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Autore: Rowena    23/04/2012    4 recensioni
Non aveva capito nulla. Ecco quello che aveva temuto per lei Silente, ciò che la donna aveva creduto di poter affrontare era solo un pallida imitazione dell’umiliazione e del dramma che stava vivendo. Sarebbe stata punita per quello che aveva sostenuto, per le sue idee.
«Sì… La professoressa Burbage insegnava tutto sui Babbani ai figli di maghi e streghe… spiegava che non sono poi tanto diversi da noi…»
Le espressioni degli uomini che la circondavano erano minacciose e piene di odio, uno addirittura sputò per terra. Sarebbe morta, e l’unico che la poteva salvare era Piton. Quando si trovò di nuovo di fronte a lui era ormai alle lacrime. «Severus… ti prego… ti prego…»
L’ultimo respiro di Charity Burbage.
[Questa storia si è classificata seconda al contest "Canzone a sorpresa" su WAR]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Charity Burbage, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di J.K. Rowling che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in "Harry Potter", appartengono solo a me.
Credits: La storia, anche se forse non sembra (non ne sono sicura, per me sì ma spero che si capisca…), s’ispira alla canzone Cadence of her last breath dei Nightwish; la traduzione è tratta dal sito Nightwish Italy. I dialoghi della parte centrale della storia sono tratti paro paro dal primo capitolo dei Doni della Morte, ultime due pagine.
Angoletto dell'Autrice: Come dicevo, non sono sicura di essermi ispirata davvero alla canzone. Nella mia testa sì e spero che i riferimenti si capiscano. La canzone gridava Bellatrix Lestrange, però mi sembrava così scontato… Così mi è venuta in mente l’idea di Charity Burbage, l’idea della pioggia nera dagli occhi di cui si parla nella canzone mi ha fatto venire in mente l’articolo che scrive e che poi è la causa dell’ira di Voldemort, nel modo strano in cui avvengono le associazioni logiche nella mia mente. E come uomo solitario meglio di Piton non ce n’è, diciamolo. In realtà la prima parte è una lunghissima introduzione, me ne rendo conto, non mi uccidete. Mi è servita più… da traccia che altro, spero vada bene perché alla fine dei conti a me piace molto. Buona lettura!




 


Charity Burbage sedeva in maniera composta alla sua scrivania. Era l’unico elemento ordinato nella stanza: il piano di lavoro era coperto da fogli, appunti, cartacce appallottolate e piume dalla punta rovinata. Tutt’intorno i più bizzarri macchinari e oggetti vi avrebbero sorpreso e incuriosito, se siete figli di maghi. Se la vostra famiglia è babbana, invece, avreste riconosciuto molti elementi della vostra vita quotidiana a casa, ma che era impossibile trovare a Hogwarts.
L’insegnante di Babbanologia non riusciva a fare a meno di tutte quelle cose che le erano tanto care, anche se difficilmente sarebbe riuscita a far funzionare un televisore nella scuola di magia, anche con tutta la buona volontà del mondo. Da anni studiava un sistema per creare una bolla di piccole dimensioni schermata dagli effetti dell’incredibile rete di formule e incantesimi che agiva sul castello, ma forse non era abbastanza potente.
Peccato, le sarebbe piaciuto far vedere ai ragazzi che studiavano con lei una puntata di un telefilm, un telegiornale… Avrebbe aiutato molto i suoi studenti non avvezzi ai costumi dei Babbani a comprendere ciò che lei spiegava in classe. Non che i figli di Purosangue fossero tantissimi: la maggior parte degli iscritti al suo corso erano ragazzi della sua stessa condizione che puntavano a un G.U.F.O. semplice, poco impegnativo, e che abituati com’erano in casa non avrebbero affatto avuto bisogno di lei. C’erano poi alcuni Mezzosangue, per usare quell’orrenda parole, che non avevano mai conosciuto il padre Babbano, scappato in molti casi scoprendo la vera natura della moglie, e che volevano capire meglio un mondo a cui in qualche modo sentivano di appartenere, ma di cui non sapevano nulla o quasi.
Quei ragazzi che davvero avrebbero beneficiato delle sue lezioni, quei rampolli delle famiglie più Purosangue e, quasi di conseguenza, più retrograde, si tenevano però ben lontani dalla sua classe. Charity aveva ricevuto più volte lettere anonime in cui la si accusava di plagiare menti giovani e ingenue instillando in loro idee perverse. L’ultima era arrivata solo quella mattina, pensò alzando lo sguardo verso una palla di pergamena che aveva tentato di lanciare nel camino spento, mancando il bersaglio di qualche metro. Da quando era morto Silente, ammise con rabbia, erano aumentate.
 
