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Autore: HarleyQ_91    27/04/2012    2 recensioni
Vivien si avvicinò al dipinto e sollevò la candela per illuminarlo meglio.
Avevano tutti un’espressione così seria i conti Turner, persino la piccola Alyssa, che avrà avuto circa cinque anni, non sembrava godere di quella gioia e spensieratezza tipica della sua età.
E poi c’era lui, quel giovanotto che non era riuscita ad osservare bene qualche ora prima. Ora, col mozzicone di candela a qualche centimetro dalla tela, fece luce sul suo volto, illuminandone anche i più piccoli particolari.
Il conte Aaron Turner.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10
- Tradimento -

 
 
  Clelia aveva la febbre alta da tre giorni ormai e Vivien non si era mai allontanata dal suo letto se non per andare a prepararle qualcosa di caldo che, comunque, non avrebbe mangiato.
  Vedere la sua più cara amica ridotta in quel modo le procurava una stretta al cuore tale da lasciarla senza fiato.
  Clelia che era sempre così attiva, così vispa e brontolona, ma anche umana e orgogliosa, sembrava impossibile immaginarla stesa a letto in un sonno profondo, agitato da chissà quali incubi. Eppure era così che la vedeva Vivien in quel momento: con gli occhi chiusi, le sopracciglia aggrottate in un'espressione sofferta e i capelli brizzolati leggermente sudati.
  “Ehi, sei ancora qui?”
  Thomas entrò nella stanza senza annunciarsi, come faceva da tre giorni a quella parte. Vivien gli indicò una sedia dove sedersi e gli rivolse un sorriso stanco.
  Stanco perché non dormiva da tre notti, stanco perché non ne poteva più di quell'angoscia e stanco perché, sebbene avesse davanti agli occhi tutto quel dolore, non poteva far nulla per alleviarlo.
  “Vuoi andare a stenderti un po'? Resto io con Clelia”. Si offrì Thomas, ma la ragazza scosse la testa.
  “Non riuscirei comunque a dormire”. Prese poi la mano dell'amica tra le sue e la strinse forte, come a volerle trasmettere un po' della sua energia.
  “Sono sicuro che, ora che sei qui, si riprenderà”. Tentò di consolarla lui, ma Vivien era sempre stata una realista, perciò non si lasciava incantare da belle parole, anche se dettate dal cuore.
  “Non sarà la mia presenza a farla guarire”. Constatò. “Ma le cure. Il dottor Campbell ha prescritto delle medicine, ma sono troppo costose”.
  Il re aveva alzato le tasse anche sui medicinali, non permettendo più così alla povera gente di curarsi. Come poteva un uomo lasciare i suoi sudditi morire in questo modo?
  Per la prima volta in vita sua si ritrovò a condividere l'ideale del conte Aaron. Un simile regime andava fermato.
  “Potremmo fare una colletta”. Suggerì Thomas. “Degli amici mi devono dei favori, vedrai, recupererò i soldi entro sera”.
  Vivien sorrise e scosse la testa. “Grazie, ma non voglio i tuoi soldi. Troverò un modo”.
  “E come? Hai smesso anche di andare a lavorare dai Turner. Credi forse che quei nobili ti pagheranno lo stesso? Probabilmente ti avranno già rimpiazzata con qualcun'altra”.
  In quel preciso istante qualcuno bussò alla porta. Vivien si precipitò credendo fosse il dottor Campbell, per questo rimase stupita nel vedere Meg davanti all'uscio di casa sua, con un cesto portato in grembo e un sorriso gentile.
  “Oh, eccoti. Credevo di aver capito male le indicazioni del fornaio”. Esclamò la biondina, potandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
  “Meg... ma che... vieni, entra pure”. La invitò Vivien, ancora un po' basita.
  Che l'avesse mandata il conte per controllarla? Beh, non ci sarebbe stato nulla di cui stupirsi, quell'uomo era capace di tutto.
