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Autore: Zarryeah    23/04/2012    7 recensioni
Hi everyone!
Allora, siamo due amiche, abbiamo deciso di scrivere questa storia qualche settimana fa. Chiariamo da subito che non è la solita storia che potete trovare ovunque! Abbiamo deciso di fare qualcosa di diverso per una volta tanto. 
La storia parla di due ragazze, due maghe, quasi diciottenni, che frequentano due accademie differenti, considerando che hanno dei poteri ben diversi. Lorxo sono da sempre 'nemiche naturali', visto che le loro scuole sono in conflitto da sempre. Il destino comunque vorrà che diventino amiche e in qualche modo finiranno nei guai, ovviamente. Ci sarà un'antagonista, per l'appunto a metterle nei guai, lanciando loro un incantesimo che.. 
Nella storia troverete Zayn e Harry come personaggi presenti più o meno sempre, mentre Niall, Liam e Lou avranno una parte secondaria.
Andate a leggere, daaai. 
Non possiamo svelarvi tutto e subito. Troverete altri chiarimenti all'interno, alla fine del capitolo.
Speriamo davvero che vi piaccia! 
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alla fine del capitolo troverete una breve introduzione di questa nuova fan fiction. :)
Speriamo che come primo capitolo vi piaccia. 
Baci,
A & B.



Abbiamo creato questo account unicamente per pubblicare questa storia. I nostri account personali sono:
Annalisa
 http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=160844    Sono Malik31011!  Ho scritto 'Non fare lo stronzo e resta qua con me.' ecc.
Betta http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=176758  Sono Mrs_Bets_Styles! Ho scritto You're my Kryptonite, Harry.






Beth.



Flashback.


12 novembre 1810. 


La brezza leggera mi accarezzava il viso scostandomi delicatamente le ciocche di capelli accuratamente arricciati da Viktoria, la mia damigella di compagnia.

