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Autore: Lampih_SJ    22/04/2012    3 recensioni
Finalmente Sherlock, dopo aver finto di morire, è tornato da John. I due amici saranno impegnati in un omicidio allo Stonehenge e in una... visita dall'Inferno, grazie alle quali impareranno che l'amore e l'odio forse non sono per sempre, ma durano una vita. Ma, aspettate un attimo... Ho detto "amici"?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty , John Watson , Lestrade , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: Lime, Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autore: Lampih_SJ
Fandom: Sherlock BBC
Titolo: L'ultimo gioco
Personaggi capitolo: John Watson, Sherlock Holmes, Jim Moriarty.
Introduzione storiaFinalmente Sherlock, dopo aver finto di morire, è tornato da John. I due amici saranno impegnati in un omicidio allo Stonehenge e in una... visita dall'Inferno, grazie alle quali impareranno che l'amore e l'odio forse non sono per sempre, ma durano una vita. Ma, aspettate un attimo... Ho detto "amici"?
Introduzione capitolo: John e Sherlock stanno attraversando un periodo piuttosto complicato. Non riescono a capire cosa provano l'uno per l'altro e, soprattutto, hanno paura. E vedendo uno Sherlock pieno di dubbi, che si avvicina e si allontana continuamente, John non sa più che fare. Ma tra tutti questi pensieri, si sono dimenticati di qualcuno che entrerà ancora una volta nella loro vita. Senza bussare, lui non lo fa mai. Qualcuno che riporterà non solo problemi, ma soprattutto ricordi che Sherlock credeva persi per sempre in un lontano passato. Quel qualcuno è, ovviamente, James Moriarty.
Rating generale: Arancione
Rating del capitolo: Arancione/Rosso
Word: 4411
Generi: Introspettivo, Romantico, Malinconico
Avvertimenti: Lime, Missing Moments, Movieverse, Slash, What if?

 
 

CAPITOLO 4
- L'ULTIMO GIOCO -




Non sono mai stato un tipo da passeggiate, perciò quando sentivo il bisogno di “staccare” uscivo con la scusa di andare a prendere qualcosa al supermercato. Una scusa per la Signora Hudson, per Sherlock e per me stesso.
In quelle ultime settimane ne feci tante di passeggiate. Quel pomeriggio stavo tornando al 221B di Baker Street immaginandomi cosa mi avrebbe atteso. Ciò che mi attendeva ogni volta da settimane: Sherlock completamente isolato dal mondo, isolato da me.
Dopo il caso dello Stonehenge era cambiato. Non che prima non avesse i suoi cilici periodi di depressione, ma quella volta sembrava diverso: temevo che il vero problema non fosse il suo lavoro, ma io.
Io, che avevo osato parlargli d’amore, facendo vacillare le sue idee più radicate; io, che forse l’avevo distratto dal lavoro e lo avevo fatto fallire, regalandogli una cosa stupida come l’amore. Infondo, a lui a cosa serviva? A cosa servivo io? Aveva ragione Microft nel dire che Sherlock non avrebbe mai potuto darmi nulla e che lui non poteva capire cosa fosse l’amore? Sherlock era davvero convinto di non conoscere l’amore oppure lo rifiutava? Perché lo faceva?
Spesso rimaneva chiuso nella sua stanza, e io pochissime volte osavo entrare. Una volta aprii la porta per parlargli e lo trovai alla finestra che suonava una triste melodia con il violino. Indossava i soliti aderenti pantaloni neri e la camicia viola. Mi mancava, mi mancava tanto.
Lui si girò di scatto verso di me, puntandomi contro l’arco del violino. Ispirò profondamente.
