Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: Angelique Bouchard    23/04/2012    10 recensioni
E qualcosa nel mio petto si sciolse, si squagliò, andò in briciole mentre guardavo Bulma e gli altri camminare verso la porta della camera, pronti a scendere per non sapevo cosa. E lui allungò un braccino minuscolo, la mano aperta e le dita che afferravano l’aria tra di noi, come a volerla aspirare per avvicinarci. E neppure mi accorsi della mia mano appoggiata al vetro che premeva su di esso. Un altro attimo e l’avrei buttato giù, mentre il piccolo spariva dietro la porta, con la mano ancora tesa in avanti, verso… me.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

18. L’ecografia
 


 

 

*Bulma*

 


Sembrava impossibile che fosse passato un anno. Sembrava impossibile che così tante cose fossero cambiate in solo dodici mesi. Vegeta neanche mi guardava più in faccia, non sapevo se perché fosse disgustato da me o dal bambino. La mia pancia era ormai cresciuta parecchio ed era impossibile nasconderla, ma neppure ci provavo. Anche se l’uomo che amavo e il padre del bambino non voleva avere nulla a che fare con quell’esserino che portavo in grembo, io già lo adoravo. Era mio figlio, e neanche l’opinione del Re della Terra* avrebbe potuto farmi cambiare idea. Avrei dato la vita per il mio bambino, senza pensarci due volte.
Me ne stavo, dunque, seduta su una sedia pieghevole di plastica bianca dove avevo appoggiato una coperta trapuntata, indossavo una bella vestaglia, non troppo pesante, di seta arancione e tenevo le mani poggiate sul rigonfiamento del mio ventre, non esageratamente ingrossato, ma neanche troppo piccolo.
Non riuscivo a capacitarmi del fatto che esattamente un anno prima fossi stata seduta su quella stessa sedia, non mi capacitavo del fatto che esattamente un anno prima avevo chiesto alle stelle cadenti di farmi trovare l’amore della mia vita per far sì che fossi felice. Mai mi sarei aspettata che il mio desiderio si avverasse, per poi essermi strappato di mano con la forza di un ciclone. Mi sentivo proprio come se improvvisamente un tornado avesse stravolto la mia vita, capovolgendo ogni cosa e portandosi via tutto ciò che per me era vitale, lasciandomi poi in preda alle convulsioni causate da pianti su pianti che non riuscivo a fermare per via della disperazione. E poi, in fin dei conti, ciò che per me era vitale non era poi molto. Era semplicemente Vegeta. Mi sentivo una stupida per aver riposto tutto il mio amore e la mia felicità in mano a un algido Sayan. Eppure, finchè era durato, mi ero sentita la donna più felice del mondo, la più fortunata, la più amata. Ciò che più mi disturbava era che forse lo ero stata davvero: il cambiamento di Vegeta era stato causato dal fatto che aspettassi un bambino. Sarei stata abbracciata a lui, su quella stessa sedia, a guardare le stelle, se quel piccolo mezzo Sayan che portavo in grembo non fosse mai esistito? Forse sì. Ma per quanto potesse farmi male l’idea che Vegeta non mi avvicinava più in alcun modo, quel dolore era niente paragonato a quello che, lo sapevo, avrei provato se non fossi rimasta incinta. Poco importava che il padre non lo volesse. Poco importava che lo insultasse e lo disprezzasse. Io lo avrei amato per tutti e due, forse anche di più, e avrei fatto tutto ciò che in mio potere per evitare che sentisse la mancanza di un padre. Quella notte giurai a me stessa che avrei fatto rimpiangere a Vegeta la sua decisione di abbandonarci.
I miei piani di vendetta, però, furono interrotti da una piccola, velocissima e brillante stella cadente.
Rimasi diversi minuti ad osservare la scia luminosa che si era lasciata dietro, e nella mia mente la rivedevo mentre solcava il cielo indisturbata, causando sospiri e gridolini di gioia in tutto il mondo. Cominciai poi a pensare al mio desiderio.
Cosa avrei potuto chiedere?  L’ultima volta non mi era andata troppo bene. O meglio, all’inizio era stato perfetto, ma poi tutto era andato in mille e più frammenti, così tanti che anche con l’eternità a disposizione sarebbe stato impossibile rimetterli insieme.
Avrei potuto chiedere che Vegeta si accorgesse dell’enorme sbaglio che aveva fatto e che tornasse da me, inginocchio e magari piangente, implorando il mio perdono. Che visione assurda; per far sì che si avverasse un episodio del genere ci sarebbe stato bisogno che un fulmine lo prendesse in pieno e lo stordisse completamente. E forse neppure quello sarebbe bastato.
Avrei potuto chiedere di tornare indietro nel tempo per evitare di stringere alcun tipo di legame con il Sayan, cominciando da quando lo avevo invitato a casa mia. Che pazzia; anche se avessi mai potuto cambiare il passato, mai avrei fatto una scelta simile. Amavo il mio bambino, indipendentemente da ciò che ne pensava Vegeta.
Avrei potuto chiedere d’incontrare un altro uomo che mi amasse e che accettasse sia me che il piccolo, nonostante non fosse figlio suo. Impossibile; ero incondizionatamente innamorata di Vegeta e nessun altro uomo mi avrebbe mai potuto rendere felice. Mi sarei sempre sentita fuori posto e sbagliata.
A conti fatti, avrei potuto chiedere e desiderare milioni di idiozie, che mai e poi mai si sarebbero avverate. Ogni scelta mi sembrava sempre più assurda della prima, tanto che mi ritrovai a sbuffare, sola come una stupida, a prendermela con le stelle. Alla fine, perciò, chiesi l’unica cosa che mi sembrava intelligente chiedere.
«Ti prego – fu solamente un bisbiglio- fa che sia un maschietto» mormorai con gli occhi lucidi e la voce appena tremante, per una volta di felicità.
 