Sciacalli.
 
Com’era stato per tutti, la scomparsa del Preside l’aveva lasciata in uno stato di sconforto profondo. L’unica roccia che riusciva a continuare a gestire la scuola senza lasciarsi abbattere, sebbene fosse evidente quanto stesse soffrendo per la perdita del suo mentore, era Minerva. Charity l’ammirava molto e allo stesso tempo avrebbe voluto riuscire a starle vicino come meritava, come una collega e un’amica, ma dopo quattro anni ancora non riusciva a considerarla tale, troppo legata ai ricordi di quando era una studentessa e la professoressa McGranitt la faceva tremare in aula. Le dispiaceva non riuscire ad andare oltre quella barriera che si era autoimposta, se non altro in memoria della visita che la donna più anziana aveva fatto a casa sua, quando era solo una bambina, per spiegare ai suoi genitori che lei era una strega e che avrebbe frequentato una scuola diversa. Sentiva di doverle moltissimo.
Lasciò da parte il pensiero della docente e si riconcentrò sul foglio che aveva davanti. Doveva finire l’articolo a tutti i costi, più arrivavano lettere ridicole come quella che aveva accartocciato e più si sentiva motivata ad andare avanti. Qualcuno doveva parlare, doveva dire che le storie di furti di magia da parte dei nati Babbani erano sciocchezze senza alcun fondamento e che il numero sempre crescente di maghi e streghe figli di persone senza poteri era un elemento positivo per la sopravvivenza della loro società. Bastava solo contare: quante erano le famiglie Purosangue? Quante erano già imparentate tra loro?
Charity sospirava: quella gente si credeva così brava e potente, ma non aveva idea dei rischi che correva a procreare figli con i propri cugini primi. Studiare un po’ di genetica babbana avrebbe fatto accapponare loro la pelle, e forse sarebbe stato un bene.
Di per sé, lei non si riteneva una persona polemica: non era tipo da usare le lamentele sul tempo per fare conversazione – chissà poi che sorpresa, in Scozia pioveva sempre e se non pioveva nevicava, o c’era la nebbia – né da inveire contro il destino per i piccoli contrattempi di ogni giorno. Tuttavia, era una donna combattiva, specie quando si trattava di cose a cui teneva. Ricordava bene le lettere di protesta che aveva mandato al professor Silente quando studiava a scuola, offesa dallo storico insegnante di Babbanologia, che non aveva la più pallida idea di quello che insegnava. Non si era arrabbiata solo per la sua storia personale a riguardo, ma perché in casa sua il valore dell’istruzione era sacro.
I suoi genitori, entrambi di famiglia povera, avevano dovuto abbandonare presto la scuola per dare una mano in casa, e per la stessa condizione economica incerta avevano avuto la loro unica figlia abbastanza tardi, quasi a quarant’anni, quand’erano riusciti a comprare una casa tutta loro. Non avendo potuto studiare, avevano inculcato alla figlia il dovere di assicurarsi la miglior vita possibile studiando e raggiungendo una posizione migliore della loro. Questo forse li aveva aiutati ad accettare meglio la natura della figlia: che frequentasse un collegio in Scozia piuttosto che l’istituto pubblico in fondo al quartiere, l’importante era che fosse una buona scuola. Che seguisse Pozioni al posto di chimica, o Storia della Magia, o Incantesimi…
Come avevano detto a Minerva McGranitt, i Burbage erano persone pratiche: se quella roba poteva assicurare alla loro figlia un futuro sicuro, onesto e luminoso, era più che benvenuta in casa loro. La magia di Charity fu presa come un talento innato al pianoforte, o una geniale predisposizione per la matematica, e le preoccupazioni finirono lì.
«Se davvero sei decisa a farlo», aveva detto suo padre, «se vuoi andare a studiare in Scozia, devi promettermi che t’impegnerai al massimo in questa cosa».
L’undicenne Charity aveva annuito con solennità, assumendosi un bell’impegno: fin dal primo anno conseguì il massimo dei voti, grandi lodi, apprezzamenti da tutti gli insegnanti. Solo con Madama Bumb aveva avuto dei problemi: il volo sulla scopa proprio non le interessava, anzi, credeva che fosse uno stereotipo culturale troppo abusato. E poi perché prendere freddo in quel modo, quando esisteva la Polvere Volante, molto più rapida e sicura? Ferma di queste idee alle lezioni in cortile la ragazza non era neanche mai riuscita a far muovere la scopa, sotto lo sguardo che viaggiando su una scopa si sarebbe legata troppo a uno stereotipo culturale sulle streghe, la ragazza aveva fissato il manico che le era stato assegnato con un certo odio, senza sapere cosa aspettarsi.
Disavventure volanti a parte, Charity aveva fatto tutto quanto era in suo potere per eccellere, rendendo fieri i suoi genitori. Dopo il diploma, aveva lavoricchiato per qualche tempo al Ministero, fino a quando nell’estate del ’93 aveva ricevuto una lettera da Silente che, memore delle sue molte proteste, aveva pensato a lei per la cattedra vacante di Babbanologia.
Tre anni scolastici molto pieni, sfibranti ma allo stesso tempo soddisfacenti, pensò la donna succhiando la piuma d’oca che aveva in mano. L’unico suo rimpianto era non essere riuscita a convincere Hermione Granger a rimanere nella sua classe, pensò: con una studentessa del genere in aula, così portata a vivere in entrambi i mondi senza annaspare, sarebbe stato tutto più semplice. Lei sarebbe stata una grandissima strega, alla faccia del suo albero genealogico.
Rilesse l’ultima frase che aveva scribacchiato, indecisa.
 