- Profumo… Non è quello che usi di solito - Poi indicò con l’arco le mie mani - Hai una bruciatura sulla mano destra: ti sei scottato mentre cucinavi, forse per la fretta oppure perché eri sovrappensiero - L’arco arrivò ai capelli - Ti sei sistemato i capelli, vedo - Poi lo passò un paio di volte su e giù - Scarpe eleganti, pantaloni scuri, maglione nero, camicia pulita e profumata… Ti sei vestito bene, oggi. Chi aspetti? Sta arrivando qualcuno? Chi è, una commessa del supermercato? La cassiera del bar infondo alla via? Hai cucinato, si sente dal profumo che viene dalla cucina, e ti sei vestito bene. Aspetti qualcuno, qualcuno di importante. Dimmi che ho ragione, perché io non mi sbaglio mai nelle mie deduzioni. Dimmi che aspetti qualcuno di importante per cena.
Rimasi in silenzio un secondo.
- Veramente… - Risposi - Ero venuto a chiederti se avevi fame.
Sherlock abbassò lentamente l’arco, guardandomi con gli occhi sgranati, in silenzio. Lo vidi stringere i pugni, come per reprimere qualcosa che sentiva dentro, poi si rigirò verso la finestra e riprese a suonare.
Avevo cucinato per lui. Per noi.
Lasciai la tavola così come l’avevo preparata, con i nostri due piatti e tutto il resto, non toccai nulla, neanche il cibo. Uscii di casa e tornai qualche ora più tardi. Quando rientrai, notai che qualcosa era cambiato: il piatto di Sherlock era vuoto; la mia sedia era stata leggermente spostata, su di essa era stata appoggiata una mia giacca, il mio bicchiere era pieno d’acqua e accanto ad esso c’era una tazza di caffè.
Mi sedetti al mio posto. Io non avevo toccato nulla prima di uscire. Con i gomiti sul tavolo, mi portai le mani al viso, come per coprirmi gli occhi e reprimere la voglia che avevo di spalancare la porta della sua stanza e baciarlo. Iniziai a piangere.
 Più tardi mi sedetti sul divano del salotto. Quel divano dove avevamo fatto sesso… oppure dove avevamo fatto l’amore. Il mio dito andò avanti e indietro sulla fodera, e mi scapparono insieme un sorriso e una lacrima. Un sorriso per il passato e una lacrima per il presente.
Mi sembrava quasi di fargli un favore andandomene di casa, uscendo a fare le mie passeggiate.
Ma non potevo abbandonarlo, glielo avevo promesso. E infondo, se me lo aveva fatto promettere, significava che un po’ ci teneva a me.
Facevo fatica anche a dormire la notte. Mi giravo e rigiravo nel letto, desiderandolo lì accanto a me. Desideravo ancora il suo profumo su di me, il suo copro, la sua passione, la sua dolcezza.
Di incubi ne avevo sempre fatti tanti, nella mia vita. Ma in quelle ultime settimane ne feci uno, ricorrente, che mi faceva svegliare di soprassalto nel cuore della notte e non mi faceva più dormire. Sognavo di essere nel mio letto e vedere una figura scura che entrava nella mia stanza. Poi una luce la illuminava e vedevo Sherlock già su di me. Indossava un elegante completo nero, con una camicia bianca e una cravatta scura. Non mi sorrideva, non era dolce e passionale come sempre. Mi spogliava con fretta e violenza, mi legava stretto le mani alla spalliera del letto e iniziava a succhiarmi il pene. Io gridavo a pieni polmoni, ma non sentivo la mia voce, era come se fossi muto e lui non riuscisse a sentirmi. Dopo qualche minuto, lui alzava la testa, si puliva la bocca e mi sputava in faccia, sussurrandomi:
- Tu non sei degno di Sherlock…
Poi si toglieva una maschera, rivelandosi per chi era davvero: Jim Moriarty, che mi sorrideva beffardo e quasi con compassione.
Un giorno, tornando da casa, trovai Sherlock fuori dalla sua stanza. Era steso sul divano, immobile, con gli occhi chiusi. Stava dormendo, ma avvicinandomi notai le siringhe, l’eroina e i buchi sul braccio sinistro.
Mi misi in ginocchio davanti a lui, studiando il suo viso in ogni dettaglio, guardando il movimento leggero e ritmico del suo petto. Ad un certo punto, posai una mano tra i suoi capelli, delineando poi il contorno del suo viso, fino ad arrivare alle labbra.