 
 
 


 

A volte ci accorgiamo troppo tardi degli errori che commettiamo
e pur essendone consapevoli
ci convinciamo che sia colpa di qualcun altro e non nostra.

 

 

 
 

*Vegeta*


 

 
Era inutile cercare di allenarmi se nella testa avevo una tormenta che si agitava. Ero uscito dalla camera gravitazionale poco dopo il tramonto, avevo cenato –per fortuna la terrestre madre continuava a lasciarmi i pasti in cucina- e poi mi ero chiuso in camera mia per farmi una doccia.
Ero steso sul mio letto con le braccia piegate sotto la testa, che mi girava terribilmente. Probabilmente era colpa della sfera di energia che quel dannato robot mi aveva lanciato dritta sulla nuca. C’era anche da dire, però, che se non mi fossi distratto l’avrei parata. Ecco qual’era il problema! Ero distratto, perennemente distratto! Mannaggia a me, a quell’insulsa donna e a quel mezzosangue di suo figlio. Ecco scoperto da dove veniva quel vortice che mi scombinava tutti i neuroni.
Era colpa sua. Sua, di lei, sempre e comunque.
Certo, colpa sua. Infatti e lei che ti ha abbandonato, no? Che ingrata, che approfittatrice, che…
Cazzo, ci mancava pure la coscienza. Ma quando mai ne avevo avuta una? Neppure sapevo cosa fosse la coscienza mentre sterminavo decine e decine di pianeta, mentre ammazzavo qualsiasi tipo di essere vivente solo per dimostrare la forza di un Sayan. Come maledizione era possibile che me l’avesse tirata fuori in quel modo? Com’era possibile che stessi così male per lei? Non era altro che un’inutile umana, pure rompiballe. Bella. Dolce. Testarda. Orgogliosa. Coraggiosa. Perfetta.
Mi ero innamorato di lei dopo sei mesi che vivevo in quella casa, come diamine era possibile? Perché, poi? Io avrei dovuto approfittare di quei tre anni per allenarmi e poi allearmi con i Cyborg per far fuori Kaaroth una volte per tutte e invece… invece sapevo benissimo che non ci sarei mai riuscito. E non c’entrava un bel niente il fatto che quel plebeo potesse trasformarsi in Super-Sayan. Ne ero certo solamente perché immaginavo l’espressione disgustata che avrebbe avuto Bulma se l’avessi fatto. Non ero sicuro che l’avrei sopportata.
Una luce illuminò un momento la stanza. Mi voltai appena in tempo per vedere una di quelle che i terrestri chiamavano stelle cadenti. Era passato un anno. Era passato un anno da quella meravigliosa notte eppure sembrava fosse passato un secolo. Un anno prima ero sulla terrazza della Capsule Corporation con la mia donna tra le braccia, a ghignare in direzione di quei detriti che non potevano certamente portami niente di meglio di ciò che avevo giù. In quel momento, invece, ero appoggiato al davanzale della finestra a scrutare attentamente il cielo trapuntato di stelle che ogni tanto venivano giù a velocità supersonica.
Ho bisogno di lei.Fu l’unica pensiero che mi passò per la testa: non era un desiderio, non era una richiesta, non era niente. Era semplicemente ciò che da mesi ormai non facevo che ripetermi.
 

