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Autore: margheritanikolaevna    23/04/2012    3 recensioni
Ecco il seguito di "If the dull substance of my flesh...", la storia della killer Miriam Greenberg e del suo amore impossibile. Non fatevi ingannare dal titolo (che appartiene ad una poesia dell'inglese W.H. Auden, quello della poesia "Funeral blues" del film Quattro matrimoni e un funerale): certo è anche una storia d'amore, ma stavolta ho cercato di scrivere qualcosa di differente. Se la prima voleva essere una specie di legal thriller, questa ha una trama che ricorda un po’ alcuni episodi di NCIS, almeno nelle intenzioni, sarà (spero) più movimentata e più ricca di colpi di scena.
Ci saranno: un cattivo perfido, un valzer, un temporale improvviso, qualcosa di disgustoso e qualcosa di meraviglioso e ... una poesia; chi ha ingannato sarà a sua volta ingannato, un uomo considerato buono si scoprirà cattivo e un altro rischierà seriamente di diventarlo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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 Questo capitolo lo scrissi l’estate scorsa sull’onda emotiva della strage compiuta dal terrorista di estrema destra Breivik a Utoya, episodio che rimane un emblema dell’assoluta insensatezza del male. Per il resto, ci saranno due colpi di scena (o almeno spero di essere riuscita a renderli tali!) riguardo alla nostra amica Miriam-Chantal, uno verso la metà e uno alla fine…
 

Grazie a chi continua a leggere questa fic e soprattutto alle amiche - perché così devo chiamarle - che mi onorano con i loro commenti.      
 
 
 
