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Autore: Eryca    23/04/2012    5 recensioni
Il mio cuore ha preso a palpitare sempre più veloce e, mentre il mondo sembra divenire sempre meno interessante, la mia mente sta decidendo di rivivere l’origine di tutta questa storia.
Succede sempre così: quando si è sul punto di morte, la vita scorre davanti agli occhi come un vecchio romanzo impolverato…

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Londra, Epoca Vittoriana.
Benjamin Fisher, gigolò per mestiere, conduce una vita squallida e povera, abbandonata tra la lussuria e i vizi.
Ma un arresto inaspettato cambierà il corso della sua vita, limitando il tempo a sua disposizione.
Storia partecipante al Contest "Al di là del tempo che fu", sul forum di Efp.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
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Prima Classificata al Contest “Al di là del tempo che fu“, indetto da veronic90

 

Nickname Forum: Snap95

Nickname Efp: Snap95

Titolo:  Victoria’s Gigolo – The Whorehouse Age –

Epoca: Epoca Vittoriana

Rating: Arancione

Avvertimenti: One-Shot

Prompt usati: Luogo: Castello della Regina

                          Scena: Scandalo

 

Note: La Regina Vittoria e Alberto di Sassonia non sono personaggi che mi appartengono, ma persone realmente esistite, vissute nell’epoca in cui il racconto è ambientato. Alcuni luoghi (ad esempio Whitechapel) sono reali e tutt’ora esistenti, e nel testo sono presenti numerosi riferimenti storici corretti (ad esempio il modo di vestire, e altri accenni culturali). A differenza, tutti gli altri personaggi, fatti narrati e i luoghi rimanenti sono puramente di mia invenzione, e appartengono solamente a me. In questo racconto ho voluto sottolineare che dietro alla superficialità dell’aristocrazia e i suoi sfarzi, era presente un assoluto stato di degradazione del popolo e, soprattutto, la prostituzione, considerata dagli storici una delle piaghe sociali di questi anni.

Ho lasciato anche l’uso del Voi. La forma di cortesia in Inghilterra non è mai esistita, anche se le traduzioni italiane di romanzi dell’epoca la adottano.

 

 

Victoria’s Gigolo –The Whorehouse Age-

 

 

# Londra, Oggi, 4 Febbraio 1840

 

La fine della mia vita.

Questo è l’esatto istante in cui la mia esistenza sta cessando e il mio cuore palpita all’impazzata, isterico, cercando di trovare una via di fuga da questo corpo che sta divenendo la sua cella.

La vista mi si sta offuscando, nonostante io sia ancora completamente sano, e il luogo in cui mi trovo sta pian piano sbiadendo; quell’immenso salone dorato non mi sembra più così splendente come lo avevo definito al momento del mio arrivo, anche la sua enorme dimensione sembra essere d’un tratto rimpicciolita.

I grandi lampadari d’argento dondolano sopra la mia testa, come scure ombre demoniache portatrici di morte.

Anche le splendide cortigiane che riempiono la stanza, e i loro gentili accompagnatori, non hanno più lo stesso intenso profumo; le loro immense gonne sono divenute come fiumi di sangue che si vogliono impossessare della mia anima.

Possibile che tutto ciò sia causato dalla suggestione? Davvero la consapevolezza di dover morire può avere un simile effetto?
Ora la vista del Barone Schröder di Prussia mi fa scorrere nelle vene un astio senza precedenti: è grazie a lui se sono condannato a morte per alto tradimento e oltraggio a Sua Maestà la Regina.

Definirei il mio comportamento omaggio alla Regina, anziché oltraggio; le ho regalato le emozioni più intense di tutta la sua vita, che nessuno sarebbe mai più stato in grado di donarle

Il mio cuore ha preso a palpitare sempre più veloce e, mentre il mondo sembra divenire sempre meno interessante, la mia mente sta decidendo di rivivere l’origine di tutta questa storia.

Succede sempre così: quando si è sul punto di morte, la vita scorre davanti agli occhi come un vecchio romanzo impolverato… 

 

 

 

# Londra, 4 Ottobre 1839

 

 

 

L’aria era umida come ogni altro giorno dell’anno in quella stramaledetta Londra, ma il vento era troppo freddo per essere una mattinata di primo autunno.

Le strade erano ancora deserte e, passandoci davanti, notai che la Drogheria era ancora serrata, quindi dovevano essere appena le cinque di mattina. Perdevo spesso la cognizione del tempo durante le lunghe nottate del mio lurido lavoro. 

I miei piedi si muovevano frenetici sul marciapiede in ciottolato della sporca periferia, a Whitechapel, quando notai una pagina di giornale che svolazzava nei pressi di una bottega.

Lo raggiunsi e lo afferrai con velocità animalesca; era una prima pagina stropicciata e sporca di fango, che probabilmente qualcuno si era lasciato sfuggire dal quotidiano mattutino.

A caratteri cubitali sorgeva un titolo che era impossibile non leggere: “Nozze Regali per la Regina Victoria.”

