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Autore: marmelade    24/04/2012    6 recensioni
E’ assurdo pensare come gli avvenimenti tristi si ricordino più in fretta di quelli positivi e felici.
Forse perché hanno un impatto maggiore dentro di noi, che ci spezza pian piano e ci disintegra lentamente, fino a farci diventare polvere
[...]
Trovavo in lui tutto quello che mi era mancato in tutto quel tempo che ero rimasta sola.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                                                                                                      Ad Agnese, 
                                                                                                                                                                                                                                                   che voleva che io riprendessi a scrivere.







Quando ero piccola ed ero triste mi dicevano sempre “Fai una giravolta, vedrai che passa tutto!”.
Allora io seguivo il loro consiglio, ne facevo una, e subito mi sentivo meglio.
Ed ogni volta, era sempre così.
Ogni volta che mi sentivo triste non lo dicevo a nessuno e non lo lasciavo intravedere nei miei occhi, mi limitavo a fare una giravolta sul posto, e il mio broncio si trasformava in un sorriso.
Quelle giravolte sapevano cambiarmi l’umore in un secondo, travolgendolo e trasformandolo in serenità interiore.
E allora ero felice.
Mi sentivo forte, perché ero riuscita a sconfiggere la tristezza con una piccola, semplice mossa.
Sentivo di poter conquistare il mondo e qualsiasi cosa volessi.
Ma una giravolta non può conquistare il ragazzo che ami, e che per lui sei totalmente invisibile.
Il problema è che non credevo di potermi innamorare di lui.
Lui, che ogni volta che passa in quei corridoi di quella maledetta scuola, ti travolge con la sua risata, facendoti cambiare umore in un secondo. Come una giravolta.
Si, lui è come se fosse la mia giravolta interiore e personale.
Ogni volta che passa, che mi rivolge un semplice sguardo con quei suoi occhi maledettamente verdi, riesce a travolgermi e a provocarmi emozioni che non so nemmeno spiegare a me stessa.
Lo guardo senza dire una parola, dietro un ciuffo ribelle colorato di rosso, nonostante mia madre non abbia voluto.
Sono tante le cose che mia madre non ha voluto farmi fare, ma che io ho fatto lo stesso.
Le ho chiesto di tingermi i capelli di blu, poi di viola prugna, e infine rosso mogano, ma lei non ha mai voluto e non ha mai accettato la mia totale stravaganza.
Le ho chiesto se potevo farmi quattro buchi alle rispettive orecchie, e lei ha detto di no.
Le ho chiesto se potevo essere diversa, ma lei non ha mai accettato.
Le ho chiesto se potevo innamorarmi di lui, ma lei non ha mai fiatato.
Ed ecco perché ho fatto tutto quello che lei non voleva.
Ho tinto i capelli di un rosso mogano e li ho tagliati corti, per mettere in risalto il mio viso.
Ho fatto quattro buchi alle rispettive orecchie.
Ho iniziato a differenziarmi da quella massa di pecore della mia città, assumendo la nominata di “ragazza più stramba che abbia mai incontrato in vita mia”.
E mi sono innamorata di lui.
Non ho potuto farci niente, forse non so nemmeno come sia potuto accadere.
Fatto sta che l’ho fatto.
Ma non l’ho mai detto a mia madre.
L’ho notato così, in una giornata buia d’inverno, quando le nuvole proprio non vogliono sparire dal cielo per lasciarlo limpido e far uscire il sole.
Il vento era di un freddo pungente che mi penetrava nell’anima, quasi come se volesse perforarmi le ossa.
Avevo finto di non sentirmi bene per uscire dall’aula, infilare un basco nero sulla testa, che quasi faceva da contrasto con i miei capelli rossi, che a loro volta facevano contrasto con i miei occhi castani.
Avvolsi meglio quell’ingombrante sciarpa di lana al collo, facendo si che potesse riscaldarmi, e uscii in cortile, sicura di non trovare nessuno.
Mi avvicinai al muro pieno di graffiti, segno di originalità da parte di ragazzi che si ribellavano a quella massa di gente uguale, proprio come facevo io.
Poggiai un piede su quel muro, fissando il prato di fronte a me, annusando l’aria che sapeva di pioggia che stava per scendere giù da quel cielo, ormai completamente scuro.
Voltai lo sguardo verso la mia destra, e notai di non essere sola.
Una figura alta e slanciata era nella mia stessa posizione, che fumava lentamente una sigaretta, con i capelli ricci che gli ricadevano morbidi sulla fronte, ma ogni tanto con una mano grande e libera dalla sigaretta, li scrollava e li portava indietro, ma era inutile.
Gli ricadevano in continuazione, quasi ribellandosi alla mano del suo padrone.