In quel momento, l’espressione assonnata di Sherlock si trasformò come se stesse facendo un incubo e la sua testa iniziò a muoversi un po’ a destra e un po’ a sinistra. Io spostai la mia mano e rimasi ad ascoltare ciò che sussurrava:
- Signora Hudson… Me lo dica… me lo dica, mi raccomando… me lo dica quando arriva John. Lo sto aspettando. Dov’è John, Signora Hudson? Non mi ha abbandonato, vero? Sta tornando, vero?
Improvvisamente, iniziò a sussurrare qualcosa, come se parlasse con qualcuno in uno strano incubo. Aveva il viso spaventato e continuava a girare la testa. Io ero sempre lì, vicino a lui.
Ad un certo punto si svegliò di soprassalto e si mise seduto, gridando:
- John!
Io gli risposi istintivamente:
- Sono qui, Sherlock. Non me ne vado.
Sherlock si girò velocemente verso di me. Mi guardò dritto negli occhi, con una faccia stupita come se prima mi avesse visto morire e ora resuscitare. Sembrava volesse dire qualcosa, ma la sua bocca semiaperta tremava senza riuscire a proferire parola.
Poi mi abbracciò, quasi per assicurarsi che fossi reale e non un suo sogno. Mi abbracciò forte, stringendomi come non aveva mai fatto. Io ricambiai, godendomi tutto il suo profumo.
Poi si staccò da me e mi sussurrò:
- È così difficile, John.
- Che cosa?
- Non lo so cos’è… So soltanto che è difficile.
Poi sembrò pensarci un attimo.
- Tu, John… Tu sei difficile.
- Oh no, caro mio, se qui c’è uno difficile, quello sei tu!
Sherlock era ancora visibilmente sotto l’effetto dell’eroina. Non avevo idea di quanta ne avesse presa, ma sembrava tra le nuvole. Mi sfiorò la guancia con la mano e poi si accasciò ancora sul divano, chiudendo gli occhi. Io, forse un po’ deluso, mi alzai e mi incamminai verso la mia stanza da letto.
- Beh, io vado a dormire… - Gli dissi.
- John! - Gridò improvvisamente Sherlock - John, dove sei? Non ti vedo più!
Io mi girai e tornai al divano.
- Sono qua, Sherlock. Stavo andando a letto.
- Ho paura, John.
- Paura di cosa? - Gli chiesi. Sembrava un bambino che guardava nel vuoto.
- Ho paura del buio.
- Ma non c’è buio: c’è la lampada accesa. Resta qui, tranquillo. Non devi aver paura. Io vado a letto.
- No, John! Rimani qui… - Mi disse, afferrandomi il polso - Quando te ne vai vedo tutto buio… Rimani qui, per favore. Me lo prometti che rimani qui?
Non m’importava che fosse l’effetto dell’eroina o meno, mi stava dicendo ciò che volevo sentirmi dire, e questo mi bastava.
- Sì, Sherlock, te lo prometto. Non me ne vado.
Lui mi lasciò il polso e mi fece posto. Io mi sdraiai accanto a lui sul divano e ci addormentammo l’uno abbracciato all’altro.
 
Oltre a quelle sporadiche occasioni, in quelle ultime settimane Sherlock si mostrò distaccato e rimase chiuso nella sua stanza, con il suo violino. E io nel mio letto, con i miei incubi.
Un giorno, che sembrava essere uno dei tanti, mi alzai tardi e passai la giornata davanti alla tv, al pc e a fare le mie passeggiate. Si stava facendo sera quando tornai a casa. Mi avvicinai al frigo e notai che c’era un post-it con scritto:
 

All’angolo infondo alla via, appena puoi.
Segui il sorriso giallo.
SH

 
Per quanto mi paresse strano e confuso, quello mi sembrava quasi un appuntamento.
Decisi di uscire subito. Percorsi Baker Street a passo svelto, finché non giunsi infondo alla via e notai una faccia sorridente dipinta sul muro con della vernice gialla. Mi ricordai dell’indicazione sul post-it ed entrai in quell’angolo della via, uno spazio tra due palazzi.
