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Autore: Tawariell    18/11/2006    6 recensioni
Una visita inaspettata apre definitivamente gli occhi ad un giovane attore inglese, che vive una situazione sbagliata
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Salve a tutti. Come prima cosa vi devo dire che questo capitolo sarà molto particolare, dato che seguendo il suggerimento della mia cara Esther ho deciso di non trattenermi più molto e seguire molto di più il mio cuore, con la conseguenza che me ne sono fregata altamente se i personaggi possano essere in OOC.
Come Esther mi ha fatto giustamente notare mica stiamo scrivendo per la Mizuki ma per noi stessi, ergo speriamo bene^_^.

X Andy Grim= ti ringrazio calorosamente dei tuoi meravigliosi complimenti, spero davvero di esserne all'altezza, io faccio del mio meglio.
Non sai quanto mi abbia commosso il tuo applauso! Si io adoro i personaggi che si riscattano e credo che Susanna lo meritasse proprio;)

x SemplicementeMe= in effetti come titolo non sarebbe affatto male;). E' sempre bello sapere che la gente legge con piacere ciò che scrivo!
Come vedi questa volta sono stata abbastanza veloce: non un lampo ma io scrivo ad ispirazione;).

x Kirby= non ti posso anticipare nulla per quanto riguarda Albert e Susanna, ma sono assai felice di sapere che ti è piaciuto come abbia fatto riscattare quest'ultima;).

x lithtys= concordo con te nel dire che la relazione tra Terry e Susanna non aveva nessuno futuro: era una cosa assurda;).
Ho voluto dare a Susanna una possibilità perchè sono convinta che malgrado tutto non era cattiva. Grazie anche a te dei meravigliosi complimenti..

X Tony= che dirti? Grazie è bellissimo sapere che i miei racconti ti emozionano sempre..

Bene finiti con i saluti doverosi eccovi il capitolo 9 e speriamo bene^_^.. By Silvì

CAPITOLO IX: SCANDALOSAMENTE SE STESSI

 

 

CAPITOLO IX: SCANDALOSAMENTE SE STESSI

 

 

 

Qualche ora prima

 

Patricia O ’Brian camminava lungo un viottolo di Central Park, tenendo per mano il piccolo Stear Corwell, suo nipote non di sangue ma di cuore.

Era un bellissimo pomeriggio di fine Aprile e il parco era come sempre pieno di gente: persone di ogni età che leggevano, correvano, giocavano oppure semplicemente stavano sdraiate a godersi quel sole primaverile.

Gli alberi erano in piena fioritura e ce n’erano di ogni tipo: fiori di pesco, dai delicati colori di bianco e rosa, di albicocca, di un tenue color arancione, e non solo.

I prati stessi erano stracolmi di aiuole di ogni tipo di fiore:  rose rosse, gialle e bianche, ciclamini lillà,  campanule bianche, occhi della madonna e genziane di un tenero color azzurro, così simile a quello del cielo terso.

La natura era in amore e Patricia, Patty per gli amici, cercava di consolare il suo cuore ancora fragile godendosi quello spettacolo, ma senza farsi coinvolgere troppo:

come se avesse ancora paura di vivere.

Come se si sentisse in colpa per il fatto stesso di non essere morta anche lei, con il suo Stear,  ormai più di tre anni prima.

Lei non viveva, si limitava ad osservare la vita da fuori.

Stear… il suo unico amore… dai dolcissimi occhi verdi, dai meravigliosi capelli neri, dal sorriso timido, capace, come pochi uomini sanno fare, di arrossire per un complimento, e quegli occhiali, di cui si vergognava tanto, lo rendevano ancora più bello.

Glielo aveva mai detto che adorava vederlo trafficare in mezzo alle sue invenzioni?

No.

A volte lo aveva persino sgridato.

Glielo aveva mai detto che lo considerava l’uomo più bello del mondo?

No.

Quante volte gli aveva detto che lo amava?

Poche, troppo poche…

Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di avere anche un solo secondo di nuovo con lui.

Strinse la mano del nipotino, come se fosse la sua ancora per non crollare.

