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Autore: Ortensia_    25/04/2012    2 recensioni
Dodici, e le lancette scorrono.
Qualcosa li ha condotti al numero 50 di Berkeley Square, e non vuole più lasciarli andare.
Vive nelle fondamenta, nel vuoto. Si nutre della paura e spezza quei sentimenti che riescono a toccarsi con dolcezza nella casa spettrale di Londra.
...
Cos'è? Chi è?
...
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, Altri, Austria/Roderich Edelstein, Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Can you hear the World?'
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X - Veleno



Verso la fine dell’Ottocento, ancora un fatto inquietante segnò l’edificio: un certo signor Dupre andò ad abitarvi e rinchiuse in una stanza dell’ultimo piano il fratello, un ragazzo malato di mente e considerato talmente pericoloso che gli si dava da mangiare attraverso una feritoia nella porta, senza mai lasciarlo uscire. Questa stanza divenne, dopo la morte del ragazzo, quella che ancora oggi viene chiamata “la stanza infestata”.
Ed è proprio qui, che avvennero i fatti più atroci, dove quei poveretti i quali – per sfida o per caso – vi si sono trovati a trascorrere la notte non sono sopravvissuti allo shock.


Le labbra fini si schiusero lentamente, lasciando scivolare via dalla bocca diverse volute di fumo ora sospese in piccole macchie argentee davanti ai lineamenti aguzzi dell’inglese.
Con la sigaretta stretta fra le dita della mano e le braccia appoggiate alle ginocchia, Arthur, era seduto sul pavimento con la schiena adagiata ai mobili della cucina ed il sangue impregnato sul viso, nel candore della camicia. Lo sentiva perfino fra le dita delle mani, ed era estremamente fastidioso.
Francis compresse la sigaretta contro un piattino di vetro e spense la cenere bruciante al suo interno.
«Arthur?» il francese si schiarì appena la voce, osservando l’inglese seduto a terra «non è il caso che tu ti faccia una doccia?»
Arthur rimase in silenzio, aspirando una grossa boccata di fumo per poi risputarla fuori «mhpf, sì-»
«Mi occupo io della colazione, cher~♥» Francis sorrise allegro ed Arthur, nonostante avesse voluto occuparsi della cucina con tutto se stesso, optò che fosse davvero necessario ripulirsi da tutto quel sangue che, riducendo a pezzi la bielorussa, era ormai impregnato in ogni piccolo anfratto delle vesti.
Francis rimase ad osservare l’inglese allontanarsi dalla stanza, ovviamente soffermandosi su un certo particolare finché la voce squillante ed improvvisa dell’americano non lo fece sussultare: sembrava quasi che Alfred fosse rimasto ad osservare la scena per tutto quel tempo e ora si fosse staccato dal muro con aria stanca.
«Francis?» l’americano aggrottò appena la fronte, osservando lo spazio oltre la porta che l’inglese aveva lasciato vuoto, e poi di nuovo il francese.
«Riguardo ciò che ci siamo detti l’altra sera …» Francis lo vide esitare e stringere appena i denti «su Arthur …»
«Sì?» Francis intese al volo che si stava parlando dei sospetti rivolti ad Arthur.
«Ha accettato senza problemi di andare a fare la doccia. Dopo ciò che è successo a Romano.»
Francis sentiva amarezza nella voce dell’americano, e non poté che aggrottare la fronte crucciato, dandogli la schiena per aprire una delle credenze e porre l’attenzione al suo interno.
«Tu pensi davvero che Arthur …?»
«Io non lo so, ma non vorrei …»
Francis rimase in silenzio, osservando preoccupato quel misero strato di caffè ben visibile all’interno di un sacchettino trasparente, di fianco all’ultimo pacco di biscotti integrali: le provviste iniziavano a scarseggiare rovinosamente.
Con una smorfia insoddisfatta scosse appena la testa e parve ritornare alla realtà.
«Non vorrei neppure io, Alfred.»
No, nessuno dei due voleva che quel ragazzo da loro tanto amato si macchiasse di crimini così gravi ed estremamente macabri. Entrambi avrebbero fermamente rifiutato la realtà, se davvero fosse stata quella.

