magari un’ altra volta, va
bene?”
Finn aveva
annuito, non comprendendo fino a fondo il problema del fratello,
ma felice che gli avesse detto che prima o poi sarebbe andato con lui.
Quindi si era
diretto a passo spedito in cucina, aveva spostato gentilmente
Carole dei fornelli ed aveva iniziato a cucinare lui.
Quella sera,
dopo aver mangiato con Burt e Carole, riso e scherzato come
non faceva da tempo, raccontando della sua vita a New York e di come
fosse
bello cantare su un palco di Broadway, mentre si stendeva nel letto
tirando su
le coperte, si addormentò con un sorriso in volto.
“Bene
ragazzi, oggi è il gran giorno. Date il meglio di voi, sono
sicuro
che questa volta vinceremo. Siamo forti, siamo bravi, ma soprattutto
siamo
uniti, e nessuno ci potrà sconfiggere, mai!”
Blaine pronunciò quel discorso di
incoraggiamento più per se stesso che per i suoi alunni, che
per il nervoso si
muovevano frenetici in sala prove, dove stavano sistemando per
l’ultima volta
il loro numero.
Mancavano due
ore, poi sarebbero dovuti salire sul pullmino della Dalton,
raggiungere il McKinley, ed esibirsi sul palco davanti a tantissime
persone.
Ed il peso della
loro sconfitta o della loro vittoria gravava tutto sulle
spalle di Blaine.
Fantastico.
Era
così nervoso che neanche si accorse che la porta in sala
prove si fosse
aperta, e che Steve fosse entrato chiedendo di Blaine Anderson.
Quando si
accorse del silenzio carico di aspettativa che si era creato
nella sala e che tutti stavano guardando proprio lui, si
risvegliò dallo stato
di trance in cui era caduto e mise a fuoco la figura di Steve che lo
stava
fissando con un enorme sorriso.
La sua
omosessualità non -era un segreto alla Dalton, e forse era
per quello
che i suoi studenti, quando lo videro arrossire e balbettare qualche
frase
senza senso per scusarsi, iniziarono a darsi delle gomitate ed emettere
dei
risolini.
A volta stare in
una scuola maschile era peggio che avere a che fare con
milioni di donne pettegole messe assieme.
Quindi prese
Steve per un braccio e lo trascinò fuori dall’
aula.
“Scusali,
è il nervosismo pre-spettacolo” si
scusò passandosi una mano tra
i capelli.
“Traquillo,
anch’io sono nervoso
quando mi trovo davanti a molte persone, probabilmente se fossi al
posto loro
mi sarei già chiuso in un qualche sgabuzzino per nascondere
eventuali attacchi
di panico.” Sorrise l’altro.
Blaine lo
trovò decisamente adorabile.
“Comunque”
riprese Steve “Volevo solo chiedere una conferma sullo
spettacolo di stasera, è alle otto, giusto?”
“Sì
perfetto” annuì Blaine “Quindi
verrai?” non potè fare a meno di
chiedere con ansia.
“Non
me lo perderei per niente al mondo, Blaine” e dopo avergli
sorriso gli
diede un leggero bacio sulla guancia che lo fece sussultare, per poi
andarsene.
Mercedes lo
aveva raggiunto esattamente due ore prima del grande evento.
Quel giorno Kurt
si era svegliato tardi, come non si concedeva il lusso di
fare da tempo, dopo aver fatto un sonno pesante e privo di sogni.
Aveva
bighellonato per casa tutta la mattina e poi preparato una torta al
cioccolato che sapeva Finn e Burt avrebbero adorato.
Il pomeriggio
invece lo aveva passato a disperarsi per la scelta dei
vestiti che avrebbe indossato quella sera, gettando tutti i suoi
completi sul
letto e distruggendo la sua amata pettinatura a forza di passarsi le
mani nei
capelli per la disperazione.
Dire che era
nervoso era poco.
Ci sarebbe di
sicuro stata Rachel, e Santana e Brittany avrebbero di sicuro
assistito all’ esibizione, dato che lavoravano in quella
scuola.
Quando il
campanello suonò e si accorse che Mercedes era
già arrivata a
prenderlo optò per un completo informale, un paio di
pantaloni neri stetti ed
una camicia azzurra arrotolata ai gomiti e scese di corsa mentre si
abbottonava
l’indumento.
La ragazza lo
stava aspettando sulla porta con un’ espressione
indecifrabile, quasi impaurita.
Kurt decise di
non farci caso, prese il suo cappotto, la sua tracolla e,
dopo aver salutato di fretta Burt e Carole che gli urlarono buona
fortuna,
corse in macchina e seguì quella di Mercedes fino al
McKinley.
Blaine era
seduto in prima fila.
I suoi ragazzi
lo circondavano ridendo e scherzando. Chissà come il
più
nervoso lì fosse lui.