Accarezzai le punte umide e leggermente bagnate dell'erba dei giardini del mio palazzo, pur essendo vincolati dalla presa ferrea della terra, tutti i fili d'erba mi facevano pensare alla libertà. 
Erano liberi di poter svolazzare al vento, godere del miglior sole. Avevano in dono una libertà quasi sconfinata, una libertà che io non avevo, mi era stata privata dal momento in cui ero nata, la figlia del re della contea di Villecraft. 
Molti avrebbero desiderato la mia vita, le mie ricchezze e il mio cibo; ma io ne avrei fatto volentieri a meno, li avrei donati a chi ne aveva più bisogno. Io, non li reputavo una necessità primaria, bensí avrei gradito molto di più una vita normale e tranquilla, con delle amiche della tua età e non damigelle di compagnia spesso di età inoltrata e avanzata.
Nella fanciullezza vedevo le figlie delle nostre inservienti giocare libere tra le campagne attorno il nostro palazzo.  Non appena mi avvicinavo, loro si allontanavano da me e giocavano in un altro luogo, sbuffando. Erano state educate, anche a colpi di frusta, a stare lontane da tutto quello che fosse reale o appartenesse ad uno della famiglia Pattinson, la famiglia reale.
-Elizabeth Faith Pattinson- sentii la voce lontana di Viktoria chiamarmi con tono rabbioso, quasi volesse apostrofarmi perchè ero uscita nel giardino.
Mi lasciai cadere a terra, tra le lunghe spighe di grano che superavano di gran lunga il mio capo, ignorandola.
-Elizabeth Faith Pattinson, non gradirei ripetere il vostro nome una volta di più. Suvvia rientrate il tempo è nuvoloso e sento che verrà giù a piovere.- ripetè la voce di Viktoria sempre più vicina. 
Il cielo era coperto, grandi nuvole grigiastre si facevano largo tra i mille colori del tramonto. 
-Elizabeth...- questa volta non fu Viktoria a parlare, una voce maschile, sconosciuta. Scattai a sedermi e mi guardai intorno. Il campo era vuoto, come prima. 
Ero sicura di aver sentito quella voce, un brivido di terrore attraversó la mia schiena. 
-Elizabeth Faith Pattinson- ripetè la voce sussurrando.
Proveniva da dietro l'angolo della stalla del palazzo. 
-Chi siete? Cosa desiderate?- chiesi io con voce tremante dalla paura.
-Adesso smettetela Elizabeth! Tornate dentro o mi costringerete a venire a prendervi.- tuonó la voce di Viktoria, sovrapponendosi alla voce sconosciuta e misteriosa.  
Dovevo vedere chi fosse colui che mi chiamava. Era la mia possibilità di parlare con qualcuno che non fosse appartenuto alla famiglia reale, o conti, regine, principesse. Mi alzai e vidi Viktoria venire verso di me con passo veloce e sicuro.
-Elizabeth- disse lo sconosciuto alzando un po' il tono di voce. 
Guardai Viktoria, avanzava rapidamente, ma io ero sempre stata quella più veloce della famiglia. 
Scostai da sotto i piedi l'ampia gonna azzurra e cominciai a correre. 
-Elizabeth Faith Pattinson- ripetè la voce più vicina. Mi ricordava quella dei miei sogni ricorrenti. Sognavo di correre verso una luce bianca, cosí forte da costringermi a chiudere gli occhi, e sentivo una voce che mi chiamava, proprio quella voce. 
-Signorina Elizabeth. Dove pensate di andare?- mi chiese Viktoria afferrandomi un braccio. 
La voce ripetè il mio nome ancora. Era diventata insistente.
-Lasciatemi Viktoria!- gridai io cercando di svincolarmi dalla sua presa. 
-La cena è pronta e voi dovete ancora cambiarvi d'abito!- disse insistentemente, tirandomi verso il palazzo.  
-Beth..- disse la voce. M'immobilizzai, quel soprannome lo utilizzava solo mio padre, era davvero l'unico a saperlo.
-L'avete sentito?- chiesi a Viktoria cercando lo sguardo del forestiero dietro la stalla lontana. 
-Di cosa parlate?- mi chiese lei alquanto confusa. 
-Una voce, mi ha chiamata.- 
-State impazzendo a forza di leggere tutti quei libri- disse Viktoria riprendendo a tirarmi. 
Riuscii a scappare dalla forte presa di Viktoria, cosí salda da provocarmi strani segni rossi sul braccio. Ripresi a correre. Arrivai davanti la stalla, un cavallo nitrí. 
-Chi siete?- chiesi sporgendo il capo all'interno della rimessa.
C'era un ragazzo, alto e snello. Un cappello copriva gran parte del suo capo biondo. Alzò il volto e due occhi azzurri come il cielo mi guardarono.
-È un piacere conoscerla. Sono Sir Niall James Horan.- disse il forestiero porgendomi la mano in attesa che poggiassi la mia per farla baciare. 
-Ho affrontato un lungo viaggio pieno di intemperie per trovarla, per trovare qualcuno come voi- continuò il forestiero.
-Di cosa parlate? Chi siete? Un pretendente di mia sorella Katherine?- dissi io guardando con attenzione il ragazzo.
-No, non lo sono. Io sono il vostro Founder. È stato il vostro potere a condurvi da me. Siete stata scelta.- disse lui con tono ammiccante. 
-State blaterando, che fandonie sono mai queste? Vi farò espellere dalla contea di mio padre, il Re Richard Simon Pattinson.-
Lui sembrò non badare alle mie minacce e sorrise.
-Venefica eras, in oscuritas aut in lucem venire- pronunciò quelle parole chiudendo gli occhi. Sentii il terreno aprirsi sotto di me e risucchiarci nel profondo.


Fine flashback. 



