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Autore: LaFine    25/04/2012    2 recensioni
Per una volta Jackson è solo un personaggio secondario.
Per una volta Jackson non si innamorerà di Annabeth.
Questa è la vicenda di Rose Tannembaum, di una profezia che la riguarda e delle sue caratteristiche che la rendono strana persino tra i semidei
Genere: Azione, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Annabeth Chase, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tre
Una ragazza dai capelli rossi predice il futuro


Mi trovavo in una caverna subaquea e, ad occhio e croce, dovevamo essere molto in profondità, perché non c'era nessuna luce esterna. Un fuoco verdastro scoppiettava in un angolo. Si trattava dello stesso posto che avevo visto mentre ero incosciente e, in qualche modo, sentivo che sarebbe successo qualcosa di brutto. Il mio cuore non batteva e non riuscivo a respirare, anzi, non avevo proprio bisogno di respirare. Camminavo e basta, con una naturalezza agghiacciante, consapevole del fatto che nessuno avrebbe potuto vedermi. Strinsi gli occhi e mi avvicinai al fuoco. C'era una sorta di cesta in vimini accanto alle fiamme e sentivo dei versi. Mi avvicinai e sorrisi, catturata da un odio che non mi apparteneva e che non aveva motivo di esserci. Nelle mani stringevo un pugnale nero, la cui lama, sapevo, apparteneva al regno dei morti. Le mie mani erano rosse e squamose, le dita lunge e sottili stranamente simili a quelle del mostro incontrato una decina di anni prima, con Annabeth, quello che mi aveva permesso di scoprire la mia vera natura. Non sapevo se stessi sognando o se quella fosse semplicemente la realtà, perché noi mezzosangue neanche quando dormiamo possiamo rimanere tranquilli.
Mi mossi a fatica verso la cesta e con orrore appresi che non camminavo, fluttuavo. L'odio venne presto sostituito dalla rabbia; una parte di me non aveva la minima idea di quello che stava accadendo né perché mi trovassi lì, mentre un piccolissimo spazio nel mio cervello mi diceva che era la cosa giusta da fare. Dovevo sbarazzarmi della cosa che giaceva nella cesta.
Avrei voluto urlare di non farlo, ma non ce ne fu bisogno. Sapevo fin troppo bene che non era giusto e mi fermai. La scena cambiò e l'Olimpo apparve davanti a me. Non ci ero mai stata, ora che ci pensavo.
Se neanche voi avete mai messo piede in quel luogo vi basti sapere che è magnifico. Ogni cosa, strade o monumenti, è circondato da un'aura bianca, quasi abbagliante. Persino il fuoco che scoppiettava ad un incrocio, mi mise allegria.
Nessuno sembrò notarmi, ma chiunque sarebbe stato in grado di leggere la preoccupazione crescente nei loro volti. Doveva essere successo qualcosa di brutto e decisi di scoprire qualcosa di più. La mia curiosità, credo, prima o poi mi ucciderà. Stavo andando verso la Sala dei Troni degli Dei e sapevo che loro potevano vedermi al contrario di molti altri.
Stavo per entrare, ma una mano sulla spalla mi fece sobbalzare e voltare. Una donna dagli occhi grigi e profondi che indossava un jeans sfumato e una camicia bianca mi fermò. Atena era davanti a me e sembrava arrabbiata.
Ora, se non avete mai visto una Dea arrabbiata sappiate che è dieci volte più temibile di Crono o Zeus e se sommate il fatto che è vostra madre, il fattore terrore aumenta dieci volte in più.
- Mia signora - dissi, abbassando lo sguardo - Io.. -
Lei mi costrinse a guardarla negli occhi. Con gli Dei non riuscivo a leggere le emozioni facilmente come con i loro figli e le altre Creature, per loro mi ci voleva uno sforzo maggiore che mi avrebbe messo sicuramente fuori combattimento.
- Niente convenevoli - disse velocemente - Ho bisogno che tu stia lontana da quella grotta -
Questo mi rendeva ancora più confusa. Era mia madre, nonché una Dea, avrebbe dovuto sapere che non ascoltavo mai i divieti eppure era ferma nella sua scelta. Provai ad oppormi con lo sguardo e lei mi fulminò, non dovevo spingermi troppo in là.
- Mi scusi - risposi - Cosa ci faccio qui? -
Sentii un tuono in lontananza e Atena scosse la testa, pensierosa. Sembrava che stesse per morire qualcuno e non avrei mai chiesto chi.
- Le cose stanno per cambiare, Rose - il tono della Dea era diventato grave perdendo totalmente quella severità iniziale - Devi parlare con l'Oracolo e fidarti di Annabeth -
Alzò una mano, come per congedarmi. Avrei voluto oppormi, ma mi ritrovai ad occhi spalancati nella mia casa al Campo. I miei fratelli e sorelle dormivano pacificamente e io sorrisi, non avrei mai saputo come fare senza di loro.
Era l'alba e il sole, trainato da Apollo, stavanascendo sulla Collina e le zone circostanti. Indossai l'armatura dopo una doccia calda ed uscii fuori con l'aria del mattino che mi scompigliava i capelli. Sarebbe stato il mio primo vero giorno tra i semidei dopo tempo, quello. Il braccio non mi faceva più male anche se era rimasta una cicatrice verdognola che ci tenevo a coprire, non era uno spettacolo gradevole.
Ripensai al sogno che avevo fatto e mi domandai quanto mia madre avesse ragione. Intendeva dire che dovevo fidarmi solo di Annabeth o anche di lei? E perché dovevo consultare l'Oracolo? Iniziai a camminare per la struttura, oltrepassando le varie altre case. Arrivata al lagetto delle canoe notai una ragazza dai capelli rossi disegnare sul pontile. Se ne stava seduta, come se niente fosse. Non l'avevo mai vista prima. Era bella ed emanava una luce calda che dava conforto. Mi avvicinai a lei.
- Ciao - la salutai.
In tutta risposta lei lanciò un grido e il blocco sul quale stava disegnado venne lanciato in aria. Per fortuna che riuscii a prenderlo al volo.
- Oddio, scusami - mi affrettai a dire, moritificata - Non volevo spaventarti! -
Sorrise. - Non fa nulla, Rose - rispose, tendendo la mano. 
Io sgranai gli occhi e mi ritrassi. Come faceva a conoscere il mio nome? Pensai a tutte le soluzioni possibili: era un mostro, era una sorta di veggente o ero diventata famosa tra i mezzosangue più di quanto non fosse Jackson, il tritoncino.
- Oh - lei rise - Stavolta sono io che devo scusarmi! Sono Rachel Elizabeth Dare, l'Oracolo di Delfi -
Probabilmente feci la figura della cretina perché l'unico suono che mi uscì dalla bocca fu un penoso "eeeh?" che la fece sogghignare. Non poteva essere l'Oracolo! Non era più vecchio e più morto? Quante altre cose mi ero persa in un anno di assenza?
- Sì, sono viva.. ma questa è un'altra storia! - continuò lei, facendo cenno di sedermi.
Aveva i piedi nell'acqua e dondolava le gambe come una bambina. Non riuscivo ancora a crederci che fosse.. insomma, impossibile!
- Io - iniziai, non volevo apparire scortese ma non volevo neanche essere pomposa, anche se mi serviva il suo aiuto - Visto che tu sei.. e io sono.. insomma, misevirebbeiltuoaiuto -
Avevo fatto la figura della cretina, per la seconda volta. Grandioso, Rose. Lei non sembrò prenderla a male, ma quando stava per aprire bocca la sua voce sembrò moltiplicata per tre:

