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Autore: ElePads    23/04/2012    5 recensioni
A volte, diceva Bella, il dolore fa bene.
A volte, rispondeva Rodolphus, è vero.
Questa storia partecipa al "Una canzone a sorpresa - contest" indetto da Alektos su WAR
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Rodolphus/Bellatrix
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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#Spazio autrice:
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di JK Rowling che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in ‘Harry Potter’, appartengono solo a me. 
Credits: 'Whoever brings the night'- Nightwish
Note dell'Autore: 
Inizio con il complimentarmi con Alektos per l'originalità del contest: mi hai davvero conquistata. 
Ma ti ho anche lanciato qualche imprecazione, lo ammetto: amo i Nightwish ma, dannazione, che testo difficile! 
Per questo mi scuso in anticipo, non so se sono riuscita a centrare bene il senso della canzone (che adoro), inserita all'interno della storia insieme al testo. Purtroppo questa meraviglia di canzone riconduce a un solo personaggio: Bellatrix. E io ODIO Bellatrix. Quindi, anche se scritta in 3° persona, la storia parla principalmente dei pensieri di Rodolphus.
La storia è ambientata dopo l'uccisione di Sirius da parte di Bellatrix, durante una cena tra Rodolphus e Bellatrix a Villa Malfoy.
Un appunto: in un certo momento Rodolphus si riferisce a Sirius chiamandolo per nome, sebbene non siano amici. Presumo però che avendo sposato sua cugina abbia passato del tempo insieme a lui, e che si conoscano, se non intimamente. Inoltre secondo me Sirius non si può considerare un Black.
Voldemort è chiamato "Lui" con la maiuscola, spero si capisca.
I pensieri di Rodolphus sono segnati tra queste " " virgolette, i dialoghi tra queste « »
Il titolo completo sarebbe "Anche se dovessi uccidermi io ti amerò", ma anche se dovessi uccidermi da solo mi piaceva di più, così...
Detto questo, buona lettura!
 

 



«Vuoi un po’ di vino?»

Lei muove appena il capo, infastidita, assente. Forse è presente altrove.
Sembra che gli occhi le si illuminino, che le sue membra fremano, solo quando Lo sfiora, od è soltanto vicino a Lui.
Rodolphus le versa il vino nel calice.
Quanti gesti sprecati, quanto amore che non c’è più.
Bellatrix porta il calice alle labbra.
Lui ha sempre amato quelle labbra rosse da far impazzire, carnose che ci si può affondare dentro.
La purezza del cristallo stona con quelle labbra da puttana, ma quando mai Bella si è fermata davanti a qualcosa di sbagliato?
Il rossetto  macchia il calice.
Rodolphus contempla quell’impronta scura per un po’.
Era tutto così bello, perché lei ha rovinato quella perfezione con il suo rosso malato?
Rosso sangue, come la maschera di passione che una volta portavano. E che ora era annegata, dispersa in mare.
Rosso sangue, come l’amore che una volta c’era fra loro.
Una volta.

A volte, diceva Bella, il mare era troppo anche per Rodolphus.
Lui l’aveva sempre amato, il mare. Lei lo prendeva in giro e gli diceva che il blu era un colore da deboli.
Bella era fissata, con i colori.
E lei era rossa, come la violenza. Rossa come la sua folle passione. Come quella passione che non era per lui.

Ad Azkaban erano cambiati tutti e due, a causa delle loro passioni.
Lei si era rinchiusa ancora di più nella violenza, e lui aveva smesso di amare il mare.
E ora quel mare se lo sentiva addosso, non riusciva a cancellare quell’odore di salsedine malata, malata come la mente di Bella, perché era brutto da dire, ma Bella era pazza. Lo vedevano tutti, che lo era, stavano attenti a non farla infuriare, la trattavano con reverenza, e poi alle sue spalle dicevano che era matta da legare, malata come Rodolphus, che nonostante tutto stava con lei, un marinaio imbarcatosi per caso.
Solo malattia e follia.
Rodolphus aveva pensato di impazzire anche lui, ad Azkaban.
Per i Dissennatori, certo, ma c’erano anche i sussurri e le grida di Bellatrix dalla cella accanto.
Notti passate ad ascoltare le sue invocazioni attraverso i muri.