Agli occhi delle persone che li vedevano passeggiare sembrava che fosse il bambino ad aggrapparsi a lei, ma era esattamente il contrario.

Il piccolo Corwell era forte, come suo zio, mentre lei era fragile…

Anche quel giorno Patty aveva dato lezioni ad alcune bambine dell’alta società: le facevano una pena immensa.

Erano tutte costrette ad imparare il francese e il pianoforte solo perché così imponevano i canoni.

Che stupidaggini.

Lei faceva di tutto per alleviare loro quell’incombenza, trasformando ogni lezione in un gioco: se l’avessero vista qualcuno dei genitori delle sue studentesse l’avrebbero licenziata in tronco.

Una signorina per bene non fa certe cose.

Che poi che accidenti voleva dire essere una signorina per bene?

Fare sempre le compassate?

Mai ridere troppo.

Mai piangere troppo.

Mai mangiare troppo, anzi mangiare proprio come un uccellino!

Per quella gente lei doveva trovarsi subito un altro uomo: tre anni di lutto erano troppi!

Eggià che ne sapevano loro del dolore che lei provava?

No loro pensavano che lei doveva trovarsi un altro bel partito da accalappiare!

Le venne quasi la nausea a questo pensiero.

Per quanto potessero essere diverse, lei, Candy ed Annie, avevano una cosa in comune di fondamentale importanza: non avrebbero mai sposato nessuno per interesse!

Per loro i ragazzi erano prima di tutto persone da amare.

Sua nonna comprendeva le sue ragioni, ma voleva tanto che ricominciasse a vivere, che fosse di nuovo la Patty spensierata di un tempo, ma ormai si era rassegnata al fatto che non sarebbe mai stato più così: nel cuore della nipote c’era una cicatrice indelebile.

La giovane O ‘ Brian era felice di avere una nonna così e cercava in tutti i modi di farle capire che lei, tutto sommato, era serena.

Aveva le sue amiche, il suo lavoro, il piccolo Stear.

Strinse ancora di più la mano di quest’ultimo, camminando speditamente verso il prato, dove diverse persone erano sdraiate a prendere il sole o a leggere, tuttavia era talmente persa nei suoi pensieri che non si accorse che un uomo, di circa trent’anni, dai capelli biondo cenere, dagli occhi neri come l’ebano, dai tratti delicati e dallo sguardo dolce ma un po’ miope e per di più perso a guardare in aria il cielo, stava venendo nella stessa direzione.

Lo scontro tra i due fu inevitabile.

 

 

Caddero per terra simultaneamente tra le risate del piccolo Corwell e una paffuta bimba dai capelli biondo grano, dal viso pieno di lentiggini e dai profondi occhi neri.

“Mi scusi signorina… non l’avevo vista…è che… senza occhiali ci vedo poco da vicino” balbettò goffamente l’uomo, arrossendo visibilmente mentre tentava di aiutarla ad alzarsi.

La ragazza le sorrise comprensiva.

“Non si preoccupi:è anche colpa mia. Ho sempre la testa tra le nuvole.” Mormorò difatti quando era di nuovo in piedi.

“Io sono Patricia O ‘ Brian mentre quel birbante che ride è il mio nipotino Stear Corwell.”

L’uomo le strinse la mano, continuando ad arrossire, e balbettò

“Grazie signorina O ‘ Brian, lei è molto indulgente. Io sono Colin Ford e quella birbantella che ride con suo nipote è mia figlia Claudia.”

“Piacere signor Ford… senta… posso chiederle perché… ehm non portava gli occhiali?”

“Perché… ehm… perché vede ho una leggera miopia e non sempre mi servono… e… poi… a volte li dimentico”

Patty sorrise divertita

“Secondo me lei si vergogna di metterli. E fa male: gli uomini con gli occhiali sono molto più affascinanti..”

Il giovane Ford le sorrise grato: un sorriso caldo come il sole.

“Lei è davvero molto gentile signorina O ‘ Brian…senta visto che i due bambini stanno giocando insieme… le andrebbe di chiacchierare un po’ con me?

Non conosco nessuno qui al parco…”

“Si certo volentieri, ma… scusi l’intromissione… ma sua moglie non viene mai?”