Mi guardai intorno, ma era piuttosto buio e non vedevo nessuno.
All’improvviso, qualcuno mi colpì alla testa e caddi a terra.
 
Non so quanto tempo passò, ma mi risvegliai lentamente, aprendo gli occhi e guardandomi intorno.
Ero seduto su una sedia di legno, le mie mani erano legate strette ai braccioli e i miei piedi uno vicino all’altro. Non riuscivo a muovermi. Ero in una grande stanza bianca, illuminata solo da una lampada che pendeva sopra di me e da delle finestre semicoperte da persiane alle mie spalle. Davanti a me c’era Sherlock, seduto e legato allo stesso modo su un’altra sedia. Erano entrambe fisate al pavimento con dei chiodi. Guardavo Sherlock sorpreso e impaurito, cercando da lui una risposta a ciò che stava accadendo.
- Sherlock… Ma che succede? Dove siamo?
- Non ne ho idea - Mi rispose lui mentre si riprendeva ancora dalla botta che forse avevano dato anche a lui alla testa.
- Ma ho trovato un tuo biglietto a casa che diceva di venire qui…
- Io ne ho trovato uno uguale a nome tuo.
Nessuno di noi due riusciva a capire cosa stesse succedendo.
All’improvviso udimmo una voce familiare che si avvicinava canticchiando:
- C’era una volta un re seduto sul sofà che diceva alla sua serva: “Raccontami una storia”, e la serva incominciò: “C’era una volta un re seduto sul sofà che diceva alla sua serva: “Raccontami una storia”, e la serva incominciò...”
La voce si interruppe quando l’uomo che parlava arrivò vicino a noi, illuminato dalla luce della lampada.
Jim Moriarty indossava il suo solito Westwood nero con la camicia bianca e la cravatta e ci sorrideva beffardo come una belva sorride alle sue prede.
Nonostante avessimo ricevuto una sua chiamata qualche settimana prima, Sherlock ed io eravamo entrambi sorpresi di rivederlo. Di rivederlo vivo.
- Oh, quanto mi diverte quella stupida canzoncina… - Disse ridendo - Ogni volta che la canto mi sembra di vederlo, il re, annoiato, sul suo trono, che parla con la serva… - Poi si avvicinò a Sherlock e iniziò ad accarezzargli i capelli e il viso - Sapessi quanto mi sono annoiato, Sherlock… Ora il Re ha voglia di ascoltare una storia, di assistere ad uno spettacolo…
Sherlock cercava di spostare la testa, ma Moriarty lo prendeva per i capelli e continuava ad accarezzarlo. Sherlock guardava Moriarty dalla testa ai piedi , dando l’idea di essere incredulo e pieno di dubbi.
- Io ti ho visto morire… - Disse a Moriarty con gli occhi sgranati nel vuoto, come per ricordare ciò che stava raccontando - Ti sei sparato in bocca… Come hai fatto a sopravvivere?
Moriarty prese una scatola da sotto la sedia di Sherlock, si sedette sulle gambe di lui e gli mise un braccio intorno al collo, rispondendogli:
- Quando ero piccolo chiesi a mia madre come avesse fatto Dio a creare l’Universo, e lei mi rispose: “Abbi fede”. Abbi fede, Sherlock. Questo è il mio Universo, e io sono Dio. Questo è il mio Regno, e io sono il Re.
Moriarty aprì la scatola che aveva in mano e tirò fuori una corona d’oro tempestata di pietre preziose. Se la mise in testa e buttò lontano la scatola.
La sua mano destra accarezzò il collo di Sherlock, fino ad arrivare alla sua camicia nera. Iniziò a sbottonarla piano piano, bottone per bottone.
Sherlock cercava di fermarlo, ma non riusciva a muoversi.
Moriarty gli aprì tutta la camicia, esponendo il petto di Sherlock e iniziando a toccarlo, fino ad arrivare a sbottonargli i pantaloni e mettere la mano nelle mutande.
