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Autore: hithisisfrollah    26/04/2012    7 recensioni
Insomma, quando erano usciti la prima volta non ci avevo neanche fatto caso. Amanda mi avrebbe detto se qualcuno di così importante fosse piombato nella sua esistenza. L’avrebbe fatto sicuramente.
Bon bon, ff strana che mi è venuta in mente in questi giuorni U.U
Prima long-fic seria sui Green Day. Un po' ispirata alla mia vita, un po' a come vorrei che fosse.
Buona lettura e fatemi sapere se ve gushta ;D
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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HOLA, sono tornata :D 
*grilli* 
ehm, sì lo so che sono imperdonabile, che sono passati mesi eccetera, ma vi prego di perdonarmi ç^ç 
la vita è dura (?) e io non avevo più ispirazione, volevo persino eliminare la storia ad un certo punto... se sono ancora qui dovete prendervela con YKnow_Girl e ChiccaWhatshername95 u_u 
okay, vi lascio al capitolo, che è meglio. 
buona lettura e fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando! 
*prevede capitolo forever alone*(?)







Eccoci, alle otto di mattina, ad aspettare sulla veranda di casa l’arrivo di Billie.
Seduta a gambe incrociate sul tavolo, il mento appoggiato sul pugno chiuso, fissavo la strada deserta. La schifosissima macchina lussuosa del tizio non si vedeva all’orizzonte.
Mia madre era in piedi a braccia incrociate, appoggiata al muro.
«Secondo me non viene.» dissi annoiata, senza staccare gli occhi dall’asfalto.
«Non dire assurdità, Ty. Avrà trovato traffico.» rispose mia madre, con evidente fastidio.
In fin dei conti mi dispiaceva essere così acida, ma quell’uomo tirava fuori il peggio di me.
Era inquietante, a pensarci.
Sbadigliai, chiedendomi ancora una volta il motivo per cui ci eravamo alzate alle sei e mezza, invece di poter dormire un’altra mezz’ora. Tanto me lo sentivo che non sarebbe arrivato puntuale, non aveva neanche la faccia da persona puntuale. Cosa si può pretendere da uno così?
Mi fissai la punta delle scarpe che spuntava da sotto la coscia per un po’, senza pensare a niente di rilevante.
Quella mattina avevo messo American Idiot in valigia. Non sapevo perché. Non volevo nemmeno saperlo il perché. Sono stupida, questa è l’unica risposta che ho voluto darmi. Scendere alla scoperta di più profonde verità sarebbe stato raggelante.
Fatto sta che quel CD era lì dentro, e mi sembrava di sentirlo pulsare, di sentire le prime battute di quella canzone…
«Eccolo!» esclamò felice mia madre, afferrando la sua valigia e agitando la mano in direzione della macchina ferma davanti al vialetto di casa. Scesi dal tavolo e presi la mia valigia, senza fare alcun cenno, senza neanche guardarlo. Mi faceva uno strano effetto pensare che lui aveva scritto quella canzone e che adesso era lì che salutava mia madre con un lieve bacio sulle labbra e prendeva la sua valigia.
«Ciao Ty.» mi sorrise lui dopo, scompigliandomi i capelli. Di nuovo. Feci un cenno col capo, reprimendo un ringhio di stizza. Ma perché diavolo mi toccava sempre i capelli? La prossima volta gli avrei rifilato un pugno in faccia.
«Bene ragazze mie, si parte! Verso Spring Valley e oltre!» gridò Billie, dopo che fummo entrati tutti in macchina. E mia madre giù a ridere.
Sospirai, rassegnata. Erano completamente pazzi, non c’erano più dubbi. Anzi, mia madre era diventata pazza per colpa di quell’individuo, lui sicuramente era nato con questo gene così spiccato.
Il motore ruggì e c’immettemmo in autostrada.