Sarà dunque sempre più necessario accettare i maghi non nati in famiglie Purosangue, per motivi disparati, ad esempio…
 
«Se andrai avanti di questo passo, non potrò più proteggerti, Charity.»
La professoressa alzò lo sguardo dal foglio e si voltò, cercando Albus Silente alle sue spalle. La sua voce le era suonata chiara, vivida, come se il Preside fosse stato nella stanza con lei.
«Quanto sei suggestionabile, stupida», si disse poi realizzando cos’era accaduto. Era morto, non poteva più riprenderla in quel modo severo ma dolce.
Le aveva rivolto quella frase durante il loro ultimo colloquio, pochi giorni prima che fosse ucciso. L’aveva chiamata per farle sapere che era in pericolo e che presto Hogwarts non sarebbe più stata un posto sicuro.
«Cosa vorrebbe dire, Preside?», aveva replicato lei con sarcasmo, senza capire, senza voler credere a quelle parole. Lei che era troppo giovane per ricordare la prima venuta dell’Oscuro Signore, aveva accettato la storia di Silente e Harry Potter senza porsi dubbi, ma accettare che la sua amata scuola non fosse più invincibile e protettiva come l’aveva sempre considerata era molto più difficile.
Non aveva capito che Silente le stava consigliando di fare più attenzione ai suoi scritti, agli articoli che ogni tanto mandava alla Gazzetta del Profeta, alle minacce che riceveva per lettera e che lei riteneva degli scherzi. Charity l’aveva preso per un vecchio apprensivo, non facendo caso alla mano nera del mago, né alla sua aria stanca e sconfitta.
Neanche una settimana dopo, Albus Silente era morto.
Charity guardò la cornice vuota sulla parete, sperando che il Preside comparisse all’improvviso e le spiegasse quello che aveva lasciato in sospeso tra loro.
Sapeva che sarebbe stato assassinato? Quello era un pensiero che non riusciva a togliersi dalla testa. Sapeva che sarebbe stato uno dei suoi pupilli, Severus Piton, che il mago aveva voluto a scuola e aveva difeso a lungo dalle accuse sulla sua testa, a ucciderlo?
Qualcosa d’incomprensibile sussurrava a Charity che la risposta era affermativa a entrambe le domande. Ma se lo aveva previsto, perché non evitarlo? Non riusciva a capire.
Quel collega ombroso e che la fissava sempre come se fosse indegna di stare lì, alla stessa tavola, era davvero un Mangiamorte? La stampa infuriava su Piton, sul suo passato discutibile, sull’ingenuità di Silente a fidarsi di un simile brutto ceffo… Eppure, chi conosceva il Preside di Hogwarts poteva benissimo comprendere: non era proprio lui l’uomo che concedeva una seconda possibilità a chiunque? Perché non darla anche a un ragazzo che sembrava aver scelto la strada sbagliata e meritava forse il perdono per una decisione imprudente?
Ora, la questione era se pubblicare l’articolo: sarebbe diventata un bersaglio, anche piuttosto facile da colpire, lo sapeva, eppure non poteva tacere. Non poteva tradire se stessa.
Hogwarts non era più un posto sicuro perché Silente non era più lì a proteggerla. Non sarebbe rimasta lì, comunque: non era una combattente, un Auror, ma credeva nel potere delle parole. Se il suo pensiero avrebbe fatto cambiare idea anche a una sola persona, pensava, sarebbe valsa la pena perdere tanto tempo ad arrovellarsi su quel foglio spiegazzato. E se le fosse successo qualcosa… Beh, prima avrebbero dovuto prenderla.
Charity scorse con lo sguardo quella fitta pioggia d’inchiostro che aveva vergato nella notte e si disse soddisfatta di sé: sistemò le ultime virgole, trovò una chiusa decente e, senza rifletterci troppo, arrotolò il foglio e lo legò alla zampa del suo gufo, che aspettava sul davanzale. Il rapace sembrò lanciarle uno sguardo di rimprovero, ma la donna lo sospinse a prendere il volo e lo guardò allontanarsi.
Aveva un’altra lettera da scrivere, per i suoi genitori: l’avrebbe spedita con la posta normale al villaggio più vicino, qualche decina di miglia più a sud, così che non fosse possibile intercettarla. Se c’era una cosa che trovava divertente nella guerra che incombeva, era la stupidità dei malvagi in questione: erano troppo tronfi per imparare qualcosa sugli umani che ritenevano inferiori. Provò a immaginare Bellatrix Lestrange, la folle al servizio dell’Oscuro, a studiare un francobollo e domandarsi inutilmente a cosa servisse, e scioccamente rise, divertita da quell’immagine macabra e comica allo stesso tempo. Dopo la lettera, avrebbe avuto da sistemare i bagagli, poche cose di prima necessità, e poi partire. Dove, Charity ancora non lo sapeva, ma sarebbe stato meglio muoversi. Non aveva il minimo desiderio di provare quanto Hogwarts fosse diventata un luogo poco sicuro.
 