  “Tieni, questo è per te. Da parte della contessina”. Meg le porse il cesto di vimini pieno di frutta e formaggi, poi prese una sedia e si sedette, giungendo le mani in grembo.
  “Vuoi una tazza di tè?” Domandò Vivien. “Non è di ottima qualità, però...”
  “Andrà benissimo, grazie”. Rispose l'ospite, annuendo, poi cominciò a guardarsi attorno.
  “Così... questa è casa tua”. Esclamò, strofinandosi una mano contro l'altra.
  “So che non è accogliente come Villa Turner, ma io e Clelia non ci facciamo mancare niente”.
  “E dimmi, come sta la tua amica?”
  Vivien esitò prima di rispondere. Meg era una sua, come dire, collega e sembrava anche molto buona e gentile, però trovava comunque strano conversarci come se fossero state amiche di vecchia data.
  “Beh... non bene, ha la febbre molto alta”. Rispose con un po' di titubanza. “Penso che rimarrò qui finché non si ristabilirà del tutto”.
  Meg annuì. “La contessina sente già la tua mancanza”. Disse. “Non che me lo abbia detto personalmente, ma non le va più di leggere alcun libro e sta sempre in camera sua”.
  “Manca molto anche a me”. E dirlo ad alta voce rese quel vuoto ancora più reale nel cuore di Vivien. Quella bambina era riuscita ad insinuarsi così profondamente in lei che già non riusciva più a staccarsene.
  Tuttavia non poteva voltare le spalle a Clelia, lei era tutta la sua famiglia. Alyssa era una ragazzina intelligente, avrebbe capito.
  “Anche il conte è piuttosto strano da quando te ne sei andata”.
  Il cuore di Vivien mancò un battito.
  Che mi succede?
  Il solo sentirlo nominare l'aveva resa nervosa e la cosa non era affatto normale. D'accordo, il conte aveva cambiato un po' atteggiamento verso di lei e si era rivelato molto comprensivo nel donarle un cavallo per correre da Clelia, tuttavia questo non cancellava tutto quello che Vivien aveva dovuto passare nei mesi di servizio a Villa Turner.
  “Probabilmente gli dà fastidio che me ne sia andata senza avermi prima portato a letto”.
  L'esclamazione le uscì così, cinica, dura e senza pensarci.
  Solo in un secondo momento si accorse di chi aveva di fronte e comprese la sua indelicatezza.
  “Mio Dio, Meg, scusami”. Si affrettò a dire. “Io non volevo... perdonami”.
  La ragazza rise leggermente, forse per nascondere l'imbarazzo più che per divertimento. “Così te ne sei accorta, eh?”
  “Beh, ecco... in verità...” Non sapeva se era giusto confessarle di averla vista quel giorno entrare nella camera del conte.
  “Tranquilla, non dei preoccuparti per me”. La interruppe però Meg. “Sapevo a cosa andavo incontro sin dall'inizio, lui ha sempre avuto altre donne oltre me. Ora però sembra che la sua attenzione sia rivolta solo ad una persona”.
   Vivien inarcò le sopracciglia. Non era certa che fidarsi di ciò che Meg le stava dicendo fosse la cosa giusta.
  “Probabilmente è solo un capriccio momentaneo”. Esclamò poi, cinica. “Si stuferà di me, prima o poi, e mi lascerà in pace”.
  Meg sospirò e si strinse nelle spalle. “Non lo so questo. Ciò che posso dirti è che è strano da ieri. Però forse per via di quella lettera...”
  “Che lettera?”
  “Ieri, verso il tramonto, è arrivato un uomo al cancello sul retro della villa”. Cominciò a raccontare la biondina, sporgendosi in avanti come se stesse rivelando il più pericoloso dei segreti. “Era vestito tutto di nero e si è incontrato col conte – io li ho visti perché stavo nel giardino a raccogliere le erbacce e mi sono nascosta. L'incontro è durato pochi secondi, non si sono scambiati nemmeno una parola, solo ad un certo punto l'uomo ha tirato fuori dalla sua tasca una lettera e l'ha consegnata al padrone”.
  Vivien si ritrovò con la gola improvvisamente secca e le mani che si torturavano l'una con l'altra in segno di agitazione.