 

 
La casa di zio Jerry era sempre la stessa. Una bella villetta di legno incastonata nel verde, dove si respirava un sentimento di appartenenza, di familiarità. Quando entrammo, mia madre si avviò emozionata nel salone, dove ci aspettava zio Jerry.
«Jerry.» sospirò felice mia madre, abbracciandolo stretto. «Da quanto tempo.»
«Ci siete mancate moltissimo, Amy.» disse Jerry, accarezzandole la schiena. Era un uomo alto, con dei baffi biondicci e le gote rosse. Quand’ero piccola era un Babbo Natale perfetto. Quando si voltò verso di me e mi sorrise, innescò in me l’impulso di ricambiare. Nell’ultimo periodo c’era riuscito solo Noah.
«Ciao, Leotie.» mi salutò, abbracciandomi forte.
«Ciao, zio. Mi sei mancato.» dissi, appoggiando la guancia appena sotto il petto, che poi era dove arrivavo. Mi fece sentire… protetta.
Quando slegammo l’abbraccio, vidi mia madre con gli occhi lucidi, che sorrideva. Doveva essere uno di quei momenti in cui i ricordi ti appannano la vista; tornare lì era come aprire un ripostiglio zeppo di cianfrusaglie con la consapevolezza che ti sarebbero cadute tutte addosso.
Zio Jerry posò gli occhi chiari su Billie, con un’espressione interrogativa che non dimenticherò facilmente. Sembrava dire “oddio, e da dove esce questo?”. Mi trattenni a stento dal ridere, mettendomi una mano davanti alla bocca e distogliendo lo sguardo dalla scena per qualche secondo. Poi sembrò illuminarsi e si battè una mano sulla fronte, ridendo.
«Ma certo! Tu devi essere Billie Joe!» e gli strinse la mano calorosamente. Anche Billie gli sorrise, mentre teneva per mano mia madre. Non la mollava un attimo.
Finiti i convenevoli, salimmo al piano superiore e zia Linda ci assegnò le stanze. Con mio assoluto orrore e disapprovazione, scoprii che mia madre e Billie avrebbero dovuto condividere la stanza.
Cercai di non pensarci troppo, ma credetemi se vi dico che il disgusto è una delle sensazioni più difficili da sradicare dalla mente umana. Senza dire una parola chiusi la porta della piccola stanza dove avrei passato quei due giorni. Gettai la mia borsa accanto al letto sbuffando e mi sedetti sul pavimento.
Sarebbero stati due giorni lunghissimi con Billie tra i piedi. Di solito, io e mamma andavamo in giro a cavallo, a fare escursioni o a pescare con zio Jerry, invece ero più che sicura che Billie non sapesse neanche da quale parte va montato un cavallo. Sospirai, di nuovo.
Ero già stata in quella camera, sapevo che era del figlio maggiore di zio Jerry, che adesso frequentava il college. Thomas. Il mio unico cugino, che neanche mi stava simpaticissimo.
Quand’ero piccola, si divertiva a spaventarmi ogni tre secondi, riducendomi in lacrime. Non gliel’ho mai perdonato.
La persiana era abbassata a metà e lasciava entrare solo un fascio di luce, che andava a scontrarsi con un mobile libreria di legno. Arrivava fin quasi al soffitto.
Mi alzai, decidendo di sbirciare nei cassetti. Trovai le solite cianfrusaglie: carte di caramelle, vecchie foto, penne rotte, un paio di forbici spezzate, qualche soldatino e dei lego. Poi sollevai un enorme libro polveroso e lo vidi.
Un vecchio lettore cd a batterie. Mi voltai di scatto verso la valigia e la fissai, come se potessi vederci attraverso. Mi morsi il labbro inferiore, facendo saettare gli occhi dalla valigia alla porta. American Idiot.
Realizzai che se qualcuno fosse entrato e mi avesse scoperto ad ascoltare quel cd, sarebbe successo un casino assurdo: mia madre avrebbe pensato subito che il mio odio verso Billie Joe si fosse attenuato (cosa assolutamente non vera), e lui stesso si sarebbe convinto che il suo approccio amichevole aveva funzionato (prospettiva improbabile in qualunque caso).
Però io volevo ascoltare quel cd. Dannatamente. Le prime note di quella canzone mi vorticavano in testa da ore e volevo volevo volevo riascoltarle.
Mi morsi ancora il labbro e mi avvicinai alla valigia a passo felpato. Improvvisamente era calato un silenzio agghiacciante che non avevo intenzione di rompere.
