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Autore: _Trixie_    25/04/2012    4 recensioni
In quei frangenti capii cosa significasse provare un dolore lacerante: non è un’espressione metaforica.
La sofferenza mi divise a metà e, parte di me, il giorno del suo funerale, avrebbe trovato posto nella tomba di Albus, si sarebbe appoggiata al suo petto e sarebbe rimasta lì, per l’eternità.
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Minerva McGranitt | Coppie: Albus Silente/Minerva McGranitt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Un altro bacio, un altro abbraccio

 
 
 
 

 
You left me with goodbye and open arms
A cut so deep I don't deserve
You were always invincible in my eyes
The only thing against us now is time

 
 

«Albus, lascia che sia qualcun’altro ad occuparsene. Tu sei…» lo supplicai per l’ennesima volta, seduta di fronte ad Albus. Una scrivania ingombra di pergamene, piume e libri a dividerci.
«Sono vecchio, mia cara?» completò lui, accennando un sorriso divertito.
«Stanco. Guarda quella mano, Albus, guardala!»
«Devo andare, è mio dovere andare, Minerva» sospirò lui.
«Lasciami venire con te».
Un lungo silenzio calò nello studio di Albus, scandito solo dai lievi tintinnii degli strumenti che affollavano tavoli, vetrinette e librerie: un globo che ruotava incessantemente, un pendolo che oscillava, un ronzio sordo proveniente da una piccola scatola di legno.
«La reputo una pessima idea» si costrinse a dire, ricorrendo a una forza di volontà che, ne ero certa, non sospettava di avere.
«E portare Harry non è forse una pessima idea? Ha 16 anni, Albus, è poco più di un bambino! E perché non vuoi dirmi nulla? Cosa è questa faccenda? Dove devi andare?»
«Quasi 17, quasi maggiorenne. Non è più un bambino ed è lui che deve capire, Minerva, ne abbiamo già parlato».
Mi alzai, spazientita. Non avevo la minima intenzione di arrendermi: lo avrei seguito o nessuno di noi due avrebbe lasciato il castello di Hogwarts quella notte.
Presi a camminare avanti e indietro in quell’ufficio familiare, riflettendo, articolando opinioni, cercando una soluzione che accontentasse entrambi.
Ero così concentrata sui miei pensieri che non mi accorsi che Albus si era avvicinato se non quando mi mise una mano sulla spalla.
«Tornerò. Tornerò prima che tu te ne accorga, Minerva» mi sussurrò abbracciandomi.
«Non andare, Albus, non farmi questo. Ho un terribile presentimento» risposi, affondando il volto nel suo petto, inspirando a fondo il suo profumo.
«Un presentimento? Strano da parte tua, un commento del genere. Sibilla affermerebbe che inizi ad aprire il tuo Occhio Interiore, mia cara» mi punzecchiò Albus.
Mio malgrado, gli concessi un debole sorriso.
«Dovrebbe farti capire quanto io sia sconvolta. Ho paura, Albus».
«Non accadrà nulla di male, il castello è ben protetto, siete al sic-».
«Non è questo che mi terrorizza. Potrei affrontare qualunque cosa, Albus, ma a una condizione: che tu sia lì con me. Portami con te».
«Tornerò, Minerva, ma ora devo andare» sospirò Albus.
Prese il mio volto tra le sue mani forti e calde, una sola lacrima minacciò di scivolare sulla mia guancia. Mi baciò le labbra tremanti.
«Ti aspetto. Per un altro bacio, per un altro abbraccio» sussurrai, temendo di non riuscire a trattenere il pianto.
 
 

Could it be any harder to say goodbye and without you?
Could it be any harder to watch you go, to face what's true?
If I only had one more day

 
 