  Era fin troppo evidente che si trattava di qualcosa riguardante i Mercenari e questa consapevolezza le fece crescere un'insolita ansia.
  “Beh, comunque non sono affari che devono riguardare due serve come noi”. Esclamò infine Meg, alzandosi dalla sedia e sorridendo. “Ora è meglio che vada, ho altre faccende da fare prima di tornare dai Turner”.
  “Grazie per la visita”. Disse Vivien, mentre le apriva l'uscio. “E porta i miei saluti alla contessina”.
  Le due ragazze si salutarono con un sorriso di cortesia. Non un abbraccio, non una stretta di mano, evidentemente si erano rese conto entrambe che quell'incontro era stato strano e che, nonostante avessero condiviso mesi di lavoro, tra loro il rapporto era rimasto quello di una distaccata conoscenza.
  “Così, a quanto pare, il conte Turner sembra avere un debole per te”.
  Vivien si voltò di scatto e, quando vide Thomas appoggiato allo stipite della porta con le braccia conserte, si rese conto che era rimasto lì tutto il tempo, ad ascoltare, a capire.
  “È solo un nobile incapricciato”. Tentò di tranquillizzarlo lei, lasciandosi sfuggire una risatina. Sapeva quanto Tom fosse protettivo nei suoi confronti, ed era lusingata di tali attenzioni, ma non voleva che si preoccupasse di cose a suo vedere così inutili.
  “I nobili incapricciati sanno essere pericolosi”. Continuò però lui, non volendo far cadere il discorso. “Ti ha fatto qualcosa?”
  “Certo che no!” Esclamò forse troppo in fretta Vivien. “So cavarmela, lo sai”.
  “Secondo me, faresti meglio a non tornarci in quella villa. Potresti trovarti un altro lavoro, magari come cameriera da qualche altro nobile”.
  La ragazza sospirò. “Non posso, la contessina sente la mia mancanza e...”
  “È solo per questo?” Tom la interruppe e le si avvicinò, porgendole uno sguardo fin troppo serio. “Tutto l'interesse che hai per i Turner è solo perché vuoi tornare ad essere la dama di compagnia della contessina? O c'è dell'altro?”
  A Vivien scappò una risatina nervosa e si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, abbassando lo sguardo. “Ma che dici... avanti, smettila”.
  Thomas allora la prese per le braccia e la obbligò a guardarlo. “Dimmelo in faccia, allora! Dimmi che quell'uomo non c'entra, che non provi assolutamente niente per lui!”
  Vivien era sconvolta. Mai Thomas era scattato in quel modo davanti a lei. Stringeva le mani attorno ai suoi avambracci così forte da farle male e le rivolgeva uno sguardo infuocato, pieno di angoscia e paura.
  Perché stava reagendo a quel modo?
  “Tom, che... che ti prende?”
  “Rispondi alla mia domanda, Viv”. Insistette però lui, aumentando la stretta sulle braccia.
  “Ehi, mi fai male... lasciami! Tom, che ti succede?”
  Lui la fissò per un'istante, dopodiché sgranò gli occhi e lasciò la presa.
  “Si può sapere cosa ti è saltato in testa?” Domandò lei, massaggiandosi dai gomiti ai polsi.
  “Mio Dio, Viv”. La voce di Thomas era atona, evidentemente scioccata. “È troppo tardi, vero?”
  La ragazza aggrottò le sopracciglia. “Ma che vai farfugliando? Ti sei impazzito, forse?”
  Thomas era sempre stato un ragazzo tranquillo, protettivo certo, ma non violento. Vivien l'aveva da sempre considerato un fratello maggiore, calmo, a cui chiedere consiglio e a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà.
  Ora però si domandava se era davvero così, se Tom in realtà si aspettasse qualcos'altro e se lei, cieca, non se ne fosse mai accorta.
  Thomas emise un rantolo di rabbia e, senza più dirle una parola, attraversò la piccola stanza ed uscì dalla casa. Vivien non provò a fermarlo, quel ragazzo doveva calmarsi e forse era meglio se lei non si mettesse di mezzo.
  Tuttavia i giorni passarono, e Thomas non si fece più vedere.
 
