Ecco il primo capitolo…
Buona lettura!
Primo capitolo: La Radura
Poco dopo
camminava di nuovo nel villaggio.
“Cacciatrice!”
Si voltò, riconoscendo la voce della donna che la chiamava.
“Aria,
buongiorno.” La ragazza le sorrise e il volto le si illuminò.
“Sei andata al
cerchio?” Chiese, affiancandosi a lei.
“Sì.” La ragazza
annuì come se avesse conosciuto la risposta.
“Lo immaginavo.”
Affermò infatti, poi aggiunse: “Vieni, ti ho tenuto da parte la colazione.”
La donna annuì,
sorridendole. Lei e Aria erano nate lo stesso inverno e, malgrado fossero molto
diverse, erano sempre state come una cosa sola: quando erano bambine era
difficile vedere una di loro senza che ci fosse anche l’altra.
La tenda in cui
Aria la condusse era posta al centro del villaggio, non essendo ancora sposata
la giovane viveva con la famiglia. Quando entrarono sua madre era intenta a
sistemare un abito e fece loro un sorriso nel vederle, si era occupata di lei
da quando i suoi genitori erano morti. In quando moglie del capo villaggio era
un suo compito, ma non era mai sembrato un dovere pesante, lo dimostravano i
due bambini che si precipitarono all’interno in quel momento, due fratelli
orfani da poco che la donna aveva accolto con tutto l’affetto di una madre.
“Bambini, non si
corre in casa!” Li redarguì, ottenendo in cambio due sorrisi monelli. I
fratelli fuggirono via e Aria li guardò sparire scuotendo la testa.
“Madre, dovremmo
far fare delle scarpe nuove per quei due, presto si vedranno le dita dei piedi.”
“Li consumano
alla velocità con cui li consumavate voi due.” Commentò la donna con una finta
smorfia, Aria sorrise lanciando uno sguardo alla Cacciatrice che aveva cercato
con complicità i suoi occhi.
Si sedettero
alla tavola e la giovane le posò davanti del pane con della carne fredda.
“Cosa hai
visto?” Le chiese poi Aria, lanciandole un’occhiata. La donna si strinse nelle
spalle, mangiando.
“Lo sai che è
difficile da spiegare…” Aria sospirò a quella risposta evasiva.
“Rysa, continuerò a chiedertelo se tu rispondi sempre in
questo modo.” Le posò una mano sulla spalla stringendo appena, la Cacciatrice
fu sul punto di rispondere quando il capo del villaggio entrò nella tenda.
“Oh, bene, Rysa sei qui.” La donna posò la mano sul pugnale, che
teneva sempre alla vita, in segno di rispetto per il ruolo del nuovo arrivato e
l’uomo la imitò in modo frettoloso, prima di proseguire con le sue parole. “Fuori
sono tutti eccitati, avrò bisogno anche di te, ti rispettano come rispettano me
e staranno buoni se sarai nei paraggi. Non voglio nessun tipo di incidente con
gli uomini dei Clan.” Rysa annuì, con aria seria.
Aveva
venticinque anni, eppure aveva già il rispetto del villaggio, si era guadagnata
quel diritto ottenendo la testa del lupo due anni prima. Era a capo dei
cacciatori e procurava la carne per tutti.
L’uomo sospirò
soddisfatto poi lanciò un occhiata ad Aria.
“E tu, non farti
vedere troppo in giro.” La ragazza corrugò la fronte, mentre la bocca assumeva
una linea dura, il padre alzò le braccia. Rysa lo
aveva visto affrontare più volte uomini che avevano già estratto i coltelli,
pronti ad uccidersi per una lite e riportarli alla calma, ma, neppure una volta,
lo aveva visto trionfare sulla figlia.
“Era solo un
consiglio, non voglio che ti succeda nulla di male.” Il volto di Aria si
rilassò e la ragazza sorrise al padre.
“Non mi
succederà nulla, starò con Rysa.” L’uomo lanciò un’occhiata
alle due donne, scosse la testa e uscì.
“Forse tuo padre
ha ragione…” Iniziò Rysa, ma lei scosse la testa.
“Starò con te,
cosa può succedermi?” Sorrise e le strinse la mano.
