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Autore: lilly81    20/11/2006    14 recensioni
Brevi ed intensi racconti, capsule da mandare giù tutte d’un fiato, per narrare momenti qualunque della convivenza tra Bulma ed il principe dei saiyan. NUOVI AGGIORNAMENTI!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ecco a voi una nuova capsula di convivenza, questa volta dall’atmosfera più cupa e misteriosa… non anticipo altro, buona lettu

Ecco a voi una nuova capsula di convivenza, questa volta dall’atmosfera più cupa e misteriosa… non anticipo altro, buona lettura!

 

“Convivendo in… capsule”

 

Episodio II

 

 

 

Sbarrò gli occhi e la prima cosa che vide fu l’ombra inquietante e tremebonda che il riverbero dei lampioni realizzava sul soffitto: un ricamo fluorescente che andava e veniva secondo la direzione del vento.

Sarebbe potuto essere anche un fantasma, perché nei risvegli notturni non era abituato a vedere quel bagliore fluttuante sopra la sua testa, se non avesse subito spostato lo sguardo ed appurato di non aver semplicemente serrato le imposte prima di mettersi a letto.

Si accorse anche che a produrre contro i vetri quel ticchettio irregolare era soltanto il pendente di plastica della cordicella che serviva a tirare giù la zanzariera.

Non ricordava che il vento tirasse così forte quando se ne era andato a dormire.

Ma non era per quello che Vegeta si era svegliato col respiro mozzato e in un bagno di sudore.

In realtà, non ricordava con precisione neanche se stesse sognando di qualcosa o di qualcuno, aveva soltanto percepito nel sonno un odore che non apparteneva a quella stanza ed era stato questo a fargli raggelare il sangue nelle vene.

Annusò con insistenza e con uno scatto allarmato si mosse ad accendere la luce che era sul comodino accanto a lui.

Si guardò intorno con fare circospetto, ma la stanza, nel suo rigore asettico, era al suo posto: la divisa lasciata sulla sedia nell’angolo pronta ad essere indossata per l’indomani, l’armadio ed il cassettone chiusi, un dipinto geometrico e sbiadito appeso a riempire il vuoto di  una parete.

Altro non c’era, ma l’odore simile al metallo persisteva ugualmente e a tratti si intensificava.

Non l’aveva mai dimenticato: era l’odore di Freezer e del suo passato.

Si alzò dal letto scostando le coperte come fossero state di fuoco e a piedi nudi e con passo deciso andò ad accendere la luce anche nel bagno.

Lo specchio riflesse l’immagine pallida e contratta del suo volto.

Quell’esalazione lo rendeva nervoso e risvegliava ricordi che non si sarebbero mai seppelliti del tutto.

Era certo che una vita intera non sarebbe bastata per togliersi quel tanfo da sotto il naso: era cresciuto respirandolo insieme all’ossigeno.

L’aveva sentito la prima volta quando suo padre lo condusse bambino sull’astronave di Freezer e gli era entrato nei polmoni per tutto il tempo che era rimasto a suo servizio.

Si sciacquò il viso con acqua fredda e restò a tamponarlo con l’asciugamano di spugna per più di un minuto, come se questo gesto gli consentisse di fare il punto della situazione.

Alla base di Freezer non esistevano cemento e mattoni, ogni arnese, muro o porta era realizzato in quella lega metallica.

Ora, Freezer emanava già di suo quello stesso indescrivibile aroma, fatto di ferro, di zolfo e di altri elementi chimici sconosciuti ai terrestri, quasi fosse stato un tutt’uno con l’ambiente di cui si era circondato.

Nel combattimento corpo a corpo che aveva avuto con lui su Namecc, quel lezzo acuito dallo sforzo fisico si era fatto sotto le sue narici disgustoso.

Solo una volta aveva percepito questo odore nei laboratori della Capsule Corp., perché il vecchio che girava con camice bianco e sigaretta incollata sotto i baffi aveva tentato con insuccesso di riprodurlo al microscopio estraendo i composti da un rottame della navicella con cui Radish era giunto sulla Terra e che custodiva gelosamente in un cassetto chiuso a chiave.

L’effusione metallica aveva impregnato i laboratori per alcuni giorni, prima di dissolversi insieme al fumo del tabacco contro gli aeratori azionati sul soffitto.

L’odore era tangibile, non lo aveva sognato, non era il frutto di un delirio notturno.