-Dovete stabilire un legame con la pianta, comunicate con lei.- disse la Willelm. 
Poggiai le dita sulla terra e cercai il legame. 
-Ora recitate la formula, concentrati.- disse seria osservandoci.
-Cum haec potentia, cresci.- dissi con le labbra socchiuse concentrata. Sentivo il potere e la forza della pianta proprio sotto le mie dita, mi sentivo in grado di controllarla. Continuavo a ripetere la formula mentalmente, non potevo fallire. 
-Pattinson, basta o farà crescere quella pianta per tutta l'aula.- disse la professoressa, scatenando risa e sospiri di rassegnazione e ammirazione. 
Aprii gli occhi. La pianta si era eretta per più di un metro sul mio capo.
-Ora, dimmi come hai fatto.- mi disse Evangeline accanto a me.
Non riuscii a rispondere a quella domanda, perchè non lo sapevo neppure io.
-Complimenti, Pattinson. Non è da tutti riuscire a creare un legame cosí forte con una pianta la prima volta che si prova. Ammirevole.- disse la Willelm. Ricambiai con un sorriso e tornai alla mia piantina, che era diventata una sottospecie di arbusto. Come avevo fatto?
La sfiorai di nuovo e sentii, sotto la mia mano, spuntare una foglia.
-Redit- disse la professoressa con tono solenne e con i palmi delle mani alzati verso l'alto.
Tutte le piante che si erano alzate tornarono alla loro forma iniziale. Tutte tranne la mia.
-È importante far tornare, tutto quello che trasformiamo, nella loro forma iniziale. Nessuno di noi vuole alterare l'equilibrio della natura, sarebbe strano come un'allenaza tra noi, i maghi dell'Iridiscenza e i maghi dell'Oscurità, per citare un esempio di stranezza- disse la professoressa, ma non le stavo prestando attenzione. Guardavo la mia pianta, o quasi arbusto che era rimasta intatta. 
-Oh...- disse la professoressa quando voltó lo sguardo verso di me e il mio arbusto. 
-Credo che il Redit non abbia funzionato al meglio- dissi io visibilmente imbarazzata. 
-Allora, provi lei Pattinson. Magari la pianta l'ascolterà.-
Sentivo lo sgardo di tutti addosso, non era piacevole come sensazione.
Poggiai le mani sulla terra umida e ristabilii il legame. 
-Redit- dissi incerta continuando a tenere gli occhi chiusi. 
Sentii persone bisbigliare, e per la classe si levó un corteo di alunni che applaudivano. 
Aprii gli occhi e notai la mia pianta, era diventata così piccola da sembrare un piccolo semino. 
-Strabiliante.- disse la professoressa e incitó tutti gli alunni a tacere.
Leggemmo qualche pagina del Liber Plantorum e la lezione terminó.
-Ma come hai fatto?- mi chiese di nuovo Evangeline. 
Era una ragazza sudafricana, aveva la pelle color caffè e i capelli perfettamente lisci le ricadevano morbidamente lungo la schiena.
-Non lo so. Ho solo eseguito quello che la professoressa ci incitava a fare, a te com'è andata?- dissi io. 
-La mia pianta è cresciuta di due centimetri.- disse rassegnata e delusa.
-È un buon inizio, era solo la prima volta che eseguiamo un Crevi. Vedrai la prossima andrà meglio- dissi io cercando di farla sentire meglio. 
Mentre tutta l'Accademia dell'Iridescenza usciva dall'edificio, un lampo squarció il cielo che qualche secondo prima era perfettamente limpido. 
La pioggia scese rapidamente e in modo fittizio tanto da impedirci di vedere uno stralcio di cielo, ormai nero. Alcuni corsero a ripararsi sotto il gazebo, altri crearono ombrelli invisibili e altri tornarono, con un arco temporale, da dove erano venuti. 
-Scommetterei tutto l'oro del mondo che sono quei gradassi dell'Accademia delle Arti Oscure.- disse un alunno dell'ultimo anno. 
Entrambe le accademie, quella dell'Iridescenza e quella delle arti Oscure condividevano Judgment Island; L'Accademia delle Arti Oscure era situata sotto il pendio della montagna, a contatto con il mare. L'Accademia dell'Iridescenza, invece, era sul picco più alto della montagna, a stretto contatto col sole.
Dopo qualche istante tutto tornò come prima.
-Verbur meta mirifice, perlongos interrux permetiar, domus porta.- dissi le parole in lingua dimica e l'arco si aprí dvanti le mie mani tese. Vi entrai e mi lasciai avvolgere dalla luce del tunnel. 





Anne.

Flashback.




16 ottobre 2009.
 