L’articolo annunciava con il solito finto entusiasmo che veniva imposto dalla legge le nozze tra la giovanissima Regina e suo cugino, il principe Alberto di Sassonia.

La data era fissata per il dieci Febbraio dell’anno successivo, giusto il tempo di organizzare i preparativi e poi la giovane fanciulla, oltre ad amministrate uno stato, si sarebbe trovata incastrata con un marito.

Gettai il foglio a terra con enorme disprezzo e nascosi le mani nelle tasche dello sgualcito frac che avevo comprato al mercato dell’usato, per qualche spicciolo.

Al diavolo la Regina e tutti quegli stramaledetti aristocratici che vivevano nel lusso più sfrenato, tra brandy e sigari, mentre noi poveri disgraziati eravamo ridotti al lastrico.

Quella notte il lavoro era stato più schifoso e lurido del solito, e il tempo sembrava non scorrere mai.

Fare il gigolò a Whitechapel non era proprio un granché.

Gigolò era anche troppo sofisticata come parola, non rendeva bene l’idea di quanto squallido fosse ciò che facevo; passavo le serate in bordelli – vecchie fabbricati, ora usati per la prostituzione – a dare via il mio corpo a vecchie signore vogliose.

Ma il peggio arrivava quando vedevo entrare dalle porte degli uomini che volevano fare sesso con me: le offerte che lanciavano erano troppo alte per poter essere rifiutate, così chiudevo gli occhi e gettavo via tutta la dignità che mi rimaneva, vendendo il mio corpo a degli omosessuali troppo codardi per ammettere di esserlo.

Tutto ciò era ormai la mia routine, non mi faceva più alcun effetto; solo alcune volte, prima di addormentarmi, chiudevo gli occhi e lasciavo che le lacrime scendessero giù come fiumi di solitudine, e mi dicevo che tutto sarebbe andato per il verso giusto.

Sapevo che nulla sarebbe cambiato, che la mia vita ormai era destinata ad essere lurida e che avrei sempre lottato come un disperato per accaparrarmi una pagnotta secca.

Lasciai che i miei piedi mi portassero nel posto di cui già sapevo l’identità e indossai la maschera di indifferenza che mi ero costruito con tanto rigore.

Aprii la porta cigolante e lasciai che il puzzo stantio mi entrasse fin dentro ai polmoni.

Benjamin, brutto figlia di buona donna, dove ti eri cacciato?!

Non appena udii il mio nome, mi voltai: Maxwell, il proprietario di quel bordello, nonché trafficante di prostitute, mi stava chiamando, cercando di attirare la mia attenzione con gesti esagerati.

Mi avvicinai a lui, senza lasciar trapelare alcuna emozione.

– Ti sta cercando quel tizio… – si soffermò gesticolando, evidentemente in cerca del nome della persona in questione – Quello con la grana che ha un debole per te!

Si stava riferendo a Paul, un uomo di mezza età che chiedeva sempre e solo di me; mi pagava anche relativamente bene, anche se più della metà del mio guadagno andava a Maxwell.

– Sì, ho capito di chi si tratta. – dissi solamente.

– Bene! Ah-ah! – esclamò, tirandomi una pacca sul sedere – E adesso vai da lui e mostragli cosa sei capace di prendere dentro a quel tuo culetto sodo.

Cercai di mantenere un’espressione apatica, nonostante il mio animo si stesse già contorcendo per quello che avrebbe dovuto sopportare di lì a poco. Gli invertiti erano i clienti che odiavo di più al mondo; pagavano bene, certo, ma era insopportabile farsi sodomizzare.

Forse ero troppo etero per poter sopportare tutto quello ancora per molto. Ma qual era la mia alternativa?

I pavimenti del bordello erano lerci come un letamaio e la polvere era diventata ormai una decorazione immancabile. I corridoi erano stracolmi di giovani donzelle in attesa di clienti o di essere accettate da qualche gigolò.

Passai davanti ad una giovane donna e notai che il suo vestito rosso, tutto sbiadito, una volta doveva esser stato incantevolmente elegante; ora, sopra ad un corpo visibilmente denutrito e maltrattato, era divenuto squallido come il resto del posto.

Ed eccola lì, la porta della stanza in cui ero solito eseguire i miei sporchi incarichi. Presi un grosso respiro e oltrepassai la soglia.

Paul se ne stava seduto sullo sporco materasso, con l’aria più ingenua del mondo e gli occhi di un piccolo cucciolo smarrito; era evidentemente una persona deviata e molta sola, per questo a volte mi faceva persino tenerezza.

– Ciao Ben, ti stavo aspettando.

Sospirai, ormai rassegnato al destino che avevo in serbo e cercai di far uscire un sorriso quantomeno decente.

– Allora, la mia tariffa è sempre la stessa, di quanto tempo hai bisogno?

Lui incrociò le gambe, con un movimento tipicamente femminile – Mezz’ora?

– Andata.

Così dicendo presi a levarmi i pantaloni, il frac e la camicia impregnata di sudore e sporcizia.

Notai che Paul stava facendo la stessa cosa, solo con una grazia degna della Vergine Maria.