Aprii la zip quel poco che bastava per tirar fuori la custodia.
Averla tra le mani mi faceva uno strano effetto… come se l’avessi rubata. Come se fosse una musica illegale, cospiratoria, non per me.
E, paradossalmente, questo mi spingeva ancora di più ad inserire quel cd e premere play.
M’infilai le cuffiette e lasciai che la canzone iniziasse.
Mentre tuonava in tutta la sua potenza nelle mie orecchie, sfogliavo il libretto rapita. Era dura da ammettere, ma le parole di quella canzone erano bellissime. E da quello che avevo potuto capire, le aveva scritte Billie. Cominciai a battere il tempo con il piede e a seguire avidamente le parole.
And there’s nothing wrong with me, this is how I’m supposed to be in a land of make-believe that don’t believe in me!
E la batteria ricominciava a tuonare. Era una canzone di tuono, quella. Che ti faceva tremare la terra sotto i piedi e il fiato nei polmoni, sismica. Immediatamente sembrava capovolgermi lo stomaco e scuotermi il cervello, come a liberarlo dalla polvere che vi si era annidata. Immediatamente sentii di poter urlare quelle parole senza paura in faccia al mondo, perché se le meritava, perché ero anch’io un Jesus Of Suburbia, perché le sue grida m’istigavano a reagire.
Girai pagina, stava per cominciare Dearly Beloved, quando si aprii uno spiraglio nella porta. Alzai gli occhi e le mani scattarono sotto il cuscino, per nascondere libretto e cd. Il cuore doveva essermi uscito dal petto per quanto forte lo sentivo battere.
«Ty, tra poco devi scendere, c’è il falò.» disse zia Linda, facendo capolino dallo spiraglio di porta aperta.
Il falò. Oh merda, il falò.
«C-certo, arrivo.» le dissi, col fiato sospeso. Mi guardò stranita per un istante, poi richiuse la porta.
Lasciai andare un sospirone, togliendomi le cuffiette di malavoglia. Fortunatamente non era entrata mia madre, altrimenti non sarei stata capace neanche di aprir bocca. Mentirle mi metteva addosso un’ansia terribile e cominciavano a sudarmi le mani.
Rimisi a posto il lettore cd e richiusi il cassetto. In fretta e furia ficcai il disco nella valigia e richiusi tutto ermeticamente. Meglio non correre rischi.
Scesi le scale con calma, pensando un po’ a tutto quello che stava succedendo e a come mi stavo comportando. Riconoscevo ch’era abbastanza strano, per non dire assurdo, ma davvero, se Amy o Billie avessero scoperto che mi ero portata dietro quel cd, avrei dovuto spiegare troppe cose. Noah, il mio giorno di sega a scuola, il dibattito interiore che mi lacerava. Eppure, se da un lato spiegare mi era sempre sembrato faticoso e inconcludente, dall’altro avrei tanto voluto potermi sfogare.
Sfortunatamente, nessuno sembrava essere nella posizione di poter capire.
«Eccoti qui, Ty. Manchi solo tu, forza!» mi fece cenno zio Jerry, aprendo la porta di casa ed avviandosi verso la piccola radura poco distante dove solitamente si faceva il falò. Zio e zia lo organizzavano ogni volta che andavamo a trovarli, solo per noi della famiglia.
Anche a quell’ora, quando ormai il sole stava per tramontare e all’orizzonte ne restava poco meno che uno spicchio, l’umidità era appena percepibile e faceva ancora caldo.
Sui tronchi disposti intorno al fuoco già acceso, erano seduti mia madre, Billie e mia zia. Parlavano e accanto a Billie c’era una chitarra. Mi sedetti sul tronco di fronte a mia madre, e zia Linda mi porse un bastoncino e una busta di marshmallow.
Quando si unii anche zio Jerry cominciarono a ridere e io seguivo a mala pena i loro discorsi. Mangiavo un marshmallow dopo l’altro e tenevo lo sguardo fisso sulle fiamme, raramente lo alzavo per guardare Amy.  Non riuscivo a godermi quell’atmosfera, quel momento che non sarebbe tornato prima di sei mesi per colpa di Billie Joe. Indossava una t-shirt bianca con un teschio e una scritta viola, che diceva Misfits e un paio di jeans. Informale, come al solito. Restai a guardarlo parlare per un po’, senza prestare attenzione a ciò che diceva. Il riflesso del fuoco nei suoi occhi era… strano. Era come se stessero bruciando. Letteralmente.