Nella palestra regnava una grande confusione, tutti gli studenti si accalcavano a prendere i posti migliori sugli spalti. Le cheerleader si stavano preparando al loro spettacolo, i professori erano quasi più entusiasti dei giocatori e dei ragazzi. 
La partita di basket stava per avere inizio, era un evento epico per la Ferguson High School.  Con me c'era solo Tom, il mio migliore amico. Kim, la nostra migliore amica, era a casa con l'influenza, era il pezzo mancante del nostro trio quel giorno. Ci conoscevamo da tre anni io e lei, mentre Tom.. be', Tom c'era sempre stato. Era lui che mi consolava fin da quando misi piede nell'orfanotrofio. I miei genitori morirono in un incidente stradale, io mi salvai miracolosamente. Ero uscita completamente illesa dall'impatto tra la nostra auto e il camion che ci venne addosso. Pensai di essere rimasta sola, una bambina di sei anni completamente sola e abbandonata a se stessa, finché un bambino moro e con due enormi occhi azzurri come il cielo si era fermato difronte a me, alto abbastanza da superarmi di qualche centimetro. Mi sorrise, mostrando la fila di denti da cui ne mancava uno, e mi offrì una spalla su cui piangere, con tanto di biscotti al cioccolato rubati alla mensa. Be', quella spalla me la offriva ancora. 
Riuscimmo a trovare dei posti abbastanza lontani dal campo, ma sinceramente non me ne importava più di tanto. Non mi interessavano le partite di basket, nè tantomeno quelle galline saltellanti delle cheerleader. 
In quel momento pensavo soltanto alla voce che mi aveva perseguitato in quei giorni.
"Anne Abigail Johnson." sussurrava. 
Ogni volta che mi voltavo, non c'era nessuno. Sudavo freddo e il panico cresceva dentro di me. Ero terrorizzata, quella voce mi seguiva da qualche giorno. E da qualche giorno sentivo come una strana aura attorno a me, come una barriera invisibile che mi avvolgeva. 
Le squadre di basket entrarono in campo, le cheerleader cominciarono a urlare e a volteggiare nell'aria con le loro coreografie. Tom le guardava annoiato, sapevo che senza Kim si sentiva perso. Erano anni che lui le moriva dietro, eppure non trovava il coraggio di confessarle i suoi sentimenti. Invece di dirlo a lei l'aveva detto a me e mi aveva pregata di non farne parola con lei. 
"Penso che tu debba parlare con Kim." dissi ad un certo punto.
Gli occhi azzurri di Tom mi inchiodarono. "Non dire stronzate." disse.
"Dico sul serio, Tom. Sei depresso quando lei non c'è. A volte mi fai sentire quasi inutile." replicai. Dovevo ammetterlo, mi dava quasi fastidio. Io e lui ci conoscevamo da sempre, dannazione. Da quando si era preso quella cotta pazzesca per Kim non mi trattava più come prima. Non che odiassi Kim, anzi. Lei era un'amica eccezionale. Solo che, be', rivolevo il mio migliore amico, quello di prima. 
"Perché dovresti sentirti inutile?" mi chiese lui, scostando il ciuffo castano che gli era sceso sulla fronte.
"Perché quando Kim non c'è nemmeno mi parli." dissi.
"Sei gelosa?" mi chiese con un ghigno.
Lo spinsi. "Smettila. Rivoglio il vecchio Tom, quello che rideva sempre e che mi intratteneva con le sue squallide barzellette." dissi. 
Mi circondò le spalle con un braccio. "Abigail, Abigail." disse, scuotendo la testa. 
"Mi chiamo Anne, non Abigail." dissi infastidita.
Fece come se non avessi aperto bocca. "Siamo amici da.. be', da sempre. Non sarà Kim a rovinare la nostra amicizia." disse, sorridendomi.
"Come farei senza di te, o mio prode cavaliere?!" dissi, con fare teatrale. 
Scoppiò a ridere e mi abbracciò. Fu in quel momento che sentii di nuovo la voce.
"Anne Abigail Johnson." poco più di un sussurro, poco più di un mormorio. Appena udibile, eppure forte e chiaro nella mia mente. 
Sciolsi bruscamente l'abbraccio di Tom. "L'hai sentito anche tu?" chiesi.
Tom mi guardò perplesso. "Cosa?" mi chiese. 
"La voce." risposi. 
"Non ho sentito nessuna voce." disse lui, guardandomi preoccupato. 
"Anne Abigail Johnson." quella volta fu quasi un urlo. La voce era femminile, mi chiamava. 
"Devo andare Tom. Io.. ho bisogno di un po' d'aria." dissi, alzandomi.
"Vuoi che ti accompagni? Non hai una bella cera." mi disse lui.
"No, resta qui." risposi. Lui non sapeva della voce, non l'avevo detto a nessuno.
Mi precipitai giù per gli spalti, mentre sentivo come una voce che mi attirava verso il parcheggio. Uscii nel corridoio, chiudendo dietro di me la doppia porta della palestra. Attraversai velocemente il corridoio deserto, mentre gli armadietti mi sfilavano affianco. Superai l'infermeria e la segreteria, finché finalmente non raggiunsi l'uscita. Non appena misi piede fuori, una ventata d'aria autunnale mi travolse, scompigliandomi i ricci. Scesi gli scalini, rischiando di inciampare. 
"Anne Abigail Johnson." la voce adesso era calma, usava un tono normale.
Continuai a camminare, attraversai il parcheggio, mentre dei brividi di terrore mi attraversavano la schiena, le mani erano appiccicose, la fronte e la nuca imperlate dal sudore gelido.
"Chi diavolo sei?" urlai. La mia voce risuonò nel parcheggio vuoto. Non ottenni nessuna risposta.
"Anne." la voce era quasi divertita.
"Cosa vuoi da me?" domandai. 
"Voltati." mi ordinò la voce.
Mi girai lentamente. Una ragazza della mia età mi stava difronte, i capelli castani attraversati da ciocche bionde, due occhi grandi, scuri e profondi. Mi sorrise, cercando di essere amichevole.
"Ciao Anne." disse.
"Che vuoi da me?" chiesi nuovamente.
"Hei, calma!" disse, ridacchiando da sola. 
"Non hai risposto alla mia domanda." dissi, con un tono neutro.
"Devi venire con me." rispose, quasi spazientita.
"Io non vengo proprio da nessuna parte!" replicai.
"Hai sentito la voce, devi venire con me." ribattè. 
"Ma chi diavolo credi di essere? Io non mi muovo da qui." dissi. Non capivo più niente. 
"Io sono Jenny, la tua Founder. Il potere ti ha guidata da me, sei stata scelta Anne, non puoi rifiutare il tuo destino." disse, il tono di voce era cupo.
"Non capisco una sola parola di quello che dici. Tu sei pazza." dissi, cercando di allontanarmi. Ad un certo punto, però, sentii le gambe bloccarsi, i piedi piantarsi bene a terra.
"Non andrai da nessuna parte." la voce della ragazza tuonò alle mie spalle. Le mie gambe non si muovevano, erano come pietrificate. 
"Venefica eras, in obscuritas aut in lucem venire." furono quelle le ultime parole che sentii. 
 