Colin fece per replicare solo che in quel momento un vocione gracchiante interruppe ogni conversazione nel raggio di un chilometro.

“ Oh signorina O ‘ Brian finalmente l’ ho trovata… mia cara… che state facendo qui da sola? Cosa vi è saltato in mente? “

Patty fu sul punto di tirare un sonoro ceffone alla padrona di detta voce, ovvero una corpulenta signora di mezza età, che pareva la gemella separata alla nascita di Suor Grey, solo che era ancora più brutta: purtroppo per lei quella donna era la madre di una delle sue allieve.

“Buona sera signora McKey, non sono qui al parco da sola come vede, ma con mio nipote Stear…” mormorò la giovane con la sua consueta gentilezza, trattenendosi a stento da aggiungere che non erano affari della signora se lei andava al parco da sola “Cosa voleva signora McKey?”

“La stavo cercando perché mio fratello aveva bisogno di un’insegnante per sua figlia…” all’improvviso la donna si bloccò, sbattendo ripetutamente le palpebre, nel soffermarsi sbigottita su Colin Ford.

“Ma allora vi conoscete già..”

Stavolta fu la giovane O ‘ Brian a sbattere gli occhi.

“Siete parenti?? “ balbettò passando ripetutamente lo sguardo da Colin alla signora McKey: non potevano essere fratelli. Era impossibile.

“Si” fece la voce gentile del giovane Ford “ Carolina è la mia sorellastra”

“Ah ecco…” sussurrò a mezza voce Patty “ Quindi ha bisogno di me per sua figlia.”

“Essi” intervenne di nuovo Carolina, con la sua voce flautata.

“Mio fratello è vedovo e a mia nipote manca di un riferimento femminile, purtroppo non basta solo io: la bambina ha bisogno di imparare le buone maniere.

Lo vede anche lei signorina O ‘ Brian. Inoltre ha bisogno di studiare francese e il pianoforte come ogni signorina per bene”

Il povero Colin passò da tutti i colori dell’arcobaleno per la mancanza totale di tatto della sorella.

“A me sembra una bimba molto educata” fece la ragazza con voce gelida: ora più che mai voleva tirarle uno schiaffo. E al diavolo l’etichetta.

Candy l’avrebbe approvata.

“Carolina ti spiace se parlo io con la signorina O ‘ Brian? Tu hai già fatto abbastanza.”

La donna, arricciò il naso come se avesse sentito l’odore di qualcosa di particolarmente puzzolente, e poi replicò

“D’accordo Colin fai pure: se sapevo non mi sarei stata tanto da fare.”

“Sei stata molto gentile cara Carolina” aggiunse l’uomo con falsa carineria, deciso a levarsela dai piedi.

“Non c’è di che caro fratello. Arrivederci Signorina O ‘ Brian.”

“ Arrivederci signora McKey. Mi saluti sua figlia Annette”

E finalmente la donna si allontanò dai due.

“Mi spiace molto signorina O ‘ Brian, io..” mormorò l’uomo in evidente imbarazzo.

“Non si preoccupi signor Ford. E basta con quel signorina O ‘ Brian. Io sono Patty.”

“Piacere Patty! E io sono Colin” fece il giovane stringendole di nuovo la mano.

“Ora che ci siamo presentati per bene, possiamo iniziare a chiacchierare come voleva lei… anzi come volevi te.”

“Ecco ti stavo giusto dicendo di darmi del tu.”

I due si sedettero sul prato, vicino ad un albero di melograno, osservando i bambini che giocavano a fare capriole  sul prato fiorito.

“ Comunque prima non era colpa solo degli occhiali. Non stavo guardando di fronte a me..”

“ E perché?”

“Perché cercavo l’aquilone che avevo comprato a mia figlia, ma temo sia ormai perduto. E poi non riuscivo a levare gli occhi dal cielo.

E’ da tempo che non lo vedevo così bello…”

“Si è vero è bellissimo… prima era sempre grigio”

Colin e Patty si sorrisero dolcemente senza dire nulla per diversi minuti.

“Posso farti una domanda Colin?”

“Si dimmi Patty”

“Davvero hai lasciato gli occhiali a casa?”

