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Autore: _ether    20/04/2012    2 recensioni
«Il mio cuore smetterà di battere prima o poi, lo sai?»
I miei occhi chiari cercano qualcosa di invisibile nell'aria, fuori da quella finestra che mi separa dall'esterno.
«Ti salverò prima.»
Sorrido e alzando le mani al soffitto incomincio a muovere lentamente le dita, come se volessi afferrare qualcosa che in realtà non c'è.
«Impossibile.»
«Hai solo diciotto anni!»
Mi blocco e finalmente lo guardo.
E' seduto su una sedia, di fronte a me; ha le braccia poggiate sulle cosce, le mani unite, il volto alzato per ispezionare ogni mia singola mossa.
Ha uno sguardo attento. Gli occhi stanchi, quasi spenti.
Riesco a leggerli perfettamente anche con un solo sguardo, non mi serve soffermarmi sui suoi movimenti e capisco che non sa più cosa fare con me, cosa inventarsi.
«E dimmi, tu cosa facevi a diciotto anni?»
Nessuna risposta.
La mia risata risuona acuta in quella stanza d'hotel spoglia.
«Non c'è niente di male a voler vivere fino a morire.»
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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0.10 How to fight loneliness

Riemersi dall'acqua bollente della vasca respirando finalmente una bella boccata d'aria. I polmoni mi bruciavano poiché erano in assenza di ossigeno da troppo tempo e il cuore mi stava battendo all'impazzata. Così tanto che potevo sentirlo balzare in gola.
Mi portai le mani alla fronte per togliere le goccioline d'acqua che mi stavano colando in volto, infine strizzai i miei capelli e li portai tutti su di una spalla. Era da molto che non mi soffermavo su di essi e non mi sembrava possibile fossero diventati già così lunghi; nemmeno mi ricordavo più quando fosse stata l'ultima volta che me li ero tagliati. Riuscivano a coprirmi il seno ormai.
Mi appoggiai con la schiena al bordo della vasca e, mentre fissavo immobile il soffitto, cercai di far rallentare il mio cuore che ancora pompava come un tamburo.
Avevo perso totalmente la cognizione del tempo; quella mattina mi ero svegliata presto, anche se era domenica e non avevo pianificato nulla per la giornata, così avevo optato per un lungo bagno caldo, ma evidentemente mi ero addormentata.
Sussultai quando sentii improvvisamente il cellulare, appoggiato sul mobile vicino al lavabo, suonare accompagnato dalla vibrazione e da una canzone allegra, ma di un volume troppo alto.
Mi allungai per prenderlo, sgocciolando un po' sul pavimento vicino alla vasca, e risposi immediatamente, anche se non avevo quel numero segnato in rubrica. Ero ancora troppo stordita per accorgermi di quel dettaglio, risposi e basta.
«Pronto?»
Avevo persino la voce impastata dal sonno e alquanto rauca dato che era la prima volta che parlavo da quando mi ero alzata.
«Stavi dormendo?» mi chiese una voce familiare dall'altra parte della cornetta, che però non riuscii subito a distinguere.
Aggrottai le sopracciglia, studiando dettagliatamente la voce che avevo appena sentito.
«Più o meno.»
La persona dall'altra parte ridacchiò. «Mi dispiace!»
Sgranai gli occhi; ecco chi era!
«Jake, da quant'è che non ci sentiamo; hai cambiato numero?» dissi improvvisamente euforica.
Ci fu un minuto di silenzio, che non riuscii a decifrare, poi la persona parlò di nuovo.
«Ehm, non sono Jake.»
«Oh.»
«Sono Shannon!» esclamò subito dopo in un tono che mi risultò quasi offeso.
Mi portai una mano davanti alla bocca; non potevo crederci.
Scoppiai a ridere, non riuscendo a trattenermi, e incominciai a farfugliare degli scusa.
