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Autore: rainsperfume    26/04/2012    2 recensioni
Era passata un’altra giornata, non si poteva certo dire che fosse una delle migliori ma ormai il susseguirsi del giorno e della notte non le faceva alcun effetto. Anzi, ogni volta che andava a dormire sperava di non risvegliarsi il mattino seguente.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Era passata un’altra giornata, non si poteva certo dire che fosse una delle migliori ma ormai il susseguirsi del giorno e della notte non le faceva alcun effetto. Anzi, ogni volta che andava a dormire sperava di non risvegliarsi il mattino seguente. Se ne stava seduta al bancone di quello squallido bar di periferia ad occhi chiusi, come spesso faceva per rilassarsi. Ascoltava le voci delle altre persone chiuse li con lei e pensava. Pensava alle loro storie, si chiedeva se erano simili alla sua e a cosa era potuto succedere loro per condurli in quel luogo. Inspirò profondamente e increspò appena le labbra sentendo il fumo dolciastro della droga riempirle i polmoni. Ormai quell’odore era familiare per lei e significava casa. La prima volta che lo aveva sentito stringeva la mano di suo padre, l’uomo peggiore che avesse mai conosciuto. Non che ne avesse mai conosciuti tanti, in genere si limitava a scambiare con loro qualche parola ma finiva la. Aprì gli occhi e il suo sguardo si andò a posare su una cicatrice bianca impressa come un marchio su buona parte dell’avambraccio. Si alzò, ma mentre si stava avviando verso l’uscita un voce risuonò forte nella stanza.
«Già te ne vai?», il barista aveva alzato lo sguardo e lei poteva sentire i suoi occhi penetrarle la schiena. Ormai era diventato il padre che non aveva mai avuto, l’unico che potesse aiutarla ad uscire anche solo per un attimo dal buco nero in cui era entrata. 
«Si, non voglio che qualcun altro si prenda il mio lavoro.»
Uscì senza voltarsi indietro, gli occhi di tutti che la seguivano. Era troppo presto e lo sapeva, ma non aveva voglia di restare un minuto di più in quella topaia. L’aria fresca ebbe un effetto balsamico e i suoi sensi, prima offuscati dall’aria malata del bar, ora si stavano lentamente rinvigorendo. Andò sul retro dell’edificio e si infilò in una porta per metà nascosta dall’edera che si avvolgeva in spirali ricoprendo tutto il muro. Accese la luce e sorrise amorevolmente guardandosi attorno. Una persona qualsiasi che fosse entrata in quella stanza l’avrebbe giudicata disordinata, sporca, sudicia, una camera che nessuno vorrebbe mai avere. Ma per lei quella piccola stanza significava tutto, era la sua casa e quello che di meglio poteva desiderare. In quello spazio angusto si ammassava un’infinita quantità di cose. C’era un letto sfatto con accanto un armadio a doppia anta e uno specchio in un angolo. Guardò il riflesso del suo corpo magro. I capelli lunghi e neri che le ricadevano a boccoli sulle spalle e gli occhi di un azzurro che sfiorava il grigio le conferivano l’aspetto giovane e bello che una ragazza appena ventenne dovrebbe avere, ma il suo viso era scavato e stanco come quello di una donna che aveva visto fin troppo dalla vita. Il suo sguardo si soffermò ad analizzare gli abiti che indossava: una vecchia maglietta scolorita a maniche corte e un paio di pantaloni sportivi. Scosse la testa risvegliandosi dai suoi pensieri e si mise di fronte all’armadio aprendolo. Quello che le si presentò davanti probabilmente avrebbe fatto impazzire ogni adolescente, ma per lei anche solo il ricordo di quel contenuto le dava un senso profondo di nausea. Immerse le mani nella marea di vestiti che fuoriuscivano da ogni dove e le estrasse poco dopo chiuse attorno al bordo di un vestito rosso interamente coperto di paillette dello stesso colore. Lo gettò sul letto con noncuranza e iniziò a spogliarsi per poi infilarsi in quel vestitino aderente. Gettò un’altra rapida occhiata allo specchio e chiuse gli occhi sedendosi al bordo del letto. Ogni sera era la stessa storia, ogni sera si chiedeva il perché e cercava di convincersi che c’era un altro modo, ma poi riapriva gli occhi e capiva che quel sacrificio era necessario per poter almeno tentare di ricominciare una vita normale. Annaspò con le mani sotto il letto e ne estrasse un paio di scarpe nere dal tacco a dir poco vertiginoso, dopo averle infilate si alzò e prese dai piedi del letto l’unica borsa che aveva e che era appartenuta a sua sorella prima di lei. Era in pelle nera, abbastanza capiente per poterci infilare tutto quello che le serviva, il suo valore di mercato oscillava dalle tre alle cinque sterline ma per lei significava tutto. Ci infilò dentro un piccolo portamonete dove custodiva tutti i suoi risparmi e la chiave che chiudeva la piccola stanza. Si guardò attorno come a conferma di non aver dimenticato nulla e notò sul piccolo tavolino accanto al letto una scatola azzurra, la prese con un certo ribrezzo e la buttò nella borsa. 