“No perché?”

“Perché ho con me un libro di poesie di un nuovo poeta italiano, si chiama Ungaretti * , e vorrei fartene leggere qualcuna. Non so se tu ami la poesia..”

“Si amo molto la poesia, specialmente quella italiana..”

La giovane aprì la sua borsa tirando fuori un grosso libro azzurro, nuovo di stampa mentre Colin tirava fuori gli occhiali da vista dal taschino della sua giacca grigia:

non indossava la cravatta sotto di essa ma solo una semplice camicia bianca.

Se li mise: erano a montatura a tartaruga ma gli stavano molto bene, e facevano risaltare il nero dei suoi occhi.

La giovane O ‘ Brian gli allungò il volume, che aveva aperto in una pagina precisa, dove vi erano stampate pochissime righe.

“Leggi qui..”

“Una intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato
con la sua bocca digrignata volta al plenilunio

con la congestione delle sue  mani penetrata nella mia quiete.
In un silenzio pieno di morte ho scritto lettere piene d'amore
Non sono mai stato tanto attaccato alla vita”

La voce dolce e bassa del giovane Ford si introdusse come un balsamo nel cuore ancora ferito di Patricia.

“E’ bellissima…”

“ Si… è come se me l’avesse mandata un mio amico caro…”

Colin la guardò, vedendo che aveva le lacrime agli occhi.

“Lo amava molto vero?”

Lei sorrise tra le lacrime, annuendo debolmente.

“A me invece sembra che me l’abbia mandata Karen…”

La ragazza annuì di nuovo

“Mi sento come quel soldato vicino al suo amico morto… non voglio lasciarlo andare ma amo la vita…”

“Anche io Patty…”

Una leggera brezza iniziò a muovere le fronde degli alberi facendo girare vorticosamente le pagine al grosso volume che Colin teneva sul grembo, e, quando cessò, il libro rimase aperto su un’altra poesia, intitolata COMMIATO…

 

 

Poche ore più tardi non lontano dal Central Park l’elegante e alta figura di un giovane uomo bruno usciva da un portone di una piccola casa rossa.

Aveva il respiro accelerato, le mani che si muovevano intorno ai capelli neri setosi e si guardava intorno con aria smarrita.

Era libero finalmente, ma adesso andare da lei lo spaventava.

Non sapeva bene come trovare le parole per dirle quanto l’amava.

Per farle capire quanto le era mancata in tutto quel tempo.

E per chiederle perdono per averla fatto soffrire così tanto.

Ora voleva lottare per riavere la sua Tarzan e non aveva importanza se avrebbe passato un’intera vita a corteggiarla: sarebbe stato con lei.

Certo c’era un piccolo problema da risolvere: dove accidenti era lei ?

Lui sapeva soltanto che lei era andata a vederlo a teatro, non dove abitasse.

“Terence…”

Una voce familiare interruppe bruscamente le sue riflessioni.

Si voltò rapidamente.

E vide che Albert era di fianco all’automobile di casa Andrew, alla cui guida c’era il fedele George

“Ehi amico che ci fai qui?”

“Sapevo che saresti sceso subito.”

“ E quindi?”

“Lei è da Annie..”

“Ah grazie dell’informazione.”

“Sai dove abita Annie?”

“No”

“Al Greenwich Village, non lontano da qui.”

“Il quartiere degli artisti?”

“Si. In ogni caso puoi prendere la mia macchina.”

“E tu?”

“Faccio un giro nel tuo quartiere… anzi ex quartiere… ti prego fammi il favore di non portarla a vivere qui: è un posto talmente lugubre che persino lei perderebbe il suo buon umore”

Terence sorrise divertito

“Non mancherò amico… allora posso prendere davvero la tua macchina?”

“Si puoi..”

“Ma non ti senti a disagio ad andare in giro con quel signore compassato?”

“Non osare parlar male del mio fedele George: è il mio migliore amico”

“Credevo di essere IO il tuo migliore amico.”

“Insieme a te è il migliore amico. E poi non è il caso che tu faccia il geloso: non sono stato io a voler  tagliare i ponti.”