Lui rimase muto, tanto che pensai mi avesse riattaccato in faccia, ma essendo ancora in linea ritornai alla carica io.
«E' successo qualcosa? Per caso Jared sta dando di matto e hai bisogno di aiuto?»
«Certo che siete proprio cane e gatto voi due», scherzò lui, senza rispondere alla mia prima domanda.
Io intanto mi ero di nuovo accomodata in vasca, rilassando i muscoli delle spalle e lasciando la testa indietro.
«Che c'è, Shannon?» chiesi di nuovo io, andando però dritta al punto.
Era strano che mi chiamasse e poi da quando Shannon Leto aveva avuto voglia di chiamarmi? Ci incontravamo per i corridoi, passavamo un po' di tempo insieme tra una pausa e l'altra e ci piaceva scherzare tra di noi, ma fondamentalmente eravamo solo due persone che compievano lo stesso lavoro, nulla di più, e invece mi ritrovavo di domenica mattina al telefono proprio con lui.
Ci furono altri pochi secondi di silenzio poi parlò.
«Stavo pensando, se non hai niente da fare, ti andrebbe di trascorrere la giornata con me? Mi sto annoiando.»
Io, che stavo giocando con la bocca e l'acqua della vasca, per poco non mi strozzai al suono di quella domanda.
«Mèlanie, stai bene?» chiese lui, tra le risa.
«Sì», tossii, «certo, benissimo! Aspetta un attimo che non respiro.»
Allontanai il telefono e feci un profondo respiro; quel giorno era la seconda volta che rischiavo di rimetterci la vita.
Portai di nuovo il mio blackberry vicino all'orecchio sinistro e parlai.
«Ci sto», risposi pensierosa.
Certo, ero veramente molto contenta che mi avesse chiamata per invitarmi a fare un giro insieme, magari sarebbe stato il momento giusto che approfondire la nostra “amicizia”, se così poteva chiamarsi, ma, anche se non l'avevo mai manifestato quanto quell'uomo con il doppio e più della mia età, che aveva la mia stessa passione per la musica, mi aveva affascinato da subito. Era simpatico e ancora di più mi faceva ridere le reazioni di suo fratello alla vista di noi due insieme. Perciò la parola “mi annoio” mi aveva incupita; ok, sì, mi stavo creando mille castelli in aria in quel momento, ma avrei voluto che mi avesse chiamata perché desiderava stare con me e basta. Poteva omettere quella frase, ecco tutto.
«Non hai nessun altro nella tua rubrica da chiamare per fare un giro, vero?»
Mi morsi la lingua appena pronunciai quella domanda. Risultava tremendamente da fidanzata gelosa quale non ero. Non ero gelosa, né tanto meno la sua ragazza.
Lui non rispose subito e io pensai immediatamente che sarei dovuta stare zitta. Mi avvicinai al muro coperto da mattonelle celestine e avrei dato una finta testata su di esso se non avessi sentito ciò che disse.
«Mi andava di chiederlo a te», rispose in modo semplice, la sua voce non aveva nessun tono particolare. Era pacata e bassa.
«Scusami», ridacchiai nervosa.
«Allora dove alloggi?» ripartì subito lui, di nuovo con quella voce carica di vivacità.
«In un Hotel che fa veramente schifo, dovrò lamentarmi con Bart», dissi schifata.
«Mi sembra che abbia trovato pane per i suoi denti», e il suo tono uscì divertito. «Comunque dove ci incontriamo?»
«Dlin-dlon: pubblicità progresso; Melanie Lewis non conosce minimamente Los Angeles.»
«Scrivimi l'indirizzo dell'hotel per messaggio, ti passo a prendere tra mezz'ora», tagliò corto lui.
«Sì, ti stai seriamente annoiando», costatai io prima di riattaccare.