Quando l'ultimo giorno giuntò sarà,
la Progenie di Atene divisa verrà.
Quattro i prodigi, tre le sorti
le forze oscure squarceranno le notti.
Una la scelta, due i destini.
Il mondo sconfittò sarà dai paladini.

Rachel sembrava sul punto di vomitare e forse lo avrebbe fatto se io non avessi iniziato a chiamarla. Quello dell'Oracolo doveva essere un lavoro duro, pensadoci bene. Lei mi guardò come se fossi appena caduta dal cielo. Non si ricordava nulla, possibile?
- Devo... - mormorai, apparendo sicuramente scortese - ..ci vediamo dopo! -
E corsi via verso la Casa Grande lasciando una Rachel stupita sul pontile.
Il sole oramai era già alto e Chirone stava appena uscendo dalla Casa Grande quando mi vide arrivare in tutta fretta.
- Hey, hey - disse, serio - Cosa è successo? -
Gli raccontai del sogno e della profezia. Lui mi ascoltava attentamente, saggiando il terreno con gli zoccoli. Dietro di lui apparve il signor D. con in mano una Diet Coke. Mi squadrò dalla testa ai piedi.
Non mi era mai stato particolarmente simpatico, a dire il vero ma sapevo che se l'avessi ignorato mi avrebbe fatto pagare caro quell'affronto, quindi gli feci un cenno col capo: - Salve signor D -
- Salve Emma - disse sorseggiando la bibita.
Mi ero abituata agli affronti sul nome da parte di quel piccolo Dio e così continuai a prestare tutta la mia attenzione al mio centauro preferito. Speravo che avesse una risposta, credevo che avesse una risposta, invece si limitò a dire: - Signor D credo che sia giunto il momento. -
Ci mancò poco che Dioniso non si strozzasse.


Note

Prima o poi perderò lettori! Lascio troppa suspance!
Spero comunque che vi piaccia questo capitolo
LaFine
 
  
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