Il suono acuto ed improvviso della sveglia percosse il tedesco dal suo stato di dormiveglia, facendolo sussultare appena.
Le mani del tedesco si scostarono dal viso e i gomiti dalle gambe, e subito gli occhi color del ghiaccio si rassicurarono nel trovare la figura dell’italiano ancora addormentato ed evidentemente intenzionato a rimanere chissà ancora per quanto tempo sotto le coperte: no, questa mattina sarebbe riuscito a farlo alzare e a fargli fare colazione. Non gli avrebbe permesso altre alternative.

Con gli occhi ancora stropicciati dal sonno ed uno sbadiglio rumoroso, Gilbert lasciò la propria camera, pronto ad avviarsi al piano di sotto per la colazione, ma dovette subito arrestare i propri passi, trovandosi di fronte la figura del russo, anch’esso uscito dalla propria camera in quel momento.
Anche Ivan arrestò i propri passi ed entrambi rimasero a guardarsi nel silenzio della casa.
Anche se il colpevole fosse stato Ivan, Gilbert, era incontenibilmente curioso di sapere se anche altre cose con lui, oltre agli abbracci, fossero piacevoli, ed Ivan, perfettamente coscienzioso della totale assenza di fiducia da parte di Gilbert, continuava ad amarlo e volerlo con tutto se stesso.
Entrambi volevano sfinirsi dell’altro, insaziabili di un rapporto impossibile.
Ivan sospirò affannosamente, adagiando una mano sulla porta ed una sul petto del prussiano, baciandolo con voracità sulle labbra e continuando, nel sentire le braccia dell’albino circondargli il collo, per poi entrare nella stanza con lui.

Ludwig era in parte soddisfatto nell’essersi assicurato che Feliciano mangiasse quella misera colazione, ed in parte nervoso, per l’assenza prolungata del fratello e del russo, oltre che dell’inglese.
Quando anche Arthur li raggiunse, poi, fu chiaro anche a tutti gli altri quanto accentuata fosse la sua ansiosa preoccupazione: Gilbert si stava cacciando in grossi guai -come al solito- e non poteva desiderare una conferma più chiaro di così.
«Hallo Bruder!» la voce gracchiante del fratello lo riportò improvvisamente alla realtà.
In silenzio rivolse una rapida occhiata a Gilbert, poi squadrò il russo, bofonchiando un saluto di risposta al fatello.
Tuttavia anche per Gilbert, incontrati i sorrisi maliziosi di Francis e Antonio, quella situazione divenne piuttosto snervante ed estremamente disonorevole.

«Gilbert, posso parlarti?»
Alla domanda del tedesco, il prussiano si arrestò sulle scale e voltò la testa in risposta, osservandolo in silenzio.
«Emh …» no, non era certo da Ludwig ficcare il naso negli affari altrui, ma quello era pur sempre suo fratello, vero?
«Scusa. Dov’eri prima?»
«Perché?» Gilbert aggrottò appena la fronte, senza muoversi dalla sua postazione.
«Tu ed Ivan avete ritardato …»
«Ah West! Non è successo nulla!» Gilbert scosse svogliatamente una mano e tornò a salire le scale, allontanandosi dal fratello.
Ludwig giurò di sentire del nervosismo in quella voce e forse Gilbert se n’era andato così velocemente e silenziosamente proprio perché non voleva finire a litigare.
Gilbert non era certo arrabbiato con Ludwig, ma era meglio sfuggire per un po’ a quelle domande pungenti.
Fra arrabbiato con Russia, ma ancora di più con se stesso, con quel prussiano così Magnifico ma davvero cocciuto per accettare gli errori che sarebbero nati da tutto ciò che riguardava lui ed Ivan.