CAPITOLO SESTO
 
Pura razza ariana
 
“Detective Taylor!” risuonò improvvisa una voce; cosa sarebbe accaduto altrimenti?
Mac scattò in piedi e si voltò verso la porta, dove si trovava il giovane agente che era appena entrato a chiamarlo.
“Il capitano Sinclair vuole vederla immediatamente nel suo ufficio!” disse il ragazzo e subito dopo uscì, lasciando l’uscio aperto dietro di sé.
Ancora turbato, Mac resistette alla tentazione di girarsi nuovamente verso la donna, che rimase in silenzio e perfettamente immobile; non poteva vederne il viso, eppure sentiva chiaramente il suo sguardo posato su di lui, intenso, carico di attesa e di speranza.
Con uno sforzo immenso lasciò la stanza senza dire nulla.
Ad attenderlo nell’ufficio di Sinclair trovò due uomini, entrambi elegantemente vestiti.
Il più alto poteva avere una cinquantina d’anni e sembrava anche il più autorevole dei due; era completamente calvo ma, dietro gli occhiali dalla semplice montatura metallica, scintillavano due penetranti occhi grigi pieni d’intelligenza.
L’altro, più giovane di qualche anno, produsse invece su Mac un’impressione straordinariamente sgradevole: era magro e molle a un tempo e suscitava la strana sensazione di essere come invertebrato. I suoi taglienti occhi azzurri guardavano ogni cosa con stupore e insieme con arroganza.
Sinclair fece le presentazioni: il  primo era il vice-direttore della C.I.A. Zach Keeler, mentre il secondo si chiamava Blair Hopper ed era un agente appartenente alla medesima agenzia governativa.
Il detective mise insieme quella strana visita e l’esito delle ricerche sul cadavere del russo e comprese che quei due eventi, nello stesso giorno, senza dubbio non potevano essere spiegati con una semplice casualità; come sempre, tutto era collegato. Evidentemente - pensò - la morte di quell’uomo era in qualche modo da connettersi con le attività, riservate e pericolose, della C.I.A.
“Immagino siate qui per l’omicidio di Nikanor Bosoj” disse, quindi.
Keeler sorrise e disse affabilmente: “ Detective, vedo che la sua fama è tutt’altro che immeritata!”
Mac lo ringraziò con un cenno del capo e l’uomo proseguì, allargando le braccia e gesticolando di tanto in tanto mentre parlava.
“Per questo motivo ho deciso di spiegare a lei e al capitano Sinclair la natura del nostro interesse riguardo a lui e al console Ponyrev, nella speranza di ottenere da voi una proficua collaborazione…”
“La nostra collaborazione? Cosa intende dire?” domandò a quel punto il tenente, il quale iniziava a percepire la singolarità di quella situazione.
“Come lei avrà a questo punto immaginato” continuò l’altro “lo sfortunato Nikanor Bosoj era un nostro agente operativo negli Stati sorti sulle macerie del’ex U.R.S.S.; a causa della sua conoscenza della lingua e degli usi di quei luoghi gli era stato ordinato di farsi assumere, due mesi fa, come dipendente presso il Consolato di ******stan. Avrebbe dovuto tenere d’occhio il console e i suoi uomini.”
Fece una breve pausa e guardò l’agente accanto a lui, che aveva continuato ad annuire mentre parlava.
“Tenente, lei certamente sa cos’è il polonio 210, vero?” chiese poi.
“Certo” rispose Mac, con un cenno affermativo del capo “si tratta di un isotopo del polonio, un elemento tossico, altamente radioattivo e pericoloso da manipolare, persino in quantitativi dell’ordine del milligrammo o meno, ma …”
 “Saprà anche che è un veleno utilizzato dai servizi segreti russi …” lo interruppe il vice-direttore “ e abbiamo motivo di ritenere che il console, servendosi dei suoi privilegi diplomatici, abbia intenzione di far entrare quella roba nel nostro paese.”
“Il polonio 210 provoca un avvelenamento non reversibile e la morte nel giro di poche ore, ma è pericoloso solo se inalato o ingerito” proseguì il poliziotto.
“Infatti, pensiamo che abbiano progettato di far esplodere una bomba, proprio del tipo di quella usata per distruggere il cadavere del nostro agente, al fine di disperdere nell’atmosfera micro particelle di sostanza contaminante, che sarebbero scagliate a causa dell’esplosione in un raggio di centinaia di metri e potrebbero venire inalate da centinaia, forse da migliaia di persone”.
Mac aggrottò le sopracciglia e il suo viso tradì la preoccupazione che gli aveva attraversato il cervello; si rendeva conto infatti che una sostanza così pericolosa, se fosse finita in mani sbagliate, avrebbe potuto provocare una carneficina … e magari proprio nella sua città. La città che amava, alla cui protezione aveva dedicato la sua vita e che era già stata segnata in maniera così atroce solo qualche anno prima. Esattamente come lui.
“Le nostre informazioni ci hanno consentito di risalire a un possibile acquirente; ha mai sentito parlare di “Aryan Supremacy”?”  domandò Keeler al poliziotto che gli stava di fronte e che scosse subito la testa.
“Lo immaginavo” riprese l’agente segreto “Si tratta di un’organizzazione paramilitare suprematista che segue le orme di quel David Duke che nel 1984 propose la creazione di stati-ghetto dove rinchiudere le minoranze etniche, in modo che il grosso del paese rimanesse puramente “ariano”, e di Richard Snell …”
“La strage di Oklahoma City!” esclamò Mac, ricordando che, nel 1995, lo stesso giorno dell’esecuzione di Snell - reo di avere ammazzato un poliziotto e un uomo d’affari ebreo - e proprio come questi aveva minacciato prima di morire, una bomba avesse dilaniato alcuni edifici in quella città, uccidendo ben 168 persone.