Mandai il messaggio velocemente poi poggiai di nuovo il cellulare sul mobile di fianco alla vasca e uscii, stando attenta a non scivolare. Detto fatto, se non mi fossi aggrappata prontamente all'accappatoio attaccato al muro, mi sarei fatta una bellissima caduta.
Diedi un sospiro di sollievo e presi due asciugamani dalla pila; uno me lo legai intorno all'esile corpo e l'altro mi feci un turbante per levare bene l'acqua dai capelli.
Bene, avevo solo una mezz'ora e dovevo ancora vestirmi, truccarmi e asciugarmi i capelli, sempre con il pensiero fisso che quel giorno ero particolarmente propensa alla morte.
Mi diressi verso la stanza ed aprii la valigia per prendere qualche indumento, prima però diedi uno sguardo fuori dal finestrone per controllare il tempo. Come al solito un sole accecante e caldo splendeva alto in un cielo così azzurro da far rimanere ipnotizzati.
Optai per un abito nero, degli stivaletti anch'essi neri e una giacca a righe nere e bianche. Mi vestii velocemente, senza neanche perdere tempo nel guardarmi allo specchio e mi diressi in bagno.
Avevo ancora quindici minuti. Dai, Mèl, puoi farcela!
Mi truccai poco quel giorno e passai subito ad asciugarmi i capelli. Finii solamente quando il telefono della camera incominciò a squillare.
Posai il phone e corsi a rispondere.
«Siamo la reception, signorina», disse una voce maschile e squillante dall'altro capo.
«Oh, sì.»
«C'è qui un certo Shannon che la sta aspettando.»
«Può dirgli che arrivo subito.»
Appena riattaccai scoppiai a ridere, sedendomi sopra il letto. Non ci potevo credere; per caso stavo sognando? Mi diedi un pizzicotto, ma mi feci solamente male.
Quando mi ripresi mi alzai per andarmi a controllare allo specchio; potevo andare, anche se i capelli mi ricadevano ondulati, senza una vera e propria piega.
Sbuffai, cercando di appiattirli o dare loro una forma presentabile, e, prendendo al volo la borsa, le chiavi della stanza e il cellulare, uscii dalla camera.
Camminai spedita per il lungo corridoio, rivestito di moquette scarlatta, e passai di fronte alle camere dei miei amici. Mi bloccai; forse era meglio scrivere loro un messaggio in cui li informavo che non ero più in hotel.
Si preoccupavano sempre troppo per me, ma li capivo benissimo. Non ero mai stata una ragazza facile e loro erano come dei fratelli maggiori di cui potevo fidarmi in qualsiasi occasione.
Cercai nella borsa un block-notes che di solito portavo sempre con me e anche una penna. Scribacchiai sopra un “sono fuori con Shannon per tutto il giorno. Ci sentiamo per telefono, xx Mèl”.
Lo infilai sotto la porta e feci così anche per gli altri tre, prima di scendere alla reception, ma proprio mentre stavo aspettando l'ascensore una delle porte si aprì e il volto di un Enry ancora insonnolito fece capolino.
«Mèl, dove cazzo vai?»
Ecco a voi la finezza fatta persona.
«Fuori.»
«Che ti sei fumata questa mattina? Ti pare che..»
Si bloccò immediatamente proprio mentre le porte dell'ascensore, dietro di me, si aprirono con un sonoro “dlin”.
Mi voltai e per poco non mi venne un colpo; Shannon era a pochi centimetri da me e mi guardava con il solito sorriso ammaliatore, da bel tenebroso, dipinto sul volto.
Aveva su ancora gli occhiali da sole dalle lenti scure e un leggero accenno di barba.
Mi voltai verso Enry, ancora fermo con espressione idiota a guardarci. La differenza tra i due era netta; Enry era in “pigiama” ovvero in pantaloncini corti a scacchi e canottiera bianca, alquanto larga per il suo fisico magro e asciutto, mentre Shannon era impeccabile. Mi piaceva il suo modo di vestire; pantaloni neri e una canottiera, con un giubbetto di pelle sopra.