Amicizie ed amori si venano.
Si sospettano tradimenti e nascono gelosie.
Come fiamme dalla cenere ardente o foglie di smeraldo dalle terre fertili, fioriscono gli odi. Fiori del male che solo la pazzia può coltivare.
Non esistono più sorelle e fratelli.


Francis adagiò la bottiglia di vino vuota sul lavandino, raggiungendo il tavolo dove era adagiato un bicchiere riempito quasi a metà con del vino rosso.
«Di questo passo moriremo di fame. Preparando la colazione mi sono reso conto che ormai le provviste scarseggiano paurosamente …» arrestò le sue parole, sorseggiando un poco di vino dal bicchiere delicato che stringeva nella mano.
Arthur annuì appena, finendo di bere il tè ed adagiando placidamente la tazzina sul piatto bianco.
«Potremmo anche farne a meno della colazione …» sembrò quasi pensare a voce alta.
«Parli tu che ciucci tè ogni ora.» Francis parve sorridere divertito e per poco Arthur non lo ricambiò.
«Il pranzo e la cena, piuttosto?»
«Penso che per qualche giorno riusciremo a metterle insieme tutte e due, ma poi …»
«I understand-» Arthur annuì appena, mentre Francis adagiava il bicchiere vuoto davanti a sé, evidentemente immenso nei propri pensieri “Arthur è sempre sulla scena, mette sempre le mani dove potrebbero esserci infinite prove, non mostra il minimo di paura, ed è così freddo … anche quando macella i corpi esanimi di tutti gli altri.” Francis aggrottò appena la fronte, con gli occhi fissi ed insistenti davanti a sé, senza neppure accorgersi che ora, Arthur, lo squadrava crucciato e confuso.
«Francis?»
“E poi è vero … è l’unico che ha avuto il coraggio di entrare in quella maledetta doccia, o quello che ha trovato il marchingegno nel pianoforte.
È lui che ci aspettava qui, a Berkeley Square, ancor prima che arrivassimo …”

«Ehi idiota!» al richiamo rabbioso del britannico, Francis scosse appena il viso e gli rivolse un’occhiata confusa.
«Dis-moi!»
«A proposito del pranzo, sarà meglio che andiamo al piano di sopra a prendere qualche verdura …»
«Oh, Angleterre, cucino io-»
«Io.»
«Non~♥» ma nonostante i sospetti, era così bello stare insieme a lui.
«Vuoi avvelenarli tutti, Francia?»
«Mhpf, piuttosto cuciniamo insieme, teppistello!» tanto avrebbe fatto tutto lui, ma intanto avrebbe potuto parlare con Arthur.
L’inglese sbuffò appena, poi, alzatosi, lo incitò con un gesto della mano «let’s go!»

