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Autore: Lue    26/04/2012    2 recensioni
Ma ecco, non è passata nemmeno un’ora da quando hai deciso di amarti un po’ di più, che il tuo sguardo si perde oltre il bicchiere d’acqua, oltre il pasticcio di carne, ti viene in mente qualcosa, ti alzi da tavola. Il piatto rimane pieno, la forchetta tintinna sul bordo di porcellana. E poi – Com’è successo? Non ricordo... – sei sdraiata sul pavimento di marmo del bagno, la testa premuta contro la base bianca del water, la bocca impregnata di un sapore amarognolo, i capelli lunghi sporchi e scomposti, il gracchiare dei conati che ti rimbomba nelle orecchie. Piangi in silenzio, le mani premute sul viso – se qualcuno ti sentisse sarebbe la fine – e tanta rabbia contro te stessa. Sei magra, piccola, sei una fogliolina che il vento rischia di spazzare via... e la colpa è solo tua.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oceano

 

Ti eri ripromessa che le cose sarebbero cambiate.

Domani è un altro giorno, ti ripetevi davanti allo specchio, scuotendo i capelli, e passandoti una mano sulla pelle liscia e fredda.

Ci avevi provato tante, tantissime volte, avevi provato a smettere, a ricominciare a vivere.

Ma ecco, non è passata nemmeno un’ora da quando hai deciso di amarti un po’ di più, che il tuo sguardo si perde oltre il bicchiere d’acqua, oltre il pasticcio di carne, ti viene in mente qualcosa, ti alzi da tavola. Il piatto rimane pieno, la forchetta tintinna sul bordo di porcellana.

E poi – Com’è successo? Non ricordo... –  sei sdraiata sul pavimento di marmo del bagno, la testa premuta contro la base bianca del water, la bocca impregnata di un sapore amarognolo, i capelli lunghi sporchi e scomposti, il gracchiare dei conati che ti rimbomba nelle orecchie.

Piangi in silenzio, le mani premute sul viso – se qualcuno ti sentisse sarebbe la fine – e tanta rabbia contro te stessa. Sei magra, piccola, sei una fogliolina che il vento rischia di spazzare via... e la colpa è solo tua.

Lo sai bene, mentre con le dita ti asciughi le lacrime – quelle stesse dita che rifiutano gentilmente i piatti di cibo, quelle dita che si infilano con forza nella tua gola, sottraendoti a te stessa, pezzo per pezzo – lo sai che dipende solo da te; potresti smetterla se volessi, se solo la volontà in te fosse più forte di quest’odio che ti distrugge.

Non è mai stato facile: gli sguardi delle persone per strada, la difficoltà a trovare un amico – perché c’erano quelli troppo intimiditi dal tuo nome per parlare, e quelli che al contrario erano solo interessati al prestigio di tuo padre –, le aspettative degli insegnanti, dei compagni del collegio, la delusione nel vedere che no, tu non eri niente di speciale.

Per qualche tempo, per farti coraggio, ti sei ripetuta nella mente le parole di tua zia, “Non curarti di ciò che pensa e dice la gente, ricorda sempre che sarà solo invidia”, ma col passare degli anni la sua voce roca è andata scemando, è diventata un ronzio lieve nella tua testa, schiacciata brutalmente sotto il peso delle opinioni degli altri.

Hai cominciato a pensare che avessero ragione, hai pensato che i tuoi brufoli, il tuo carattere, il tuo sgraziato talento non potevano cambiare, ma che una cosa da poter tenere sotto controllo c’era: il peso. Hai smesso di mangiare, giorno dopo giorno, e hai gioito osservando gli sguardi invidiosi delle tue compagne: per la prima volta eri ammirata per qualcosa di tuo.

Ma pian piano l’odio verso te stessa si è manifestato ancora, un nuovo disgusto verso le tue ossa sporgenti, la tua pelle bianca e malata, le tue labbra violacee, gli zigomi pronunciati, le borse sotto gli occhi grandi. Quando uscivi coi ragazzi non volevi mai fare l’amore, non volevi che ti vedessero nuda, crudamente spogliata delle tue difese.

Hanno smesso di invitarti fuori, ti sei ritrovata sola mentre la tua famiglia era troppo impegnata a risplendere per accorgersi dei tuoi occhi spauriti, da cerbiatto – come quelli del padre di tuo padre – che chiedevano aiuto, implorando immensi.

Un’acqua nera e densa ti ha impregnato i polmoni, e ogni volta che usciva dalla tua bocca si portava via tutto ciò che il tuo corpo conteneva. Compresa la vita. Non te ne sei accorta subito, ma non riuscivi più nemmeno a respirare.

È cominciato tutto una mattina di Febbraio, ti sei immersa in quell’acqua gelida, forse sperando che qualcuno si accorgesse di te e ti tirasse fuori prima che ti succedesse qualcosa. Ma non è arrivato nessuno a salvarti, perché hai sempre agito di nascosto, ti getti in quell’oceano nero lontana dagli sguardi degli altri, e non riesci mai a riemergere dall’acqua sporca.

Torni a casa per le vacanze e stai sempre per conto tuo. Indossi quattro maglioni e un paio di jeans sotto i pantaloni da ginnastica. Hai messo due strati di fondotinta per coprire le occhiaie. Fingi di avere mal di pancia per non dover mangiare i dolci di tua nonna – il loro odore ti dà alla testa. Corri in bagno per vomitare.

Rannicchiata in terra, mentre ti pulisci la bocca con il maglione, la porta si apre piano. Non sai chi è entrato, finché non riconosci le pantofole rosa di tua nonna.

Mentre lei si china su di te, scoprendo la tua pelle tirata sulle ossa deboli, scoppiando in singhiozzi e stringendoti forte a sé, un sussurro filtra dalle tue labbra.

Aiuto.




___________________




Avevo cancellato questa storia perchè l'avevo pubblicata sul giornale della mia scuola e non volevo che qualcuno pensasse che l'avevo presa da internet, ma ora mi dicono che è il momento di ripostarla :)
Lu.

   
 
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