Sherlock continuava a dimenarsi ma, poco alla volta, sembrava stanco e rassegnato.
Io mi sentivo inutile, assistendo passivamente e senza essere in grado di aiutarlo. Anche le mie mani si torcevano e si dimenavano nelle strette delle corde.
Moriarty iniziò a baciare Sherlock con energia, con violenza. Gli dava lunghi baci soffocanti, continuando a tenere una mano dietro al collo e l’altra nelle mutande di lui.
Ad un certo punto, Moriarty si fermò. Staccò lentamente entrambe le mani e, piano piano, si alzò.
- Che c’è? Non ti piace? - Chiese a Sherlock - Cosa ti fa più male: che io lo faccia a te mentre lui ci guarda… oppure il guardare mentre io lo faccio a lui.
Capivo che per “lui” intendeva me da come si girava per guardarmi.
Si avvicinò lentamente a me, mente Sherlock ed io cercavamo di liberarci.
Si fermò davanti a me e mi guardò con disprezzo. Eppure quello strano, maledetto, falso sorriso rimaneva.
- Tu non sei degno di lui… - Mi sussurrò.
Si mise in ginocchio e appoggiò il suo petto alle mie gambe. Mi slacciò i pantaloni e me li calò insieme alle mutande. Io sentii in quel momento tutti i miei muscoli pietrificarsi. Ero immobile, non reagivo più, non lottavo più. Era come se fossi una piccola preda che fingeva di essere morta sperando che la belva non la mangiasse. Ma evidentemente alla mia belva andavo bene anche morto.
Iniziò a calare la testa e a succhiarmi il pene.
E Sherlock era sempre lì, davanti a me, davanti a quella scena. Io cercavo di tenere lo sguardo in alto per non incrociare i suoi occhi, ma li sentivo addosso a me, e non sapevo che fare. Avevo la sensazione che non mi avrebbe mai più guardato, mai più toccato da quel momento.
Ma io, piccola preda, non volevo più fingere di essere morto. I miei piedi erano legati l’uno all’altro, ma riuscivo a muovere un po’ le gambe, perciò buttai con forza le mie ginocchia dritte nello stomaco della mia belva.
Moriarty si scansò da me con un’espressione di sorpresa. Poi sorrise tra sé, si pulì la bocca con due dita, mi risistemò i pantaloni e si rialzò in piedi. Si toccò lo stomaco, ancora dolorante per la mia ginocchiata. Poi mi sferrò uno schiaffo.
- Lascialo stare! - Gridò Sherlock - Perché fai tutto questo?
- Perché tu sei mio!!! - Urlò Moriarty a pieni polmoni, rivolgendosi a Sherlock - Mi avevi promesso che sarei stato l’unico!
Il viso di Sherlock venne inondato da un’espressione di stupore, i suoi occhi spalancati su Moriarty. La sua bocca tremava: sembrava volesse dire qualcosa ma che la sua mente si rifiutasse.
- Mi hai abbandonato… - Gli disse Moriarty - Mi hai abbandonato tra le fiamme dell’inferno.
Sherlock iniziò a tremare e il suo viso si sbiancò.
Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, ma sembrava che sia Sherlock che Moriarty si capissero benissimo.
- Skull… ?
Sherlock sussurrò quella parola con voce tremante, ma non aveva paura. Sembrava si stesse perdendo nei suoi più vecchi e più bei ricordi.
- L’ultima volta che sono venuto a trovarti ho visto che avevi ancora il mio teschio - Gli disse Moriarty, con più tranquillità.
- … Ma non puoi essere davvero tu… - Sussurrò Sherlock.
- E invece sì, idiota! - Gridò Moriarty - Perché non dovrei? Perché ti sei sempre convinto che fossi morto?
- Skull… - Continuava a sussurrare Sherlock, guardando nel vuoto, perso nei suoi ricordi. Pronunciava quella parola come se gli ricordasse una cosa bellissima. Ascoltava il suono che emetteva così come un artista ascolta dopo anni il suo primo componimento, quello a cui è più affezionato.
Ma io continuavo a non capire.
