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Autore: Sayumi    15/11/2006    1 recensioni
Cari lettori, che dire… sono tornata con una nuova fic! Non ho la più pallida idea di come possa essere, alla fine siete voi che dovete dirmi che ne pensate no? :P Vabbè tralasciando questo passiamo alla presentazione: Arashi è una ragazza Italo-giapponese… normalissima, un solo fidanzato, con il quale è finita pure male… (anche se non vi dico come) e presto avrà a che fare con una sua vecchia conoscenza… Per chi ama le storie romantiche… ma non troppo… Buona lettura!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Arashi in Love*

*Arashi in Love*

Perdonate l’immenso ritardo con cui posto il capitolo, ma tra i miei vari impegni non ho più trovato il tempo per pubblicare i capitoli, in futuro aggiornerò molto in fretta, anche perché c’è una probabile nuova fic che potrei anche decidere di pubblicare….

Se vi và lasciatemi un commento! Altrimenti, grazie comunque a tutti quelli che leggono i miei cap!!

Scusatemi ancora!!!!

Capitolo 7

-Il coraggio di dirti addio -

"Tokyo è la capitale del Giappone, posto nella parte orientale dell'arcipelago. New York, invece, è posto a sua volta nella parte orientale degli Stati Uniti e per raggiungerlo occorrono diverse ore di volo."

Quante sono le ore di volo? Non mi preoccupai nemmeno di chiederle, erano comunque troppe.

Quella sera quando tornai a casa ero troppo distrutta per poter dire qualsiasi cosa. Non risposi nemmeno a mio fratello Shin, quando urlò nel vedermi. Semplicemente tolsi le scarpe, non so in che modo, non vi prestai attenzione. Poi salii. Sentivo le gocce cadere con un ritmo cadenzato dai miei vestiti fradici, mentre salivo le scale, mi infilavo in bagno, estraevo gli asciugamani, prendevo la biancheria pulita e mi ficcavo sotto la doccia.

Solo quando sentii una scia calda lungo la spina dorsale la mia mente parve riprendersi.

Credo che fu quello l'istante in cui mi accorsi che in realtà stavo piangendo da più di due ore. Ovvero da che Kintaro mi aveva abbracciato nel mezzo del cortile dicendomi che si sarebbe trasferito... a New York.

Quando uscii, avvolta dalla vestaglia e in ciabatte, ignorai totalmente i miei fratelli che mi guardavano blaterando parole incomprensibili per me in quel momento.

Caddi sul letto. Mi feci pure male alla testa sbattendo contro lo spigolo dell'armadio, ma a quel dolore scoppiai semplicemente a ridere.

Sentii i miei fratelli dirsi che ero diventata pazza almeno quanto la mamma.

Mi addormentai sul mio letto quando ormai era passata la mezzanotte e solo due ore dopo mi svegliai in preda alla fame.

Scesi silenziosa le scale. Non volevo svegliare nessuno, ma a quanto pareva qualcuno era già sveglio. Una luce proveniente dal frigorifero dichiarava che qualcun'altro aveva fame in quella casa.

Non mi stupii di trovare mia madre alle prese con del riso avanzato e delle verdure rimaste dalla cena.

-Cosa ci fai alzata a quest'ora? Domani hai scuola!- esclamò in un sussurro, preoccupata dal mio arrivo.

-Ho fame...- alzai le spalle e mi avvicinai a lei prendendo quel che lei aveva lasciato.

-Sai cosa mi manca dell'Italia? Il pane! A quest'ora sarebbe perfetto...- sorrise aiutandomi a scaldare la mia porzione.

-In effetti...- le sorrisi e mi sedetti di fronte a lei.

-Allora, cosa è successo?- chiese senza voltarsi verso di me, presa dal cucinare.

-Kintaro si trasferisce...- mormorai trovando la forza di concretizzare quell'orribile pensiero, forse riuscendo a dirlo, sarebbe stato più facile accettarlo. -A New York- completai in un sospiro.

-Capisco... so come ti puoi sentire...- mi sorrise, questa volta guardandomi.

-Ma tu non eri fidanzata quando sei partita dall'Italia!- esclamai come per dire che non poteva essere vero.

-Giusto, ma non era a quello che mi riferivo...- mi porse comprensiva la ciotola davanti e si servi per . -Quando avevo poco più della tua età... il ragazzo di cui ero innamorata da molto tempo si trasferì in Inghilterra...-

Rimasi un po' stupita da quella cosa. Mamma non parlava mai dei suoi vecchi amori.

-E come hai fatto a...- rimasi in sospeso, senza saper continuare.

-A vivere?- completò lei. -Mi sono buttata a capofitto nel lavoro e nello studio, ero arrivata ad essere troppo occupata per pensarci, fino a che non mi si presentò l'occasione di trasferirmi qui, e poi conobbi tuo padre... il resto lo sai- disse mentre mangiava qualche boccone.

-Ma scusa, se potevi trasferirti, perchè non sei andata anche tu in Inghilterra?- la guardai.

-Potevo, ma erano passati quattro anni, lui ormai aveva la sua vita e io dovevo ritrovare la mia...- continuò a prendere dei bocconi con le bacchette.

-Lo senti ancora?- le chiesi quasi istintivamente.

Lei rimase in sospeso per un po', a bocca aperta, poi si volse a vedere la luna fuori dalla finestra che spuntava da uno dei palazzoni di fronte. -Qualche volta...-

Era una sua tipica usanza essere vaga. Forse un po' era anche dovuto alla differenza etnica con la quale era cresciuta... però a volte sapeva essere irritante con quel suo modo di fare ambiguo.