La stanza si invase dell’odore del tipico maschio eccitato, ciò stava a significare che Paul era già più che pronto per il servizio; per quanto riguardava me, puzzavo solo di sporco.

Nello stesso istante in cui il mio cliente si stava avvicinando a me, con il viso di chi sa che sta per ottenere ciò che vuole, la porta della camera si spalancò.

Ciò che apparve di fronte cambiò per sempre – e in modo assolutamente profondo – il resto della mia vita.

Due guardie fecero il loro ingresso placcando Paul e tenendolo fermo, nonostante egli cercasse in tutti i modi di liberarsi, implorando pietà.

Il mio cuore ebbe un sussulto e per un attimo temetti che avesse smesso di battere, ormai stanco di quanto lo avevo già maltratto.

La polizia era penetrata nel bordello e, molto probabilmente, aveva già arrestato la metà dei poveracci che ci lavoravano, per non parlare di Maxwell, che avrebbe avuto più grane di tutti.

Ma i miei pensieri era proiettati su un unico, tormentante quesito: sarei andato in galera?

Si raccontavano macabre storie sui carceri dei sobborghi di Londra; un giorno una delle lavandaie che stavano tra la Camperdown Street e la Buckle, a Whitechapel, mi aveva raccontato di un vecchio lurido – con l’abitudine di farsi i ragazzini – che era stato arrestato e portato in una gattabuia, dove era rimasto per intere settimane, fino a che non gli avevano tagliato la testa.

Dannati francesi rivoluzionari e dannata la loro ghigliottina!

La mia vita faceva schifo, sì, ma non avevo ancora la fottutissima voglia di finire nell’altro mondo, ammesso che ci fosse.

Prima che potessi anche solo formulare un altro pensiero, una delle due guardie mi sferzò un pugno dritto sul naso; il dolore fu così forte che il mondo prese a sbiadire, mentre l’unica cosa che mi era chiara era il gusto metallico del sangue che mi scivolava sulle labbra.

Poi più nulla.

 

 

 

Londra, Ieri, 14 Ottobre 1839

 

 

 

 

Il puzzo incredibile ormai era diventato un odore familiare, un qualcosa che non mi dava nemmeno più fastidio. Distesi le braccia e stirai le gambe, cercando di sgranchirmi e di non fare arrugginire troppo le ossa.

I miei piedi erano diventati completamente neri, lerci a causa dell’acqua e del fango presenti su tutto il pavimento in pietra.

Dov’ero finito?

In carcere, ovviamente.

Ormai avevo perso la cognizione del tempo, ma dovevano essere passati almeno un paio di giorni, se non di più. Mi sembravano mesi, anzi, anni.

Mi ero svegliato direttamente dentro quella sudicia cella, dopo essere svenuto, con il naso gonfio e il sangue incrostato sul viso. La routine era sempre la stessa: ad una certa ora – a me ignota – mi portavano un piatto di brodaglia indefinita, un pezzo di pane secco e vecchio ed infine una scodella di acqua.

Mi trattavano proprio come l’ultimo scarto umano, la feccia ingombrante di Londra, una delle tante formiche che facevano parte di quella parte di popolazione – se così si poteva dire – consumata dai vizi, dall’oblio e dalla vergogna.

La fetta di Londra che la Regina Victoria stava cercando di cancellare con tutta sé stessa.

Mentre i miei pensieri vagheggiavano sulle possibilità di fuggire da quell’incubo, le sbarre vennero aperte ed emisero dei cigolii insopportabili; lo stesso uomo che ogni giorno mi sbatteva in faccia quell’orrendo pasto che osavano chiamare cibo mi stava ora di fronte.

Ero libero? Non dovevo farmi troppe illusioni, forse mi stavano portando alla forca.

– Alzati. Veloce.

Feci come diceva senza neanche provare minimamente a contestare. Le mie gambe si erano intorpidite, era troppo tempo che non facevo una passeggiata.

Non cercai nemmeno di domandare dove stessimo andando, avevo il terrore di scoprire la risposta. La guardia mi diede una spinta sulla schiena facendomi incespicare, ma per fortuna riuscii a tenermi in piedi.

– Voltati.

In mano teneva un bastone ed un lungo foulard nero, uno di quelli che spesso i miei clienti mi chiedevano di usare per dei giochi erotici piccanti, ma ero sicuro che l’utilità non era la medesima.

– Che cosa… – non riuscii a finire la frase che la guardia mi assestò una bastonata nell’incavo delle ginocchia; le mie gambe cedettero e io caddi a terra, piegato in due dal dolore.

– Non voglio sentire la tua lurida voce corrotta da Satana, verme schifoso.

Trattenni a stento le lacrime, ricacciandole dentro agli occhi. Per quanto la mia condizione fosse misera, mantenevo ancora un minimo di dignità, nel profondo del mio cuore.

A volte mi chiedevo che diavolo avessi fatto di male per meritarmi una vita come quella, ma la maggior parte delle volte ero troppo incasinato a salvarmi il culo per pormi certe domande esistenziali.