“D’accordo, d’accordo hai ragione, ti chiedo scusa. Finita la predica?Posso andare da Candy?”

“Si e si. E comportati da gentiluomo “

“ Io sono un gentiluomo”

“Si ma proprio in fondo in fondo in fondo”

Il ragazzo invece di replicare lo abbracciò di slancio

“Grazie di tutto…”

Albert ricambiò l’abbraccio commosso

“Non c’è di che. Dopotutto sono un gentiluomo no?”

“Si ma proprio in fondo in fondo in fondo”

I due giovani scoppiarono a ridere e questa volta era davvero la loro risata di un tempo, niente più rivalità o gelosie: ora sapevano che sarebbero stati amici per sempre.

Loro avevano saputo andare oltre queste cose.

“Vai idiota”

“Sei ti sentisse la zia Erloy…”

“Terence vuoi fare a pugni??”

Il giovane Granchester sorrise ed entrò nella macchina degli Andrew.

“George per favore porta questo essere dai Corwell..”

“Ma mi posso fidare?” mormorò in tono finto spaventato il suo anziano maggiordomo.

“Si anche se non sembra è un duca”

“Vogliamo finirla di fare gli spiritosi? Vorrei andare da Candy se è possibile..”

“ Ok… ok e non darti tante arie…”

La macchina partì a velocità moderata verso il Greenwich Village: l’ex vagabondo la guardò andare via, sentendosi come liberato.

Non provava nessuna tristezza.

Era davvero felice per i suoi più cari amici.

 

Neanche mezz’ora più tardi il celebre attore inglese stava bussando alla porta dei Corwell: si sentiva così teso che avrebbero potuto usarlo come archetto per un violino.

Sospirò diverse volte cercando di darsi in contegno.

Inutilmente.

Aveva il cuore che gli batteva a mille.

Pareva un tamburo.

Ma quanto accidenti ci mettevano ad aprire?

Se non si sbrigavano avrebbe buttato giù la porta.

Fece un altro grande respiro.

Finalmente il grosso portone dei Corwell si aprì.

Terence sospirò deluso.

Era davvero impensabile che a venirgli ad aprire sarebbe stata lei ma sperava in una sorte decisamente migliore: chessò Annie o Archie  o Patty.

Non quella sottospecie di megera con la puzza sotto il naso che lo stava squadrando da capo a piedi.

“Buona sera c’è la signorina Candy Andrew?So che abita qui.”

La donna sospirò con aria avvilita: sembrava le avessero piantato un coltello nel cuore.

“Si la signorina Andrew c’è ed è l’unica persona che pare esserci in questa casa..”

Il giovane ignorò le ultime parole

“La potrei vedere?Sono Terence Granchester..”

“Quel Terence Granchester?L’attore? Come osa presentarsi qui: questa è una casa rispettabile anche se ora non si direbbe”

“Non so con chi crede di avere a che fare ma anche io sono persona rispettabile..”

“Si un uomo che convive con una donna senza essere sposato: peccatore!”

Il celebre attore alzò gli occhi al cielo: ci mancava pure una vecchia bigotta.

“Io non convivo con nessuno!E in ogni caso non sono affari suoi!!!!”

La donna provò a chiuderle la porta in faccia, ma il ragazzo fu più veloce ed entrò in casa.

“Senta voglio solo vedere la signorina Andrew poi me ne andrò subito..”

“Lo sapevo che frequentare Candy avrebbe portato Annie alla perdizione:è diventata insolente, lascia i suoi figli a delle persone non certo affidabili come Candy o Patty e ora è pure sparita con suo marito chissà dove, lasciando questa casa semi-abbandonata, visto che la servitù è sparita.

E ora mi vedo pure arrivare un peccatore come lei: è proprio degno di Candy!”

Stavolta Terence divenne blu dalla rabbia: come osava insultare il suo angelo?

“Io questa la ammazzo non me ne frega nulla: farò solo un favore all’umanità liberandola da una simile befana”

“Ragiona se la uccidi dovrai attendere altri vent’anni per rivedere Candy e non credo proprio che questa volta lei ti aspetterà”

Il ragazzo sospirò cercando di calmarsi.