Arrivato al secondo piano, Arthur, si arrestò a metà del corridoio, non sentendo più i passi di Francis dietro di sé.
«Mh?» quando voltò la testa e lo vide con la schiena aderente alla porta della prima camera aggrottò la fronte confuso «che fai lì, idiota?»
Il francese non rispose, e vedendolo con il viso basso, Arthur non poté che affiancarsi a lui ed adagiargli una mano sulla spalla, vedendolo con gli occhi socchiusi ed il respiro affannato.
«… Francis?» gli scosse appena la spalla con la mano «ehi?» e con la voce quasi parve assumere un tono più dolce, impaurito.
«A-Arthur …» il francese deglutì a fatica ed Arthur lo sentì tremare sotto le sue mani.
«Che ti succede? E-ehi idiota, non fare scherzi …»
«N-no … sto male, Arthur …» lo vide portarsi al petto una mano tremante, ed assumere sul viso una smorfia di dolore, scossi da brividi che quasi percossero anche la sua persona, usando come tramite le mani, ora entrambe adagiate sulle spalle del francese.
In un attimo, le guance del francese, parvero gonfiarsi appena, e con un colpo di tosse, un rivolo di sangue abbastanza cospicuo gli uscì dalla bocca, colando velocemente sulla pelle e raccogliendosi in una grande goccia rossa sulla punta del mento.
L’inglese sgranò gli occhi, sentendolo scivolare «Francis?!»
La voce dell’inglese si fece più alta e timorosa, mentre si chinava sull’altro, ormai seduto a terra con il respiro smorzato.
«Cazzo! Francis!» lo scosse appena, e non si accorse neppure che gli angoli degli occhi si erano formate due lacrime brucianti «France! Don’t be stupid!»
No, ma Francis non stava facendo lo stupido.
«Arthur …» il francese tossì ancora, sputando sangue e tremando, fino ad inclinare il viso e vomitare sangue con un colpo di tosse soffocato.
L’inglese rimase in silenzio, stringendo con le mani le spalle dell’altro e lasciando che una lacrima si allontanasse dalle ciglia bionde nelle quali si era imperlata per solcargli la guancia.
«Shit …» sibilò fra i denti, aggrottando la fronte tremante, osservando le chiazze di sangue sul pavimento ed intravedendo, insieme alle tracce di vomito, piccole macchie più scure, quasi nere.
«È … veleno, vero?» il francese tossì ancora, debolmente.
«Please …» quasi incredulo, Arthur, si ritrovò a sussurrare debolmente, finché una voce alle sue spalle non uccise le lacrime sul suo volto.
«Cosa succede?!»
Quando Arthur voltò il proprio viso vide America, Russia e Germania in piedi alle sue spalle.
Non si scostò neppure per un attimo dal francese: si limitò a guardare gli altri con sguardo rassegnato, finché il corpo tremante sotto le sue mani non parlò flebilmente.
«É-écoutez-moi …»
Anche Arthur si voltò, e dando le spalle agli altri già sembrò che le lacrime tornassero ad invadere gli occhi e pizzicarli divertite.
«Non ci sono quasi più provviste .. fra poco rimarrete senza pranzo, o cena …» tossì ancora, socchiudendo gli occhi senza più guardare i visi attoniti degli altri quattro Stati di fronte a lui.
«Mangiatemi …» lo disse così velocemente che Arthur non fu sicuro di aver udito bene ogni singola parola.
«Co-cosa stai dicendo, idiota?!» Alfred aggrottò appena la fronte, quando sentì la voce di Arthur così tremante e spaventata «non dire stupidaggini-!»
«Arthur … non ce la fareste …
Mangiatemi e basta.» riuscì a dire con una voce ormai inesistente e gli occhi lucidi. Poi tornò a guardare l’inglese, ormai in lacrime, anche se solo lui poteva vederlo, e gli sorrise flebilmente, arrancando sul petto con la mano, spaventato nel sentire il respiro sempre più scarso, vedere gli ultimi attimi di vita farsi sempre più cupi.
«Ti prego Arthur …» trovò solo la forza per un ultima manciata di parole «dimmi che non sei tu … il colpevole-»
E spirò, con quella che sembrava più una supplica, piuttosto che una speranza, inclinando il viso verso il basso, finché il corpo non si riversò completamente sul pavimento: così erano scoccate le undici.
«No …» Arthur negò fermamente con il viso ciò che gli era appena capitato davanti agli occhi, sotto le mani, e si alzò velocemente, dirigendosi verso il piano di sotto «non ce la faccio-» e poi sparì dalla vista degli altri tre.

