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Autore: KatherineGrey    27/04/2012    0 recensioni
Sherlock e John saranno trascinati in un'avventura piena di incognite
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Proprio mentre John si apprestava ad uscire per raggiungere la più vicina enoteca, che in realtà distava ben due isolati, un boato terribile riecheggiò tra le case di Londra ovattate dalla nebbia. E iniziò a venire giù una pioggia pesantissima. L’uomo tornò indietro, salendo le scale a due a due, e ripescò il suo ombrello dal portaombrelli sul pianerottolo. Stava per ridiscendere la scale quando sentì la voce dell’amico oltre la porta dell’appartamento.
- Sì, delle rose: ottimo consiglio. Me le faccia portare subito qui, grazie!
Sherlock Holmes che ordinava fiori? John rimase per un attimo immobile: ma che diavolo si era messo in testa il suo amico? Decise che per ora era meglio non farsi troppe domande, perché la vicenda, nella ovvia probabilità che Sherlock avesse ragione, aveva tutta l’aria di essere parecchio complicata. Così uscì dall’abitazione. L’aria ora aveva assunto una intensa colorazione violacea che la pioggia punteggiava di luccichii. Mentre perse un minuto di troppo a sbloccare l’apertura difettosa del suo ombrello – ma perché non l’aveva portato ancora a riparare, considerato che viveva in uno dei posti più piovosi del pianeta?- vide avanzare verso di lui una figura occultata da un ombrello e da un lungo giaccone scuro; era il giovane commesso del fioraio, il più attivo latin lover del quartiere, e aveva in mano delle belle rose incartate.
- Non le si apre l’ombrello, dottore?- chiese quest’ultimo avendo notato i tentativi falliti di John.
- Oh, questione di poco, Nigel. Che bei fiori. Li porta su, nel mio appartamento?
- Sì. Avete ospiti?
- Siamo invitati a cena!- spiegò John che inaspettatamente con uno strattone di impazienza riuscì finalmente ad aprire l’ombrello.
I due uomini si salutarono e John procedette verso la sua meta. Lungo il marciapiede non poté fare a meno di notare che di fronte al fioraio c’era ancora la stessa vettura sospetta. Mentre, con aria non curante, si allontanava dall’abitazione, aveva ben netta la sensazione di avere degli occhi incollati alla schiena . Lasciando Baker street per Crawford street, si chiese se il conducente avesse rimesso in moto la macchina e ora lo stesse seguendo a una velocità silenziosa. Senza sapere perché, John scelse un percorso alternativo per arrivare all’enoteca, deviando dalla giusta direzione agli incroci per poi correggersi all’incrocio successivo della parallela. Si spinse più volte negli antri bui dei palazzi, aspettando, invano, di sorprendere la macchina mentre svoltava l’angolo. Alla fine, constatando quanto fossero state inutili quelle accortezze, visto che a quanto pareva i suoi spostamenti non avevano ottenuto la minima considerazione, percorse le ultime centinaia di metri dritto verso l’enoteca. Anche al ritorno, John non si pose più il problema se fosse seguito o meno e ad un certo punto iniziò a distrarsi pensando alla sua per niente noiosa amica. Tuttavia, a pochi metri dall’inizio di Baker street, notò un’ auto incastrata in un piccolo vicolo cieco tra due edifici, che, proprio al suo passaggio, aveva spento i fari. John continuò a camminare ma con la coda dell’occhio vide che nessuno aveva aperto lo sportello, come se chi vi stava a bordo volesse far credere che la macchina era vuota.
Quando finalmente, con la bottiglia di vino in mano, si avvicinò a casa, John fu sorpreso nel vedere che il fioraio stava uscendo proprio in quel momento dal suo portone.
Cosa aveva fatto lì tutto quel tempo? Sventolò l’ombrello bagnato sullo zerbino ed entrò nell’abitazione. Mentre stava salendo le scale, si sentì chiamare da sotto. Si affacciò dalla balaustra e vide la signora Hudson che era appena uscita dal suo appartamento.
- Oh, John! Potresti venire un attimo dentro a farmi un favore?
- Sì, certo.- rispose il medico che lasciò la bottiglia sulla mensola del caminetto all’ingresso e seguì la signora Hudson all’interno dell’appartamento. Il medico notò che nella piccola sala da pranzo la tavola era già apparecchiata ad hoc; la tovaglia era elegantemente ricamata e i bicchieri del servizio buono perfettamente posizionati sul bordo destro dei sottopiatti.
Accostata ad una parete c’era una scaletta e sul ripiano del mobile vicino faceva capolino un’ imponente foto incorniciata.