Fine flashback.
 
      
Verbur meta mirifice,
perlongos interrux permetiar,
academiis porta.
 

Pronunciata la formula, venni risucchiata in un attimo dallo squarcio che si era aperto davanti ai miei occhi. Avvolta dall'oscurità del mio portale, in pochi secondi mi ritrovai con i piedi affondati nella sabbia chiara e fina della Judgment Island. L'accademia delle Arti Oscure si ergeva imponente davanti a me. Mi avviai velocemente verso l'entrata, ero in terribile ritardo. 
"Buongiorno, signorina Johnson." mi salutò Albert, il custode. Era l'unico troll della nostra scuola, l'unico che si era rifiutato di sottomettersi al potere di Gemak, il loro re. 
"Buongiorno Albert." risposi, aprendo il portone di legno massiccio.
"La professoressa Witchcraft la stava cercando." mi disse.
"Lo so, è tardi." dissi, correndo dentro.
L'atrio interno dell'edificio era vuoto, solo il rumore delle mie converse risuonava sul marmo lucido del corridoio. Quella mattina avevo solo un'ora di lezione, con la professoressa Witchcraft. L'aula era in fondo al corridoio, l'ultima porta a destra. Arrivai correndo fino ad essa, afferrai la maniglia e aprii la porta. Entrai silenziosamente e sgattaiolai velocemente fino al mio posto, sperando che la Witchcraft non si fosse accorta di me. Era seduta all'enorme cattedra di ciliegio, la testa china su un libro dall'aspetto vecchio e ammuffito. Alzò la testa di scatto.
"Signorina Johnson." disse, inchiodandomi con lo sguardo.
"Cavolo." mormorai, senza farmi sentire. "Scusi il ritardo, signora Witchcraft." dissi, chinando la testa.
"Spero per lei che sia capace di lanciare un Ammonius." disse, lanciandomi uno sguardo di sfida. L'Ammonius era l'incantesimo per provocare un temporale dal nulla. Era davvero difficoltoso, soprattutto di giorno, con un sole che spaccava le pietre e più di venti gradi all'ombra.
"Oh, ehm.. si." dissi, alzandomi in piedi. Non era semplice, non era affatto semplice. La Witchcraft rivolse un'occhiata verso la finestra gigantesca e questa si spalancò da sola.
Cercai di scacciare tutti i pensieri che in quel momento vorticavano nella mia testa e di concentrarmi sul cielo fuori. Era di un azzurro quasi irreale, senza una nuvola. Chiusi gli occhi e alzai le mani verso il soffitto. "Numbus." cominciai a ripetere nella mia testa.  Udii un tuono sommesso in lontananza, mi concentrai di più e strinsi maggiormente le palpebre, cercando di raccogliere tutta la mia forza, tutto il mio potere. Nessuno dei miei compagni osava fiatare, sapevo di avere tutti i loro sguardi puntanti addosso, ma cercai di non pensarci. Finalmente udii il rumore di un fulmine che squarciava il cielo, aprii gli occhi appena in tempo per vedere il suo flash. Fuori pioveva a dirotto, i lampi illuminavano il cielo cupo e le nuvolee violacee e plumbee addensate sopra l'accademia. Mio dio, ci ero riuscita! 
Rivolsi uno sguardo trionfante alla Witchcraft, che mi fissava in modo strano. Non era nè offesa nè infuriata. Era.. sorpresa, incredibilmente sorpresa, ma non disse niente. 