“Sa cosa credo che stiano facendo sua figlia e suo marito? L’amore, cosa che lei avrà fatto al massimo una volta con il suo povero consorte!E si vede!”

La signora Brighton impallidì così tanto da sembrare un cadavere a quelle parole e per non cadere si attaccò alla maniglia della porta.

L’inglese ne approfittò per indirizzarsi immediatamente verso l’interno della casa.

Prima di tutto controllò il salone: no li non c’era.

Però la veranda era aperta..

Forse era in giardino..

Come un cavallo imbizzarrito il giovane corse fuori superando quella finestra.

 

 

 

Mentre Terence cercava Candy, Albert camminava in mezzo al quartiere dove l’amico aveva vissuto per anni.

Per un momento gli balenò l’idea di tornare su da Susanna ma preferì di no.

Voleva stare solo.

Aveva come un bisogno di ritrovare la pace.

Un tempo era stato molto felice di vivere da vagabondo, in mezzo agli animali.

Ora doveva essere un uomo d’affari compassato.

Odiava quel ruolo.

Ma non poteva rinunciarvi: altrimenti sarebbe finito tutto in mano a sua sorella e alla zia Erloy.

Eppure poteva e doveva esserci un modo per continuare ad essere il capo degli Andrew senza rinunciare alla sua vera vita.

In quel momento diverse persone corsero fuori da un piccolo parchetto  non lontano da li.

“Aiuto…”

“Che succede?”

“Un animale…è scappato da una gabbia…” gli rispose un’anziana donna minuta, dall’aria gentile e spaventata.

“Che animale?”

“Una tigre…”

“Ma c’è uno zoo qui?”

“Si dentro il parco signore..”

Subito il giovane corse dentro al parco  senza nemmeno pensarci.

Non era molto grande, somigliava un po’ al suo zoo di Londra, perciò per lui fu facile orientarsi e trovare ciò che cercava.

Sapeva bene dove le tigri che scappavano si andavano a rifugiare.

Vicino a qualche chioschetto** che vendeva da mangiare.

L’uomo si avvicinò.

Era proprio spaventata.

E affamata quella povera bestia.

“Signore che fa? Si fermi…è pericoloso..” gli urlò l’uomo del chioschetto che si era rifugiato sotto il bancone.

“Non si preoccupi lei vada via..”

L’ambulante, un corpulento signore di mezza età, non se lo fece ripetere due volte, e scappò fuori dal parco.

Albert prese un hot dog e lo buttò al felino, che subito lo agguantò con aria affamata: a vederlo mangiare così, non potè non sorridere intenerito.

Si abbassò e prese ad accarezzarla.

La tigre non si ribellò e si mise a fare le fusa.

“Hai fame eh bel gattone? Povero piccolo”

Gli lanciò un altro hot dog che l’animale mangiò in pochi bocconi.

“Uhm mi sa che te li mangerai tutti eh?” e scoppiò a ridere: in mezzo di nuovo ai suoi animali, libero, lontano dagli stupidi problemi materiali.

 

 

 

Eccola li.

La sua Tarzan tutte lentiggini.

I riccioli biondi a causa delle luce del tramonto ora parevano davvero d’oro colato.

I suo occhi erano più azzurri del lago Michigan.

E le lentiggini le coprivano come sempre il nasino meravigliosamente perfetto.

Era lei stessa una creatura perfetta.

Qualcuno un tempo aveva chiamato una rosa bianca Dolce Candy.

E lei era davvero una rosa.

Scese lentamente le scale che portavano in giardino, passando in mezzo a diversi cespugli di fiori.

Si fermò un attimo.

Delle rose bianche.

Ne staccò una come ipnotizzato.

E riprese a camminare.

Superò le aiuole arrivando dove lei era seduta, in mezzo al prato, tenendo tra le braccia una bambina che le somigliava in maniera incredibile, anche se aveva i capelli neri.

Quasi come se lo avesse sentito alzò il capo e lo guardò.

Non vi era nessuna sorpresa nel suo sguardo.

Solo un immenso amore e una grande gioia.

