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Autore: Valdec    18/11/2006    0 recensioni
La storia di una fine che segna anche un nuovo inizio
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto ha un inizio e una fine, ogni situazione vive un suo logico sviluppo, in natura tutto muta, si evolve, niente resta inalterato. O almeno così ci vien detto. Al principio della mia personale storia tu eri per me un’entità superiore, una figura irraggiungibile, un modello di integrità morale, nella mia mente tu eri depositaria di verità assolute, appunto per ciò mai avrei sognato di contraddirti; io, inesperta e incosciente ragazzina non mi sarei mai potuta rapportare a te, eppure non provavo amore, sì stima, ma non amore. Vedevo in te tutto ciò che avrei desiderato diventare in un futuro, ovvero una persona stimata fin anche da chi ti era rivale, una donna amata e apprezzata per bellezza e intelligenza, una miscela esplosiva di forza d’animo e dolcezza, in te vi era il giusto equilibrio fra candore e sensualità, io ambivo a tutto ciò, pur sapendo che non avrei mai potuto racchiudere in me tali doti. Da bambina adorante e speranzosa, sono divenuta un’adolescente, eppure tu continuavi ad esser un punto fisso, una certezza nel periodo di confusione che stavo attraversando, almeno fin quando non iniziai ad avere una più definita coscienza di me stessa, delle mie capacità, fin quando non iniziai a sviluppare un minimo di senso critico. Con ciò non sto certo dicendo che la mia smoderata passione per te si affievolì, tutt’altro, semplicemente ai tuoi innumerevoli pregi affiancai altrettanti umani difetti; non tolleravo il tuo esagerare nel raccontare gli eventi che ti vedevano come protagonista assoluta, così come mi era insopportabile la tua continua ricerca d’attenzioni. In me si alternavano periodi di immenso affetto e apprezzamento, a fasi di disprezzo; ero combattuta, tu continuavi ad intrigarmi, ma non eri più intoccabile, ti avevo deposto dal trono di assoluta eccellenza che io stessa avevo eretto per te e ti avevo ridimensionato a esser mortale. Tuttavia se qualcuno osava fare inopportune osservazioni su di te, la mia reazione era istintiva, non ammettevo che qualcun altro potesse esprimere giudizi senza sapere nulla a proposito della tua magnifica persona. Nei frangenti di odio, però, disprezzavo anche me stessa, in quanto, nonostante avessi riconosciuto i tuoi limiti continuavo ad idolatrarti in silenzio, dietro le quinte, senza che tu te ne ravvedessi. Non ho mai ammesso ad alta voce tutto ciò che provavo, erano sentimenti troppo forti, ripeto: non era amore, ne tantomeno era stima, in quel periodo, quello della mia adolescenza, sentivo qualcosa che andava ben oltre i limiti di qualsiasi sentimento. Gli anni continuarono a trascorrere inesorabilmente, ci allontanammo, mi distaccai non solo da te, ma anche dal resto della famiglia, l’influenza era troppo forte, non avrei potuto continuare a vivere sotto quel soffocante alone protettivo; noi restammo in contatto, ti informavo giorno per giorno dei miei colloqui di lavoro, degli obiettivi raggiunti e quelli ancora ambiti, eri fiera di me ed io vivevo con più serenità il nostro rapporto, senza più il peso di poterti deludere; la distanza però, anche se apparentemente non è una barriera invalicabile, nella realtà dei fatti comporta grandi ostacoli, così, forse a causa dei rispettivi impegni le nostre telefonate si limitarono a due al mese, anche meno, fin quando nessuna delle due sentì più il bisogno di ascoltare la voce dell’altra. Non mi resi conto di nulla, era stato un abbandono naturale, per parecchi anni non ricevetti più notizie da parte di nessun componente della famiglia; mi odio per tutto ciò, io che in passato non avrei mai nemmeno potuto immaginare una vita senza di te, senza tutti voi; diventai una persona fredda, calcolatrice, cinica ed i motivi di questo cambiamento mi sono tuttora oscuri, non ne ero consapevole, ma la vostra assenza mi aveva svuotata. Tutto ciò fino a quella fatidica notte, ero nella mia fredda casa, dormivo, i miei sogni erano agitati, non me ne curavo, gli stessi incubi mi tormentavano ormai da parecchi anni, ad un certo punto un rumore di sottofondo, acuto, era il telefono; pur non sapendo chi ci fosse all’altro capo, qualcosa mi preannunciò che dopo quella telefonata tutto sarebbe nuovamente cambiato, la mano era instabile, alzai la cornetta, la voce di mio padre: < … >. Piansi, piansi fino all’alba del mattino seguente, tutte le lacrime che non avevo versato alla mia partenza, tutte le lacrime che non avevo versato al momento del nostro distacco, piansi e mi sentì rinascere, nutrivo ancora speranze. Il giorno dopo partì con il primo volo disponibile, nulla era ancora stabilito, ti avrei rivista, ti avrei esternato tutto il mio profondo affetto, non avrei permesso a nessun demone di portarti via prima di raccontarti ogni parola che fin ora avevo taciuto. Iniziai a correre per le vie della mia ritrovata città, conoscevo la destinazione, eri a casa e presto anch’io ci sarei ritornata. Siamo all’epilogo, non della mia personale storia, ma all’epilogo della nostra, non c’è concesso più molto tempo, perché tutto muta e tutto ha una fine. Ti sto ancora pregando di rimanere con me, di permettermi di recuperare il tempo che ho sprecato in questi anni alla ricerca di me stessa, ma tu non mi concederai un momento in più di ciò che mi è dovuto, me lo stai dicendo proprio adesso: questa non è la fine per te, fin quando sarai viva nel mio animo, fin quando io ci sarò e ti porterò con me tu continuerai a vivere. Grazie per avermi ricondotta sulla giusta via, grazie per avermi amata e aiutata, grazie per essermi stata d’insegnamento e grazie per esserlo ancora adesso. Tua nipote
  
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