Mi bendò gli occhi e non opposi resistenza, ormai sfinito e senza speranze. Non avevo più neanche la minima voglia di sapere se stessi per morire, era troppo anche per me.

Avevo superato notti di gelido inverno nascosto sotto a tetti in legno marcito, vecchie donne e finti uomini eterosessuali che volevano il mio corpo; avevo sopportato la fame, la sete e la solitudine.

Ma come potevo affrontare la morte?

Sentii che mi avevano ammanettato e ora mi stavano trascinando a forza, in un posto di cui non conoscevo l’identità. Fino a quanto può sprofondare l’animo umano?

Ora stavo incespicando, cercando di tenermi in piedi, su delle scale che non vedevo, poiché la mia vista era oscurata dalla benda nera.

– Ora devi tenere la bocca chiusa, mi hai capito? – sibilò la voce della guardia.

Udii dei forti rumori, come se dei grossi portoni si stessero aprendo. Era assolutamente frustrante non poter vedere ciò che stava accadendo intorno a me.

Una nuova spinta. Questa volta caddi a terra rovinosamente, sbucciandomi un ginocchio.

Notai che il terreno non era in pietra fredda come la prigione, ma bensì era un pavimento liscio come non ne avevo mai toccati in tutta la mia vita.

Qualcuno prese ad armeggiare con la fascia che mi copriva gli occhi, fino a togliermela del tutto.

Ciò che vidi mi sconvolse, nel vero senso della parola.

Mi trovavo in una stanza immensa e lussureggiante; i pavimenti non solo erano lisci, ma in oro così splendente da essere incredibile. Tutte le pareti erano accuratamente decorate e sul soffitto si espandeva un maestoso affresco pittoresco.

Tutta la stanza era pervasa da un fresco odore primaverile e l’aria era dannatamente pura, se messa in confronto al puzzo del bordello o della prigione.

Quando volsi la testa davanti a me, mi trovai di fronte ad un immenso trono placcato in oro massiccio, su cui sedeva una donna estremamente regale e severa. Capii dove mi trovavo.

Buckingham Palace.

E quella seduta sul trono era la Regina Victoria in persona.

Sua Maestà la Regina di Inghilterra aveva una presenza assolutamente forte, ti metteva in soggezione come nessun altro –soprattutto se quest’altro indossava, come me, degli abiti squallidi.

La gente a Whitechapel la descriveva come una brutta strega puritana che castigava noi peccatori, solamente perché era invidiosa della nostra bellezza, cosa che lei non possedeva; ma ora che mi trovavo di fronte a lei, potevo constatare che non era brutta. Certo, non era la donna più bella che avessi mai visto, e aveva dei difetti – come ad esempio un naso un po’ troppo sporgente – ma il suo portamento cancellava ogni imperfezione, rendendola la donna più incantevole di tutta Inghilterra.

Indossava un ampio abito color verde smeraldo, che si apriva coprendo gran parte del trono; l’evidente scollatura valorizzava un seno prosperoso e un collo da cigno.

I capelli scuri erano raccolti accuratamente sopra la testa e alle orecchie portava due splendidi orecchini in smeraldo.

In quell’istante mi sentii ancora più squallido, sudicio e inutile: un vero parassita della società.

– E così voi dovete essere Sir Benjamin Fisher.

La sua voce tuonò come un fulmine in una notte silenziosa: non avevo mai sentito una tonalità vocale così solenne.

Tutto ciò la rendeva ancora più affascinante.

– Rispondile, idiota! – sussurrò la guardia, tirandomi un calcio.

– I-io… – presi a balbettare cercando di mettere insieme delle parole – Sì, Maestà. Sono io.

La donna prese a battere le mani sui braccioli del trono regale, cosa che mi fece salire ulteriormente l’ansia.

– Uhm. So che sei stato arrestato. Saresti così gentile da esplicarmi il motivo?

Quella sua falsa gentilezza era così inquietante, da renderle il viso simile ad una bambola di porcellana: splendida, intoccabile; l’unica differenza che tra le due era che la Regina era indistruttibile.

Cercai di rimettermi composto e trovare le parole giuste per dire ciò che era il mio mestiere.

– Vendo il mio corpo. A persone di ogni sesso e ogni età.

Certo, non ero stato proprio cauto nel parlare, anzi, avevo usato termini forti e incisivi; come al solito avevo sbagliato tutto.

Ma divagare non sarebbe servito niente, non c’erano modi carini per spiegare alla Regina d’Inghilterra che fossi un gigolò.

La Regina si alzò dal trono e, con aria maestosa, prese a scendere i piccoli gradini che la separavano da me. I suoi piccoli piedi si muovevano graziosamente ed era visibilmente limitata a causa dell’enorme vestito.

Prese a girarmi intorno e il mio fiato si smorzò come una fiammella che viene spenta da un soffio; non riuscivo a respirare, a capire come una donna poteva avere una simile autorità.

Era più potente di un tuono, di un vulcano, di una splendida fiammata estiva.

– Hai gettato via il tuo essere, la tua dignità. Hai dimenticato Dio, ma lui non si è dimenticato di te. Di grazia, io ti lascerò vivere, perché tu possa purificare la tua anima.