Gli feci una linguaccia e lo salutai, prima di entrare nell'ascensore insieme a Shan.
«Ciao», mi soffiò lui vicino all'orecchio destro.
Evidentemente si era sentito poco preso in considerazione.
Sorrisi sagace e risposi con un ciao.
«Come mai sei salito?»
Alzò le spalle, «Ho notato che il tuo presto somiglia a quello di mio fratello.»
Mi voltai a guardarlo interrogativa.
«Avete più cose in comune di quanto immagini.»
Alzai gli occhi al soffitto.
«Se lo dici un'altra volta rischi seriamente la vita.»
Un altro suono sonoro e le porte dell'ascensore si aprirono lasciandoci al pian terreno.
«Non capisco proprio tutto questo astio dell'uno verso l'altro», disse uscendo, lasciandomi dietro di lui.
«Non è astio», lo corressi saccente.
Lui si voltò e iniziò a guardarmi, alzando un sopracciglio, mentre camminava all'indietro verso la reception.
«Avresti dovuto vederlo ieri, dopo che ti ha incontrato per il corridoio.»
A quella frase sentii il sangue gelarmi nelle vene. Il giorno precedente ci eravamo incontrati proprio durante una delle mie crisi ed ero stata veramente scontrosa nei suoi confronti, ma come potevo dirgli che in realtà avevo avuto un'allucinazione? Che i miei non erano semplici attacchi di panico?
«Come fai a saperlo? Che ci siamo incontrati intendo», chiesi invece a Shannon.
«Era così arrabbiato quando ci siamo visti che gli ho chiesto che era successo, ma non mi ha voluto dire nulla. Ma che avete combinato?» chiese sinceramente curioso, voltandosi nuovamente per camminare in modo normale.
«Il solito», risposi vaga e diedi le chiavi al tipo della reception.
«Dove andiamo?» chiesi subito a Shannon per cambiare argomento, riportando l'attenzione su di lui. Speravo di cambiare immediatamente discorso. Ero contenta che Jared non avesse detto a Shannon il vero e proprio motivo per cui era così arrabbiato e di sicuro non volevo essere io a spiegarglielo.
Shan si fece pensieroso.
«Non so, facciamo un giro, così ti porto a vedere i posti più caratteristici della città.»
Annuii e lo seguii fuori dall'hotel. Una volta in strada mi guardai intorno; non c'era nessuna macchina, solo una moto parcheggiata più in là.
«Se dovevamo chiamare un taxi, avremmo dovuto dirlo a quel ragazzo! Certo che sei proprio sveglio», lo presi in giro io.
Lui mi guardò con espressione truce.
«Per chi mi hai preso?»
Lo seguii con lo sguardo avvicinarsi proprio alla moto parcheggiata vicino al marciapiede e sgranai gli occhi, non credendo a ciò che stavo vedendo.
«E' tua?»
Lui non rispose e prese a cercare qualcosa nelle tasche dei jeans.
Mi avvicinai cautamente, guardandola e lui, accorgendosi della mia perplessità, mi chiese: «Hai paura per caso?»
Scossi il capo, «no, assolutamente no, anzi.. è stupenda!»
Lui sorrise sornione, conscio del fatto che era proprio come stavo dicendo io.
«Arriviamo fino alle vie principali poi proseguiamo a piedi», mi spiegò, porgendomi un casco.
Annuii e me lo misi, prontamente.
Almeno il casco mi avrebbe appiattito i capelli arruffati e ancora leggermente bagnati.
Lui la cavalcò, levando il cavalletto subito dopo e aspettò che io feci lo stesso. Nel vedere che io non mi muovevo si girò a guardarmi.
«Allora?»
Abbassai lo sguardo sulla corta gonna e mi morsi il labbro inferiore imbarazzata.
Lui sbuffò e si voltò, dandomi le spalle.