«Mio signore, Mio Signore!»

Notti passate a sperare che chiamasse lui.

A volte Rodolphus pensava che lui e Bella fossero due navi che una notte si erano incrociate.
E che avevano continuato a navigare per rotte diverse.


«Dovremmo uscire.»
Bella rompe il silenzio. Rodolphus la guarda negli occhi. Uscire, per Bella, è uscire per uccidere.
«Ma hai ucciso Sirius.»
 Un lampo di trionfo misto a delusione le passa negli occhi.
 «Sì. Non come avrei voluto, ma sì.»
«E come avresti voluto?»
 Bella lo guarda come si guarda un mentecatto.
 «Lo avrei voluto vedere contorcersi a terra. Avrei voluto sentirlo supplicare. Avrei voluto vedere le lacrime rigargli il volto e la vita lasciare i suoi occhi.»

A volte, diceva Bellatrix, mi piacerebbe ascoltare solo urla.
A volte, pensava Rodolphus, mi piacerebbe sentire le tue, di urla.

Bella provava sempre un piacere particolare, sadico e sottile, nel sentire gridare aiuto.
Quando dovevano andare ad uccidere, lei sceglieva il suo vestito migliore.
Amava il sangue, Bella.
Le piaceva, finito un omicidio, intingere le mani nel sangue della sua vittima.
«Per purificarlo» ,diceva.
Rodolphus si girava dall'altra parte, nauseato.
Bella non se ne accorgeva mai, presa dalla follia e dall'ebbrezza del delitto.
La volta che aveva visto che lui non guardava, lo aveva afferrato con le mani ancora sporche

«Guarda.»,gli aveva detto. «Guarda, il loro sangue sporco. Guarda come è diverso dal nostro.»
Aveva fatto due tagli identici sui loro avambracci.
Ma Rodolphus se ne era reso conto da tempo che il loro sangue era migliore.
«Non è necessario.», le aveva risposto, in fretta. «Lo so benissimo.»
«No, non la sai. Guarda.»

E lui aveva guardato.
Arrivato a casa, aveva gli occhi pieni di orrore. Aveva vomitato mentre Bella lo guardava sprezzante.
«Sei debole. Frangibile.»
 Aveva buttato via  il mantello che indossava quella sera. E insieme ad esso, aveva buttato parte del loro amore.
 
Bella lo riscuote dai suoi pensieri.
«Ancora non capisci, vero?»
«No. Non capisco perché dobbiamo renderci bestie per una causa così nobile.»
Ghigna, Bella, beffarda.
«Non capirai mai. Noi lo facciamo per Lui.»
Rodolphus serra i pugni sotto il tavolo e stringe i denti. In questo momento desidera solo ferirla.
«Come va, con Lui?»
Lei lo fissa, sprezzante.
«Come vuoi che vada?»
 
Rodolphus fa un movimento brusco, butta il tovagliolo per terra, si china per raccoglierlo.
Bellatrix pensa che una persona che si china per un tovagliolo è un debole, uno capace di piegarsi a tutto.
Lui resta con la testa abbassata per un po’, un respiro profondo dopo l’altro.
La prima volta che avevano litigato, lei gli aveva sputato addosso e aveva cercato di lanciargli la Cruciatus.
Rodolphus le aveva bloccato i polsi e l’aveva disarmata in tempo.
Con il passare del tempo, si erano talmente abituati ad urlarsi addosso da evitare quelle inutili scenate.
Talmente abituati che a volte non si ricordavano neanche più per che cosa si erano infuriati.

Ora che Lo ha deluso per la prima volta, ecco che sembra che per lei il mondo sia solo languore d’inverno, che ci sia solo un colore, che si viva tra rami bagnati di pioggia.
Lei la sua vita la vorrebbe rossa. Sempre rossa. Rossa di violenza. Rossa di follia. Rossa di sangue.