Il mio cuore prese a palpitare ad una velocità spropositata, come se stesse cercando di raggiungere un treno; quel treno che tante volte si era lasciato sfuggire, rimanendo sotto a guardare.

Non dovevo più restare sulla panchina guardando le rotaie: dovevo vivere.

Mi tirai su da terra, e presi a camminare, senza dare le spalle alla Regina, per uscire da quel dannatissimo castello pieno di sfarzo ed ipocrisia.

– Io credo che tu abbia frainteso. Non sei libero di tornare alla tua vita di vizi. D’ora in poi sarai il mio sguattero.

Le parole arrivarono così secche che dovetti sbattere le palpebre un paio di volte prima di rendermi conto del significato della frase che la Regina aveva pronunciato.

Quello fu l’inizio della mia rovina.

 

 

 

Londra, Ieri, 16 Novembre 1839

 

 

Le mie ginocchia era scorticate e sbucciate a forze di subire tutto il peso in loro appoggio, e i talloni erano pieni di vesciche. I pavimenti del lindo Buckingham Palace erano luccicanti grazie al sottoscritto, che si stava ammazzando di lavoro dal giorno in cui la Regina Victoria aveva emesso la sua sentenza. Cominciavo ad apprezzare l’alternativa della forca.

– Ben! – vidi sgusciare da una delle grandi porte placcate in oro Melinda, un’anziana serva cicciottella, responsabile di tutti gli inservienti; Lady Melinda mi aveva accudito e insegnato il lavoro che dovevo fare, mettendomi in guardia sui pericoli, le persone e i luoghi da evitare. Si era comportata da splendida guida e mi aveva anche consolato nelle notti più buie, quando tutto sembrava crollarmi addosso.

Mi alzai dal pavimento, dolendo per il male alle gambe, e mi asciugai il sudore dalla fronte.

La signora mi venne incontro saltellando in un modo che mi fece pensare che le avessero appena dato una buona novella.

– Benjamin! – pronunciò nuovamente il mio nome, sorridendo – Benjamin, mio caro! Devi muoverti, su, su! Via tutti questi secchi sporchi, va’ a portarli in cucinotto!

Cercai di comprendere cosa Melinda stesse dicendo, ma ogni singola parola mi sembrava un piccolo arcano da risolvere. Cosa diavolo era tutta quella fretta?

– Lady Melinda, a cosa è dovuta tutta questa fretta?

Mi fece un impaziente cenno con la mano, invitandomi a seguirla, per poi prendere a sgambettare come un grasso e goffo insetto con le gambe sproporzionate rispetto al corpo.

Ormai conscio del fatto che non mi avrebbe spiegato nulla se non l’avessi seguita, raccattai i miei attrezzi da lavoro e la raggiunsi facendo cadere un poco d’acqua dal secchio.

Prese a districarsi tra gli immensi corridoi del palazzo, che lo rendevano simile ad uno di quei labirinti che si leggevano nei racconti di paura.

Era strambo vedere Melinda così ansiosa, di solito non si lasciava mai prendere dall’enfasi, anche quando, dopo che tutte le luci dell’edificio si spegnevano, noi servitori ci lasciavamo andare ai piaceri della carne; probabilmente quell’affare doveva essere davvero molto importante.

Ci fermammo esattamente all’inizio delle grosse scale in oro laccato che portavano nelle stanze da letto regali, dove noi schiavi non potevamo inoltrarci, se non sotto specifica richiesta della Regina.

– Che ci facciamo qua, Melinda? Se quella strega di Mrs. Catherine vede che non siamo al lavoro, potrebbe farci torturare!

L’ansia iniziò ad impadronirsi del mio corpo: ero già stato torturato una volta da quando mi trovavo a palazzo e non era stato per niente piacevole.

– Sssht! – farfugliò Melinda, portandosi un dito sulle labbra.

Poi vidi scendere dalle scale una giovane e graziosa fanciulla; portava i capelli legati in una crocchia e indossava la tipica divisa da cameriera: doveva far parte della servitù “Alta” (come la definivamo noi sguatteri), ovvero quella parte di camerieri che lavoravano direttamente sotto ordine della Regina stessa.

Era una bella giovane, sicuramente pura e casta, dato che era cresciuta sotto le severe regole di sua Maestà Victoria, famosa per le sue restrizioni a livello sessuale.

Si posizionò davanti a noi – Siete Voi Mrs. Melinda?

– Sì. – rispose prontamente la mia amica.

Dovevo essermi perso qualcosa di importante; perché Mel non me ne aveva parlato? Adesso apparivo spiazzato e confuso, cosa che non aiutava la mia già malridotta dignità.

– Voi dovete essere Sir Benjamin…

Come faceva a conoscere il mio nome?

– La Regina ha chiesto esplicitamente di Voi, vi vuole nei suoi alloggi. – riprese a parlare, spiegando il motivo di quello strano incontro.