Uno dopo l’altro, gli abitanti di Hogwarts tornarono all’interno del castello e una pioggia leggera convinse i più restii a rientrare.
Rimasi sola ai piedi della Torre di Astronomia, accasciata sul suo corpo.
Non mi resi conto dei capelli bagnati, della veste ormai sporca di fango o delle mani intirizzite: io non ero lì.
Ero lontana, nel tempo e nello spazio, da tutto ciò che mi circondava.
Quella torre maligna non era che un albero alto e rigoglioso, le mie lacrime non erano di dolore, ma di gioia, quelle gocce sempre più insistenti che mi colpivano erano caldi raggi di sole in una splendida giornata di primavera e lui, lui stava solo dormendo.
Tra poco l’avrei chiamato, l’avrei scosso e lui mi avrebbe guardata socchiudendo gli occhi, con la bocca impastata, l’aria confusa e indispettita di chi viene svegliato nel bel mezzo di un sogno.
«Minerva» avrebbe sussurrato nel riconoscermi.
Gli avrei sorriso, mi sarei chinata e l’avrei baciato con dolcezza.
Mi sarei appoggiata al suo petto, ascoltando il battito energico del suo cuore, infastidita dalla lunga barba di Albus che mi solleticava il collo ogni volta che mi accostavo a lui.
«Quando ti deciderai a potarla
Una risatina divertita.
«Tanto lo so che la mia barba ti piace, cara».
Un bacio avrebbe seguito un altro e poi un altro ancora.
Avevamo una vita colma di solitudine e amarezza da recuperare.
Poi ci saremmo addormentati entrambi, sotto il sole caldo.
 

***

 
«Deve essere stato un duro colpo, per lei».
«Lo è stato per tutti noi».
«Ma Albus per Minerva era…»
Albus era?
«Sta aprendo gli occhi. Minerva? Minerva, mi senti, cara?»
Cara.
«A-Albus?»
«Professoressa McGranitt, sono Poppy Chips. Albus non c’è».
Non c’è?
«N-Non è ancora tornato?»
«Professoressa McGranitt, Albus non c’è più. L’ha visto anche lei, ai piedi della Torre di Astronomia».
Una fitta alla testa, un dolore straziante nel petto.
E poi ricordai il freddo nelle ossa, l’acqua che mi scorreva sul collo, scendendo fino alla schiena, i suoi occhi vuoti, le labbra immobili.
E il buio.
Mi alzai di scatto, Madama Chips mi afferrò per le spalle, l’infermeria prese a ruotare intorno a me e il sangue a pulsare nelle vene.
«Voglio vederlo!» esclamai con impeto, la vista oscurata.
«Sei ancora troppo debole, Minerva, sdraiati o rischi di svenire».
Un altro paio di mani mi afferrò e cercò di farmi stendere. Mi voltai e riconobbi il volto di Pomona Sprite.
«Fatemi andare da Albus!»
«Lei è svenuta a forza di piangere sotto quella maledetta torre, professoressa McGranitt, non ho la minima intenzione di lasciarla andare fino a quando non sarà in grado di reggersi sulle sue gambe» mi ammonì Madama Chips.
«Madama Chips, mi dia un tonico, una Pozione Ricostituente o qualsiasi altro intruglio lei trovi appropriato, ma mi lasci alzare da questo letto» risposi, disposta a tutto pur di vedere Albus, per accertarmi che non fosse solo un orribile incubo.
Madama Chips strinse le labbra, come spesso l’avevo vista fare guardando gli studenti irrequieti, desiderosi di tornare ai loro dormitori.
«Lo beva tutto» mi disse infine, prendendo un bicchiere dal mio comodino ricolmo di un liquido dall’aspetto orribile, verde e melmoso, e dandomelo in mano.
«Fino all’ultima goccia, professoressa, e mi aspetto che lei si riposi e che torni da me con regolarità, siamo d’accordo?»
Finii di bere quell’intruglio che sapeva di erba amara e terra, prima di rispondere.
«Madama Chips, so badare a me stessa, le assicuro che se dovessi avvertire anche un solo vago malessere tornerò da lei, ma ora mi sento bene».
Mi accorsi di indossare una mia vecchia camicia da notte e mi chiesi per quanto tempo fossi rimasta in stato d’incoscienza.
«Minerva, i tuoi vestiti sono qui» mi disse Pomona, indicando una sedia su cui erano ben sistemati una pila d’indumenti.
«Grazie, Pomona. Per favore, ordina a tutti quanti di passare in infermeria» ringraziai, prima che le due donne si allontanassero e tirassero le tende perché io potessi cambiarmi.