- Ecco - disse la donna indicando quel punto- non riesco ad appendere quel quadro. Dannata vecchiaia, non ho più le gambe ferme come un tempo!
Il medico si avvicinò al quadro e lo prese tra le mani. Ritraeva una giovane coppia di sposi, immortalati in un giorno sicuramente molto lontano, come denunciavano impietosamente la colorazione troppo vivida della foto e il taglio degli abiti e delle acconciature.
- Una vecchia foto degli anni’70!- disse mrs Hudson avvicinandosi a John con un sorriso.
- Ma questa … - stava per esclamare John notando il viso della donna.
- Certo, sono io. Beh, un tempo sono stata sposata. Questo è il mio compianto marito, Reginald Hudson.
John osservò l’uomo. Aveva un viso un po’ tarchiato, con la mascella possente e gli occhi grandi e scuri. Rimase leggermente impressionato dal contrasto dei due: mrs Hudson anche da giovane aveva un’aria timida, con quel suo fisico minuto e sottile, i capelli biondi sobriamente sciolti sulle spalle, le guance rosse di una tenera felicità, mentre lo sposo aveva tutta l’aria di essere di un’altra pasta, con quella postura un po’ impettita, la sua statura decisamente imponente vicino alla compagna e la chioma corvina impomatata alla Elvis Presley.
- Era davvero un bell’uomo!- sospirò mrs Hudson sfiorando con le dita l’immagine del marito.
- Sì, davvero!- annuì il dottore che sapeva di non dover fare alcun commento serio sull’aspetto estetico del compianto signor Hudson.
- Certo, anche un gran disgraziato!- aggiunse poi all’improvviso la donna gonfiando le spalle.
- Come dice?- chiese John che stava salendo sulla scaletta.
- No, lasciamo perdere. Stasera non sta bene parlare male di mio marito. Comunque, ecco, appendimelo a quei chiodi più grandi, grazie!
John si accorse che il quadro andava a coprire perfettamente tutto quel pezzo di parete contrappunto dai chiodini ai quali, fino a quella sera, erano stati appesi piccoli piattini con sfondi campestri: era chiaro che quella era stata la sua posizione in passato e che ad un certo punto mrs Hudson aveva voluto rimuoverlo; ma perché ora desiderava rimettercelo?
La signora Hudson non lo lasciò in cerca di una risposta. Infatti, spiegò:
- L’ho riappeso per Jane. Vedi, John, non è una mia nipote di sangue: suo padre era il fratello minore di mio marito! Lei era già molto legata a noi, ma poi quando i suoi genitori morirono tragicamente, ci sentimmo ancora più stretti. Povera cara, se non fosse stato per i suoi nonni, l’avremmo adottata volentieri. Ma nonostante lei vivesse a Orlando, in Florida, passava sempre le vacanze a Londra, nella nostra casa; altrimenti, andavamo noi. Purtroppo, quando mio marito morì, lei ne fu veramente sconvolta. Certo, lei ora è ben capace di affrontare il mondo, è una persona indipendente, ma è rimasta così affezionata al ricordo di suo zio: pensa che me lo cita ancora nelle lettere. Jane è sempre stata così emotiva, così fedele verso i suoi affetti … Capisci, sarebbe stata una grande delusione per lei vedere che avevo messo via la foto del nostro matrimonio!
Mrs Hudson fece una pausa, nella quale qualcosa brillò lungo le sue ciglia, e a voce malferma disse:
- ...Beh, ora anche questa è fatta, grazie a te! Ora, scusami tanto John, ma devo lucidare i cucchiaini del dessert.
- Oh, si figuri. Allora, a dopo.- rispose grato John, che aveva iniziato a sentirsi leggermente a disagio.
Il giovane medico  riprese la bottiglia e salì nel suo appartamento. Trovò Sherlock con le braccia incrociate dietro la schiena che stava misurando la stanza a grandi passi. Nelle pallide mani reggeva un voluminoso libro che a giudicare dalla copertina estremamente lucida doveva essere nuovissimo. Infatti, il tema floreale della rilegatura non aveva mai fatto capolino lungo gli affollati scaffali dell’abitazione.
- Allora, eccoti il vino!- disse John, poggiando la bottiglia sul tavolino, sul quale erano stati posati due mazzi di fiori.
- Perché due mazzi di fiori?- chiese John.
- Due donne, due mazzi di fiori, no?- rispose Sherlock, in tono irritato.
- Certo, tu che ad un tratto diventi un gentleman!
- Che ore sono?- chiese all’improvviso il detective.