"Bene ragazzi, oggi vi darò una dimostrazione del Reflex." disse poco dopo. Tutti restarono di stucco. ll Reflex era un potentissimo incantesimo, capace di evocare la luna in pieno giorno. Sentii un bruciore sulla clavicola, portai automaticamente la mano sul mio tatuaggio. Dopo la mia reclamazione, ero stata marchiata con una mezza luna da Jenny, la mia Founder. La luna era il mio elemento, ero in grado di controllare il clima, aprire squarci temporali e passaggi che potessero trasportarmi dal mondo reale alla Judgment Island in pochi secondi e viceversa, oltre ad essere in grado di eseguire gli incantesimi più semplici. Di notte i miei poteri erano molto più potenti, l'energia della luna influiva su di me. Oltre al fatto che quando ero arrabbiata ero capace di provocare una tromba d'aria involontariamente, o che quando ero triste un temporale non tardava ad arrivare.
La Witchcraft si alzò in piedi, girò attorno alla cattedra e si fermò al centro dell'aula. I nostri banchi erano disposti su delle gradinate, era simile ad un'arena. Al mio fianco era seduto Ethan Dawson, un diciottenne californiano super abbronzato, che continuava a lanciare sospiri sconvolti e continuava a prendere appunti sul suo block notes sgangherato.
La Witchcraft placò il temporale che avevo provocato prima con un solo gesto della mano, dopodiché osservò l'intera classe, prima di sollevare le mani verso il cielo, il viso rivolto verso la finestra spalancata. 
"Limquam luna cornue venim." la voce della professoressa risuonò nell'aula. La lingua era la dimica, un'antica lingua inventata dai maghi a partire dai tempi dei tempi, tramandata per tutto questo tempo fino a noi.
Tutti osservammo rapiti il cielo. Accadde in un modo pazzesco. Divenne tutto nero di colpo, dopodiché un lampo accecante illuminò la stanza. Quando riuscimmo ad aprire gli occhi, la luna era alta nel cielo, al posto del sole, di un colore più acceso e vivace del solito. Sentivo la sua influenza su di me, su tutti i presenti nella stanza. Lanciai un'occhiata verso la Witchcraft, teneva ancora le braccia sollevate, come se stesse reggendo la luna con le sue stesse mani. Sembrava quasi che facesse fatica. Dopo qualche secondo riabbassò le braccia cautamente, e di nuovo un lampo ci colpì. Quando guardammo di nuovo fuori, la luna era scomparsa. 
Quando la lezione finì, raccolsi le mie cose e uscii dall'aula con molta calma, fermandomi a parlare con i miei compagni di classe.
"Sei stata fortissima con quell'Ammonius, Anne!" mi disse Jo, carezzandomi una spalla. Era piuttosto bassa e magra, il caschetto nero le incorniciava il volto. Era francese, viveva fuori Parigi e viveva anche lei nel 2012. 
"Grazie Jo." risposi sorridendo.
"Davvero notevole." commentò Cornelius. Lui, invece, viveva in Scozia verso la fine del 600. Alto, capelli rossi e viso lentigginoso.
"Grazie infinite Cornelius." risposi, con un sorriso amichevole, mentre lui apriva un varco temporale, che si richiuse con un Pop! secco.
Continuai a chiacchierare con Jo, mentre ci dirigevamo verso l'uscita, quando mi ricordai di aver lasciato il libro dei Carmen nell'aula. Salutai Jo e rifeci velocemente la strada al contrario. Trovai il mio libro poggiato sotto il banco, lo presi e lo infilai nella borsa. Mentre attraversavo nuovamente il corridoio, due voci catturarono la mia attenzione.
"Cosa stai dicendo Morgana? E' impossibile!" disse una voce maschile.
"Eppure l'ha fatto, Graham." replicò la voce femminile. Erano la Witchcraft e Graham Sullivan.
"Lanciare un Ammonius con questo sole.. Come hai detto che si chiama?" borbottò l'uomo.
"Anne Abigail Johnson." rispose la Witchcraft.
Perché diavolo stavano parlando di me?
 