 
***

Appena uscii dall’infermeria, incontrai Hagrid che stava venendo a portarmi dei fiori.
Accettai il dono e chiesi dove si trovasse Albus. Mi rispose che nessuno aveva toccato il suo corpo e, indignata che nessuno si occupasse di lui, gli chiesi di portarlo al sicuro nella sua camera.
«Hagrid, è molto che sono svenuta?»
«No, professoressa, un’ora, non di più».
Feci sospendere le lezioni, ascoltai i Consiglieri, i colleghi, parlai con Potter, ascoltai il suo resoconto.
Ma ogni minuto libero lo trascorsi accanto ad Albus.
Ero divisa in due: una parte di me lavorava come un automa, rispondendo alle domande, prendendo decisioni, guidandomi nelle praticità della vita come vestirmi, mangiare, alzarmi dal letto.
Ma l’altra parte di me urlava, urlava fino allo sfinimento, versando lacrime senza fine. E sperava incessantemente che il dolore finisse, che la ferita si rimarginasse, che tutto quanto fosse un incubo delirante.
E ogni volta che mi sedevo accanto al suo corpo senza vita, guardavo la realtà in faccia, leggendola sul suo volto rigido.
Avevo insistito perché si allestisse la camera ardente nella sua stanza privata, sistemando la bara in modo che il volto di Albus fosse rivolto verso la finestra e sedevo accanto a lui per ore.
Avevo adottato mille, piccoli accorgimenti per lui: collocai il trespolo di Fanny accanto a lui, anche se la Fenice aveva abbandonato la scuola, leggevo ad Albus gli ultimi articoli di Trasfigurazione Oggi, gli facevo un dettagliato resoconto riguardo la vita a Hogwarts.
Come se fosse vivo.
Mi presero per pazza, Madama Chips provò a convincermi a fare dei controlli al San Mungo e molti sostennero che il dolore mi avesse sconvolta al punto da togliermi la lucidità.
In quei frangenti capii cosa significasse provare un dolore lacerante: non è un’espressione metaforica.
La sofferenza mi divise a metà e, parte di me, il giorno del suo funerale, avrebbe trovato posto nella tomba di Albus, si sarebbe appoggiata al suo petto e sarebbe rimasta lì, per l’eternità.
 

 
I lie down and blind myself with laughter
A quick fix of hope is what I'm needing
And how I wish that I could turn back the hours
But I know I just don't have the power

 
 
Il giorno dopo il suo funerale, osservai gli studenti e quasi tutto il personale del castello lasciare Hogwarts.
Lo feci dalla finestra della stanza di Albus, che era diventata la mia, ma ben presto mi resi conto di essere terribilmente stanca e spossata.
Mi sdraiai in quel letto, tra quelle lenzuola, quelle che avevano visto la nostra prima volta. E anche l’ultima.
Mi stesi su un fianco, il destro, com’ero solita fare per poter guardare Albus. Ma i miei occhi non incontrarono i suoi e andarono a urtare solo un muro freddo.
Allora chiusi le palpebre: i sogni erano il mio unico rifugio dalla sua perdita.
 

***

 
«Perché mi ha portata qui, professor Silente?»
«Perché questo è un albero speciale, professoressa McGranitt».
«Scusi, professore, ma mi sembra un semplice albero».
«Diciamo che questo è un albero molto popolare, tra gli studenti, di qualsiasi generazione di Hogwarts. Veda, sembra che sia magico. Si dice che sia l’Albero degli Innamorati, qualcuno, più cinicamente, lo chiama Albero dei Sospiri. In ogni caso è il luogo prediletto delle coppie di Hogwarts».
«Perché mi ha portata qui?»
«Vedo che l’ho fatta arrossire, mi scusi, non era mia intenzione metterla in imbarazzo. L’ho portata qui, professoressa, per diverse ragioni. Perché lei è un’ottima insegnate e, prima ancora, è stata un’eccellente studentessa. Perché io l’ammiro per la sua forza d’animo, per il suo forte senso di giustizia. Perché, devo ammetterlo, rimango sempre stregato da lei, ogni volta che la vedo. Ti ho portata qui, scusami se uso il tu, per sapere se c’è un posto, anche piccolo, per me, nel tuo cuore».