Steve era
arrivato e si era seduto qualche fila più in là,
dato che non
poteva stare nell’ area riservata ai cori ed ai giudici, dopo
averlo salutato e
auguratogli buona fortuna.
Mancavano cinque
minuti.
Cinque
maledettissimi minuti poi le luci si sarebbero spente, il sipario
sarebbe stato alzato, ed il presentatore avrebbe annunciato
l’inizio delle
esibizioni.
Kurt non aveva
ancora incontrato nessuno che conoscesse, Mercedes lo aveva
letteralmente scortato dentro l’ auditorium e successivamente
si erano divisi,
lui per entrare in una saletta dove si doveva incontrare con i giudici,
e
Mercedes per andare a prendere posto nell’ auditorium.
Si
ritrovò quindi a parlare con gli altri due colleghi, un
atleta che
prendeva di sicuro steroidi e il cui cervello, se esisteva, doveva
essere
intasato dai chili di frullati energetici che sicuramente ingurgitava,
e con
una nonna che aveva partecipato alla seconda, Kurt sospettava che,
dall’
aspetto, fosse non fosse la seconda ma la prima, guerra mondiale
vantandosi di
aver fatto lo scalpo a tutti quelli che aveva ucciso con una semplice
mossa di
karate.
E quando Kurt si
mise a ridere per l’impossibilità di quella storia
e si
ritrovò la nonnina indignata sopra di lui che gli girava un
braccio sulla schiena,
decise che forse l’avrebbe dovuta prendere un po’
più sul serio.
Mai ridere
davanti ad una nonnina
che dice di aver partecipato ad una guerra mondiale.
Si
appuntò quindi in testa rialzandosi e massaggiandosi il
braccio.
Si incontrarono
quindi con il presentatore che spiegò loro quello che
avrebbero dovuto fare, e, subito dopo, si diressero nell’
auditorium dato che
entro pochi minuti sarebbe iniziata la gara.
Le luci si erano
finalmente spente, Blaine finì di mangiarsi
l’ultima
unghia delle mani e, quando se ne accorse, decise di dedicarsi alle
pellicine.
Il sipario si
aprì ed il presentatore fece il canonico discorso di
benvenuto, nominò le squadre in gara ed iniziò a
parlare dell’ importanza della
musica nel mondo dei giovani.
Daidaidaidai.
Blaine era
nervosissimo, aveva visto Rachel poco prima e l’aveva visto
così
sicura di sé che ne era uscito spaurito e sconfortato.
I suoi ragazzi
erano già dietro le quinte a prepararsi, la loro esibizione
era la prima e quindi in quel momento stavano sicuramente facendo
casino, che
poi era il loro modo di scaricare la tensione.
“Bene,
ora presentiamo i giudici in gara!” disse il presentatore.
Oh, santo cielo,
ma quanto dura?
Pensò
esasperato Blaine. Non ne poteva più.
“Direttamente
dallo spot dei cerali più famosi d’America, ecco a
voi Bruce
Hogan!”
Blaine non si
prese neanche la briga di guardare verso il tavolo dei
giudici, in quel momento era troppo preoccupato a scovare tutte le
pellicine
possibili da morsicare per scaricare la tensione.
Dissero il nome
di un’ altra donna che doveva avere a che fare con una
delle due guerre mondiali, ma non ci fece molto caso.
“Ed
infine, il nostro ultimo giudice, direttamente da-“
Il cellulare di
Blaine iniziò a suonare.
Maledizione.
Imprecò tra sé e sé Blaine,
guardò lo schermo del telefono e, notando che
era sua madre, uscì da una porta secondaria dell’
auditorium per rispondere.
Al diavolo sua
madre ed il suo tempismo.
Quando Kurt
venne presentato capì che era la fine, tutti i suoi amici
che
erano lì lo dovevano di sicuro aver visto, era impossibile
che non lo avessero
fatto.
Si sedette
già pensando a come potesse giustificarsi quando il
presentatore
annunciò che il coro della Dalton stava per esibirsi.
Kurt
provò una fitta enorme a rivedere quei ragazzi in divisa,
che gli
ricordavano tanto Blaine.
Provò
a non pensarci e si concentrò sull’ esibizione.
Ne rimase
sbalordito. Erano veramente bravi, cantavano con una precisione
ed armonia che non si ricordava.
Soddisfatto si
lasciò trasportare dalla musica.
Non si accorse
neanche che avevano già cantato tre canzoni diversi, era
così preso dalla canzone che quando finirono
sentì un moto di tristezza
pervaderlo.
Gli piacevano,
gli facevano ricordare del bel periodo nel Glee.
Quindi non si
stupì quando, alla fine di tutte le esibizioni, vennero
decretati vincitori.
Se
l’erano meritato, quel trofeo.