“Cacciatrice?”
La voce di un uomo all’esterno della tenda richiamò l’attenzione di Rysa, Aria le lasciò la mano e fece un passo indietro.
“Vai. Ci vediamo
dopo, al Torneo.” Sorrise e si voltò facendo oscillare i lunghi capelli biondo
oro.
Rysa la guardò andare via poi uscì.
Il sole ormai
aveva raggiunto il villaggio e le strade era ancora più animate che in
precedenza. Dinal, appoggiato ad una botte
rovesciata, la stava aspettando.
“Rysa.” Disse nel vederla, toccando l’elsa del pugnale gesto
che lei imitò. Dinal era più vecchio di lei, era stato
lui a insegnarle a cacciare, ma ora era lui a toccare il pugnale per primo nel
vederla.
“Il Capo mi ha
detto che non vuole incidenti.”
“Sì. Lo hai già
detto ai ragazzi?” L’uomo annuì poi guardò il sole che si alzava nel mattino.
“I Clan sono in
fermento… Sta succedendo qualcosa.” Rysa corrugò le sopracciglia,
non era da Dinal esagerare, essere pessimista o avere
fantasie.
“Anche il villaggio
è in fermento, il Torneo mette tutti in agitazione.” L’uomo si strinse nelle
spalle, ma non sembrò molto convinto.
I tamburi presero
a suonare e Rysa sorrise.
“Ci siamo!”
Il villaggio si
svuotò mentre ogni persona: anziano, uomo, donna o bambino, raggiungeva la grande Radura.
La Radura, come
il cerchio di pietra era un luogo sacro per i Villaggi, costruito molto tempo
prima poteva accogliere centinaia di persone sui gradini in pietra, lasciando
al centro uno spazio libero nel quale si sarebbe svolto il Torneo.
Rysa insieme a Dinal seguì la
folla, raggiungendo la Radura che era già occupata dagli uomini dei Clan. I due
gruppi si lanciavano occhiate non troppo amichevoli, ma nei caotici momenti in
cui ognuno trovò il proprio posto, non scoppiarono tafferugli.
I tamburi
smisero il loro ritmico richiamo e il Capo del villaggio entrò nella spianata,
alzò le braccia per richiedere il silenzio, poi non appena ne ebbe ottenuto una
parvenza, annunciò con voce stentorea:
“Che il Torneo
abbia iniziò!”
Il pubblico
scoppiò in applausi e urla, erano settimane che occupava i pensieri di tutti,
finalmente era iniziato.
Il Torneo era
una tradizione antica e si svolgeva ogni cinque anni, ma era la prima volta che
vi partecipavano anche i Clan. Il Capo osservò gli uomini vestiti di pelli, dai
capelli lunghi e neri poi il suo popolo, dagli abiti colorati e dai volti
pallidi, infine con voce chiara disse:
“Che gli
sfidanti si facciano avanti!”
Rysa osservò i giovani del villaggio alzarsi, conosceva la
maggior parte degli uomini che avrebbero partecipato, non sono del suo villaggio,
ma anche quelli provenienti dai paesi limitrofi. Una testa più bionda delle
altre, però, distrasse la sua attenzione dagli sfidanti, Aria la raggiunse e le
sorrise, aveva il volto leggermente arrossato, segno che aveva corso.
“Stavo per
perdermi l’inizio! Mia madre non mi ha permesso di uscire con il vestito
azzurro.” Rysa inclinò la testa valutando il vestito
verde dai delicati ricami che la ragazza indossava, forse quello azzurro le
faceva risaltare gli occhi dello stesso colore, ma questo non le toglieva
nulla.
Nell’arena il
gruppo di giovani si era fatto piuttosto nutrito, anche i guerrieri dei Clan
erano pronti alla sfida e i due gruppi erano ben separati sul terreno brullo al
centro della Radura.
Uno spintone la
fece voltare verso la folla, poco più avanti si era accesa una lite, Rysa si mosse scivolando tra la folla come tra gli alberi
della foresta fino a quando non si ritrovò davanti ai due contendenti.