 

 


Our fuckin' place.


 Salve a tutti. :)
Bene, se siamo riuscite ad attirare la vostra attenzione abbiamo fatto già un grande passo!
Prima di tutto vogliamo presentarci. Siamo due amiche, Elisabetta (o Betta) e Annalisa. Abbiamo deciso di scrivere questa fan fiction qualche settimana fa, mentre chiacchieravamo un po'. Abbiamo iniziato a buttare giù qualche idea e abbiamo deciso di condividere questa storia con altre persone. :)
Ora vorremmo darvi qualche chiarimento sulla storia. Elisabetta scriverà calandosi nei panni di Beth, mentre io in quelli di Anne. Loro fondamentalmente non potrebbero nemmeno frequentarsi, visto che sono due maghe di 'natura' diversa e perciò frequentano due accademie differenti, hanno dei poteri completamente differenti e fin dal principio le due scuole sono rivali. Comunque, andando avanti, in un modo o nell'altro che non stiamo qui a svelarvi diventeranno amiche. 
Loro vivono in due mondi completamente diversi ai loro occhi, considerando che Beth vive nell'800 e Anne invece ai giorni nostri. Quando si teletrasportano sulla Judgment Island, è come se il tempo si bloccasse, così quando loro tornano nel proprio secolo è come se non è passato nemmeno un secondo.
Passando ai Founder, sono coloro che vanno alla 'ricerca' dei maghi, anche se sostanzialmente già lo sanno chi sono. Li hanno osservati per un arco di tempo nella loro vita e li scelgono per entrare a far parte della loro grande famiglia magica. (LOL)
Passando alla lingua Dimica, è inventata, anche se sembra latino. Le parole sono molto simili ma hanno lettere diverse e principalmente non hanno un senso. AHAHAH 
Villecraft non esiste.
Gemak è l'antagonista, il capo dei troll. Vive nella foresta situata ai piedi della montagna che divide l'Accademia delle Arti Oscure dall'Accademia dell'Iridescenza.

Speriamo di essere state abbastanza chiare. Per qualsiasi curiosità o chiarimento, lasciateci qualche recensione e saremo più che felici di sapere i vostri pareri e di rispondervi a qualsiasi domanda. :)
A presto!
   
 
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