D’improvviso afferrò la chitarra ed io mi risvegliai, intuendo che stava per suonare qualcosa.
«Credo che questa sia adatta.» bofonchiò, armeggiando con quei cosini che si girano in cima alla tastiera della chitarra.
Pizzicò le corde un paio di volte, e poi cominciò a cantare.
Another turning point, a fork stuck in the road. Time grabs you by the wrist, direct you where to go. So make the best of this test and don’t ask why, it’s not a question but a lesson learned in time. It’s something unpredictable, but in the end it’s right, I hope you had the time of your life.
Tutti lo osservavano rapiti, mentre io pensavo che sì, quella canzone era proprio adatta e che no, non somigliava per niente a Jesus Of Suburbia. Non ne aveva proprio nulla, non avrei mai detto che a scriverle fosse stata la stessa persona.
Abbassai lo sguardo finché le ultime note si affievolirono, insieme alla sua voce, e dopo poco e partii un applauso pieno di complimenti. Io battei fiaccamente le mani tre volte, dopo che mia madre m’ebbe lanciato uno sguardo di rimprovero. Probabilmente si era accorta della mia partecipazione praticamente nulla. Che carina.
Quando zia Linda, seguita a ruota da zio Jerry e da mia madre, chiese un’altra canzone, io mi alzai di scatto, attirando i loro sguardi.
«Credo che andrò a mangiare qualcosa. A dopo.» biascicai, allontanandomi dal falò. Non aveva alcun senso restare solo per rimpinzarmi di marshmallow e sorbirmi altre performance strappalacrime. Era tutto così patetico.
Patetico, patetico e basta. Ero patetica anch’io, che non riuscivo a reggere una situazione così tranquilla. Mi stavo comportante da incoerente, da ragazzina. Prima ascolto le sue canzoni e poi lo evito, lo odio?
Ecco perché non posso parlarne con nessuno, mi prenderebbero per pazza, non capirebbero. Merda, non capisco neanche io!
«Ty!» chiamò la voce di Billie dietro di me.
«Che cosa vuoi?»
«Fermati e te lo dico.»
«Bene, sopravvivrò anche senza saperlo.»
«Per favore, voglio solo parlarti.» disse, allungando il passo e raggiungendomi.
«Va bene, mi dispiace di non essere stata entusiasta della tua canzone, okay? Scusa. Ora vattene.» dissi, concitata.
«Non è di questo che si tratta.» disse. «Comunque, ti perdono.» e sorrise.
Rallentai il passo, cominciavano a farmi male i polpacci. Abbassai gli occhi sul terreno sotto i miei piedi e restammo in silenzio per un bel po’.
«Lo so che pensi che sto rovinando tutto, so come ci si sente a vedere la propria madre con un altro.» disse, d’un tratto. «Ma l’ultima cosa che voglio e che tu ti senta fuori dal contesto. Sono io quello estraneo, dovresti darmi una mano ad integrarmi. È quello che io ho fat-»
«Senti,» dissi, fermandomi e voltandomi verso di lui. «sturati quelle orecchie: Io. Non. Ti. Voglio. Tra. I. Piedi. Se cerco di sopportarti è perché mia madre sembra felice quando sta con te, perché sorride. Non ho intenzione di considerarti un amico e roba del genere, non ho intenzione di “darti una mano ad integrarti”, mi sembra che basti mia madre per questo, né voglio parlarti. Non cercare di fare lo psicologo o paragonare la tua situazione alla mia, risparmiamelo. Stammi alla larga e dì a mia madre di non azzardarsi mai più a combinare “incontri” o simpatiche uscite, d’accordo? Addio.»
Alzai i tacchi e mi allontanai senza aspettare una risposta. L’ultima espressione che vidi sul viso di Billie era un misto fra sorpreso e deluso, con una punta di rabbia.
Rabbia.
Cantai tra i denti. I’m the son of rage and love, the Jesus of Suburbia!
Piansi un po’, per un po’.
Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo.

 

 

«Allora? Com’è andata?» chiese Amy, alzandosi dal tronco e venendomi incontro.
Scossi la testa, mentre le parole di Ty mi rimbombavano nel cervello.
«Credo che non voglia vedermi. Mai più.»   

  
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