Si guardò intorno, arrotolò l’asciugamano contro il muro con un gesto frettoloso e chiuse tutte le condutture.

Continuava tuttavia a mantenersi uniforme, lì come nella stanza attigua, senza riuscire ad indovinarne la sorgente.

Sembrava che seguisse di proposito il suo respiro ed i suoi movimenti.

Si fermò al centro della stanza e lanciò un’occhiata circolare e meticolosa concentrando tutti i sensi.

Nelle sue orecchie il ticchettio irriducibile contro i vetri della finestra era divenuto ossessivo:

“Vieni fuori… bastardo…” disse a denti stretti “tanto lo so che sei qui…”.

Ma in risposta continuava a sentire solo il  rumore di quel dannato gancio di plastica sballottato dal vento.

Guardò in direzione del letto, concentrò ancora i propri sensi e poi piano si abbassò fino a terra per scrutare chi o cosa stesse nascosto lì sotto: un paio di pantofole rosse, innocue ed inodori, che la sig.ra Brief si ostinava a lasciargli ai piedi del comodino.

Sembrava non avesse ancora imparato che il principe dei saiyan preferiva muoversi in casa a piedi nudi.

Vegeta andò ad aprire la finestra, con un gesto rabbioso spezzò il gancio incriminato e lasciò che il vento scuotesse le tende ed agitasse le lenzuola.

Era quasi freddo ed il cielo aveva uno strano colore violaceo, come in procinto di grondare sangue piuttosto che acqua, il vento raccoglieva sull’asfalto desolato le foglie ed i rifiuti e li faceva volteggiare in cerchio.

Quando accostò di nuovo le ante, ebbe la conferma che l’odore non proveniva dall’esterno, era in quella stanza.

A questo punto c’era solo una cosa da fare: trovare la persona contro cui recriminare, che gli desse una spiegazione più plausibile di quella per cui Freezer si stava prendendo gioco di lui, e si diresse verso la quarta porta che affacciava sul corridoio prima della sua.

 

 

* * *

 

 

Si meravigliò di trovare la luce accesa a quell’ora della notte.

Il letto disfatto, con le coperte ammucchiate in un angolo, dava l’idea di un risveglio improvviso ed agitato.

Strano a dirsi per una che non si alzava neanche con le cannonate.

Superando la soglia, scoprì con sgomento il corpo di Bulma seduto e riverso immobile sulla scrivania, con la testa nascosta da un asciugamano che le toglieva il respiro.

A terra giaceva un altro imbrattato di sangue.

Tutto lasciava supporre che fosse morta, che qualcuno fosse penetrato in casa e l’avesse colpita alle spalle, ma da sotto l’asciugamano si sentì la sua voce esclamare senza molto entusiasmo:

“Ci mancavi solo tu…”.

Vegeta restò per un istante interdetto prima di sbottare con rabbia:

“Si può sapere cosa diavolo stai combinando?!”.

Lei alzò finalmente la testa e tolse l’asciugamano: la bacinella su cui teneva la faccia esalò una nuvola di vapore balsamico.

“Esattamente quello che vedi” ma Vegeta era ancora poco avvezzo a certe abitudini terrestri, soprattutto se così rudimentali.

“Mi sono alzata per esasperazione” spiegò con voce rauca e nasale “non riuscivo a dormire tanto il naso era otturato” prese un fazzoletto e lo usò con delicatezza per non farsi uscire altro sangue “questo raffreddore mi sta togliendo anche l’anima… in più nello spray non è rimasta neanche una goccia… etciù!”

“Tipico di voi terrestri ammalarvi per così poco, basta un cambio di stagione per ridurvi uno straccio” fece con scherno.

“Grazie dell’osservazione” incrociò le braccia “lo capisco dalla tua faccia… di cosa devi lamentarti questa volta… e per giunta nel bel mezzo della notte?”.

Quando piombava così all’improvviso in camera sua era soltanto perché qualcosa non andava come voleva lui.

Il fatto che lei ormai indovinasse i suoi pensieri ed anticipasse le sue mosse lo mandava ancora di più sulle furie:

“C’è un odore nella mia stanza che non c’è mai stato, giuro che disintegro questa casa se non riesco a scoprire da dove viene!”

“E proprio a me vieni a chiedere aiuto?” starnutì un’altra volta “se questa stanza andasse in fumo neanche me ne accorgerei!”.

L’unico odore che Vegeta percepì tra quelle pareti fu quello del mentolo e dell’eucalipto.