***

 
 
«Bulma! Tesoro, vuoi muoverti?»
La signora Brief era sulla porta di casa da dieci minuti e batteva ritmicamente il piede a terra, chiaramente impaziente. Il marito della donna era affianco a lei, ma indossava il suo solito camice bianco: non era lui a dover uscire.
«Arrivo mamma!» strillò Bulma dal piano dal salotto. Dio solo sapeva a fare cosa poi!
La signora Brief guardò il marito esaspera, stringendo in mano il giubbotto di pelle nera della figlia, quando finalmente la vide arrivare di corsa.
Beh, dire che era arrivata di corsa era del tutto sbagliato: a passo svelto, ecco, era meglio. Era fine ottobre ormai, e la gravidanza procedeva perfettamente. Era arrivata al sesto mese, perciò era ora di scoprire il sesso del piccolo o della piccola!
«Eccomi» disse allegra Bulma, posizionandosi di fronte alla madre che le tendeva la giacca. La donna la fulminò con lo sguardo, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Finalmente la sua Bulma era di nuovo felice, non si curava più del fatto che Vegeta l’avesse bellamente abbandonata con un figlio in grembo.
Le due donne salutarono il padre e si avviarono verso il garage, salirono in macchina e partirono alla volta dell’ospedale, mentre l’uomo urlava loro mille raccomandazioni.
Una figura scura osservava la scena dalla finestrella rotonda della camera gravitazionale.
 
 
 
 


 

Ci sono momenti in cui la felicità raggiunge un livello che si credeva irraggiungibile,
portandoci in un vortice di colori che riconosciamo come casa, come pace.

 


 
 
Il dottor Satou aveva delicatamente cosparso il ventre della giovane donna di una crema fredda, ma Bulma era troppo su di giri per rendersene conto. Si sentiva accaldata, il cuore che batteva a mille; non si sarebbe stupida se fosse andato in fibrillazione da un momento all’altro.
Il ginecologo stava premendo una miriade di bottoni per preparare la macchina, e Bulma non riusciva a preoccuparsi di cosa stesse facendo. Stringeva la mano destra in quella della madre, mentre la sinistra era poggiata a lato del pancione. Un sorriso a trentadue denti le illuminava il viso, i capelli azzurrissimi le arrivavano alle spalle ed erano lisci, con frangetta non troppo lunga a coprirle la fronte, gli occhi blu mare accesi come non lo erano mai stati in vita sua.
Il dottore si voltò sorridente con in mano la rotella che avrebbe dovuto passare sul ventre della ragazza per poter attuare l’ecografia. Quando l’aveva conosciuta l’aveva trovata giù di morale, sciupata e immensamente triste; niente a che vedere con la donna fiera che ora lo fissava impaziente.
Il ginecologo cominciò a passare lentamente la rotella sulla pancia scoperta di Bulma, che intanto stringeva in una morsa d’acciaio la mano di sua madre. Ci vollero pochi minuti, in cui le immagini scure sul proiettore si modificarono più volte, a seconda dei movimenti del dottore. Finchè non si fermò e…
«Congratulazioni –disse con un sorriso smagliante- è un maschio»
Il cuore della giovane donna mancò un battito. Era un maschio. Un maschio, proprio ciò che aveva sempre sognato!
Uscì dall’ospedale saltellando, nonostante le condizioni in cui si trovava, mentre la madre le urlava dietro mille raccomandazioni di ogni tipo. Ma lei in testa aveva un unico pensiero.
E’ maschio.
 