Aveva un maglione lungo e nero, e i pantaloni dello stesso colore che gli fasciavano le gambe lunghe.
Sembrava non avere freddo, quasi come se la sigaretta gli stesse riscaldando i polmoni ed il resto del corpo.
Si voltò improvvisamente verso di me, incontrando i miei occhi castani.
Ed ecco che fecero nuovamente contrasto con i suoi occhi verde smeraldo, e il mio viso piccolo s’illuminò alla sola bellezza di quella luce che emanavano.
Mi sembrò che il sole fosse uscito all’improvviso appena incontrai il suo sguardo, e non solo all’esterno.
Mi sembrò che tutta quella mia tristezza interna fosse improvvisamente svanita, che il sole fosse entrato dentro di me, riscaldandomi e provocandomi un calore che non avevo mai provato in vita mia.
Tutto questo, con un solo sguardo da parte di quel ragazzo sconosciuto, che non avevo mai visto.
Il ragazzo mi rivolse un piccolo sorriso, che mi fece rimanere di sasso, poi decisi di sorridergli anche io.
Il ragazzo riprese a fumare, e io continuai a guardare di fronte a me, anche se l’unica cosa che volevo era ammirare ancora una volta quel ragazzo e i suoi occhi verdi.
Quella fu la prima delle tante volte che ci rivolgemmo un sorriso, il primo di tanti altri, ma tutti nascosti.
Passava nei corridoi di quella prigione che mi riteneva lì, chiusa senza una via d’uscita per almeno sei ore a settimana, ma ogni volta vederlo mi rallegrava la giornata.
Mi bastava solo incontrare i suoi occhi, per far svegliare quella bambina che faceva le giravolte per essere felice.
Era da quando l’avevo incontrato che ero sempre più stravagante, sempre più felice e sempre più gioiosa. Mi bastava anche ammirarlo per un secondo da dietro il mio ciuffo rosso, nascondendomi dietro un pilastro per non farmi vedere, e lo scrutavo a fondo.
Trovavo in lui tutto quello che mi era mancato in tutto quel tempo che ero rimasta sola.
Lui non sapeva niente di me, e io non sapevo nulla di lui.
E sarebbe rimasto così.
Mi piaceva quell’amore nascosto, che non avevo raccontato a nessuno.
Era un segreto che mi tenevo dentro, come se ne volessi parlare solo alla me bambina, facendole capire che adesso lui era diventato la mia giravolta.
Mi piaceva ammirarlo la mattina presto, quando arrivava ancora assonnato e con gli occhi stanchi che potevano chiudersi da un momento all’altro, mi piaceva il fatto di poterlo incontrare nei corridoi e rivolgergli quei piccoli sorrisi nascosti, che solo noi potevamo capire. Mi piaceva il fatto di non conoscere assolutamente nulla di lui, nemmeno il suo nome, mi piaceva che la mia mente potesse fantasticare e dargli ogni giorno nomi nuovi.
Andare a scuola la mattina era diventata ormai quasi una gioia, perché sapevo che lui mi avrebbe rallegrato le giornate.
Ma, quel giorno, non fu così.
La giornata era stranamente bella per essere inverno, e io ero serena.
Sapevo che da lì a poco l’avrei visto.
Mi era mancato tanto quelle diciotto ore che non avevo incontrato i suoi occhi, forse erano state le più agonizzanti di tutta la mia vita.
Sentivo che sarebbe successo qualcosa, quel giorno, e speravo in qualcosa di positivo.
Entrai a scuola pimpante ed allegra, ma non lo vidi fino alla campanella che segnava la ricreazione.
Uscii velocemente dall’aula, mischiandomi in quella baldoria di ragazzi quasi tutti omologhi, ma io sapevo riconoscere lui.
L’avrei riconosciuto anche in una strada buia e desolata, perché lui mi avrebbe illuminato la strada.
Mi nascosi dietro quel solito pilastro e dietro il mio solito ciuffo rosso, in sua attesa.
Esteriormente, apparivo tranquilla, ma dentro ero euforica.
Non mi ero mai sentita così in vita mia ed era la prima volta che provavo tutta quella felicità.
Sentii la sua sonora risata invadere il corridoio, ed ebbi un tuffo al cuore.
Quella risata, era stata in grado di farmi risollevare, di penetrarmi nell’animo, nelle ossa, nel cuore, facendomi provare un’emozione indescrivibile.
Quel giorno, lo ricordo come fosse ieri.
E’ assurdo pensare come gli avvenimenti tristi si ricordino più in fretta di quelli positivi e felici.
Forse perché hanno un impatto maggiore dentro di noi, che ci spezza pian piano e ci disintegra lentamente, fino a farci diventare polvere.
Ed ecco, come mi sentii io in quel momento.
Polvere.
Solo un misero granello di polvere, tornato nuovamente solo.
Il ragazzo di cui non sapevo nulla, che mi aveva fatto provare emozioni e sensazioni immense con i suoi soli occhi, stava baciando ed abbracciando una ragazza, che non ero io.
Mi sentii improvvisamente morire dentro, come se qualcosa mi avesse trafitto lo stomaco, il cuore, i polmoni e tutto il resto degli organi dentro di me.