«Sali, non ti guardo.»
«Oh, no, tu di certo non vedrai nulla, ma le altre persone sì», e alzando un poco la voce, «per vostra informazione quest'oggi ho le mutandine nere.»
Lui scoppiò a ridere.
«Sbrigati.»
Questa volta fui io a sbuffare e avvicinandomi a lui montai dietro, stando attenta a far vedere il meno possibile.
«Dei pantaloni tu mai?» chiese sarcastico.
Gli diedi una capocciata con il mio casco e insieme ridemmo di nuovo.
Una volta salita mi sistemai bene la gonna in modo che si vedesse il meno possibile e mi avvicinai il più possibile a lui. Purtroppo le mie gambe erano bellamente in vista, completamente.
«Tieniti forte», disse e mi sembrò di sentirlo ridacchiare compiaciuto.
La moto rombò e subito dopo partimmo ad una velocità sicuramente superiore a quella consentita. Inconsciamente mi aggrappai più saldamente alla sua canottiera e aderii il mio busto alla sua schiena. Amavo la velocità, sapere che all'uomo era consentito andare oltre, arrivare anche al limite mi rendeva felice e libera. La libertà; era una delle cose che più amavo nella vita e per cui lottavo ogni giorno.
Shannon superò diverse macchine zigzagando per la lunga strada che ci portò ad una secondaria lungo mare. Mi voltai a guardarlo e mi infuse un senso di calore assurdo; brillava sotto i raggi caldi di quel sole di maggio e la spiaggia era di un bianco quasi latte.
Alzai lo sguardo verso il cielo e provai a trovare una nuvola. Tutto inutile, impossibile.
«Rallento?» urlò Shan.
Gli diedi un pizzicotto su un fianco.
«Non ci pensare neanche per scherzo.»
«Sei la prima ragazza che sale qui sopra e non ha paura della velocità.»
«E' l'incoscienza della giovinezza», risposi chiudendo gli occhi.
Lasciai la presa dalla sua vita, mi alzai la visiera per sentire l'aria sul viso e aprii le braccia, sentendo il vento fresco sul viso e sul corpo. Era un senso di libertà diverso da quello che puoi provare nel lasciare la tua famiglia, nel fare ciò che vuoi, nell'andartene di casa. Era libertà vera e propria.

«Facciamo un gioco», esordii io dopo pochi minuti di silenzio.
Ci trovavamo per una delle vie principali di LA, con un frappuccino di Starbuks in una mano e un muffin nell'altra poiché non avevo fatto neanche colazione mentre Shannon stava bevendo un semplice cappuccino.
Avevamo parcheggiato la moto poco lontano da una delle vie del centro, un po' nascosta per non farla vedere dai paparazzi, anche se fino a quel momento non avevo notato nessuno particolarmente preso da noi.
Mi stavo divertendo, in fondo Shannon era veramente molto simpatico per come a volte mi risultava un po' ambiguo. Di solito capivo fin dal primo sguardo una persona, con lui era diverso.
Era aperto e disponibile, ma la malizia in alcune frasi non mancava mai.
«Strega comanda colore?» scherzò, bevendo un altro sorso dal cartone del suo cappuccino.
«No, un gioco che facevo a scuola.»
«Wow, che emozione allora», mi sfotté.
Lo guardai fingendomi offesa e lui mi sorrise in un modo così sincero e aperto che non riuscii neanche a continuare ad essere fintamente offesa.
«Non ero iscritta alla scuola pubblica», gli spiegai, «ma una scuola privata di arte e musica.»
«E non dovresti essere lì ora?»
Scossi il capo e presi una goccia di cioccolato dal muffin, nervosa. Quell'argomento aveva un brutto effetto su di me.
«Sono scappata di casa, diciamo.»
Lui, stranamente, capì la mia agitazione riguardo quel discorso e cambiò prontamente argomento. Ne fui seriamente riconoscente.