E furono queste le due semplici parole che scrisse con mano tremante su un foglietto bianco che lasciò nella sua stanza.
Non aveva resistito. Quand’era tornata a casa, il suo pensiero che da un’oretta circa era diventato fisso aveva subito una piccola modifica.
E’ maschio. E’ un Principe.
Vegeta si stava ancora allenando nella camera gravitazionale, nonostante fossero le sette di sera, ora di cena, così Bulma era corsa nella sua stanza, al primo piano, e aveva lasciato il piccolo pezzetto di carta sul letto, dov’era sicura l’avrebbe visto.
Non aveva sentito il bisogno di stringere la forte mano di lui durante l’ecografia, ma sentiva che doveva saperlo, che doveva condividere con lui quella notizia. Era giusto che fosse così, che a lui importasse o no.
Bulma era di nuovo in piedi davanti allo specchio, di profilo e con la maglia alzata, Si passava due dita sul ventre ingrossato dal suo bambino, ammirando il suo riflesso con dolcezza, con amore.
Era felice e nessuno, neppure quello scorbutico di Vegeta, poteva intaccare quell’estasi in cui si sentiva da quel pomeriggio.
Per questa ragione, quando vide un’ombra oscurare la luce arancione del tramonto, si voltò decisa e camminò con poche difficoltà verso la finestra e l’aprì di scatto. Per un momento i suoi occhi videro quella stessa scena, ma al passato, quando lui aveva guardato con disgusto il suo ventre. Si obbligò a chiudere tra quattro mura di cemento il finale di quell’ultimo incontro e lo fissò negl’occhi.
Non era arrabbiata, non triste, non era sorpresa. Era felice.
Non era arrabbiata, non triste, non era sorpresa. Era felice. Vegeta l’aveva vista così gioiosa poche volte da quando viveva in quella casa, e dovette ammettere, almeno con se stesso, che l’euforia che traspariva dai suoi occhi la rendeva ancora più bella del solito. Meravigliosa, semplicemente.
La fissò negl’occhi a lungo, sembrò un’eternità, tanto che il sole quasi scomparve dietro l’orizzonte prima che lo sguardo acceso di lei si posasse sulla mano con cui Vegeta si teneva alla cornice della finestra.
Teneva in mano il biglietto che lei aveva lasciato nella camera da letto. E Bulma non potè evitare di sorridere mentre rialzava lo sguardo su di lui. Era una minuscola dimostrazione del fatto che, al contrario di ciò che diceva sempre o che faceva capire, di suo figlio gli importava. Almeno un po’.
E il cuore di Vegeta si sciolse. Da quanto tempo non la vedeva più sorridere così? Specialmente a lui? Quante notti aveva passato in bianco a elemosinare un suo semplice sorriso? Di quelli che fin dai primi tempi gli toglievano il respiro, di quelli che gli faceva quasi rimangiare tutti gli insulti che aveva sputato sui terrestri.

E non si trattenne.

Si sporse verso di lei, che rimase immobile.

Posò una mano dietro al suo collo, mentre lei continuava a sorridere, con gli occhi lucidi di gioia.

Avvicinò i loro volti finchè entrambi respirarono il profumo dell’altro, dopo averlo agognato come l’aria, anche di più.

La fissò ancora negl’occhi.

E la baciò.

L’amava, anche se non l’avrebbe mai ammesso…
 
 
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice…
Chiedo scusa per il super-ritardissimo e per i possibilissimi errori, specialmente nell’ultima parte che non ho riletto… Sono di corsissima, giuro che appena ho tempo rileggo tutto e correggo…
Spero che comunque siate soddisfatti, aspetto le vostre recensioni e chiedo ancora SCUSA!!!
Un bacio a chi commenterà, a chi leggerà senza farsi scoprire e a chi mi segue dall’inizio, senza punirmi per questi mostruosi ritardi,
<3 Lady Johanna <3

   
 
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: Angelique Bouchard