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Autore: Esquire    21/04/2012    1 recensioni
Una missiva piena di rammarico, inviata con la certezza che non arriverà mai a destinazione, è la vana richiesta di perdono da parte di un uomo che, facendo un bilancio, ha compreso l'errore commesso nei confronti della destinataria....
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mia cara,
pieno di vergogna, ho deciso di scriverti perché...
Già, perché? Forse per illudermi che poi mi sentirò in pace con me stesso oppure per raccontarti di me, sperando invano che la mia sorte possa interessarti ancora, anche se ne dubito altamente.

Da dove posso cominciare? Probabilmente non ti interesserà ma, da quando mancai nei tuoi confronti, sono stato vittima dei miei molteplici errori e della mia stoltezza.
Ora siedo solitario sul trono della mia città natia, essendo succeduto a mio padre che, per una mia imperdonabile dimenticanza, si gettò nel mare affranto dal dolore.
Ho avuto varie, troppe donne che non sposai e, con una di queste, ho generato un erede.
Successivamente tuo fratello, per stringere un patto d'alleanza tra i nostri due paesi, mi diede in sposa tua sorella.
Costei, però, si invaghì follemente di mio figlio – che nel frattempo era cresciuto e divenuto un giovane bello e vigoroso – e, rifiutata da lui, lo accusò di averla insidiata.
Io, accecato dall'ira, invocai contro di lui la vendetta: mentre lui correva con il suo carro sulla spiaggia, il dio dei mari da me invocato scatenò una gigantesca onda che spaventò i cavalli; questi, imbizzarriti, si trascinarono dietro il carro e il sangue del mio sangue.
Solo più tardi compresi che era innocente, quando tua sorella, consumata dal rimorso, si impiccò.
Da allora sono solo e, appena posso, mi imbarco in nuove imprese, forse per colmare il vuoto che ho generato nella mia anima.

Va da sé che l'errore più grave e più dissennato - quello che ha generato tutte le disgrazie che ti ho raccontato finora – sia stato l'averti abbandonata su quell'isola, quando ti stavo portando nella mia patria come mia promessa sposa. Ti lasciai là, mentre tu - ignara di tutto – dormivi un sonno innocente e sereno.
Ti ho tradita, allettato dalle vane illusioni di piacere che, talvolta, la vita sembra dipingere davanti ai nostri occhi.
Ho avuto il coraggio di tradire proprio te, che per amore nei miei confronti sei arrivata al punto di schierarti contro la tua famiglia e che, con il tuo prezioso dono, mi hai permesso di rivedere la luce.
Sono stato uno stolto... Ora il prezioso filo che mi hai donato è andato perso per sempre e, con esso, ho perso anche quello che dava un senso alla mia vita.

Ho persino timore di chiederti perdono, anche se questa è la mia intenzione, perché ho la certezza che non potresti mai perdonarmi.

Non so cosa ne sia di te, quindi affido questa missiva alle onde, sperando che possa giungere fino a te.
Follemente, starò qui ad aspettare una tua risposta che so, mia cara Arianna, non arriverà mai.

Credo che qualsiasi altra parola sia superflua.

Con rammarico,

Teseo.




N.d.A.: Questa one epistolare mi è stata ispirata dalla lettura di alcuni brani di Tabucchi. Tengo a precisare che, per il mito usato come tema principale, ho unito varie tradizioni per rendere valido il pretesto della lettera. Spero vivamente che questo esperimento possa piacervi.
Qualsiasi segnalazione di errori, refusi e incongruenze è ben gradita.
Non mi resta che augurarvi buona lettura.

  
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