*
 
Si svegliò lentamente, come da un lungo sonno profondo, senza riconoscere il luogo in cui si trovava. Perché galleggiava a mezz’aria, dove si trovava?
Aveva preso una stanza in un villaggio nel Somerset, ma non si trovava lì… E perché mai levitava?
Poi lo vide. Non si era mai trovata davanti all’Oscuro Signore, ma era certa che non potesse essere che lui. Quel volto sfigurato, serpentesco, crudele, quegli occhi rossi: Lord Voldemort la fissava con un’aria troppo divertita. Un enorme rettile, molto più grosso dei pitoni che aveva visto allo zoo, stava sulle sue spalle e la fissava con uno sguardo freddo e, avrebbe detto, famelico. Intorno, un gruppo ben nutrito di Mangiamorte che la fissava ridendo.
L’avevano trovata. Charity Burbage continuava a ruotare a mezz’aria, guardandosi intorno, alla ricerca di un appiglio, una via di fuga, qualcosa… Se Albus Silente aveva accettato l’idea di morire, lei non era pronta. Non poteva accettare che ogni respiro potesse essere l’ultimo.
Tentò di dibattersi, inutilmente, perché mille fili invisibili la trattenevano nella posizione innaturale in cui l’Oscuro Signore l’aveva bloccata.
«Riconosci la nostra ospite, Severus?»
A testa in giù, alla luce del camino, allora, vide l’unica persona che in quella stanza non stava ridendo di lei, né desiderando la sua morte. E, maledicendo per una volta il destino, Charity comprese che si trattava dell’ultimo uomo che avrebbe voluto vedere lì. Severus Piton.
Il suo cervello le disse che era una follia, che se aveva ucciso Silente non si sarebbe fatto scrupoli a guardarla esalare l’ultimo respiro, ma doveva tentare. Sarebbe morta, su questo non c’erano dubbi, ma avrebbe provato tutto pur di salvarsi. Anche implorare Severus Piton, il mago che più odiava al mondo. Lei non era Silente, lei non avrebbe atteso senza fare nulla, anche se ormai era segnata.
«Severus! Aiutami!»
L’uomo la fissò con aria inespressiva, facendo segno che la conosceva un attimo prima che uscisse dal campo visivo di Charity. Gli altri intorno a lei non si facevano problemi a ghignare della sua situazione. Il capo biondo del giovane Malfoy, uno di quei ragazzi che avrebbe tanto desiderato nella sua classe, spiccava nella sala male illuminata.
«E tu, Draco?», continuò l’Oscuro Signore, come a leggere i suoi pensieri. «Ma non avrai seguito le sue lezioni. Per coloro che non lo sanno, questa sera è tra noi Charity Burbagem che fino a poco tempo fa insegnava alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts».
 
«Se andrai avanti di questo passo, non potrò più proteggerti, Charity.»
 