    Aaron camminava su e giù per la stanza, con le braccia dietro la schiena e la testa china in avanti, immerso in pensieri che da due giorni lo preoccupavano e innervosivano allo stesso tempo.
  La lettera ricevuta dall'emissario di Falco l'aveva sconvolto.
  A quanto pareva due loro spie erano state arrestate ed un Mercenario era stato vittima di un'imboscata da parte delle guardie reali.
  Non ci voleva molto a capire cosa stava succedendo.
  Qualcuno aveva parlato.
  Siamo stati traditi!
  Ciò significava che l’organizzazione sarebbe stata presto smascherata e loro tutti quanti giustiziati e mandati al patibolo.
  Con agitazione prese il cappotto e uscì dalla villa, prese il suo cavallo e si diresse verso Palazzo Ronchester. Non aveva né invito né si era fatto annunciare, ma la situazione era troppo grave perché si pensasse ancora al galateo.
  Il marchese infatti, non appena lo vide entrare nei suoi giardini, andò incontro al conte, conscio che non si trattasse di una visita di cortesia.
  “Aaron, amico mio, a cosa devo la tua presenza?” Disse Sam, eludendo due giardinieri che stavano lavorando accanto a lui.
  “Nessun motivo particolare”. Resse il gioco Aaron. “Volevo solo scambiare quattro chiacchiere con un caro e fidato amico”.
  “Andiamo in casa, allora”. Lo invitò il marchese. “Lì parleremo con più tranquillità”.
  Non appena Aaron varcò la soglia dello studio di Sam e quest’ultimo si chiuse la porta alle spalle, tirò fuori la lettera e la sbatté sulla scrivania con impeto.
  “Aaron, Aaron, impulsivo come sempre”. Disse il marchese, scuotendo la testa.
  “Non c’è tempo per queste cose!” Esclamò il conte, tra ira e panico. “Devi andartene, immediatamente. Se ciò che riporta la lettera è vero, siamo tutti in pericolo, tu per primo!”
  Il marchese fece il giro della scrivania in legno di noce e si sedette sulla poltrona, incrociando le gambe con così tanta tranquillità che ad Aaron faceva quasi irritazione.
  “Non devi preoccuparti”. Disse poi Sam. “La tua identità è sconosciuta agli altri Mercenari. Ti conoscono come un assassino molto abile, ma non sanno che sei il conte Aaron Turner”.
  “Già, però tutti conoscono te!” Tuonò il conte. “Sei il fondatore, ogni Mercenario sa che a capo dell'organizzazione ci sei tu. Sarai il primo a cui daranno la caccia”.
  “E cosa mi suggeriresti di fare?” Chiese il marchese, prendendo da una scatola di legno sulla scrivania un sigaro e accendendolo.
  “Di andartene, di lasciare l’Inghilterra. Oggi stesso”.
  “E per andare dove?” Domandò Sam. “Lo sai anche tu, sono un uomo legato alla propria terra. Se non lo fossi, non avrei mai cominciato una lotta contro colui che la sta pian piano portando alla rovina”.
  “Mi stai dicendo che non farai niente?” Lo accusò il conte. “Lascerai che ti prendano e ti uccidano?”.
  Sam si strinse nelle spalle e diede una doppia tirata al sigaro, facendo uscire dalla sua bocca una quantità di fumo abbastanza ingente da coprirgli l’espressione degli occhi. Aaron tuttavia la vide per un decimo di secondo e non gli sembrò affatto felice.
  “Prendi questa”. Disse poi il marchese, porgendo al suo ospite una lettera. “Contavo di dartela tra qualche giorno, ma visto che sei qui…”
  “Cos’è?” Chiese immediatamente Aaron, prendendo la missiva in mano ed aggrottando le sopracciglia. Il marchese Ronchester non amava scrivere, a meno che il fatto di cui si trattava fosse della massima importanza e, soprattutto, riservatezza.
  “Non devi aprirla ora”. Disse poi il padrone di casa, alzandosi dalla poltrona e facendo strada al conte verso l’uscita. “Contiene degli ordini che voglio che tu rispetti, nel caso dovesse capitarmi qualcosa”.
  “Sam…”
  “No, Aaron! Niente sentimentalismi, ne va del mio onore”. Lo zittì il marchese. “Devi promettermi che farai quanto è scritto in questa lettera, sei l’unico di cui mi possa fidare”.
  Il conte osservò il suo amico negli occhi. Sam era sempre stato un uomo orgoglioso e tutto d’un pezzo, eppure ora la sua espressione tradiva stanchezza e afflizione. Voleva far credere di non avere preoccupazioni, ma non era così e Aaron lo sapeva.
  “D’accordo”. Disse il conte stringendo la lettera nel pugno. “Se questa è l’unica cosa che posso fare per te, la farò, qualunque cosa sia”.
  Il marchese gli mise una mano sulla spalla e gli sorrise. “Credimi, per me significa davvero tanto”.
  Aaron salutò il marchese come al solito, una stretta di mano e un deciso segno d'intesa con la testa, eppure quando uscì da Palazzo Ronchester sentì come se qualcosa si fosse spezzato.
  Non era stata la solita conversazione tra amici e nemmeno tra Mercenari. Un velo di tristezza aveva aleggiato sulla figura del marchese per tutto il tempo e Aaron, mentre percorreva il tragitto verso casa, sperava tanto di sbagliarsi quando pensava che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui l’avrebbe visto.


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Ammetto che è un po' corto e me ne dispiaccio!^^
Spero tuttavia che vi sia piaciuto... ammetto che scrivere la scena tra Vivien e Meg (e poi con Thomas) l'ho trovata un po' difficile, poiché Viv sta passando un momento alquanto "turbolento" per i suoi sentimenti, spero di essere riuscita a rendere bene il suo stato d'animo!
A parte questo, ringrazio di cuore chi legge la mia storia e chi l'ha messa tra le preferite e le seguite (siete sempre di più, vi adoro!)
E naturalmente un ringraziamento speciale a Krakky e Clitemnestra_Natalja che mi fanno sapere sempre cosa pensano della mia storia!^^
A presto,

*HarleyQ_91*

 

 
  
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