Mi sporsi ancora di più fuori, mostrando i miei occhi e il mio ciuffo rosso al di fuori di quel pilastro che mi nascondeva, e che mi aveva nascosto per mesi, cercando di guardare meglio la scena.
Ero masochista, volevo farmi del male da sola, ed ero una stupida, sciocca, imbecille, che si era innamorata di uno di cui non sapeva neppure il nome.
Il ragazzo continuò a guardare la figura femminile dinnanzi a se, sorridendole.
D’un tratto, alzò lo sguardo, e si accorse dei miei occhi tristi.
Ma non fece nulla.
Restò a guardarmi in silenzio per un po’, mentre la sua ragazza parlava e lo riempiva di stupidi suoni, che gli facevano quasi da sottofondo musicale.
Non distolsi lo sguardo da lui.
Volevo fargli capire quanto fossi triste, quanto e come fossi rimasta sola nuovamente, solo attraverso uno sguardo, uno di quei tanti sguardi che ci eravamo rivolti in quegli ultimi mesi.
E forse lo capì.
Ma non glielo chiesi mai, e mai glielo chiederò.
Quel giorno, presi coraggio dopo quella scena e, con il cuore in frantumi, uscii fuori da dietro quella grande colonna di cemento che mi nascondeva da mesi, e mi avviai verso la mia classe, sotto il suo sguardo colorato di verde.
Dopo quel giorno, mi chiusi ancora di più in me stessa.
Ogni tanto, incontravo ancora il suo sguardo, i suoi occhi verdi, e provavo malinconia mista a qualcosa di indecifrabile, come se fosse mancanza.
Mancanza d’amore, mancanza di sguardi, mancanza di una metà.
Ogni volta, mi rivolgeva quegli sguardi che solo lui poteva rivolgermi, e mi sorrideva ancora.
Mi sorrideva, come solo lui sapeva fare, come aveva fatto la prima volta che l’avevo incontrato.
Accennavo un piccolo sorriso anche io, ma ritornavo a nascondermi dietro il mio ciuffo rosso, senza fare più nulla.
Lui non mi parlò mai e non mi cercò mai.
E io, feci lo stesso.
Forse era stato meglio così, vivere quell’illusione alla giornata, fino ad arrivare alla mancanza di qualcosa.
Era stato bello incontrare il suo sguardo per mesi, facendo si che lui mi capisse senza che io gli dicessi nulla.
Era stato bello amare qualcuno per una volta, anche se quel qualcuno era stato un perfetto sconosciuto.
Ma noi siamo fatti così.
Ci innamoriamo al momento, senza che ce ne accorgiamo.
Ci innamoriamo ogni giorno, di strade, di luci, di quadri, di musica, di occhi appena incontrati e di occhi appena andati via.
Non decidiamo noi di chi innamorarci.
Dopo aver perso quella felicità che mi accompagnava da mesi, ritornai la bambina di una volta.
Sento le goccioline di rugiada che si sono posate sull’erba sotto la pianta dei miei piedi nudi, posati su un prato verde e fresco.
Chiudo gli occhi ed inspiro.
Il profumo dell’erba appena tagliata misto a quello dei fiori, mi invadono le narici.
Sorrido, e cerco ancora una volta di trovare la mia serenità.
Faccio una giravolta.
E ancora una.
E ancora un’altra.
Sembro una trottola, continuo a girare e non mi fermo, sembro quasi impazzita.
Rido, perché non c’è sensazione più bella di quella di essere ritornati bambini, almeno per un secondo.
Quel secondo, che a me sembra infinito.
E che vorrei non finisse mai.
Continuo a girare e girare ancora, sperando ancora nelle parole di mia madre, che rimbombano nelle mie orecchie.
“Fai una giravolta, vedrai che passa tutto!”.
Giro per secondi, minuti, ore che mi sembrano infiniti, e che vorrei non finissero mai.
Giro e rido di gusto, come non mi accadeva da tempo.
Giro perché sto cercando quella felicità ormai persa da tempo.
Giro, perché so che tutto quel male, prima o poi, scivolerà via.
E svanirà.
Proprio come ha fatto lui.








Writer's Corner! :)
Okkei, si lo so che è tardi, ma questa "cosa" (non saprei nemmeno definirla) mi è uscita di getto, all'improvviso! :)
Lo so che fa pena ç_ç 
A me fa davvero pena, però boh... era tanto che non scrivevo cose del genere, quindi... non lo so! 
So solo che fa pena! :D
Grazie mille a chi si è fermato a leggere questo obbrobrio! *sietedelleanimepie* 
Peronatemi se ci sono orrori grammaticali, ma sono le 23:50 e io non so cosa ci faccia ancora qui, dato che ho due palle da bowling al posto degli occhi e ch mi stanno chiedendo pietà perchè vogliono chiudersi lentamente e sprofondare in un sonno profondo! *mooooltoprofondo!*
Soo, vado via! :D
Grazie ancora :)
<3

ps. questo "coso che non ha nome e che non saprei come definirlo", è dedicato (come avrete già vistro sopra u.u) alla mia migliore amica Agnese, che ci teneva tanto che io scrivessi qualcosa di questo genere (anche se mi è uscito malissimo ç_ç)  :)

Goodnight! 

-M.
  
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