Non aveva capito nulla. Ecco quello che aveva temuto per lei Silente, ciò che la donna aveva creduto di poter affrontare era solo un pallida imitazione dell’umiliazione e del dramma che stava vivendo. Sarebbe stata punita per quello che aveva sostenuto, per le sue idee.
«Sì… La professoressa Burbage insegnava tutto sui Babbani ai figli di maghi e streghe… spiegava che non sono poi tanto diversi da noi…»
Le espressioni degli uomini che la circondavano erano minacciose e piene di odio, uno addirittura sputò per terra. Sarebbe morta, e l’unico che la poteva salvare era Piton. Quando si trovò di nuovo di fronte a lui era ormai alle lacrime. «Severus… ti prego… ti prego…»
«Silenzio», sibilò l’Oscuro Signore e con un incantesimo non verbale le chiuse la bocca, così che anche quell’ultima flebile possibilità le fosse negata. L’odio intorno a lei si fece sempre più palpabile mentre Voldemort esponeva quanto disprezzasse il suo articolo, il suo pensiero. Certo, era tutto il contrario di quello che sosteneva, e sarebbe stata punita per un simile affronto. Il movimento impresso al suo corpo la portò di nuovo a guardare Severus, che ancora una volta sostenne la sua muta, lacrimevole supplica senza muovere un muscolo. Charity non aveva idea se nei suoi occhi avesse visto anche quel lampo di odio e dignità che provava in quel momento. Sarebbe morta, sì, e il suo ultimo respiro sarebbe stato suo. Un grido silenzioso che chiedeva aiuto a un uomo crudele e traditore.
Non sentì l’Anatema sulle labbra dell’Oscuro Signore, un lampo di luce verde l’avvolse… Poi più nulla.
 
*
 
Severus Piton non rimase a vedere lo scempio di quel cadavere. L’impresa che, secondo Bellatrix, aveva rubato al caro Draco ancora gli dava credito per concedersi qualche libertà senza dover affrontare le conseguenze. Il ragazzo avrebbe assistito allo sfregio finale, peggiore della morte, con orrore avrebbe osservato il serpente scivolare verso il corpo della professoressa che aveva spesso denigrato a scuola, sarebbe stato incapace di distogliere lo sguardo mentre Nagini lo inghiottiva tutto intero, un po’ alla volta, ma non lui. Il pensiero di riconoscere i tratti del suo viso attraverso la pelle del rettile lo orripilava senza il bisogno di vederlo per davvero.
Se Severus e Charity non erano mai stati amici, vederla soccombere non era stato comunque facile. Era un elemento del suo vecchio mondo, seppur deprecabile, un’altra persona che guardava a lui cercando del buono e otteneva solo un rifiuto. L’Oscuro prospettava di metterlo al comando di Hogwarts e lui si chiedeva come avrebbe sostenuto lo sguardo di odio e rammarico di Minerva McGranitt. Per non parlare del ritratto dell’uomo che aveva assassinato che lo aspettava nell’ufficio del Preside, pronto a fissarlo e a dispensare consigli su quanto gli restava da fare.
E ora Charity Burbage aveva usato il suo ultimo respiro per implorarlo di salvarla. Silente l’aveva messo in guardia anche da questo. Come poteva sapere tutto, quel vecchio demonio?
Di tutte le raccomandazioni ridicole che gli aveva ripetuto come una madre amorevole che si prepara gioiosamente a morire, Albus aveva preventivato che la strega si sarebbe messa nei guai e che probabilmente si sarebbe trovato di fronte a lei, in una condizione analoga a quella che Severus aveva appena vissuto. Certo, il pasto del serpente non era stato messo in conto, ma nemmeno Silente poteva sapere tutto.
La professoressa Burbage aveva scelto un pessimo momento per fare l’eroina e dichiarare il suo orgoglio di nata Babbana, questo era sicuro. Non era sua amica, non ricordava neanche le occasioni in cui le aveva rivolto la parola ma era sicuro che fossero un numero inferiore a venti, in tre anni, eppure il volto di Charity si sarebbe aggiunto ai troppi volti che già popolavano i suoi incubi. Avrebbe voluto salvarla, risparmiarle la morte, nessuno era così orribile da finire divorato da un serpente, ma c’erano troppe cose in gioco.
Decise di andarsene, senza aspettare che qualcuno corresse a chiedergli che ne pensava di quella donna che era appena spirata nella stanza accanto. Da qualche parte lo aspettava un calice di vino e un rifugio vuoto, quanto di meglio un reietto come lui potesse chiedere.
 
 
 
   
 
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