C’era stato un tempo in cui ci eravamo sentiti davvero uniti, appartenenti a un’unica stirpe e forti sotto la nostra bandiera. Quel tempo era ormai concluso e per quanto potessimo fingere che non fosse così, la spaccatura fra noi era insanabile, uno strapiombo che se avessimo provato ad attraversare ci avrebbe inghiottiti nelle sue profondità.
Se avessimo dovuto descrivere il nostro Paese avremmo detto senza speranze. Abbastanza piccolo da non attirare l’attenzione del resto del mondo in modo tale da impedire al governo di tiranneggiare i cittadini indisturbato, ma abbastanza grande da divenire il bersaglio preferito di due capi di stato stranieri particolarmente avversi alle palle al piede.
La nostra coscienza non ci permetteva di ingrandirci invadendo lo spazio di altri, per cui credevamo che saremmo rimasti in quella situazione per sempre, andando ogni giorno più a fondo, senza che qualcuno si accorgesse delle nostre vite spezzate, del nostro tirare avanti con il cupo ricordo della stabilità che le nuove generazioni non avrebbero avuto mai.
Forse fu quello il motivo che spinse molti di noi a lasciare il nostro Paese per raggiungere piccoli angoli di paradiso in cui non dovessimo sempre stare a pensare ai conflitti interni che ci dilaniavano. Ma altri di noi rimasero, e questa è la nostra storia.