“Esatto” continuò il vice-direttore “Questi pazzi vendicatori della cosiddetta supremazia bianca, a loro detta umiliata e offesa dall’“invasione islamica”, coltivano l’odio e la violenza contro le minoranze etniche e religiose. Riteniamo che sia loro intenzione comprare il polonio 210 per realizzare un attentato in grande stile, proprio qui a New York ….”
“La città dell’11 settembre sarebbe un palcoscenico eccezionale per quei fanatici” intervenne Blair Hopper, prendendo la parola per la prima volta  “le loro gesta farebbero il giro del mondo!”
“Possibili bersagli musulmani, ebrei, sikh …” chiosò il vice-direttore.
“Insomma” esclamò Mac “si può dire che non abbiate ancora un’idea precisa dell’obiettivo che intendono colpire …”
Keeler sorrise leggermente e incrociò le braccia.
“In effetti …” ammise “perciò è essenziale impedire la consegna e per questo motivo teniamo sotto stretta sorveglianza gli affiliati alla “Aryan Supremacy”, ma il problema è che pensiamo possa esserci un intermediario, un insospettabile, che si occuperà di far uscire il polonio dal Consolato e di farlo avere agli acquirenti”.
“E questa persona non è stata ancora individuata” si inserì Hopper.
“Mi perdoni, vice-direttore” disse a quel punto Mac, fissando lo sguardo su Sinclair  “non ho ancora capito come mai ci stiate raccontando tutti questi dettagli …”
“La ragione, tenente” rispose Keeler “è che abbiamo bisogno di conoscere i risultati delle vostre indagini sul cadavere di Bosoj e sulla bomba che è esplosa l’altro giorno. Dobbiamo comprendere se chi ha ucciso il nostro agente avesse scoperto la sua identità e se, per conseguenza, l’intera missione possa essere a rischio”.
“Non avrò alcun problema a condividere con voi i risultati raggiunti dalla mia squadra” rispose Mac “Ma vi ricordo che stiamo indagando anche sulla morte di uno dei nostri, di un poliziotto di NY … i due casi sono necessariamente connessi.”
“Infatti” ribatté l’altro “lavoreremo insieme.”
Fece una pausa, guardò prima Sinclair e poi Mac e aggiunse: “C’è anche un’altra cosa … è necessario che liberiate la donna che avete arrestato qualche ora fa, Chantal Renault”.
“Cosa?” scattò Mac, allibito.
“Chantal Renault è anche lei un nostro agente e lavorava con Bosoj alla medesima missione. Quattro mesi fa è riuscita ad infiltrarsi nella “corte” del console Ponyrev e a carpire la sua fiducia: tiene sotto controllo dall’interno la situazione ed è un elemento indispensabile per il prosieguo dell’operazione. Dovete lasciarla andare subito!” concluse Keeler.
Allora - pensò Mac - era questo che stava cercando di dirgli la sera prima durante la festa, pur non potendogli rivelare la ragione per cui si trovava lì; adesso tutti i suoi comportamenti e le sue parole divenivano chiari. Ma come era possibile una cosa del genere? Lei un’agente della C.I.A.? Doveva assolutamente capire. 
“Cos’è, uno scherzo?” disse bruscamente, facendo irrigidire all’istante il capitano Sinclair “Quella donna è una criminale, cinque anni fa ha cercato di uccidere me ed i miei uomini e …”
“Conosco tutta la storia” lo interruppe Keeler il quale, nonostante l’asprezza del tono e delle parole del detective, non sembrava in colera a differenza dell’agente Hopper che, invece, iniziava ad agitarsi sul serio, ritenendo evidentemente inutili tutte quelle cerimonie.
“E capisco perfettamente quanto le costi rilasciarla, ma…” tacque un istante e poi riprese, fissando Mac negli occhi “Lei è una persona intelligente e un poliziotto esperto e sa bene che, se non riusciremo ad impedire la consegna, una pericolosa organizzazione terroristica avrà a disposizione un’arma potenzialmente letale. E non credo che lei voglia assumersi questa responsabilità.”
“Sa pure che riuscirei a ottenere comunque la sua liberazione, anche laddove lei si opponesse, e che il suo rifiuto ci farebbe solo perdere del tempo prezioso”.
Mac tornò a fissare Sinclair, il cui sguardo vagava dall’uno all’altro degli oggetti che aveva davanti a sé sulla scrivania, quasi che si sentisse in imbarazzo o fuori luogo.
Mentalmente sogghignò: era evidente che Sinclair - del quale aveva sperimentato sulla propria pelle la sfrenata ambizione personale e il desiderio di conservare buone relazioni con chi potesse essere utile alla sua carriera -  intendeva lasciare a lui quella scomoda decisione, che avrebbe suscitato malumore tra i suoi uomini e, soprattutto, avrebbe certamente reso Stella furiosa.
Lui, Sinclair, avrebbe invece sfruttato solo i vantaggi della situazione e nel suo curriculum personale avrebbe brillato il lustro di un’indagine congiunta addirittura con la C.I.A.
Del resto, sapeva di non avere altra scelta: Keeler aveva ragione, opporsi avrebbe solo significato rimandare il rilascio della prigioniera e mettere a repentaglio il buon esito della sua missione.
Quindi, pur divorato dall’incertezza, acconsentì.
Il vice-direttore annuì e gli sorrise. “Bene” disse, tendendogli la mano destra “Ero certo che avrebbe capito! L’agente speciale Hopper la seguirà per essere informato degli esiti delle vostre indagini, le garantirà tutto ciò di cui doveste avere bisogno per andare e avanti e …” aggiunse con voce carica di significato  “risponderà a tutte le sue domande.”
Mac strinse la mano a Keeler e, senza fare lo stesso con Sinclair, uscì dalla stanza.
 