- Qualcuno ha intenzione di spiegarmi cosa succede? Di che state parlando?
- Oh, certo, non gliel’hai raccontato… - Disse Moriarty, rivolgendosi a Sherlock - Forza, fallo adesso: raccontagli tutto. E, mi raccomando, non risparmiarti con le smancerie.
Sherlock sembrava ancora sotto shock, ma cercò di riprendersi e, dopo un profondo respiro, iniziò:
- È accaduto tempo fa… Io ero molto giovane, avevo 18 anni. Un giorno, nella mia scuola superiore, conobbi un ragazzo. Era uno fra tanti, eppure qualcosa di lui mi colpì. Non era particolarmente bello, ma era molto intelligente e aveva un carisma che mi lasciava sempre senza fiato. Piano piano ci conoscemmo meglio e, con il passare del tempo, capimmo di amarci. Divenimmo inseparabili, passavamo giornate intere assieme. Senza che nemmeno ce ne accorgemmo, passavano gli anni, e noi restavamo sempre insieme. Non raccontammo mai alle nostre famiglie della nostra relazione e speravamo che nessuno dei nostri amici se ne accorgesse, ma tutta quella segretezza ci rendeva ancora più uniti. Era alto e molto magro, tanto che iniziai quasi da subito a chiamarlo “Skull”, Teschio.
Sherlock si fermò un momento, come se non riuscisse a continuare. Moriarty lo guardava in silenzio.
- Una sera il palazzo di Skull prese fuoco. Insieme ad altra gente, lì c’erano lui e la sua famiglia. Io ero davanti al palazzo. Guardavo le fiamme, sentivo le urla, ma non mi muovevo di un centimetro. Sapevo che là dentro, in mezzo alle fiamme, c’era il ragazzo che amavo, eppure non riuscivo a buttarmi nel fuoco per salvarlo. Rimasi lì, immobile, per non so quanto tempo, fino all’arrivo dei soccorsi. La strada era piena di persone disperate e incontrollabili. Quando le fiamme si spensero, io mi avvicinai alla casa e iniziai a frugare tra le macerie. Volevo rivedere il suo viso, ma volevo rivederlo bello com’era. Non riuscivo a capacitarmi che potesse essere morto. Ad un certo punto, capii di essere arrivato a ciò che rimaneva del suo appartamento. Nel spostare le macerie, all’improvviso trovai un teschio. Non so perché, ma ero convinto che fosse il suo, ne ero certo, me lo sentivo. Lo so, non ha senso, ma allora ero solo un giovane innamorato che aveva bisogno di appendersi a qualcosa. Avevo capito che non avrei mai più potuto riaverlo con me, quindi mi legai con tutto il cuore a quell’unico ricordo concreto che avevo. Lo portai sempre con me, e da allora non m’innamorai mai più. Non so bene se sia per gli studi che iniziai a fare, per il desiderio di essere ancora legato a Skull o per il trauma che ebbi quella sera. Fatto sta che per me l’amore divenne una cosa completamente inesistente, incomprensibile, inutile.
- Nessuno ha mai ritrovato il mio corpo, Sherlock! - Urlò Moriarty - Nessuno! Tu hai solo trovato un teschio fra i tanti che giacevano lì! Per te sarebbe stato più facile credermi morto, non è vero? Non ti sei degnato di cercarmi, la verità è che ti sei dimenticato di me! Ti sei subito arreso!
Gli occhi di Moriarty erano lucidi e la voce tremante. Sherlock non riusciva ad alzare lo sguardo verso di lui.
Eppure io ancora non riuscivo a credere ad una storia come quella.
