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Autore: Alkibiades    22/04/2012    3 recensioni
Scazzo non troppo allegro.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Solo silenzio.
Desiderio, obbligo; slancio in avanti, senza appoggio, tallone, punta, appoggio.
Cambio.
Obbligo; slancio in avanti, già con l'appoggio, tallone, punta. Stop.
Ripetizione pressoché infinita.
Lo chiamano camminare, che di per sé è semplice sì, progressione logica, schema, idea sublime.
Movimento dopo movimento, passo dopo passo, metro dopo metro, strada dopo strada, città dopo città. Vita dopo vita.
Cammini spezzati, sogni infranti, promesse andate, ricordi asfissianti. Pensieri.
Come scrivere.
Mettere parole una dietro l'altra, tutti hanno materia prima. Mancano le conoscenze. Pensare a una qualcosa, qualcosa che leghi, qualcosa che incolli.
Mandare l'imput alla mano, al polso, via.
Lettera dopo lettera, parola dopo parola, frase dopo frase, eccetera eccetera.
Stancante.
Ma le parole scappano, escono, fuggono.
Dalla mente, al foglio, di nuovo alla mente di qualcun'altro, che legge. 
A distanza di tempo, emozione, passi, lettere, significati, ci sono parole che svaniscono e se ne vano per sempre - verba volant - ma altre, altre, altre rimangono, solo per un po' - scripta manent - solo per il desiderio, per il voler accettare di essere bersagliati da lettere che formano parole, parole che creano frasi, frasi che inventato pagine e via dicendo.

Ma comunque, alla fine, sia scrivere, sia camminare, non sono altro che desideri.

Uno spostarsi in dimensioni diverse, un annoiato modo di stare al mondo senza cambiarlo, pieni di ciò che ci circonda.

Stava lì, strada piccola, immersa nel verde. Riflessi dorati sull'acqua, pescatori che non pescavano altro che sogni - pesci scappati? - in dimensioni inutili.
Foglie piccole, venature esili, verde timido di una primavera solo annunciata; andata.
Nuvole leggere, cielo assente, sole inutilmente disperso nell'immensità dello spazio.
Vetro tra sé e il mondo, un cercarsi noioso, tedioso, tra i mille volti che solo una finestra sa creare.
Cercare di capire se si guarda il mondo, o la propria faccia assorta nel guardarlo.
Cercare di capire se si guarda la propria faccia assorta nel guardarlo, o solamente rendersi conto d'aver perso la propria innocenza nel riceverlo, quel mondo, - ma non vederlo -, riceverlo, dentro, senza aspettarsi nient'altro che la bellezza.
Nient'altro che desideri.
Col tempo il sole si abbassa, l'acqua cristallina si scurisce, i riflessi diventano più caldi, le foglie più tristi, i passanti più distratti; profumo di erba nell'aria.
dev'essere quello.
Poi mica sei solo. Otto, le finestre.
Due, le porte.
Uno, il lampadario.
Tre, i tavoli.
Quattro, le sedie.
È un immaginare stanco.
Contro voglia.
Chiude gli occhi, assomigliano al mondo di fuori: mai capito, verdi, marroni, non si sa.
Anche lì, desiderio, n'è che ci capisci, sogni, applichi, inganni la realtà e ti costruisci un mondo, una tua storia, un qualcosa di assolutamente esatto, un qualcosa che assolutamente non esiste.
Lì per lì non ci dai molto peso, non avrebbe senso.
I suoi occhi si chiudono, il collo si allunga, il viso si inclina.
A. Cosa. Sta. Pensando.
Punto. Dopo. Punto.
Scandendo ogni parola, lasciandola rigirare nella bocca, sbattere tra i neuroni rimasti.
A cosa sta pensando.
Tieni gl'occhi aperti, si sa mai, vuoi capire nel caso li aprisse, che prova, che dice, l'inutilità dei punti di vista.
Desiderio.
Riflessi nei suoi occhi, anime che scappano, anime che piangono, anime che amen.
Pregano.
Innocenza, e cala la sera, piano, senza fare rumore.
Alcuni, pochi, entrano nella vita della gente, piano, senza far rumore, ne escono poi urlando, esplodendo.
Altri, piano, entrano nella vita delle persone, poche, con passi felpati - desiderio -, ne escono poi in silenzio, testa china.
I riflessi nei suoi occhi, lo chiamano amore.

Luna alta, piena, acqua argentata, amplificati i gorgheggi, suoni immondi, frusciare di fronde, scheletriche, bianche, sogni.
Lampioni alti, esili, pescatori - pensatori? - che dormono, persone che passeggiano.
Il tempo scorre, la luna resta bianca, i suoi occhi restano chiusi.
Silenzio e d'un tratto rumore.
Luna alta, piena, acqua striata di rosso carminio - sangue -, amplificate le urla - madri, sorelle, nipoti, figlie -, crepitii artificiali - spari -, frusciare di divise - arrivano -, incalzanti - scheletrici -, bianchi - fantasmi portatori di morte -, sogni - desideri.
Si muovono a passi lenti.
Desiderio.
Qualcuno scrive di loro.
Altro desiderio.
Passo dopo parola. Parola dopo passo.

I suoi occhi restano chiusi.

Luce che se ne va.

Otto, erano le finestre.

Due, le porte.
Uno, il lampadario.
Tre, i tavoli.
Quattro, le sedie.

Otto sono gli occhi vuoti della casa, due le bocche spalancate - terrore - della stanza, uno il foro dei sogni infranti, tre i desideri infranti, quattro i posti vuoti.

Due gli occhi chiusi, due, solo due.
Due che lo resteranno per sempre - sangue -, due che lo saranno presto.

A questo serve scrivere.
Ricordare, desiderare, sognare.
Camminare.
Rimanere soli parlando agli altri.

... due che lo saranno presto, quando sarà tutto finito, quando 
le mie mani
finiranno
di scrivere
e la mia testa
di pensare.

Buio.




  
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