 
***

 
«Minerva, cara, ho un regalo per te!»
«Per me? Ma, Albus, per cosa?»
«Non sai che giorno è oggi?»
«No, ho dimenticato un giorno importante?!»
«Dipende dai punti di vista».
«Che giorno è, Albus?»
«Qualche anno fa, in questa giornata, tu sei tornata a Hogwarts e hai ottenuto la cattedra di Trasfigurazione. Sei tornata da me, Minerva, dopo anni di notti passati a sognarti, cara».
«Oh, Albus»
 

***

 
«Guarda, un Nargillo!»
«Un… Un Nargillo?!»
«Sì, Minerva, un Nargillo. Me ne ha parlato proprio ieri pomeriggio la signorina Lovegood».
«Ma, Albus, io non vedo nulla. Sei sicuro che esistano, i Nargilli?»
«Ma certamente! La signorina Lovegood mi ha fornito un’ampia documentazione a riguardo».
«Se ne sei convinto…»
«Non essere così scettica, cara, è una fortuna che questo Nargillo si sia palesato proprio a noi!»
«Come mai? Io continuo a non vederlo».
«In uno dei trattati che la signorina Lovegood mi ha premurosamente consigliato, viene dimostrato, passo dopo passo, che i Nargilli si mostrano solo in determinate condizioni».
«Che genere di condizioni, Albus?»
«Quando sentono che c’è Amore nell’aria. Il che fa di loro, dopo le fenici, le mie creature preferite».
 

***

 
Mi svegliai di soprassalto, prendendo respiro come se stessi per annegare.
Lui non c’era.
Tutto era com’era sempre stato.
Non avevo ancora trovato il coraggio di toccare i suoi oggetti, ma mi resi conto che, prima o poi, era una cosa che andava fatta.
Avrei potuto delegare il compito a qualcun altro, ma sapevo che, in futuro, non mi sarei mai perdonata di non essermene occupata io.
Iniziai dall’ufficio, ma la decisione di lasciare tutto com’era, fu immediata. Non potevo immaginare quell’ufficio senza gli oggetti di Albus, il loro rumore e la loro presenza erano familiari e, in qualche modo, mi rilassavano.
Non volgevo mai lo sguardo verso i ritratti degli altri presidi, non volevo vedere il suo volto tra quello degli altri.
Mi preoccupai piuttosto di controllare all’interno di armadi e cassetti. Albus li apriva di rado e sospettai che vi tenesse oggetti di poca utilità. O forse molto personali.
Ero titubante ad aprirli, come se tentassi di scoprire la parte più intima di lui.
Iniziai dal primo cassetto della scrivania, passai al secondo, poi al terzo, trovando solo piume rovinate, pergamene macchiate e cianfrusaglie inutili. Fu così per tutti gli altri cassetti.
Fu un piccolo oggetto, sepolto sotto molti altri, ad attirare la mia attenzione: una piccola clessidra dorata, una Giratempo.
La presi tra le mani con delicatezza, soffiai via la polvere.
Da quanto tempo era lì? Quando Albus aveva avuto bisogno di una Giratempo? Perché non me ne aveva parlato? Mi aveva forse nascosto qualcosa?
Sicuramente, pensai, avrà avuto i suoi buoni motivi per nascondermi una cosa del genere.
Fissai quella piccola clessidra con sguardo vuoto, persa nei miei pensieri, prima di ricordarmi della signorina Granger.
Lei aveva usato la Giratempo durante il suo terzo anno, al termine del quale me l’aveva riconsegnata. Ed io l’avevo affidata ad Albus, perché la portasse al Ministero.
Evidentemente se ne era dimenticato o, forse, l’aveva tenuta di proposito. Per lui non sarebbe stato difficile ottenere i permessi per custodire una Giratempo.
La bocca si seccò, quando mi resi conto che quella era, con ogni probabilità, l’ultima Giratempo esistente: le altre erano andate distrutte solo un anno prima al Ministero della Magia.
Ovviamente, anche quella andava restituita al più presto.
Mi sedetti dietro la sua scrivania, sentendomi terribilmente a disagio, con l’intenzione di scrivere una lettera al Ministero, per avvertirli riguardo al mio ritrovamento.
Stringevo ancora la Giratempo in mano.
E un’idea folle si affacciò nella mia mente: perché non usarla?
Solo qualche giro, qualche giorno, solo per salvarlo e impedirgli di lasciarmi e morire.
Non avrei fallito una seconda, sarei stata la sua seconda pelle, se non avesse acconsentito a rimanere a Hogwarts al sicuro, e sarei andata con lui, facendogli da scudo con il mio corpo, se necessario.
Deglutii, le mani sudate e la mente annebbiata: una speranza, c’era ancora una speranza.
L’avrei rivisto, l’avrei rivisto vivo e avrei impedito che morisse.
 
È troppo tardi, mi capisci?

 
Non abbiamo alcuna possibilità di cambiare il destino.