Anche durante il tragitto nel corridoio non aveva annusato niente.

“Forse tuo padre ha fatto qualcuna delle sue diavolerie…” azzardò come ipotesi.

Bulma spiegò di averlo visto lavorare tutto il giorno accanto al computer e che non aveva maneggiato alcun materiale in particolare:

“Forse viene dalle condutture, può capitare quando il vento tira così forte, ma non mi hai ancora fatto capire che tipo di odore sia… suppongo nauseabondo se sei venuto qui soltanto per dirmi questo, cosa c’è… il principe ha la puzza sotto il naso?”  acciaccata com’era, non si lasciava tuttavia scappare l’occasione di essere indisponente e sarcastica.

Vegeta non aveva intenzione di spiegarle un bel niente, né tanto meno mostrarle la sua inquietudine.

Guardò in direzione della finestra e notò che anche lei aveva lasciato le imposte aperte.

Ciò che attirò la sua attenzione fu qualcosa che pendeva e si agitava dietro i vetri e che pure urtando contro non produceva rumore.

Si avvicinò e scoprì che si trattava di un fazzoletto bianco di stoffa raccolto con un nastrino ed imbottito in modo da dare l’impressione di un piccolo pupazzo con la testa ed un vestito:

“E questo cosa sarebbe?” chiese come se fosse stata una delle sue invenzioni più cervellotiche, o forse un’altra di quelle stupide abitudini terrestri che ancora non conosceva.

“Serve a tenere lontani gli spiriti malvagi” fece con voce indebolita e chiusa, tirando dall’astuccio l’ennesimo fazzoletto di carta.

“Spiriti malvagi?” ritornò a fissarlo.

“La leggenda vuole che ad un mese dall’equinozio di autunno gli spiriti cattivi ingaggino nell’aldilà una lotta con le forze del bene. Se queste dovessero soccombere, allora gli spiriti malvagi potrebbero varcare le soglie dell’oltretomba e venire tra noi viventi… quello serve a tenerli lontani”.

Vegeta non disse una parola.

Non vibrò un muscolo del suo viso, ma intorno al collo, dove Freezer aveva attorcigliato la coda riducendolo in fin di vita, sentì rinnovarsi uno strappo.

“Non crederai a queste stupidaggini?” quella domanda frantumò la tensione creata dal suo racconto e servì a riportarlo alla realtà.

Quella sciocca leggenda e l’odore che aveva sentito erano solo una coincidenza.

I terrestri sfruttavano simili racconti per esorcizzare le loro paure, ma non avevano alcun fondamento razionale.

Freezer sarebbe bruciato all’inferno per l’eternità.

“D’accordo…” riprese Bulma “ma da quando ho conosciuto Goku, ho visto e vissuto tante di quelle cose  assurde che credo anche all’asino che vola, questa notte poi è decisamente lugubre, fa venire i brividi…”.

Gli alberi erano sagome barcollanti che parevano alzare le braccia al cielo in cerca di aiuto, senza trovare la pietà di nessun dio, costrette a piegarsi e a subire sferzate continue.

Dal riflesso dei vetri, Vegeta la vide togliersi la vestaglia ed avvicinarsi al letto con passo malfermo.

Si sistemò il cuscino in modo da tenere sollevata la testa e ridurre la sensazione di soffocamento quando sarebbe stata incosciente.

Non aveva più niente della donna che solo due sere prima era andata nella sua stanza a tard’ora, si era infilata nel suo letto dopo essersi denudata davanti ai suoi occhi, gli aveva sfilato i pantaloni e risvegliato i sensi con quella lingua che sapeva usare abilmente, tagliente o deliziosa che fosse, come quel suo imprevedibile temperamento.

Lo aveva montato con audacia e passione ed i suoi seni incombenti avevano dettato una tale autorità che ad un certo punto dell’amplesso aveva sentito il bisogno di farla ritornare nell’unica posizione che le competeva, quella sotto di lui.

Bulma starnutì ancora e gettò sul comodino un altro fazzoletto accartocciato che finì insieme ai precedenti.

Ormai era un mucchio talmente alto che molti erano caduti a terra.

“Se quell’odore è così insopportabile, puoi anche restare a dormire qui, non sarò certo contagiosa per un saiyan che non si è mai beccato un raffreddore in vita sua” si infilò nel letto e sotto le coperte creò un bel po’ di trambusto per sistemarsele al meglio.