E così la Regina mi voleva con lei, per quale ignoto motivo? Forse aveva bisogno di un bravo servo per prepararle la tisana delle cinque, o ancor meglio per darle dei consigli riguardanti l’abbigliamento; tutto ciò aveva senso se il diretto interessato non fossi stato io.

Perché voleva me?

Ero soltanto un fuorilegge che era finito in carcere e aveva approfittato della generosità di Sua Grazia la Regina; non ero un esperto in abiti o in che cos’altro.

– Seguitemi. Prima di portarvi da Sua Maestà dovrò farvi fare una sosta nei bagni. –i suoi occhi i squadrarono con fare accusatorio – Dovrete darvi una bella lavata, siete improponibile.

Non mi ero mai sentito così inadeguato e imbarazzato in tutta la mia vita; avevo perso il conto dei giorni che mi distanziavano dall’ultima volta che avevo usato un poco di sapone.

La cameriera si voltò e prese a salire le scale con fare frettoloso e organizzato. Chissà cosa voleva la Regina da me.

L’avrei scoperto molto presto.

 

 

 

La cameriera si fermò davanti ad una grande porta in legno massiccio; la serratura era in incantevole ottone, metallo che avevo sempre amato.

Mi girai verso la fanciulla con aria interrogativa e ansiosa, in tutta risposta lei mi annuì.

Ero dinanzi alla stanza da letto della Regina Victoria in persona, che mi desiderava; era cambiato così tanto nella mia vita in così poco tempo, che ancora stentavo a credere alla realtà.

Bussai alla porta, come uno sciocco, un perfetto idiota che non sa come comportarsi in certe situazione, abituato al degrado sociale.

– Entrate. – proferì la voce imperiosa della Regina, dall’interno della stanza.

Cercai di farmi coraggio, dicendomi che avevo superato notti al gelo invernale e sudici uomini che penetravano il mio corpo e non potevo non affrontare una donna, per quanto ella potesse essere potente e degna di timore.

Aprii la pesante maniglia e entrai con lentezza nell’enorme sala: il soffitto era completamente decorato con splendidi affreschi notturni, che rappresentavano miti greci e leggende storiche; le pareti erano interamente in splendida moquette color verde scuro, e donavano alla stanza un’aria assolutamente elegante e accogliente. Anche il letto a baldacchino, che troneggiava al centro della stanza, aveva un aspetto comodo e caldo, come non ne avevo mai visto prima: avrei tanto voluto potermi coricare e addormentarmi su quello splendido materasso.

Sua Maestà mi dava le spalle, intenta a scrutare il paesaggio dalla finestra; potevo notare che indossava uno splendido abito color mogano, che si apriva in una grande campana, rendendola estremamente elegante e femminile.

I suoi capelli erano legati in un’acconciatura complicata, che probabilmente richiedeva ore di tempo.

– Mi avete chiamato, Mia Signora? – chiesi, trattenendo il balbettio che spingeva per fuoriuscire.

La donna si girò finalmente verso di me, rendendomi possibile vedere il suo viso severo ed esageratamente truccato. Ancora una volta mi accorsi che non era bella, ma affascinante.

Prese a girarmi intorno come un leone fa con le sue prede, con fare scrutatore e felino che non mi rendeva facile rilassarmi. Quella signora mi metteva inquietudine.

– Sì, vi ho chiamato. – sibilò ora, come un serpente in posizione di attacco.

– Posso sapere per quale motivo? – domandai, sempre più impaurito; come si poteva non tremare di fronte alla manifestazione di tale potenza e regalità?

Sono venuta a conoscenza del fatto che eravate uno dei puttani più richiesti, a Whitechapel. disse quasi sputando la parola “puttano”, che non sembrava neanche rientrare in un vocabolario.

Dove voleva arrivare?

Non è così, Sir Benjamin Fisher? disse stringendo i denti, per poi abbandonarsi ad una sincera risata.

I brividi mi corsero sulla schiena, rendendomi impossibile prendere coscienza della situazione. Stava giocando con la sua preda?

Sì, avevo i miei clienti abituali. E non si sono mai lamentati delle mie prestazioni. ammisi, quasi arrossendo per la vergogna di ciò che avevo sempre fatto.

Ma la Regina non sembrava sconvolta o indignata, anzi, sul suo viso severo apparve un sorriso compiaciuto, come se fosse ciò che voleva sentirsi dire.

Sentii il suo corpo arrivare dietro al mio e il suo addome appiccicarsi alla mia schiena, così vicino che riuscivo a sentire il suo seno spingere sulla mia pelle.

Ora, i miei pensieri erano sempre più confusi, e la vicinanza con un corpo snello e desiderabile come quello della Regina, mi rendeva impossibile pensare razionalmente.

Quali diavolo erano le sue intenzioni?

Con uno scatto felino mi girò verso di lei e premette le sue morbide labbra sulle mie, togliendomi il fiato.

All’inizio non risposi al bacio, poiché troppo sconvolto da ciò che era appena accaduto; ma poi mi accorsi che Sua Maestà mi stava accarezzando tutto il corpo, con movimenti dolci e nello stesso tempo pieni di passione. Risvegliò i miei desideri, repressi ormai da quando avevo iniziato a prostituirmi.