- Hai l’orologio al polso!- gli ricordò John, che però istantaneamente consultò il suo orologio.
- Manca ancora una ventina di minuti.
L’investigatore sbuffò.
- Perché non ti cambi?
- Sono già adeguatamente vestito.
- Non so, una cravatta!
- Una cravatta? Non ne possiedo; non ho i gusti di Mycroft, grazie al cielo!
- Bé, peccato: col bouquet sarebbero stati bene!- ribatté John, che poi si accorse di avere indosso, lui sì, una cravatta.
Sherlock parve non udire l’osservazione ironica dell’amico e si tuffò in profonda catalessi sul lungo divano sotto lo smile.
Anche John era nervoso e non sapendo bene cosa fare, si avvicinò alla finestra. Subito, gli occhi gli caddero sul libro che l’amico aveva lasciato sulla scrivania. Con la coda dell’occhio si accertò che l’altro non lo stesse guardando e delicatamente girò il libro, così, tanto per vedere se il titolo poteva essere inerente in qualche modo a quella situazione. Perciò, rimase letteralmente di stucco, sia per la delusione che per il forte stupore di aver visto un simile libro in mano a Sherlock Holmes, quando lesse la scritta Schiavo d’amore, svolazzante e fucsia sotto due volti contratti in un bacio appassionato. E stava per lasciarsi scappare un’esclamazione di meraviglia, quando il rumore di una frenata lo attirò nuovamente di fronte alla finestra.
Un furgoncino con un’ indistinguibile scritta lungo la fiancata si era fermata proprio davanti all’abitazione.
- Ehi, Sherlock, vieni a vedere!
Il ragazzo con un salto acrobatico si portò accanto all’amico.
- Quel furgoncino dovrebbe fare consegne per il ristorante giapponese vicino a Park Crescent, a giudicare dagli ideogrammi. Evidentemente, la signora Hudson non ha molta confidenza con gli ingredienti alternativi della cucina vegana. – disse il ragazzo.
- Già, chissà cosa mangeremo stasera!- fece melanconico John, pensando alla serata fallita da Angelo! - Comunque, pensi che sia sospetto?
- Beh, è un classico che gli agenti dell’intelligence tengano sotto controllo le apparecchiature telefoniche di quelli che spiano. Con tutta probabilità, l’ordinazione della signora Hudson è stata ascoltata e quasi certamente i nostri opportunisti eroi hanno sfruttato l’occasione. Questo ristorante, come molti altri ristoranti orientali, regala sempre dei piccoli gadget portafortuna ai suoi clienti. Sicuramente, l’omaggio dentro la busta per la signora Hudson sarà stato ‘manomesso’. Ah, quanto sono prevedibili! Beh, quando scendiamo giù, chiediamo dell’omaggio e lo facciamo sparire!
- Speriamo che la signora Hudson non ci rimanga male! Beh, solitamente sono così orrendi che …
John all’improvviso colse il nonsense di quanto aveva appena detto il suo coinquilino.
- Aspetta un momento … Ma perché dovresti ostacolare i nostri servizi segreti?
- I nostri? Oh, John, come sei irritante quando fai il patriottico!
- Vorrei ricordarti che sono stato un soldato della Corona e il patriottismo sono ben orgoglioso di averlo nel sangue!
- Applausi e medaglie per il bravo soldatino John.- rispose con voce insofferente Sherlock.
- Lasciamo perdere i miei valori, per favore, e ragioniamo un attimo su quello che stiamo per fare?
- John – gridò all’improvviso il detective - forse non ti è ancora chiaro il punto: mio fratello mi ha messo ancora una volta da parte! E ha pensato di potermela fare proprio sotto il naso!
- E tu, per una patetica gara a chi è il più furbo dei fratelli Holmes, sei pronto a sconvolgere i piani dei nostri servizi segreti? E se provocassimo delle conseguenze disastrose, che ne so addirittura uno scandalo politico? ... Cosa ne sappiamo noi di quello che sta succedendo? Potrebbe trattarsi di una questione dalle ripercussioni internazionali …
Ad un tratto, il medico si ricordò che tutto il polverone partiva dalla nipote della signora Hudson. La emotiva Jane Hudson. Si accasciò sulla poltrona e stancamente si passò una mano sugli occhi. Improvvisamente, iniziò a ridere:
Il detective gli rivolse uno sguardo interrogativo.
- Tutto questo è troppo assurdo per essere reale. Sono fantasie, le tue fantasie!
Il campanile della chiesa più vicina batté gli otto rintocchi.
- Beh, lo vedremo subito, John!- disse Sherlock, profondamente sollevato dalla fine dell’attesa.
  
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