“Cosa succede
Redi?” Il ragazzo era rosso come una fragola di bosco e teneva il pugno stretto
attorno al pugnale il un gesto minaccioso e non di rispetto, di fronte a lui
c’era un uomo dei Clan: era alto, le spalle larghe e il torace ampio, non
portava la barba, ma aveva i tipici capelli lungi e neri. Vestito con una pelle
di orso nero, appariva minaccioso, anche se le sue mani erano lontane dalle
armi.
“Mi ha offeso!” Rysa tornò a guardare Redi.
“Come?” L’uomo
arrossì ancora e distolse lo sguardo, allora parlò l’uomo dei Clan,
sorprendendola con una voce melodiosa anche se profonda.
“Ho chiesto a
lui, perché non partecipare.” Rysa fermò Redi con un
gesto della mano. Il giovane aveva perso la sorella in un incursione dei Clan
qualche anno prima ed era chiaramente in cerca di uno scontro.
“Non mi sembra
una domanda offensiva Redi, per favore, vai da Dinal
e digli che sarai il suo galoppino per la giornata, tutto chiaro?” Redi
digrignò i denti, ma allentò la presa sul pugnale. Con una smorfia sfiorò il
pugnale in segno di accettazione e si voltò sparendo tra la folla.
Rysa alzò gli occhi sull’uomo dei Clan che però non la
guardava più, il suo sguardo era perso, rapito da qualcosa alle sue spalle. Con
la gola secca la Cacciatrice si girò intuendo cosa avrebbe visto: Aria era lì,
i suoi occhi azzurri e la sua chioma d’oro illuminati dal sole. Rysa fece un passo di lato frapponendosi tra lei e l’uomo
che inclinò la testa, sorpreso di vederla.
“Mi dispiace per
l’incidente.” Affermò cercando di chiudere la faccenda. L’uomo agitò la mano scacciando
l’accaduto poi sorrise e indicò con il dito Aria.
“Ho già visto
capelli d’oro, ma mai come lei, brillano!” Sorrise ancora, contento poi, nel
vedere che Rysa si voltava per andarsene, la afferrò
per un braccio. Attorno a loro l’aria si condensò, tutti gli uomini del villaggio
li stavano guardando ora. Rysa fissò negli occhi il
guerriero dei Clan che si guardò attorno, incuriosito più che timoroso, dalla
reazione che quel semplice gesto aveva creato. Perplesso le lasciò il braccio.
“Tu sei solo
donna.” Disse come se quello spiegasse la sua incomprensione, poi si strinse
nelle spalle e sorrise. “Solo sapere…” Si interruppe alla ricerca della parola.
“Sposa?” Disse infine quando l’ebbe trovata. Nel vedere lo sguardo
interrogativo di Rysa indicò di nuovo Aria che
guardava l’arena riempirsi di giovani.
“No, ma è la
figlia del Capo.” Gli occhi dell’uomo si illuminarono e Rysa
si rese conto di aver commesso un errore.
“Bene.” Disse
infatti lui poi sorrise e scese tra la folla fino a raggiungere l’arena.
Il suo arrivo fu
accompagnato da un boato da parte dei Clan che smisero di inneggiarlo solo
quando lui alzò le braccia per parlare.
“Cosa succede?” Dinal l’aveva raggiunta e guardava, come tutti, il nuovo
arrivato nell’arena. Rysa non gli rispose stava
attendendo con timore le parole del guerriero dei Clan.
“Io sono Orsoi, mio padre era Artiglio d’Aquila e mio nonno Toro
Grigio, sono del Clan Grigio e sono il primo re dei Clan!” Metà dell’arena
saltò in piedi, inneggiante, mentre l’altra metà rimase in uno sbigottito
silenzio, nessuno aveva saputo che i Clan, ora, avevano un re. L’uomo però non
aveva finito.
“Sono qui per
onorare il Torneo.” Questa volta aveva parlato nella lingua dei Clan e un uomo
aveva tradotto per lui. “E quale miglior modo per onorarlo se non
partecipandovi?” Di nuovo i Clan esultarono, mentre metà del pubblico attese la
traduzione per poi iniziare a valutare le qualità fisiche del re e le sue
possibilità. Rysa non aveva bisogno di sentire i discorsi
per immaginarsi i più anziani decantare la sua evidente forza.