 

Ma quello che ci occorre è solo più … tempo.

 

Nessuno dovrebbe cambiare il tempo, nessuno!

 
Tantissimi hanno finito per uccidere sé passati o futuri per errore.
 

Non puoi fare niente…

 
Nell’esatto momento in cui presi la decisione di usare la Giratempo, bussarono alla porta ed io sobbalzai per lo spavento.
«A-Avanti!» esclamai, affrettandomi a portare la mano sotto la scrivania, per nascondere la clessidra dorata.
«Professoressa McGranitt, scusi se la disturbo» esordì Hagrid, dopo essere entrato. «Volevo solo che sapesse gli studenti hanno lasciato il castello e che gli insegnanti l’aspettano per il discorso di fine anno. Sa, Silente era solito dire…»
«Lo so, Hagrid. Dì loro che li aspetto in Sala Grande tra mezz’ora se non ti dispiace».
«Certamente, professoressa, cioè, preside, volevo dire, presidentessa, io…»
«Professoressa andrà più che bene, Hagrid».
Il Guardiacaccia, paonazzo e con gli occhi rossi, uscì dall’ufficio in fretta, rischiando di far cadere almeno una decina di oggetti al suo passaggio e io rimasi di nuovo sola a riflettere per qualche minuto, prima di alzarmi con la Giratempo ancora stretta tra le mani.
Con passi lenti, camminai fino alla Torre di Astronomia e salii fino in cima.
Tirava un vento freddo, nonostante fosse giugno. Mi appoggiai alla balaustra, guardai in basso, dove lui era caduto.
Avevo la chiave per tornare da lui, avevo altro tempo, tra le mani, da condividere con lui.
Scossi la testa. Non potevo, semplicemente non potevo. Lui non avrebbe voluto che indugiassi, che mi perdessi nel passato, solo per la paura di un presente e un futuro senza di lui.
Portai la Giratempo davanti agli occhi, solo per osservarla un ultima volta, tenendola delicatamente tra le dita.
«Ti amo, Albus».
Poi lasciai cadere quel tempo, la possibilità di vivere nel passato.
La clessidra dorata brillò al sole, prima di infrangersi a terra.
 

 
I'd jump at the chance,
We'd drink and we'd dance
And I'd listen close to your every word,
As if it's your last, I know it's your last,
Cause today, oh, you're gone
 
 
Like sand on my feet,
The smell of sweet perfume
You stick to me forever
And I wish you didn't go
I wish you didn't go, I wish you didn't go away
To touch you again,
With life in your hands,
It couldn't be any harder, harder, harder.

 
 
«Aspettami, ti prego, arriverò da te. Per un altro bacio, un altro abbraccio. Questa volta eterni».
 
 
 
 
Qualche precisazione:
 
Prima di tutto la canzone è Could it be any harder (The Calling).
Vorrei poi scusarmi nel caso in cui sia caduta in qualche cliché (da fandom italiano o straniero) o se abbia (imperdonabilmente) tradito l’IC dei personaggi, in questo caso, fatemelo notare, non vi mangio, giuro!
Nella storia abbiamo poi un riferimento a un certo “Albero dei Sospiri” che si trova nel Parco di Hogwarts. Non è presente nei libri e la Rowling non ha mai parlato di nulla del genere, si tratta infatti di un lungo di mia completa invenzione e di cui parlo in una raccolta (L’Albero dei Sospiri).
Quando Albus ricorda a Minerva che lei qualche anno fa è tornata a Hogwarts, ho fatto riferimento alle notizie di Pottermore.
Il fatto che Albus possa parlare di Nargilli, in effetti, potrebbe apparire strano, ma sappiamo che è un uomo dalle vedute aperte e, ci scommetto, ha prestato serio ascolto anche a Luna “Lunatica” Lovegood <3.
Le frasi da “è troppo tardi, mi capisci?” a “non puoi fare niente…” sono brevi frasi tratte dal Prigioniero di Azkaban e, all’occasione, lievemente modificate.
Credo e spero di aver detto tutto quanto!
Ovviamente, un ringraziamento va alle sclerate del Comitato per la Riabilitazione per l’Eccellette Pairing Albus/Minerva, in breve, C.R.E.P.A. ^^
Ci farei un salto, se fossi in voi!
Grazie per aver letto la storia,
Trixie.
 

   
   
 
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