“Sapevo che saresti venuto dopo che ti avevo lasciato UN MESSAGGIO a teatro…ci hai messo un po’ troppo però…”

“Scusami Tarzan ma la tua grafia non era molto leggibile…e poi era ben nascosto: ho avuto bisogno di una maschera del teatro per trovarlo…”

“Si certo tutte le scuse sono buone duca di Granchester “

“Non sono più un duca” mormorò allungandole la rosa bianca.

“Un fiore dal signor Granchester?E’ un evento” mormorò lei sorridendogli teneramente e prendendo la rosa tra le mani.

“Potevi venire anche senza nulla… “ aggiunse commossa

La bambina che era stata in silenzio fino a quel momento mormorò

“E’ il tuo fidanzato vero zia?”

“Si piccola sono il suo fidanzato.”

“Io non ho ricevuto nessuna proposta di matrimonio..”

“Sei incontentabile..”

La piccola Corwell urlò

“Che bello la zia si sposa, si sposa!”

“Vedi non possiamo deludere i bambini…”

La giovane Andrew sorrise tra le lacrime

“E’ proprio la tua copia spiccicata: ora dovrò sorbirmi anche una piccola Tarzan in miniatura?”

“Ti dovrei prendere a botte, lo sai?”

“Perché sto per baciarti?”

“No perché non ti decidi a farlo!!!”

Il ragazzo le prese le labbra e iniziò a baciarla con tutta la passione che aveva dentro.

Questa volta non era come il loro primo bacio in Scozia.

Lei contraccambiava.

Gli cinse forte le spalle  come se temesse che da un momento all’altro andasse via.

Le loro lingue si intrecciarono scambiandosi tenere e irruente carezze, come se si conoscessero da sempre.

Un desiderio violento colpì entrambi, che dimentichi del posto dove si trovavano, continuare a baciarsi.

E quel bacio voleva dire tante cose.

“Ti amo… perdonami se ti ho lasciato solo…”

“Ti amo anche io… perdonami se ti ho fatto male…”

“Non lasciarmi più…”

“Non lasciarmi più”

 

 

 

Archie e Annie uscirono in giardino proprio in quell’istante.

Sorrisero nel vedere i loro amici finalmente di nuovo insieme.

“ Papà… mamma avete visto il fidanzato della zia!!! Si sposeranno presto” urlò la piccola Candy saltando in braccio al padre.

“Era ora…” fece Annie alla figlia

“Così la zia non sarà mai più triste… mai più… mai più…”

“Difatti piccola… mai più…” replicò il giovane Corwell.

“E così finalmente se ne andrà quella…” aggiunse la voce acida della signora Brighton.

“Mamma!!!” urlò inviperita la migliore amica di Candy.

“Mia cara bambina, io lo dicevo per lei: così finalmente avrà una vita sua e non starà più qui ad elemos…” ma ancora una volta la mamma di Annie non riuscì a terminare di parlare: quando si accorse di cosa stavano facendo  nel giardino gli ospiti di sua figlia e suo genero, cadde a terra svenuta..

“Papà che ha la nonna?”

“Niente dorme..”

“Strano posto per dormire..”

“Lei è tutta strana..” bisbigliò a mezza voce Archie.

Annie gli diede un pizzicotto divertita, poi impallidì quando voltò la testa verso il giardino: quello non era più soltanto un bacio…

“Ehm andiamo a cena fuori tesoro?”

“Mi pare un’ottima idea..su andiamo piccola..”

“Si papi… si mami… o che bello gli zii fanno l’amore…”

“Candy!!!!” urlò sconvolta la signora Corwell

 

 

FINE CAPITOLO NONO

 

 

*Ungaretti è diventato famoso diversi anni dopo la prima guerra mondiale, ergo è impossibile materialmente che nel 1917, in pieno conflitto cioè, Patty avesse un suo libro di poesie, se poi si considera che la vicenda di Candy si svolge negli Usa… Insomma licenza poetica: credo che la poesia VEGLIA letta da Colin sia perfettamente adatta alla circostanza e così l’ ho messa..

 

**Non ho la minima idea se ai primi del Novecento ci fossero già i chioschetti per gli hot dog, ma anche qui licenza poetica^_^..

   
 
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