Correre e correre e correre ancora. Non contava più niente, ormai. Le lacrime scivolavano sul mio viso, impregnandomi i capelli d'acqua amara, i singhiozzi mi toglievano il respiro, e gli occhi socchiusi e rossi a volte mi ingannavano facendomi perdere l'equilibrio.
Correre e correre e correre ancora. Dovevo fuggire da quel dolore, quel ricordo che non mi avrebbe mai abbandonato. Mai. Non vi era via di scampo. Il cuore mi continuava a sbattere nel petto, veloce e più veloce, pompando il sangue nelle mie vene, come se non fosse più fermo, ma come se fosse libero di muoversi a suo piacimento, senza prestare attenzione alla mia testa che pulsava per il troppo sangue e per la respirazione irregolare.
Correre e correre e correre ancora. Ma cosa stavo facendo? Era giusto scappare così? Se si commette un errore bisogna pagarne le conseguenze, senza paura. E io cosa stavo facendo? Dicevo di essere forte, come i personaggi di libri e film che mi ispiravano, a cui volevo somigliare. Somigliavo loro in quel momento? Dicevo di saper affrontare ogni situazione e di saperla risolvere. Era quello il modo di risolvere quel problema? No. Affatto.  Mi fermai. Le lacrime che scorrevano sulle mie guance si fecero più lente e pesanti. In mezzo alla strada, al buio, sola, con un fagotto penzoloni da una mano era più facile pensare. No, stavo sbagliando. La luce di un lampione tremolò per poi spegnersi definitivamente. Mi girai lentamente verso la strada del ritorno. Alzai la testa verso casa, era ora di tornare.