25 gennaio 2012, una giornata interminabile, stancante, terribile.
Sembrava
una mattina come le altre, e come al solito mi apprestavo ad
uscire di corsa da casa. Come ogni mattina, ero in ritardo e prendere
l’autobus
diventava una missione sempre più ardua, ma alla fine
vinceva sempre il ritardo
dell’autobus, superiore al mio.
Durante il viaggio in corriera ripensai a
quello che era successo durante la notte: una scossa di terremoto aveva
svegliato tutta la famiglia, tranne la sottoscritta. Mia madre mi venne
a
svegliare agitata e ci riunimmo in salotto per vedere se stavamo tutti
bene e
poi, ritornammo a dormire.
Ad un certo
punto mi resi conto che eravamo arrivati alla fermata alla quale dovevo
scendere, così afferrai lo zaino e corsi verso la porta
dell’autobus, che ormai
era quasi chiusa. Il conducente riaprì, ringraziai e corsi
alla fermata del
secondo autobus che dovevo prendere.
Arrivata in tempo per poter scorgere il
mezzo mentre svoltava in direzione della fermata, salutai le mie amiche
e ci
accomodammo negli ultimi posti dell’autobus. Dopo aver
parlato di vari
argomenti, tra cui quello del terremoto notturno, arrivammo a
scuola.
Entrai e
mi sedetti, preparando il materiale per la lezione di scienze e
chiacchierando
con le mie compagne. Iniziò la lezione, discutemmo su
concetti non compresi e
ascoltammo la spiegazione dell’insegnante in merito a nuovi
argomenti.
Improvvisamente,
una cosa strana, che vi fecce rizzare le orecchie. Una scossa. La terra
tremava, i piedi non sentivano più il pavimento, un rumore
indecifrabile e la
campanella suonare. E poi delle urla, ragazzi che uscivano dalle classi
e si
precipitavano verso le scale. Paura. Noi eravamo fermi, immobili,
attoniti da
quella scossa. Guardavamo fisso davanti a noi, con il cuore in gola.
Poi ci
fissammo tra di noi, con uno sguardo spaventato. Solo la voce
dell’insegnante
ruppe quel silenzio terribile.
Anche noi
ci precipitammo all’uscita e andammo in giardino. Negli occhi
di tutti quei
ragazzi presenti nel cortile si poteva notare la paura che avevano
provato nel
momento della scossa e che, piano piano, andava dissolvendosi.
Dopo una
manciata di minuti, ci rincamminammo verso la classe, ancora scossi per
ciò che
era accaduto poco prima. Riprendemmo a parlare con
l’insegnante, ma questa
volta non degli stessi argomenti in precedenza trattati, ma discutemmo
su quello
che era appena successo. Sentimmo
la
campanella e subito sentimmo tutti un tuffo al cuore, pensando che
fosse un
altro terremoto, ma sorridendo ci rendemmo conto che si era solo appena
conclusa la prima ora.
L’ora successiva avremmo avuto il compito di greco, e
questo influiva sull’agitazione già presente per
il terremoto. La
concentrazione ormai non c’era e sapevo che il compito
sarebbe andato male.
Passarono circa dieci minuti, usufruiti per farci calmare leggermente e
poi ci
fu consegnato il compito. Facemmo a malapena a scrivere il nostro nome
che
un’altra scossa fece tremare la terra, una scossa
più potente.
Penso di essere
stata la prima, o quasi, ad andare sotto il banco, come ci era stato
consigliato, perché prima della scossa potente sentii un
lievissimo tremolio,
pensai che fosse frutto della mia fervida immaginazione, ma quando
girai la
testa e incontrai gli occhi di una mia compagna, spaventata almeno
quanto me,
capii che era reale. Di nuovo le urla dei ragazzi che, affannosamente,
si
ammucchiavano sulle scale.
Uscimmo dalla classe, con lo sguardo sempre più
terrorizzato. Questa volta, arrivati nel punto di ritrovo, avvisai mia
madre, e
mentre cercavo di chiedere come stavano le cose nella sede centrale del
Maffei
a mio fratello, ricevetti un suo messaggio.
Dopo dei minuti, tornammo in classe
e la professoressa ritirò la verifica. Qualcosa che ci fece
sentire meglio, in
quel momento così difficile. Cominciò la
spiegazione di un nuovo argomento, ma
fu meglio ricontrollare di aver capito a casa, perché la mia
concentrazione era
assente, completamente.
Alle 10.45 scendemmo le scale e, nonostante il freddo,
rimanemmo in giardino per tutta la ricreazione. Eravamo in contatto con
altre
scuole di Verona, molte delle quali erano state evacuate subito dopo la
seconda
scossa.
Quindi, ci fu una pretesa generale da parte degli studenti di essere
rimandati a casa, ma fu negata. Finita la ricreazione, molti alunni
ritornarono
a casa perché in presenza di genitori. La maggioranza delle
classi rimase nel
cortile, mentre la mia, per volontà del professore,
ritornò nell’aula.
Ma poco
dopo fummo ‘costretti’ a tornare nel giardino,
perché alcune compagne erano
rimaste lì dalla ricreazione e il professore doveva
controllare tutti. Nel
tempo in cui rimanemmo lì cercai di rilassarmi, ma ero
troppo agitata da questa
giornata ‘infinita’. Solo alle 11 e mezzo circa la
notizia che saremmo usciti
per mezzogiorno riuscì a tranquillizzarmi.
Dopo essere tornata a casa, tutto
era strano, diverso. Tutto pronto in caso di un’altra scossa.
Anche la mia
famiglia, io compresa, fu obbligata a rimanere per la maggior parte del
tempo
al primo piano. Le ore passavano molto lentamente e, appena ci fu
l’occasione,
mi preparai per dormire. Infatti, per me, è
l’unico rimedio possibile per far
passare il tempo velocemente e poi, dormendo, non avrei sentito un
eventuale
terremoto. Mi misi sotto le coperte e ripensai alla giornata che avevo
passato,
come sono solita fare dopo giornate emozionanti.
Questa giornata sembrava non
finire più, piena di paura, tensione, agitazione, ma anche
di sollievo e
felicità nel fatto che non sia successo nulla di
catastrofico. Ecco come
rimarrà impresso nei miei ricordi questo giorno, 25 gennaio:
una tranquilla
mattinata di paura.