Dopo aver chiuso con un lucchetto la porta della camera si diresse di nuovo verso l’entrata del locale cercando di mantenere l’equilibrio sulla ghiaia fine. Non si fermò ad osservare la facciata del locale, bensì raggiunse la statale che si estendeva poco lontano dal bar e iniziò a percorrerla a passo lento. Frugò con una mano nella borsa e ne estrasse un pacchetto di sigarette, se ne portò una alle labbra alzando gli occhi sulla luna che rischiarava il cielo. Non le piaceva fumare, anzi per certi versi la schifava, ma quando aveva cominciato non credeva le potesse dare dipendenza. Era un’adolescente in piena pubertà allora e seguiva le mode come molti della sua età, le sembrava sempre di essere una dea e per ogni cosa che faceva non pensava alle conseguenze ponendosi sempre la fatidica domanda ‘Perché dovrebbe succedere a me?’. Increspò le labbra sentendo il fumo bruciarle nei polmoni e girò la testa sentendo il rombo di un motore subito dietro di lei. Una macchina si fermò accanto a lei facendole accelerare i battiti.
«Ciao bella.», fece una smorfia sentendo la voce strafottente dell’uomo al volante. «Ti va di fare un giro?»
Dal timbro della voce calcolò che doveva essere sulla trentina e da quanto poteva vedere nel buio della notte non era nemmeno piazzato male fisicamente. Probabilmente aveva bevuto un po’ troppo e poteva sentire la puzza di alcol fuoriuscire come un fiume dalla macchina. Per un attimo fu tentata di girarsi e tornare indietro, pensò al caldo rassicurante della sua camera e del suo letto, ma annuì senza sapere nemmeno lei con quale forza. Aggirò la macchina e prima di entrare rimase ferma per un attimo ad osservare la superficie lucida della carrozzeria, prese un respiro profondo e si sedette accanto all’uomo che la guardava con un sorriso ebete stampato in faccia. Si sforzò di sorridere anche quando sentì il tocco della sua mano sul ginocchio nudo. Appoggiò la testa sullo schienale del sedile e chiuse gli occhi cercando di reprimere il senso di nausea che la stava lentamente avvolgendo. Non un brivido la percorse sentendo la mano dello sconosciuto risalire sulla coscia fino a sfiorarle l’intimo, che aggirò senza alcuna difficoltà. Rimase immobile e impassibile sotto il tocco delle mani fin troppo esperte dell’uomo. All’improvviso la mano languida si ritirò dal suo corpo facendole aprire gli occhi, poi tutto successe molto velocemente. Riuscì ad incrociare per qualche secondo lo sguardo dello sconosciuto e la paura più pura si impadronì di lei. In quei pochi istanti aveva scorto qualcosa negli occhi dell’altro che non avrebbe mai voluto vedere. L’uomo le saltò letteralmente addosso, mosso da chissà quale furia, come un animale affamato che si getta sulla sua preda senza darle alcuna possibilità di fuggire. Ora l’unica cosa che le rimaneva da fare era assecondarlo e chiuse gli occhi rilassandosi dopo aver osservato per l’ultima volta il bagliore della luna. Una lacrima scese a rigarle la guancia rosea mentre il dolore che conosceva fin troppo bene la permeava. Non era un dolore destinato a trasformarsi in piacere, ma era un pozzo buio e nero come la pece nel quale lei non poteva che continuare ad affondare nella speranza di riuscire presto a trovarne la via d’uscita.
 
 
 
Heilà (?)
Bene, premetto che questa è la prima ‘storia seria’ che scrivo quindi mi ritengo già fortunata se qualcuno la leggerà D: l’idea mi è venuta chiedendomi cosa dovesse comportare per una ragazza scegliere un percorso di vita diverso da quello degli altri coetanei e quali potessero essere i motivi che la portano a farlo. Non so se le darò un nome (sono già indecisa in generale, figurarsi per decidere come chiamarla), ma invece credo che siano importanti le descrizioni delle sue emozioni e stati d’animo. Nel prossimo capitolo forse incontrerà un ragazzo, ma non posso anticipare molto u.u ringrazio chiunque vorrà lasciarmi un commento così potrò migliorare sempre di più :3  
  
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