«Perciò che gioco è?»
«Io scelgo una canzone e insieme la cantiamo. Serviva per scaldarci la voce mentre aspettavamo il professore in classe», dissi ritornato improvvisamente allegra.
Fortunatamente mi ero messa gli occhiali da sole e non poté accorgersi degli occhi già umidi.
«Non sono un cantante», protestò Shan, «e poi perché la devi scegliere tu la canzone?»
«Mio il gioco, mie le regole», dissi decisa.
Lui sbuffò, «soggiogato da una ragazzina di diciassette anni.»
Bevvi un sorso di frappuccino e lo presi a braccetto, facendogli gli occhi dolci da sotto le lenti dei miei rey-ban.
«What's my name di Rihanna*», decisi.
«La conosco», disse superbo.
«Buon per te», e detto ciò contai accompagnata dallo schiocco delle dita prima di incominciare a cantare.
«Oooh na, na, what's the name?», cantai io, guardandolo in segno di sfida.
Intanto continuavo a schioccare le dita per tenere il tempo.
«I heard you good with them soft lisp, yeah..», prese a rappare lui, facendo una voce grave per imitare Drake.
Gli misi subito una mano sopra la bocca.
«Fai schifo!» esclamai prima di scoppiare a ridere.
Lui sgranò gli occhi.
«Davvero? E io che dovevo essere il vocalist della band, al posto di mio fratello!»
«Avreste avuto maggiore successo», dissi sfottendolo.
Riprese a rappare e io rimasi a fissarlo, con un sorriso idiota dipinta sul volto. Che faceva ridere era ovvio, non era proprio portato.
«You hust waiting on the track to finish girl, the things we could do in twenty minutes girl..»
Quando finì, attaccai io, mentre continuavamo a camminare come se niente fosse; io schioccavo le dita e tenevo il tempo muovendomi con il busto e lui mi camminava a fianco con un sorriso che gli illuminava il volto. Avevo la netta sensazione che la gente intorno a noi ci stesse guardando malissimo, ma io mi stavo divertendo e sembrava che anche Shannon lo stesse facendo.
Improvvisare concertini per le strade era la mia attività preferita a New York!
«Not nobody knows how to work my body, knows how to make me want it, boy you stay up on it..»
Cantato anche il ritornello, mi bloccai.
«Perché ti sei fermata?» mi chiese lui interrogativo.
«Non me la ricordo più, cambiamo canzone», ridacchiai, seguita da lui.
«Ti stava venendo bene però», disse con aria di sufficienza.
Proprio in quel momento sentii delle urla, direi emozionate, alle nostre spalle e mi girai per vedere cosa stesse succedendo.
La mia vista fu occupata da cinque o sei ragazze emozionate che ci stavano fissando come io avrei fissato un gioiello di Tiffany & Co.
«Shannon!» urlò una ragazza in carne, dai corti capelli neri e un trucco pesante sugli occhi nocciola. Aveva delle lentiggini su un piccolo naso e due labbra carnose.
Lui farfugliò uno scusa verso di me e si avvicinò a loro sorridente. In un secondo era circondato.
Io rimasi in disparte a guardare la scena, con un leggero sorriso sulle labbra. Avrei tanto sperato un giorno di ritrovarmi dei fan come quelli. Carini e affettuosi.
Mi misi seduta su un muretto lì vicino e aspettai che le fan finissero di fargli firmare autografi e di fare video o foto.
Solo una ragazza però si accorse che il loro beniamino non era solo e mi diede una guardata furtiva, cercando di non farsi vedere mentre mi stava ispezionando.
Poi sembrò illuminarsi e si avvicinò a me, lasciandosi alle spalle le amiche e Shan.
«Ma tu sei la cantante dei The Reckless?»
Il mio cuore fece un tonfo; ma allora tanto inesistente già non lo ero più.