Vegeta tornò a voltarsi.

Quello che sapeva era che quella notte non avrebbe chiuso occhio, e non perché il delirante racconto di Bulma lo avesse messo in allarme, ma per un suo personale presentimento che gli suggeriva di non abbassare del tutto la guardia.

Non avrebbe mai ammesso che un brivido impercettibile gli aveva attraversato la schiena a sentire quell’odore e poiché temeva che, una volta ritornato in camera sua, sarebbe stata soltanto la suggestione a tirargli qualche brutto scherzo e non Freezer giunto dall’oltretomba, andò a distendersi accanto a lei senza infilarsi sotto le coperte, con un braccio incrociato dietro la testa per dimostrare alla parte razionale di sé stesso che quella notte alla fine sarebbe passata indisturbata come tutte le altre, che gli odori sono odori, e le storie di fantasmi restano bazzecole.

“Ma stammi alla larga” l’aveva avvisata brusco “resto solo perché quella puzza mi fa venire il voltastomaco!”.

“Puoi stare tranquillo” gli rivolse la schiena e spense la luce “tieniti pure tu lontano da me, ho bisogno di aria intorno o morirò soffocata”.

Vegeta tornò a vedere sul soffitto quel ricamo fluorescente tracciato dai profili degli alberi scrollati dal vento, mentre la sagoma di stoffa appesa dietro i vetri della finestra realizzava contro il muro un’ombra agitata e spaurita.

La sveglia digitale alla sua destra lampeggiava che l’una era passata da cinque minuti.

Quando tornò a guardarla di nuovo era trascorsa un’altra mezz’ora.

Bulma neanche si era addormentata.

Sentiva il suo respiro affannato, il naso che si tirava su ad intervalli più o meno regolari, i colpi di tosse che l’assalivano e si soffocavano contro il cuscino.

Un velo di nebbia poi si calò davanti agli occhi ed il saiyan chiuse le palpebre appesantite, il rumore del vento si fece distante ed ogni altra percezione finì negli intrighi del sonno.

Ma il torpore durò solo alcuni minuti.

I suoi occhi si sbarrarono per la seconda volta in quella notte e sulla testa rivide di nuovo i riflessi tremuli che i lampioni gettavano all’interno.

Non percepì alcun odore che fosse estraneo a quella stanza, ma questa volta sentì distintamente una presenza che si muoveva nel corridoio e si avvicinava alla stanza con passo deciso e silenzioso.

Mosse solo lo sguardo in direzione dell’entrata, ma restò immobile nel letto.

La porta si aprì con circospezione e nel buio si stagliò un’immagine piccola e bianca che si fermò a pochi passi da loro.

“Mamma…” pronunciò debolmente, ma la sua voce sembrava sconvolta.

 

 

* * *

 

 

Strizzò gli occhi, feriti dalla luce dell’abatjour che la donna si allungò ad accendere, e si meravigliò di trovare accanto a lei suo padre:

“Trunks…” mormorò Bulma con voce rauca ed assonnata “cosa c’è?”.

I suoi genitori non dormivano sempre insieme, almeno per quello che poteva saperne lui, e restò deluso di non trovarla da sola proprio quella notte.

Realizzando meglio la figura del bambino, videro che era pallido come il colore del suo pigiama, tremava vistosamente ed i suoi occhi erano atterriti e scavati.

Bulma non l’aveva mai visto così spaventato ed anche Vegeta lo squadrò con un sopracciglio perplesso.

Ora che aveva scoperto che c’era anche suo padre, Trunks non aveva più il coraggio di chiederle se poteva dormire accanto a lei, ma la prospettiva di ritornarsene nella sua stanza e restare da solo era anche peggiore di quella:

“Io… io… non mi sento… tanto bene…” mormorò allora, senza che le labbra livide smettessero di rabbrividire.

“Ma come è possibile?” la madre gli fece cenno di salire sul letto “hai sempre avuto una salute da fare invidia, non avrai mica preso anche tu il raffreddore?” gli saggiò la fronte ed assodò che non scottava.

Afferrò i suoi piedi e cercò di riscaldarli sfregandoli con le proprie mani:

“Sei identico a tuo padre, devi usare le pantofole quando scendi dal letto!”.

Tremava così tanto che pareva stesse singhiozzando.

Non era per il freddo ma per qualcosa che lo aveva terrorizzato.