- Sono riuscito a salvarmi e ad uscire da solo dalle macerie del palazzo - Raccontò Moriarty una volta tranquillizzatosi - Ma quell’evento mi cambiò radicalmente. Mi sentivo rinato. Parte del mio viso era stato sfigurato dalle fiamme, allora nei mesi successivi feci delle operazioni e la mia fisionomia cambiò. Decisi anche di tingermi i capelli e mettermi delle lenti a contatto. Volevo cambiare, non mi sentivo più Skull. Riuscii a inventarmi una nuova identità: James Moriarty, così mi chiamai. Così mi chiamo ora. Forse avevi ragione tu, Sherlock… Skull è morto sotto quelle macerie, ma una piccola parte di lui sopravvive ancora dentro di me. E mi lacera il cuore con le sue urla di amore e odio verso di te - Moriarty si avvicinò lentamente a lui e gli alzò il viso prendendogli il mento con la mano - Sai, Sherlock… L’amore e l’odio non sono per sempre, no… Ma in realtà resta sempre qualcosa dentro ad ognuno di noi, come se durassero una vita… Forse anche più di una.
Moriarty sorrise. Ma Sherlock continuava ad essere cupo e senza parole.
- L’odio e l’amore sono così simili, così vicini… Certe volte faccio fatica a distinguerli, Sherlock. Certe volte ti amo e altre volte ti odio. Tu mi ami o mi odi, Sherlock?
Sherlock non rispondeva, continuava a tenere il viso puntato a terra. Ma Moriarty glielo alzò con forza per far sì che si guardassero in faccia.
- Guardarmi, Sherlock! - Gli disse - Mi ami o mi odi?
- Io amavo Skull… - Rispose Sherlock con un filo di voce - Ma tu non sei Skull.
Moriarty cambiò improvvisamente voce e ed espressione:
- E tu non sei Sherlock. Non quello che conoscevo io.
Moriarty si girò velocemente verso di me ed estrasse una pistola che non avevo notato prima.
La puntò su di me. La caricò. Il mio cuore iniziò a battere così forte che credevo potessi morire d’infarto prima ancora che lui mi sparasse. Sherlock sgranò gli occhi.
- No! No! - Continuava a gridare - Lui non c’entra! Lascialo stare!
- Hai ragione, Sherlock - Gli rispose Moriarty in tono tranquillo - Lui non c’entra niente tra noi due. Deve sparire.
Io ero immobile. La mia bocca non riusciva a proferire parola. Mi sentivo già morto.
Guardai Sherlock. I nostri occhi s’incrociarono e mi sembrava di sentirlo lì vicino a me, che mi abbracciava e mi portava via da quell’incubo. Ma la verità era che io ero ancora lì, legato a quella sedia, con Jim Moriarty che mi puntava una pistola carica che aspettava solo di essere usata.
- Non lo farai - Gli disse Sherlock - Un giorno mi hai detto che non ti piace sporcarti le mani. Non sarebbe da te.
- Ma ti ho anche detto che cambio idea molto facilmente! - Rispose Moriarty.
I suoi occhi erano scintillanti, pieni di sicurezza. Mi avrebbe sparato, ne ero certo.
Guardai per un’ultima volta Sherlock, e mi cadde una lacrima. Poi chiusi gli occhi, aspettando.
All’improvviso udii il colpo dello sparo, e il mio corpo sussultò dallo spavento.
Riaprii gli occhi e vidi Sherlock che stringeva il braccio in cui Moriarty aveva la pistola. Era riuscito, non so come, a liberarsi dalle corde e deviare lo sparo.
I due caddero a terra e la pistola scivolò via, lontano. Allora Moriarty estrasse un coltello e cercò di colpire Sherlock. Ma questi riuscì ancora una volta ad afferrare il suo braccio. Pima gli tirò un pugno dritto in faccia, poi gli tolse il coltello dalle mani. E lo accoltellò dritto in gola. Il sangue iniziò a zampillare come da una fontana, mentre Moriarty si dimenava, in preda a enormi convulsioni. Allora Sherlock gli sferrò altre pugnalate, finché Moriarty non rimase immobile in una pozza di sangue.
Ma Sherlock non si fermò. Continuò a pugnalare il corpo di Moriarty un’altra volta, e un’altra ancora. Non si fermava, come se avesse paura che potesse risvegliarsi da un momento all’altro.
All’improvviso si scostò dal corpo. C’era sangue ovunque: per terra, su Moriarty, su Sherlock.