Tornato in cucina, Arthur, si occupò del bicchiere da vino e della bottiglia di rosso che, poco prima, Francis aveva lasciato vuoti.
Con la schiena inarcata e la testa bassa, gli occhi chiusi, mentre le lacrime si spezzavano nel lavandino, pensò fosse una situazione davvero umiliante.
«Arthur?» la voce dello spagnolo interruppe le lacrime dell’inglese, che in un primo momento rifiutò di voltarsi.
«Cosa è successo?» anche Gilbert era lì alle sue spalle, con a sua voce roca e fastidiosa.
«Francis è …» a quelle parole già gli occhi dello spagnolo e del prussiano si sgranarono increduli, e le iridi lucenti divennero poco a poco tristemente cupe e vitree.
«Como …?»
«Veleno.
Stupido veleno.» l’inglese lasciò cadere il bicchiere nel lavandino ed il vetro si infranse in un rumore squillante.
«E a quanto pare sarà la cena di stasera.» sibilò acidamente, trattenendo a fatica un rantolio di rabbia.
Antonio aggrottò la fronte confuso, incredulo, mentre Gilbert arretrò spontaneamente, imboccando il corridoio e salendo velocemente le scale, diretto al piano di sopra.
Arrivato poté vedere Ludwig, Ivan ed Alfred discutere su cosa farne del corpo dell’amico, riverso esanime sul pavimento.
«Gilbert?» Ivan lo chiamò flebilmente, ma l’albino lo ignorò del tutto ed entrò nella propria stanza, subito adagiando la schiena contro la parete, lasciandosi scivolare fino a terra con una mano davanti alla bocca, in preda ad un conato.
Dovette chiudere gli occhi, che a causa del leggero stato di lacrime ora li riempiva bruciavano fastidiosamente, mentre deglutiva a fatica, cercando di contrastare quella nausea fastidiosa che ora gli attanagliava la gola e lo stomaco.
«S-Scheiße-!» si ritrovò a borbottare poco prima di essere percosso da un altro conato.
Ad interrompere quello che aveva tutta l’aria di essere un preavviso del cibo nello stomaco del prussiano, fu il cigolio della porta della camera, che venne aperta e richiusa rapidamente.
Quando Gilbert alzò appena il viso vide Antonio con la schiena aderente alla porta e lo sguardo fisso su di lui: uno sguardo triste, incredulo, confuso.
C’erano tutti i sentimenti negativi del mondo, in quello sguardo.
Gilbert rimase in silenzio, vedendo l’iberico avvicinarsi e poi sedersi al suo fianco, in silenzio, adagiandogli una mano sulla spalla «rimango qua con te …»
Il prussiano annuì appena: gli avrebbe sorriso, con quel ghigno sempre vivace e divertito, se avesse ignorato la morte di uno dei suoi migliori amici.
«Danke.»
«De nada-
E poi, io …» continuò «non vorrei mai diventare … cannibale …» aumentò appena la presa sulla spalla dell’albino, lasciando scivolare la testa all’indietro, fino ad adagiarla alla parete.
«Spero che anche West la pensi così …»
Lo spagnolo annuì appena, poi sospirando appena «che facciamo?»
«Parliamo?» rispose semplicemente l’albino.
«Buona idea, amico.» ed Antonio trovò la forza per un sorriso appena accennato, rivolgendo un’occhiata impensierita all’albino e poi subito abbandonando quell’espressione apparentemente speranzosa.

Il russo fermò improvvisamente la propria mano chiusa a pugno a pochi millimetri dalla porta, ritirandola lentamente: erano passate ore da quando Gilbert si era chiuso in camera, e non lo aveva più visto uscire.
Che cosa avevano fatto di male, dopotutto? Avevano soltanto scelto la strada della sopravvivenza, seppur in modo macabro e nauseante. Seppur si fossero ridotti a miseri cannibali.
Ivan scosse appena la testa e si convinse dell’idea precedente: bussò alla porta del prussiano ed attese una risposta.
Ormai esausti di tutte quelle parole e dal pensiero che un membro del trio fosse stato designato come la vittima del giorno, Gilbert ed Antonio si erano addormentati come sassi con le schiene adagiate ad una parete della stanza e le teste che sembravano sorreggersi l’un l’altra.
Esausto, Gilbert, schiuse a fatica gli occhi, svegliando l’amico, quando scostò la testa e si alzò faticosamente in piedi, raggiungendo la porta.
Aperta cautamente la porta e ritrovatosi davanti Ivan, il prussiano non poté che sbuffare innervosito, mentre Antonio gli passò di fianco e, con una pacca sulla spalla, decise di congedarsi da entrambi «ci vediamo domani ragazzi, buenas noches!»
Gilbert non ebbe il tempo di contestare la decisione dell’iberico, che già si stava avviando al piano inferiore, e allora lasciò che i suoi occhi si soffermassero sulla sagoma del russo: lo ammetteva, aveva sperato che anche ad Ivan balenasse in mente di saltare la cena, seguire l’idea di Antonio, ma sapeva benissimo di cosa era capace quello che aveva davanti, e conoscendolo così bene era lecito pensare che anche lui avesse appena finito di divorare il suo amico, proprio come tutti gli altri.
«Scusa, stasera preferisco dormire da solo. Gute Nacht.» questa volta, però, Ivan decise di non insistere e non lo contestò: lasciò semplicemente che gli chiudesse la porta in faccia.

