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Autore: LTL    26/04/2012    2 recensioni
Candy ha 16 anni, lunghi capelli scuri e una madre assente. La storia inizia con l'incontro con la sua amica di infanzia Jessica, alla quale era stata molto legata in passato. Le due stringono di nuovo una fortissima amicizia sin da subito, ritrovando la complicità di quando erano bambine. Trascinata dalla forte personalità di Jessica, Candy sperimenta il mondo adolescenziale in maniera estrema: il sesso, l'amore e le droghe, finendo in un vortice di dipendenza nel quale la accompagnerà la sua amica del cuore.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando rividi Jessica, la mia vita era sospesa in silenzio in una specie di limbo.
Tornò da me esattamente nel momento in cui avevo inconsciamente più bisogno di lei, nel momento in cui ero più fragile, nel momento in cui mi sarebbe stato impossibile non lasciarmi trascinare dalla sua irriverente libertà.
Lei non era cambiata di una virgola, me ne resi subito conto.
Si era alzata notevolmente, anche se rimaneva leggermente più bassa di me, e il seno le era cresciuto e i capelli ora erano castano chiaro, ma il sorrisetto furbo era il solito, quegli occhi magicamente malati, folli di vita, erano identici.
Prima di incontrarla l’avevo sognata tre volte.
Tre volte.
Dio, eravamo legate così profondamente, che non ci fu bisogno di parole.

CANDY E JESSICA.

Spalancai gli occhi, uscendo dal mondo dei sogni come se fosse stato quello dei morti.
Nei libri o nei film dicono sempre che da un sogno particolare o da un incubo ci si sveglia di soprassalto, sudati, con il fiatone.
A me non era mai successo.
Io aprivo gli occhi di scatto, e il cuore mi batteva un po’ più velocemente, tutto qui.
Era la terza volta a distanza di poco tempo che sognavo Jessica, così chiaramente che quando mi svegliavo e mi rendevo conto che non era vero, mi veniva quasi da piangere.
Mi alzai dal letto e il materasso scricchiolò.
Al piano di sotto avvertii mia madre, che era appena rientrata dal concerto del suo ragazzo, Lewis.
Lewis sembrava a posto, molto più degli altri, e non suonava neanche male.
Almeno, finché c’era lui, non sarebbe toccato a me pulire il vomito di Jane e reggerle la testa, quando rientrava ubriaca in piena notte, o al mattino.
Aspettai con le orecchie tese che salissero in camera, tra risolini soffocati e palpatine, e andai al piano di sotto.
Mi accesi una delle sigarette di mamma,presi una scatola di latte e mi sedetti sul bancone, mentre lo bevevo lentamente.
Io e Jessica avevamo fatto le elementari insieme.
Eravamo inseparabili, ci adoravamo e ci odiavamo in maniera esagerata.
Quando la conobbi era piccola, come lo ero io, e venne da me con la sua aria inebriata di allegria e le sue calze rotte, a chiedermi una matita.
Da lì si formò il gruppetto Candy, Jessica, Luke e Michael, il cugino di Jessica che aveva una cotta per me.
Io sono Candy.
Il mio nome è il risultato dell’avere una madre stravagante abbandonata dall’aspirante rockstar di turno che stavolta ha lasciato qualcosa in più del conto del motel da pagare.
Non odio mia madre, né niente del genere.
Mi ha tirato su normalmente, nonostante non avesse aiuti, con le sue sole forze.
E ogni tanto con quelle della nonna, che riceveva nostre visite quando i soldi scarseggiavano.
Alla fine la mamma aveva aperto un bar nella periferia di Brooklyn, con l’insegna al neon blu che diceva “BRUTON”.
Era un nome un po’ cattivo, considerando che la mamma era una tipa tranquilla e pacifica, anche se un po’ troppo per l’amore libero, ma attirava più gente.
Da allora non avevo più visto la nonna.
Quando stavo con Jessica, in un certo senso mi incattivivo.
Diventavo più dispettosa.
Insieme una volta tirammo tutti i cucchiai di plastica della mensa in un cesso della scuola, intasandolo e subendo l’ira della maestra di matematica.
Col tempo, nonostante fossi solo una bambina, imparai a capire che se volevo stare con Jessica, dovevo stare solo con lei.
Infatti, appena dedicavo il mio tempo a qualcun altro, i dispetti che di solito facevamo agli altri, insieme, lei li faceva a me.
Poi veniva a scusarsi, e io la perdonavo sempre.
Spensi la sigaretta nel posacenere, nell’esatto momento in cui Jean Paul, il mio gatto, saltava sul bancone accanto a me, strusciandosi languidamente contro la mia gamba per favorire.
Gli versai un po’ di latte in una ciotola di plastica e lo osservai bere con grazia, mentre gli accarezzavo il pelo bianco.
Non avevo più notizie di Jessica da quando si trasferì a Jersey City, finite le elementari.
Mi è sempre mancata un po’, ma col tempo invece di svanire il nostro legame si era misteriosamente stretto, probabilmente perché crescendo avevo preso coscienza di che amicizia era stata la nostra.
Sospirai e scesi dal bancone, dirigendomi verso la mia camera.
Jean Paul mi venne dietro silenziosamente, mentre si ripuliva il musetto dai resti del latte.
Mi addormentai più o meno tranquilla, con la segreta e non del tutto consapevole speranza che avrei sognato di nuovo Jessica.
Non successe.
In compenso, una settimana dopo la rincontrai.
Ancora oggi, ripensandoci, non so se sia stato un bene o un male, per entrambe.
Perché l’inferno che affrontammo insieme non può essere paragonato a nessun altro inferno, di nessuna religione, di nessun paese o cultura, di nessun mondo.
È successo nell’autunno dei nostri sedici anni.
  
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