A volte Rodolphus vorrebbe solo alzarsi in piedi e schiaffeggiarla.
“Chi sei? Perché devo amare tutto, di te? I tuoi odori più intimi e il resto.
La piega beffarda delle tue labbra rosse.
I pozzi che hai al posto degli occhi, le vene blu suoi tuoi polsi. Il tuo viso crudele davanti al mio.”

A volte, diceva Bella, il dolore fa bene.
A volte, rispondeva Rodolphus, è vero.

Quando si svegliavano che sapevano di sesso, dopo aver riempito il buio con l’estasi ed il dolore.
Quando Rodolphus si alzava e la guardava nuda tra le lenzuola bianche, come fosse una farfalla in una teca di vetro. Ma la teca di vetro non c’era, e Bella non era una farfalla dalle ali delicate.
Rodolphus pensava che entrare nel letto di lei era per quelli che portavano la notte.
Perché lei era la notte, e con lei voleva solo l’oscurità.
Solo quelli che si portavano il dolore, la notte, la follia dentro erano abbastanza forti da starle vicino.
Quelli che si portavano dentro tutto, di lei. Lei era il terrore, lei era la sofferenza.
Vicino a lei potevano stare solo quelli che amavano anche i graffi che Bella lasciava sulla schiena.

“Se tutto, al mondo, fa male, perché non dovresti farmene anche tu? Ormai l’ho capito, che ami così, con il dolore. Passamelo, il tuo dolore, passamelo per la schiena, regalamelo nel sangue delle nostre labbra quando si mordono. Regalami tutto, di te, anche il tuo disprezzo.
Disseccami, fai a pezzettini la mia carne con un’ascia, una grossa, affilata, non risparmiarmi, spezzami anche le ossa. Voglio che mi frantumi contro il muro saziandomi con i tuoi baci. Ho voglia della tua saliva che sa di pericolo. Voglio che mi danni per sempre.”

Ma poi, guardando le mani di lei, il sangue rappreso nelle sue unghie gli faceva salire la nausea.
Come in questo momento.

«Bella, tornerà tutto come prima.»
 «No.»
 «Si invece.»
 «No.»
«Basta che Gli regali ancora le tue urla.»

Non avrebbe dovuto dirlo. Rodolphus sbatte le palpebre velocemente, alla ricerca di una scusa.
Di un appiglio.
Ma non ci sono scuse che valgano, per i predatori, per quella bellezza che sa di marcio.

«Basta che Gli regali ancora le tue urla.»

Lei lo guarda, impassibile. Il calice è ancora quasi pieno. Passa un polpastrello sul bordo del bicchiere.
Lo solleva come per studiarlo.
Uno scatto, e la camicia di Rodolphus è rossa di vino.
Bella pensa che così, forse, potrebbe anche amarlo.
Rosso.
Ma Rodolphus sarà sempre rosso vino, non rosso sangue.

A volte, diceva Rodolphus, vorrei che morissi.
A volte, rispondeva Bella, penso che tu non ti meriti neanche la morte, né mia né tua.
E Rodolphus ora vorrebbe che morisse. E vuole essere lui ad ucciderla.
Ad annegarla in quel rosso che ama tanto.
“Dov’è finita tutta la nostra passione?”


Bella si alza e lo fissa con disprezzo.
«Non ho mai regalato le mie urla a nessuno.»
Si avvicina a lui e gli morde il labbro inferiore con violenza.
Sangue sulle labbra di lui, sangue su quelle di lei.
 «Anche il tuo sangue puro mi disgusta.»
Lui rimane fermo. Lei gli prende la mano e ci conficca le unghie dentro.
«Non ho mai regalato le mie urla a nessuno,amore

Rodolphus guarda quel corpo malato, un tempo così seducente, allontanarsi.
Paradossale, tanto dolore solo durante una cena mai iniziata.
Sente il cuore che gli agonizza in petto.
“La nostra passione non è sparita. Non c’è mai stata.”

Amplessi come cerotti, ‘ti amo ’ come bugie.
Passa anche lui il polpastrello sul calice di Bella.
Un’unica goccia di sangue sporca il cristallo.

C’è chi è nato per domare il dolore, e c’è chi è nato per esserne schiavizzato.

E Rodolphus di sicuro non appartiene alla prima categoria.
   
 
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