Sherlock guardò per un attimo quello scenario con il respiro affannato, poi si girò verso di me, si alzò velocemente in piedi e si avvicinò. Tagliò con il pugnale le corde che mi tenevano alla sedia e, non appena io mi alzai, mi abbracciò fortissimo. Mi teneva la testa vicina al petto e continuava ad ansimare.
Poi mi staccò da sé e mi guardò dritto negli occhi, tenendomi il viso con le mani. Stava per piangere.
- Mi dispiace, mi dispiace - Mi sussurrava.
Io mi girai verso Moriarty. Non avevo mai visto una scena tanto agghiacciante, tanto irreale. Il suo corpo giaceva immobile ai nostri piedi, in una grande pozza di sangue. Sembrava morto. Doveva essere morto.
Poi mi rigirai verso Sherlock, che non distoglieva gli occhi da me.
- Come hai fatto a liberarti? - Gli chiesi.
Sherlock si guardò le mani. Erano sporche di sangue, del suo sangue: erano piene di escoriazioni.
Allora diedi un’occhiata alla sua sedia: le corde erano ancora lì, non erano state tagliate. Era riuscito, in un attimo, a sfilarsi con forza le mani per salvarmi da Moriarty.
- Non potevo certo restare a guardare mente ti sparava - Mi disse sorridendomi.
- Tutto quello che… che tu e lui avete detto… Moriarty, cioè, Skull … La storia d’amore… Insomma, è tutto vero? - Gli chiesi.
Sherlock annuì con un’aria dispiaciuta.
- Non volevo che tu lo sapessi… - Mi rispose - Ma è successo tanto tempo fa, ormai per me non conta più nulla… N-non ha alcuna importanza… Ti prego, dimentica quello che hai sentito. Appena torneremo a casa butterò via quel teschio, te lo prometto. Ormai me n’ero già dimenticato…. E il suo corpo lo seppelliremo, anzi lo bruceremo, così saremo sicuri che non potrà tornare mai più.
- Ehi, tranquillo - Gli dissi - Non devi scusarti… Non c’è bisogno che tu faccia tutto questo per me…
Sherlock sembrava sorpreso e sinceramente dispiaciuto.
- M-ma John… Io ti amo.
In quell’istante mi sentii morire più del momento in cui Moriarty mi puntò addosso la pistola.
- Sherl… - Stavo per parlare, ma lui m’interruppe:
- A me non importa di quello che dice la gente. Io ti… amo, e sono pronto a provarlo, se non mi credi. Qui da soli o davanti a tutto il mondo, non m’impronta.
- Oh, Sherlock… - Gli posai un mano sulla guancia - Che idiota che sei.
Ci stringemmo forte e ci perdemmo in un bacio lungo e passionale, mentre le nostre lacrime ci bagnavano il viso.





NdA:
Prima di tutto, vi ringrazio per essere arrivati a leggere fin qui. Avevo accennato ad un ultimo capitolo da Rating Rosso... Mi spiace, questa volta mi sono persa un po' con i sentimentalismi, ma la prossima volta farò di meglio. Passerà comunque un po' di tempo prima che mi rimetta a scrivere qualcosa.
Quando mi era venuta in mente questa cosa di Skull-Moriarty e del passato di Sherlock mi sembrava una bella idea, ma poi scrivendo non mi ha convinto moltissimo. Spero che i personaggi siano ancora IC pur avendo sconvolto un po' la storia di base.
Non chiedetemi di continuare questa fanfic, non saprei cos'altro scrivere! Come ho detto prima, più avanti mi metterò a scrivere qualcos'altro, ma nulla che sia conseguente a questa storia.
Io scrivo da sempre, ma molto difficilmente faccio leggere qualcosa di mio agli altri, non ho mai messo le mie storie, fanfic o completamente inventate, su internet. Però questo sito, oltre a molte altre cose, mi da l'opportunità di sentire le critiche degli altri su ciò che scrivo, quindi mi piacerebbe avere le vostre impressioni :)
Un bacio

Lampih_SJ
   
 
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