Insinuai la lingua nella sua bocca, che si aprì a me come se fosse l’unica cosa per cui era stata generata; presi ad esplorare ogni centimetro di quello spazio, fino a che non rimase neanche un posto in cui non ero stato.

Sentii che con le mani, la Regina, aveva preso a sbottonarmi la squallida camicia da servo, con una frenesia degna di una donna lussuriosa, non della nobile signora che avevo conosciuto. 

Mi resi conto che quella governatrice che aveva sempre posto restrizioni nel campo sessuale, ora stava esplodendo di passione per il sottoscritto, riducendo così tutte le sue leggi in un semplice cumulo di polvere.

Sentii il suo affannato respiro sulla mia spalla, mentre con maestria affondava una mano nei miei pantaloni, facendomi sfuggire un gemito di piacere quando sfiorò il mio membro.

Avevo voglia di farlo da quando ti sei presentato, ammanettato e sudato, nel mio palazzo. ansimò sulla mia pelle, strappandomi un gemito erotico.

Appoggiai le mani sul suo sedere sodo, e la sollevai mettendomela a cavalcioni; la posai sul letto senza tener cura della grazia, che aveva lasciato posto all’istinto animalesco.

Non potevo più aspettare: dovevo avere la Regina Victoria, o sarei impazzito.

Anche se mi sembrava di essere già completamente pazzo; forse mi sarei svegliato nello scantinato dei servi e mi sarei reso conto che era stato tutto un appassionato sogno.

Accantonai quei fastidiosi pensieri, abbandonandomi all’oblio del sesso.

 

 

Londra, Ieri, 3 Febbraio 1940

 

 

 

Mi misi a sedere sul letto con fare sicuro, e presi ad abbottonarmi le maniche della sudicia camicia da inserviente. Tra pochi minuti sarebbe iniziato il mio servizio e se non mi fossi presentato, Lady Melinda mi avrebbe assicurato un trattamento a base di scopa sugli stinchi.

Sentii le coperte muoversi sotto di me e il letto cigolare; pochi attimi dopo una mano mi stava accarezzando la schiena, facendomi sfuggire un sorriso di piacevolezza.

– Te ne vai già, mio caro?

La voce della Regina Victoria era desiderosa e sensuale, come se quel giorno non il sesso non fosse mai abbastanza.

Ormai erano mesi che mi insinuavo quotidianamente nel letto di Sua Maestà, che non sembrava mai stancarsi di me. In tutto questo tempo avevo scoperto che era sì una donna severa, ma anche un’eccellente amante e una donna piacevole; probabilmente erano in pochi ad aver conosciuto questo suo lato del carattere; non osavo domandarglielo: dopotutto era sempre la mia sovrana, eseguivo solo i suoi voleri.

Ma il sesso con Victoria era paradisiaco; riusciva a farmi raggiungere l’orgasmo come nessun’altra donna era mai riuscita e, nonostante fosse chiaro il fatto che mi usava per il suo puro piacere, la cosa non mi dispiaceva affatto.

– Devo presentarmi per il servizio, mia Regina.

La vidi sogghignare – Sono io che decido. Se non ti presentassi al servizio perché l’ho deciso io, nessuno potrebbe proferire parola, altrimenti gli farei tagliare la gola.

Avevo capito ormai da tempo che la Regina era estremamente consapevole della sua potenza, tant’è che si trovava spesso ad abusare della sua autorità.

I suoi curati ricci erano slegati e le cadevano sulle spalle come mille splendide onde scure.

Con il tempo il mio legame con lei si era rafforzato e avevo imparato a conoscerla e a rispettarla per la donna autoritaria che era; ma avevo anche scoperto la sua bellezza.

Perché Victoria era bella, ma come quelle donne che si notano al primo impatto. Era una di quelle che tengono il loro fascino nascosto come un piccolo fiore, che quando sboccia è il più splendido di tutti.

– Oggi ho un incontro ufficiale con Sir Alberto. – mi sussurrò mentre si strusciava su di me come un piccolo gatto in calore.

Alberto di Sassonia era il promesso sposo della Regina e si sarebbero uniti in matrimonio il seguente 10 febbraio, ma questo non era un intralcio per noi; se avessimo continuato a fare le cose con discrezione e sotto segreto, nessuno lo avrebbe mai scoperto, e noi due avremmo potuto beneficiare della rispettiva compagnia.

Mi abbandonai alle dolci carezze della Regina, che stava toccando le parti del mio corpo che erano più sensibili alla sua pelle.

Accantonai l’idea di andarmene e di oppormi alla volontà di Victoria e lasciai andare all’indietro la testa, sulla spalla della donna, scosso dal piacere.

Con mani esperte, Sua Maestà prese a svestirmi nuovamente e mi fece sdraiare sul letto, sotto di lei. Ormai non avevo più alcuna intenzione di uscire dalla stanza.

Nessuna donna era mai riuscita a farmi arrivare all’apice del piacere.

Nessuna donna tranne Victoria.