*******
Mac Taylor aveva esitato un istante prima di firmare i documenti che avrebbero autorizzato l’immediata liberazione di Chantal Renault pensando che ancora una volta gli stava sfuggendo, che gli era già sfuggita, esattamente come cinque anni prima.
Aveva sperato di riuscire a spiegare la sua decisione a Stella prima che fosse costretta a vedersela davanti libera di andare via, ma non era riuscito a evitare che la sua collega, la sua amica, e la donna di cui un tempo si era innamorato si incrociassero mentre questa veniva scortata fuori, senza più le manette ai polsi, da due agenti in divisa.
Non aveva assistito alla scena, ma immaginava cosa potesse essere passato nella mente di Stella: rabbia, frustrazione e mille interrogativi dei quali, ne era certo, la poliziotta sarebbe venuta ben presto a chiedere conto a lui. Probabilmente - anzi, sicuramente - l’avrebbe accusato di avere ceduto troppo in fretta e senza prima consultarla.
Seduto alla sua scrivania, si passò una mano sul volto. Sospirò fissando il vuoto davanti a sé.
Già una volta le insinuazioni di Stella lo avevano punto sul vivo e ora iniziava a capire il motivo di quella reazione; il problema era che non si trattava di accuse del tutto prive di fondamento.
Quella consapevolezza che lo disorientava si fece largo nei suoi pensieri ma, prima che egli fosse riuscito a riordinare le idee ed a fare chiarezza dentro di sé, udì la porta dell’ufficio aprirsi sotto una spinta violenta e alzando lo sguardo vide Stella sulla soglia, con gli occhi sbarrati e il bel viso deformato dall’ira.
 