Poi, dopo che
alcuni di loro saltarono, altri si abbracciarono ed altri si
misero ad improvvisare balletti strani, tutto contornato da urla di
gioia e
stupore, uno dei ragazzi chiese in un orecchio al presentatore il
permesso di
fare una cosa, che evidentemente lui gli concesse perché
annui con un gran
sorriso.
Quindi prese il
microfono e disse, con un enorme sorriso in faccia: “Vorremmo
ringraziare il nostro professore che ci ha fatto arrivare fin
qui.” Si fermò
soddisfatto ed annuì a qualcuno giù dal palco
“Quindi può smetterla di
mangiarsi le unghie per il nervoso, Mr. Anderson e salire sul
palco!”
A Kurt mancava
l’aria. Iniziò a boccheggiare.
Le orecchie che
pulsavano.
Le mani che
stringevano convulsamente i bordi del tavolo.
I fogli dei
punteggi caduti.
Nessun rumore.
Niente.
Non era
più niente.
Perché
non era possibile.
Non era
possibile cazzo con tutti
i lavori che esistevano al mondo che lui facesse proprio quello,
che fosse proprio lì.
Si sentiva
bruciare tutto.
La testa
pulsava, gli occhi bruciavano.
No.
Ed invece lui
era lì. Davanti a Kurt.
E gli fece male
al cuore vederlo. Perché gli mancava, dannazione, gli
mancava come l’ossigeno.
Aveva sperato di
non vederlo più, dopo quella volta, perché
sapeva, sapeva
che se l’avesse fatto non avrebbe retto.
E la
dimostrazione che avesse ragione era la fitta al cuore quando lo aveva
visto.
Un ragazzo, un
uomo, leggermente impacciato davanti a tutta quella gente,
con un ammasso di riccioli perfetti in testa, un sorriso che illuminava
il
mondo, le guance rosse per l’emozione e due occhi che non si
sarebbe mai
scordato.
Quelli che lo
tormentavano ogni notte, ricordandosi che era tutto
sbagliato, che era sbagliato svegliarsi e non essere abbracciato da
lui, che
era sbagliato cucinare solo per se stesso e non dover nascondergli le
ghiottonerie per on fargliele mangiate tutte, era sbagliato tornare a
casa e
non trovare nessuno ad aspettarlo, era maledettamente
sbagliato.
E quando quegli
occhi, ancora spalancati per la felicità, si volsero
distrattamente verso al tribuna dei giudici, quando si soffermarono su
un
volto, un volto famigliare, quando incontrarono gli occhi di Kurt, che
lo
fissava attonito. Distrutto. Kurt capì che non aveva mai
smesso di farlo.
Che poteva
averci provato, poteva aver vissuto nell’ illusione di
avercela
fatta, poteva aver nascosto a se stesso le fitte che provava ogni volta
che
pensava a lui, ma non aveva mai smesso di amare Blaine Anderson.
“Vorremmo
ringraziare il nostro
professore che ci ha fatto arrivare fin qui. Quindi può
smetterla di mangiarsi
le unghie per il nervoso, Mr. Anderson, e salire sul palco!
Blaine era
felice. Gli Warblers erano stati fantastici. Ed avevano vinto. Avevano
superato il Glee club di Rachel Berry! Glielo avrebbe rinfacciato a
vita.
Salì
sul palco un attimo a disagio ma quando venne abbracciato dai suoi
ragazzi non potè che sentirsi bene, a casa.
Fece vagare
distrattamente lo sguardo sul pubblico, e, un po’ curioso di
vedere la vecchietta che aveva combattuto la seconda, dall’
aspetto avrebbe
detto prima, guerra mondiale, volse lo sguardo in direzione della
tribuna dei
giudici.
Ma non fu la
vecchietta che attirò la sua attenzione, né
l’atleta pieno di
steroidi, furono un paio di occhi azzurri, limpidi come
l’oceano che lo stava
inghiottendo in quel preciso istante.
BluCannella
Allora,
che ne dite?
Si sono incontrati, alla fine!
Dio
spero sul serio che non sia stato troppo lungo, il fatto è
che continuavo a dirmi "Ora lo finisco" e poi mi veniva in mente
qualcos' altro da scrivere! Davvero, è stata una faticata.
In
compenso ho pronto un altro capitolo, dove finalmente si parleranno, e
non vedo l'ora di sapere che ne pensate, risponderò subito
alle recensioni!
Già
sono uno schifo, è che sono stata così presa a
scrivere che me ne sono scordata!
Ah, e
poi ho scoperto che l'ora di Greco può essere fantastica se
passo tutto il tempo a scrivere, davvero, potrei amarla quell'ora!
Ok,
ehm, sto divagando, lo so..
Mi
farebbe molto piacere sapere che ne pensate,
Un
abbraccione
BluCannella