Non osai chiedere oltre. Mangiammo in silenzio quello che restava e poi me ne tornai a letto, mentre lei, disse di voler rimettersi ancora un po' al lavoro.

Il mattino dopo, quando mi svegliai, mi sentii il naso colare e un insolito freddo. Capii immediatamente che avevo la febbre.

Mandai un messaggio a Kintaro, dicendo che quel giorno sarei rimasta a casa... in tutta risposta anche lui disse di avere la febbre.

Sorrisi triste a quella notizia.

Mamma mi riempì di thè caldo, brodo e riso a vapore, chiudendomi in camera, sostenendo che non potevamo ammalarci tutti quanti.

Per lo meno potevo passare le ore a ripassare e a chattare un po' su internet.

Mi stupii di trovare qualcuno a quell'ora, non appena aprii la schermata della chat subito mi squillò la finestra in basso.

"Ciao.." era Alexis, il figlio della sorellona di mamma. "Come mai a casa? Non dovresti essere a scuola in questo momento?" mi scrisse.

"Sono a casa con il raffreddore, piuttosto non dovresti essere a nanna tu?" chiesi. In Italia c'erano quasi 12 ore di differenza.

"Non ho molto sonno ora..." rispose lui.

"Come mai?" scrissi curiosa.

"Problemi di cuore! ehehehe XD" fu la sua replica.

"Ti capisco -_- " commentai.

"Ma non stavi con quel Kintaro?" chiese lui.

"Si ma si deve trasferire all'estero!" dissi triste.

"Caspita mi dispiace un mondo!"

"Tu invece?" chiesi.

"Giulia dice che penso solo allo studio, e che vuole più attenzioni, ma penso sia una scusa... da tempo le cose non vanno..." rispose.

"Ho capito, mi spiace..."

"Non importa... piuttosto ora è meglio che vada, mia madre poi s'arrabbia... guarisci presto!"

La finestra divenne vuota. Era andato.

Era consolante... in un certo senso, sapere di non essere la sola a soffrire... eppure faceva così male...

Mi accovacciai nelle coperte. Continuavo ad immaginare la mia vita senza di lui e vedevo solo il vuoto... ero un'illusa? Forse. Ma le lacrime non smettevano comunque di scendere, anche quando non piangevo. Per quanto non fosse niente di speciale mi sentivo come se il petto fosse un enorme buco nero che risucchiava lentamente la mia anima, lasciando solamente un arido deserto alle sue spalle.

Anche quella mattina trascorse normale, entro sera la febbre calò e il giorno seguente ripresi la scuola.

Parlai spesso con Kintaro da quel giorno, ma senza toccare l'argomento del suo trasferimento. In un certo senso avevamo deciso, tramite un tacito accordo, che ci saremmo lasciati.

Così arrivarono anche gli esami.

Il giorno delle graduatorie ero con lui. Guardai il tabellone, ma non riuscii a provare gioia, nonostante fossimo giunti a parimerito al primo posto, premiati come migliori alunni dell'anno scolastico.

La primavera e il caldo erano decisamente arrivati, eppure lo scorrere del tempo non era più tanto significativo.

Trascorse anche la cerimonia dei diplomi, ostentai davanti a tutti un sorriso quasi radioso, dico quasi perchè in realtà era tutto finto. Sapevo benissimo che dopo la cerimonia avrei dovuto accompagnarlo all'aereoporto. Ringraziai Kaji e Sachiko d'essersi offerti d'accompagnarmi. "Altrimenti poi quella si fa stirare, se non la controlliamo" così si era giustificata la Ueda.

All'aereoporto c'era una confusione tale che capii ben poco di quello che accadde. Ricordo bene le ampie vetrate, sormontate da pilastri di ferro che si intrecciavano sul soffitto.

Mi chiesi se l'aereoporto sembrasse così freddo sempre oppure era solo a me che sembrava tale.

Tenevo nella mano Kintaro, senza dire nulla, mentre i nostri due compagni stavano dietro in silenzio. Mi ero ripromessa di non piangere e di salutarlo con il sorriso, per cui cercavo di parlare del più e del meno, ricordandogli di darmi l'indirizzo internet, almeno l'avrei potuto sentire per corrispondenza.

Quando i suoi genitori lo chiamarono per passare il metal detector fu il momento di separarsi. Lo guardai semplicemente e gli sorrisi. Lui tentò di fare altrettanto e mi sfiorò la guancia con le labbra.

Osservai le sue spalle mentre si allontanava. Attraversò la barriera e lo vidi voltarsi. Mi sforzai di sorridere ancora.

Poi lo vidi avviarsi all'aereo.

Poco dopo Kaji e Sachiko mi trascinarono fuori dall'edificio e mi riaccompagnarono alla stazione.

-Se vuoi posso accompagnarti fino a casa...?- si offrì lui.

Sachiko pareva essere sull'orlo di una crisi di nervi e aveva le lacrime agli occhi. Pensai che forse era un po' troppo sentimentale... non piangevo nemmeno io.

-No lascia stare...- gli sorrisi. -Ho bisogno di stare un po' sola...- e mi avviai da sola verso il mio treno.

Non versai lacrime.

Stavo semplicemente seduta, in silenzio, mi infilai le cuffie dell'mp3 nelle orecchie, lasciando andare una canzone italiana che parlava di un addio forzato, ma era come se non la sentissi. Guardavo fuori mentre il treno sfrecciava.

Vicino a me era pieno di persone stanche dopo la giornata lavorativa, alcuni dormivano. Sorrisi.

Poi arrivò la fermata. Le porte automatiche si chiusero, mentre abbandonai quel treno alle mie spalle, consapevole che Lui non l'avrebbe più potuto prendere per andare a scuola...

  
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