*******
Quella con Stella era stata una discussione veramente penosa, di gran lunga più aspra di tutti i litigi che avevano avuto nei lunghi anni della loro amicizia: lei era furiosa e aveva esagerato, lui da parte sua aveva reagito in modo eccessivamente duro e ne era consapevole.
Le insinuazioni che la collega gli aveva rivolto - ormai tanto esplicite da essere divenute delle vere e proprie accuse - erano state veementi e, probabilmente, in gran parte ingiuste.
Ma lui si era chiuso a riccio e aveva risposto con stizza, tanto più acerba quanto maggiormente aveva avuto l’impressione che Stella, con le sue parole, avesse trovato con facilità le risposte alle domande che invece tormentavano lui da ore. Adesso era rimasto da solo dopo che la collega era andata via sbattendo la porta con furia e rifletteva, in piedi con le mani appoggiate alla scrivania e la testa china sul petto.
L’ultima cosa che avrebbe desiderato in quel momento era un’ulteriore, sgradita, conversazione; invece dovette fare buon viso a cattivo gioco quando, preceduto da un’energica bussata, fece la sua comparsa nella stanza l’agente speciale Blair Hopper.
Mac non avrebbe saputo spiegare il perché, ma quell’uomo non gli era simpatico: stavolta notò che persino le sue corte gambette da insetto sembravano avere un’aria impudente.
Senza che Mac lo avesse invitato a sedersi, Blair Hopper si accomodò su una delle poltroncine che si trovavano davanti alla scrivania.
“Mi duole disturbarla, tenente” esordì con voce melliflua “ma ho bisogno di consultare al più presto i risultati degli esami di laboratorio che avete condotto dopo l’autopsia sul povero Bosoj”.
“Certo” biascicò Mac, mettendosi a cercare la cartellina in questione tra la pila di rapporti ammonticchiati sul tavolo di cristallo. Dopo un tempo che fu molto breve, ma che a gli parve infinitamente lungo, trovò ciò che cercava e senza una parola lo porse all’uomo che ancora gli sedeva di fronte.
Questi prese il fascicolo, ma non accennò a muoversi.
Il detective cominciava spazientirsi: cosa voleva quello strano individuo da lui?
“Tenente” disse Hopper, come in risposta alla sua silenziosa domanda “sapendo ciò che le è accaduto cinque anni fa, mi sarei aspettato che lei avesse molte domande da pormi sull’agente speciale Claire Conrad …”
Mac rimase immobile, mentre l’eco delle ultime sillabe, lentamente scandite, di quelle due parole per lui così cariche di significato, si spegneva.
“C-come ha detto?” esclamò, mentre per una frazione di secondo gli attraversava la mente l’idea (la speranza? il timore?) che l’orecchio lo avesse ingannato.
Blair Hopper lo fissava, meravigliato - e comunque soddisfatto - dell’imprevista reazione del suo interlocutore.
“Dicevo che mi sarei aspettato una maggiore curiosità da parte sua” rispose.
“No…No” ribatté il poliziotto, con un’espressione veramente indecifrabile sul viso “ha detto Claire Conrad?”.
“Proprio così” ribadì l’altro, ripromettendosi di scoprire al più presto come mai quel nome avesse sconvolto a tal punto il detective “Quando, circa quattro anni fa, è diventata uno dei nostri abbiamo dovuto costruirle una nuova identità per proteggerla da coloro che la stavano cercando per farle pagare il suo fallimento … e lei ha scelto questo nome”.
“Ma” aggiunse dopo una breve riflessione “non ha mai voluto spiegarmi cosa significasse per lei, né il motivo della sua decisione…”
“Comunque” aggiunse “sono stato il suo supervisore durante tutto questo periodo e le assicuro che è diventata un ottimo agente, uno dei migliori della sua generazione.”
“La smetta, Hopper!” sbottò a quel punto Mac, che non ne poteva più della sua compagnia ed era ancora sconvolto per quell’inattesa rivelazione “Non capisco perché mi stia raccontando tutto questo: è così difficile per lei comprendere che di quella donna non voglio sapere più niente? Che nulla di ciò che ha fatto o detto in questi anni mi interessa?”.
“Beh, quand’è così” fece l’altro, voltandosi per uscire “Le chiedo scusa per avere insistito …”
Poi, mentre infilava la porta aggiunse con un’ironia scoperta - ma che Mac era troppo turbato per cogliere: “È del tutto evidente che non prova più alcun interesse per lei!”.
“Poveraccio!” pensò l’agente speciale Blair Hopper mentre chiudeva la porta dietro di sé, con sul viso un sorrisetto maligno “In che brutta situazione ti trovi adesso … non vorrei proprio essere nei tuoi panni!”.
Subito dopo, tuttavia, sospirò con improvviso languore.
Certo - rifletté, crudamente invidioso -  poteva essere un prezzo ragionevole per avere avuto, sia pure per un tempo tanto breve, una donna così bella e così piena di fuoco! A lui invece era andata male: per quanti tentativi avesse fatto con lei si era sempre scontrato con la sua dolce, ma ferma, resistenza.
Claire gli voleva bene, certo, e si fidava di lui, dopo tutto ciò che avevano condiviso in quegli anni, ma non l’avrebbe mai amato. Però, forse - considerò, mentre una luce strana gli accendeva lo sguardo - quello non sarebbe stato necessario… 
Si allontanò e non ebbe modo di notare che, appena lui era uscito, il cellulare del detective aveva iniziato a trillare; Mac Taylor non aveva riconosciuto il numero comparso sul display ma, quando rispose, immediatamente riconobbe la voce dall’altra parte dell’apparecchio.
 
 

  
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