Mi alzai e mi avvicinai alla ragazza che mi stava squadrando dall'alto in basso.
«Sì, esattamente, piacere Mèlanie», e le porsi una mano.
Lei neanche si accorse della mia cortesia e sfacciatamente alzò le spalle per poi ritornare dalle sue amiche.
Mi sentii avvampare dalla rabbia.
Stai calma, Mèl, mi ripetei più volte. Anche perché se mi lasciavo andare le avrei spaccato la faccia.
Capivo perfettamente che potevo non essere riconosciuta, ma un po' di rispetto verso un'altra persona ci vuole sempre. Che essa fosse famosa o meno.
«Tu, piccola peste, se mai dovessi piacerti non ti degnerò neanche di uno sguardo», blaterai tra me e me.
«Adesso devo andare, scusate», disse loro Shannon, abbracciando l'ultima ragazza.
Proprio mentre stava ritornando da me, una voce lo fece girare.
«Chi è lei, Shannon? Non fidarti di nessuna, ricordatelo!» disse in tono truce un'altra ragazza dai capelli, che mi stava fulminando con lo sguardo.
«Non l'hai riconosciuta, Jess?» le chiese piano la stessa ragazza sfacciata che mi si era avvicinata poco prima.
«E' un'amica ragazze, tranquille», rispose gentilmente Shannon e, ponendomi una mano sulla schiena, mi fece voltare per proseguire la nostra camminata. Forse si era accorto del fatto che io mi stavo a poco a poco arrabbiando sempre di più.
«Tienimi o le uccido», gli sussurrai, continuando a camminare.
«Fanno solamente il loro compito di fan, mi vogliono bene.»
«Sì e questo è stupendo, Shan, ma mi hanno guardata come se fossi una tua escort!» esclamai indignata.
«Ti rifarai, Mèlanie», sogghignò lui. Non c'era proprio niente da ridere invece.
Poco dopo, proprio davanti all'entrata di un bar dalle colonne di marmo rosse, decorate in cima con elementi in oro e un ragazzo vestito di tutto punto all'entrata, Shannon mi chiese se mi andava di entrare.
Lo guardai malissimo.
«Non potrei permettermelo neanche tra cent'anni», dissi affranta. Sembrava seriamente bellissimo.
«E chi ha detto che devi pagare tu?» fece questa domanda retorica prima di avviarsi verso l'entrata.
Rimasi per diversi secondi interrotta a fissarlo avvicinarsi al ragazzo all'entrata che gli aprì subito la porta al suo passaggio.
Corsi per raggiungerlo e sorrisi all'uomo che l'aprì anche a me. Mai nessuno in vita mia era stato così galante con me, tranne mio padre quando ero più piccola e giocavamo alla principessa e al proprio servo. Solo così volevo andare a scuola.
«Non scherzare per favore», gli sussurrai all'orecchio, facendomisi vicina.
«E chi sta scherzando?»
«Tu, mister intelligenza.»
Mi mise un braccio intorno alle spalle e mi attirò a sé.
«Non c'è niente di male nell'offrire qualcosa da bere ad un'amica. Soprattutto dopo che è stata trattata male per colpa mia.»
«Ma non..»
«Un tavolo per due», disse cordiale ad un cameriere che ci venne incontro.
Alzai gli occhi al soffitto; sarebbe stato impossibile fargli cambiare idea.
«Bene, seguitemi.»
Nel seguirlo mi guardai intorno; era una sala ampia, arredata in stile classico e illuminato da grandi lampadari appesi ad un soffitto affrescato in modo eccellente. Aveva tutta l'aria che anche solo un bicchiere di vino costasse quanto tutta la mia vecchia casa.
Passammo tra altri tavolini, con persone che al nostro passaggio si giravano a guardarci; non saprei dire se era per il fatto che mi trovassi con un personaggio pubblico o per il mio modo di vestire.