Era capace di farmi letteralmente impazzire dalla soddisfazione e io continuavo a chiedermi quale fosse il suo segreto e come facesse ad essere così abile nell’arte del sesso.

Mentre si posizionava sopra di me, potei ammirare il suo splendido corpo; aveva una pelle candida che mi ricordava la neve invernale, dolce e morbida.

Nello stesso istante in cui sentii che mi stava prendendo dentro di sé, la porta della camera venne spalancata.

Mi sembrò quasi che il mio cuore smise di battere, a causa dello spavento; non riuscivo a controllare il respiro, e lo stupore di essere stato interrotto nell’atto di fare sesso con la Regina era impareggiabile.

Victoria si coprì con il lenzuolo latteo e cercò di darsi una parvenza di decenza; sul suo viso potevo vedere l’espressione che mai avrei pensato di osservare: il terrore.

La potente Regina Victoria di Inghilterra era terrorizzata.

E la causa della sua paura era un piccolo uomo che se ne stava sulla soglia della porta con una maschera di sgomento in volto. Chiunque fosse quell’ometto, doveva essere sicuramente qualcuno di importante, perché Sua Maestà si vergognava di essere stata colta sul fatto da lui, mentre quando era accaduto con la cameriera le aveva solo intimato di tacere, se avesse voluto conservare la sua testa.

– Questa è la vostra fine, Mia Regina. – sussurrò l’uomo, sfoderando un ghigno soddisfatto.

Non doveva essere un sostenitore di Sua Maestà.

Guardai ancora il viso di quell’uomo e mi resi conto che dietro all’armatura di galanteria e nobiltà si nascondeva la cattiveria in persona.

Quello era un essere maligno, lo si poteva notare dai suoi occhi, colmi di perfidia.

In quel preciso istante mi resi conto che avevo appena segnato la fine della mia vita.

 

 

 

# Londra, Oggi, 4 Febbraio 1840

 

 

Scuoto la mia mente e scaccio via quei brutti ricordi, rendendomi conto che ormai non ha più senso rimuginare nel passato.

La fine è prossima e io devo affrontarla.

Davanti a me sta il Barone Schrőder di Prussia, ossia l’uomo che ha colto sul fatto la Regina Victoria e il sottoscritto; dopo quel pomeriggio in camera da letto, come previsto, il Barone ci ha reso la vita un inferno, minacciandoci al resto del Consiglio.

Hanno deciso che Sua Maestà deve continuare a regnare, e che l’accaduto debba essere seppellito nella terra, così che nessuno possa mai venirlo a scoprire; soprattutto il promesso sposo della Regina, Alberto di Sassonia, che deve credere che Sua Maestà sia vergine.

Quale scandalo avverrebbe se si scoprisse che Victoria d’Inghilterra andava a letto con un servo, per lo più che si prostituiva.

Chissà come sarà la morte. Dolorosa?

Spero di no, in fondo ho già sofferto abbastanza durante la vita; se dovessi andare all’Inferno, mi rallegro dal fatto che sono abituato all’essere maltrattato: non dovrebbe essere un gran trauma.

Giusto, quasi dimenticavo: la Corte ha deciso che io devo essere giustiziato, in modo da essere certi che non andrò mai a spifferare questa brutta vicenda a qualcuno.

Noi poveri popolani ci rimettiamo sempre e comunque, è la triste verità della vita.

Chissà se le cose prima o poi cambieranno. Suppongo di no.

Non sento più nulla, ho smesso anche di reagire nei confronti della paura; nulla mi tocca.

Che strana cosa, mi stanno per giustiziare davanti ad alcuni eletti che sono consapevoli del fatto; non sarà un processo da piazza, ma mi taglieranno la testa qui a Buckingham Palace.

Almeno morirò nel lusso.

Mi lascio afferrare dal boia. Ho smesso di porre resistenza il giorno prima, quando mi hanno tolto le unghie dei piedi con le pinze.

Vedo ma non vedo; ogni cosa è opaca e insipida, e mi rendo conto di quanto sia falsa la vita di corte, di quanto siano finti tutti quei nobili impacchettati nei loro bei vestiti.

Sono ridicoli.

Sono vuoti.

Mi mettono in ginocchio e mi appoggiano la testa sopra ad un grosso rialzo in legno marcio, come quelli che si usavano nel Medioevo.

Devo essere proprio un verme viscido per loro, mi dico mentre chiudo gli occhi.

La mia mente mi riporta all’immagine della giovane figlia di Anja, una prostituta, che veniva spesso al bordello ad attendere che la madre finisse il suo squallido mestiere; quella dolce bambina dai capelli ambrati intonava spesso una malinconica canzone, probabilmente nella sua lingua d’origine, il russo. Ora, quella melodia rimbomba nella mia mente come l’accompagnamento del finale della mia vita.

Come un libro da quattro soldi, che verrà comprato dai popolani al mercatino delle pulci, se mai dovessero saper leggere.

È questo ciò a cui penso, quando vedo l’accetta abbassarsi sulla mia testa.

È arrivata l’ora, è la mia fine.

Non era così che avevo immaginato la mia morte.

 

 

 

 

Fine

   
 
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