Non c’era modo di farlo smettere, né si capiva per quale ragione si voltasse di continuo nella direzione da cui era venuto.

Aveva perso vigore e vivacità, non era più il monello che il giorno prima si era nascosto nell’armadio della nonna e l’aveva fatta svenire per lo spavento: era come un pulcino infreddolito che ispirava quasi tenerezza.

Dentro di lui nascondeva un’angoscia ed un tormento che un bambino della sua età non avrebbe dovuto avere, ma Bulma si preoccupava dei suoi piedi freddi ed addebitava quei tremori al fatto forse stesse facendo una cattiva digestione:

“Se non ti senti bene, puoi restare a dormire questa notte insieme a noi… che ne dici?” gli accarezzò la testa.

I suoi occhi agitati furono attraversati da un lampo di luce ed il corpo a poco a poco prese a rilassarsi e a recuperare calore.

L’idea che ci fosse anche suo padre gli dava più sicurezza, malgrado fosse insolito e bizzarro condividere il letto insieme a lui.

In mezzo a loro non avrebbe più fatto quell’incubo né avrebbe sentito quella cosa strisciare sotto al materasso.

Ma proprio Vegeta infranse quella speranza, facendolo ripiombare nel baratro di paura da cui era stato inghiottito, per colpa di quel suo cinismo indistruttibile:

“Queste cose le fanno le femminucce, tornatene nel tuo letto e copriti meglio se è questo il problema”.

Ma a Bulma non mancò un’occhiata bieca:

“Non hai un po’ di sensibilità, non vedi che non…” si interruppe e sgomenta restò a fissare suo figlio assalito da improvvisi singulti di pianto.

“No, vi supplico, non mandatemi via, non voglio dormire da solo…” ora nei suoi occhi si poteva vedere il terrore più puro.

Il viso era stravolto da sembrare irriconoscibile.

“Che capriccio sarebbe mai questo?” chiese Vegeta duramente.

Suo figlio non si era mai comportato come un codardo.

Quello che gli faceva più rabbia era non capire cosa lo avesse ridotto in quelle condizioni.

“Trunks, tesoro…” le braccia della madre lo attirarono al suo morbido petto “ma cosa ti è successo?”.

“Adesso basta!” Vegeta si era alzato dal letto e gli rivolse contro una delle sue occhiate più severe “è vergognoso sentirti parlare come fossi un moccioso qualunque”.

Bulma cercò di prenderlo per le buone, ignorando l’altro, come se la sua autorità in certi frangenti fosse un tappeto su cui strofinare le scarpe:

“Hai forse fatto un brutto sogno?” gli strinse le spalle e cercò di tenerlo fermo “guarda che non c’è nulla di strano, può capitare a tutti di avere un po’ di paura…”.

Trunks smise di scuotersi, tirò su col naso, guardò fisso il lenzuolo ma non ebbe il coraggio di alzare la testa:

“In sogno… un mostro mi ha detto che sarebbe venuto ad uccidermi… sembrava vero, non era un incubo qualunque…”.

“Dimmi, Bulma…” inquisì il saiyan rivolgendole lo stesso piglio severo “non gli avrai mica raccontato di quella stupida leggenda?” ma la donna scosse la testa.

Trunks sentì la schiena percorsa da un brivido, gelido come il nome che stava per pronunciare:

“Ha detto che si chiama Freezer…”.

Vegeta sgranò gli occhi e scattò ad afferrarlo per le spalle:

“Tu non puoi conoscere Freezer” lo scosse con rudezza “che diavolo stai blaterando?!”.

“Vuole vendicarsi di me perché dice che io l’ho ucciso!” singhiozzò ancora “ma non l’ho mai visto in vita mia, giuro che non ho fatto niente di male! Non sto dicendo bugie! Non gli ho alzato contro neanche un dito!”.

Vegeta, sconvolto, lo lasciò ricadere sul letto.

La leggenda, l’odore simile al metallo, il sogno di Trunks non erano più una coincidenza.

Anche Bulma si voltò d’istinto a guardare in direzione della finestra, alla ricerca del fantoccio di stoffa sbatacchiato a destra e a sinistra dal vento.

Era ancora lì:

“Gli spiriti malvagi…” sibilò impallidita.

Trunks si asciugò le lacrime col dorso della mano.

Il posto che aveva sognato aveva il cielo di colore verde e l’erba turchese, come se un pittore immaginario avesse invertito i colori per errore o per divertimento.