Shannon, nel vedere che stavo rimanendo indietro, mi prese per una mano e mi strattonò, in modo che a passo svelto continuassi a seguirlo.
«Questo tavolo per la coppia può andar bene?» ci chiese il cameriere.
Mi portai una mano di fronte la bocca per non scoppiargli a ridere in faccia, mentre Shan non fece una piega e non sembrò minimamente turbato dalla frase.
«Siamo amici», spiegò.
Il cameriere, Arthur, così si chiamava, lo lessi dal cartellino appeso al petto, si scusò e lui ci accomodammo in un tavolino vicino ad un palco vuoto.
Presi un menù ed incominciai a sfogliarlo. Nel vedere i prezzi mi immobilizzai.
«Mi rifiuto di prendere qualcosa, Shannon», dissi decisa.
«Per quale motivo?»
Abbassai il menù che mi ero portata di fronte al viso.
«Un succo di frutta costa quasi quanto l'ultimo paio di pantaloni che mi sono comprata!» esclamai indignata.
«Ah, ma allora ce l'hai dei pantaloni.»
Feci un respiro profondo; era tutto inutile.
«Va bene, va bene. Hai vinto tu.»
«Vinco sempre io», disse malizioso.
Ed ecco che Mèlanie finì in un brodo di giuggiole, ma riuscii a riprendermi bene.
«Lo so che mi hai già risposto prima, ma tu avrai tante amiche giusto?»
Lui annuì, non capendo però dove volessi andare a parare.
«Bhè, allora perché proprio io? In fondo ci conosciamo pochissimo.»
Lui mi guardò dritto negli occhi e io rimasi quasi incantata nel guardare i suoi. Aveva una forma medio-orientale quasi e quel giorno erano di un marrone chiaro tendente al verde scuro.
Si avvicinò cautamente a me e mi prese una mano, prima di sussurrarmi: «Stai nascondendo qualcosa, me lo sento, e io devo scoprirlo.»
Mi si bloccò il respiro e sentii le guance tingersi di rosso, diventando un peperone.
Vedendo la mia reazione lui scoppiò a ridere, ritornando seduto comodamente sulla sedia.
«Tranquilla, stavo scherzando.»
Feci un lungo sospiro di sollievo, ma lui ora prese a squadrarmi. Stava usando lo stesso sguardo che aveva usato diverse volte in studio insieme a suo fratello. Mi stava studiando.
«Perché hai veramente qualcosa da nascondere?»
«E chi non ne ha?» risposi ambiguamente, cercando di far ritornare il cuore al suo battito originario.
Lui rimase a fissarmi e io mi sentii sempre più in imbarazzo; fortunatamente in mio aiuto arrivò il cameriere per le ordinazioni.



Oddio, scusatemi per il ritardo assurdo çç io ci sono sempre eh! non vi lascio, anche se aggiorno dopo mesi interi io sono sempre qui e voglio prima di tutto ringraziarvi per le recensioni e le belle parole che mi scrivete :)
Comunque che posso raccontarvi di nuovo? Che la mia scuola fa schifo, ci stanno facendo versare sangue, il quarto anno è il più duro di tutti, voglio la maturità in modo che me ne possa andare! (si capisce la mia infinita disperazione?) Poi in questi mesi sono successe molte cose, ma è inutile che vi sto qui a dire ahah vi annoio e basta u.u passiamo alla storia: sono usciti insieme *-* che cuccioli! E a voi? E' piaciuto? Che ne pensate di questa uscita? Spero di non deludervi!!
a presto xx
ps. se avete domande, dubbi o qualsiasi altra cosa non fatevi problemi a contattarmi anche privatamente con un messaggio di posta :-)
vi adoro **
*a suo tempo, quando scrissi la bozza avevo messo questa canzone, e lo so che è vecchiotta, ma non me la sono sentita di cambiarla e poi ce lo vedete Shannon che rappa? ahahahahahah xDD
  
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