Il re si diresse
verso il Capo e gli tese la mano, era un saluto tipico dei Clan e l’uomo,
abituato a trattare con loro, non esitò a stringergliela.
“Capo!” Urlò poi
il re, ottenendo l’immediato silenzio. “Sono re da un giorno e sono alla
ricerca della mia regina.” Rysa lanciò un occhiata ad
Aria che poco più in là stava guardando la scena senza nessuna apprensione, a
differenza di lei, non aveva visto lo sguardo che le aveva lanciato Orsoi.
“Chiedo…”
Continuò lui, questa volta nella lingua dei Villaggi. “Chiedo la mano di vostra
figlia.” Concluse, dopo essersi consultato con l’uomo che traduceva accanto a
lui.
Il Capo lo
guardò sbigottito, era un uomo alto e forte, eppure appariva piccolo e vecchio
accanto a quel gigante vestito di pelli.
Rysa guardò Aria che si era voltata per cercarla, il
terrore era chiaramente leggibile nei suoi occhi, insieme a una silente
supplica. I suoi meravigliosi occhi azzurri la imploravano di aiutarla e lei
non sapeva cosa fare.
Tutti erano in
attesa della risposta del Capo villaggio che sembrava incapace di dire
alcunché.
“Capisco che non
posso averla senza aver dimostrato il mio valore.” Intervenne ancora Orsoi, aiutato dal traduttore. “Ma se vincerò il Torneo
avrò provato di essere il miglior guerriero e avrò la mano di vostra figlia.”
A nessuno
nell’arena sfuggì la minaccia che quella proposta implicava, non c’era spazio
per un rifiuto.
“Sarà un onore,
per me, concedervi la mano di mia figlia, se vincerete il torneo” Fu quindi
obbligato a dire il Capo. Dalla folla ottenne un boato di soddisfatto, ma il
suo volto era teso.
“Rysa…” Aria ora l’aveva raggiunta ed era praticamente
aggrappata a lei, il viso pallido e il cuore che batteva veloce. “Vincerà!”
“No.” La mano
della ragazza tremava in quella asciutta e ferma di Rysa.
La Cacciatrice prese un profondo respiro, sapeva cosa fare. Si separò da Aria
scendendo lentamente i gradini dell’arena.
“Rysa?” La interrogò, perplesso, Dinal
al quale lei si era avvicinata e aveva teso il ciondolo intagliato con la testa
di lupo. Il volto serio e fermo della donna lo bloccò dall’insistere. Il Capo
la guardò interrogativo nel vederla entrare nell’arena.
“Cosa fai Rysa?” La donna non rispose, ma come prevedeva il cerimoniale
porse il suo pugnale all’uomo e pronunciò le parole di rito.
“Sei la nostra Cacciatrice,
non puoi partecipare…”
“Ho ceduta a Dinal la testa di lupo, saprà a chi consegnarla se non
dovessi vincere.”
“Cosa?” Era
chiaro che l’uomo aveva già sopportato troppo quel giorno, ma a intervenire fu
invece il re dei Clan.
“Una donna?” Era
più sorpreso che offeso e Rysa lo ignorò, alzando lo sguardo
sulla folla individuò con facilità Aria, la ragazza teneva i pugni stretti, sul
suo volto si alternavano paura e speranza.
“Rysa…” La bambina
nascose il volto nell’incavo del gomito, cercando invano di nascondere le
lacrime che le rigavano il volto. “Rysa, mamma mi ha
detto del tuo papà.” Alla bambina sfuggì un singhiozzo e Aria le fu accanto in
un istante stringendola tra le braccia e provocando un fiume di lacrime.
“Abbiamo messo un altro letto nella mia tenda, staremo insieme, sempre, vuoi?” Rysa alzò gli occhi gonfi di lacrime per incontrare il
sorriso triste della bambina e annuì.
“Non capisco.” Rysa sbatté le palpebre allontanando il ricordo.
“Non sarà mai
vostra.” Lo disse con voce pacata, ma la sorpresa del re fu uguale a quella che
avrebbe avuto se lei avesse urlato. La Cacciatrice si allontanò da lui
raggiungendo le gradinate e poi allontanandosi dalla Radura, l’avrebbero
chiamata quando sarebbe giunto il suo momento.