«Finalmente ho mangiato! Veh~!»
Quando Germania sentì quelle parole non poté fare a meno che scostare velocemente il proprio sguardo dal libro che stava leggendo a Feliciano.
Al contrario di lui, Feliciano, non si era fatto tanti problemi a mangiare la carne di un altro Stato, ma Germania non pensò fosse tanto per provare, o per fame disperata, piuttosto … per pazzia.
Forse il suo amico aveva ragione, forse quella casa avrebbe reso Feliciano davvero pazzo di lì a poco.

«Erano solo … delle stupide riviste …» risistemate le riviste sotto al letto vuoto di Francis, Arthur, si scostò dal pavimento e si sedette silenziosamente sul suo, ripensando a quando lui ed Alfred lo avevano sorpreso a nascondere furtivamente qualcosa proprio in quel punto.
Solo sciocche riviste.
E ora lui si ritrovava ad osservare con occhi vitrei e tristi quel letto vuoto di fronte al suo.
Sospirò appena, abbassando la testa e lasciando che le braccia dell’americano gli circondassero silenziosamente il corpo e le labbra si adagiassero appena sulla sua spalla sinistra.
«Arthur, appena usciremo di qui lo rivedrai …»
«Mhn-»
«Cerca di dormire, ora.» Alfred lo strinse un poco di più, abbassando lentamente la testa e lasciando che la fronte aderisse alla sua spalla, finché il viso dell’inglese non si inclinò appena verso sinistra, incontrando i capelli biondi dell’altro.
«Ci sono qua io …»
Ed un fulmine squarciò crudelmente la notte.

Dopo un rumore più acuto ed insistente degli altri, quasi assordante, Gilbert smise di rivoltarsi fra le coperte e si mise a sedere deglutendo appena.
Insieme allo scrosciare della pioggia proveniente da fuori, riusciva ad udire perfettamente qualsiasi suono spiritato all’interno della stanza, quasi percepiva un’aura fredda ruotare placidamente intorno a lui, soffocandolo a poco a poco.
Quando una folgore illuminò la stanza per un solo attimo, e in quella frazione si secondo gli parve di scorgere una sagoma scura ed informe ai piedi del suo letto, decise che era davvero troppo.

La porta cigolò appena e si richiuse in un piccolo sbuffo delicato; a passi felpati, Gilbert, si diresse cautamente verso il letto dell’altro, e si soffermò ancora una volta su quel viso addormentato.
Tutto ciò era davvero poco Magnifico, ma la stanza che lo ospitava non era certo degna di lui più di quella in cui si trovava ora: lentamente si coricò al fianco dell’altro, avvicinando appena il corpo, sentendo improvvisamente le braccia del russo intorno al suo corpo e le labbra schioccargli un dolce bacio sulla fronte.
«Buona notte, coniglietto ♥»


Una risata soffocata, nel buio della casa.
Un sorriso sghembo e perverso, su un volto illuminato dalla luce del fulmine.
   
 
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