Assiso su una roccia, era comparso quel mostro che lo aveva chiamato per nome.

I suoi occhi di rubino, le labbra violacee ammalianti e velenose lo avevano fatto svegliare con la schiena rizzata sul materasso.

Proprio sotto di lui aveva avuto la sensazione di qualcosa o qualcuno che stesse nascosto, aveva fatto volare in aria le coperte ed era scappato via.

“Lo senti anche tu?” Vegeta si stava guardando intorno.

Anche Trunks sentì all’improvviso quell’odore di metallo volatilizzarsi dal nulla, lo stesso che aveva già percepito nella sua stanza.

“Ma di cosa state parlando?” intervenne Bulma spaventata “io non riesco a sentire niente… etciù!”.

Era stata così traumatica l’esperienza vissuta su Namecc che anche a distanza di anni provava i brividi al solo sentire pronunciare il nome di Freezer.

Si era già fatta piccola dietro a suo figlio.

Vegeta, al contrario, sentì il sangue schiumargli dentro.

Freezer aveva quel fascino del male capace di pietrificare chiunque e se aveva deciso di ritornare era perché le sue forze, forgiate nel fuoco dell’inferno, si erano accresciute, ma non sarebbe stato il principe dei saiyan se davanti alla prospettiva di uno scontro non avesse provato quell’euforia altrettanto diabolica e perversa.

“E di cosa hai paura?” guardò suo figlio con un ghigno.

“Mi è sembrato fortissimo… non credo di poter riuscire a competere con lui, vuole soltanto me, mi ucciderà…”

“Non trovare giustificazione dietro il fatto che hai imparato a combattere solo da pochi mesi. Il nemico non guarda queste sottigliezze, piuttosto è un’occasione d’oro che ti sta capitando per misurare finalmente le tue vere forze”.

Trunks non era del tutto convinto, ma quando suo padre gli parlava in quel modo, dentro di lui si agitavano ataviche emozioni.

Senza rendersene conto aveva già raddrizzato la schiena.

“Allora credete che verrà veramente?” si intromise Bulma “è soltanto una leggenda, Freezer è morto!”.

Ma nessuno dei due le diede ascolto.

Questo significava essere la donna e la madre di un saiyan: vederli andare contro il nemico e non poter fare altro che aspettare e supplicare il cielo, gioire del loro ritorno o andare a raccoglierne le spoglie, se non era stato già il vento a portare via la loro polvere.

Quest’angoscia non sarebbe mai finita.

Qualcun’altra aveva pagato già più di lei e paventava prima o poi di eguagliarne la sorte.

Trunks era sceso dal letto:

“Non sarai così sconsiderato da farlo combattere da solo?!”.

Vegeta non aveva pensato a quella prospettiva neanche per un istante, gli aveva parlato in quel modo soltanto per scuoterlo.

L’esaltazione per lo scontro si era mescolata alla sensazione nuova ed indefinita di combattere anche per altro, per preservare ciò che adesso gli apparteneva e gli era caro, ma era ancora presto per riconoscerlo ed ammetterlo perché certe consapevolezze passano soltanto attraverso travagli più grandi.

Quando Vegeta spalancò la finestra, un’aria burrascosa irruppe nella stanza, rovesciò una sedia, fece volare le coperte e sparpagliò i fazzoletti di carta come palle di neve più grosse.

Bulma dovette aggrapparsi alla spalliera di ferro del letto per non essere trascinata in quel vortice spaventoso ed ululante che inghiottì le sue urla di aiuto e di sconcerto.

Trunks e Vegeta saltarono dal davanzale e restarono sospesi in aria ad osservare uno scenario apocalittico: in lontananza le nuvole erano scese così basse da formare un fumo fatuo che avvolgeva rapidamente la città di un macabro colore sanguigno.

Trunks aspettava fermo vicino a suo padre, il vento forte gli scompigliava il ciuffo e lo costringeva a ridurre gli occhi in due fessure.

Si sentiva uno stupido ad aver avuto paura e a non essere stato neanche capace di camuffarla proprio davanti a suo padre.

Ora, malgrado il cuore gli tumultuasse sotto il pinguino raffigurato sul suo pigiama, doveva dimostrargli che aveva il fegato di affrontare quel nemico di cui non conosceva altro se non l’immane potenza che sprigionava.

“Avanti, carogna, vieni…” mormorò il principe dei saiyan, che aveva tutta l’intenzione di saldare il conto che per troppo tempo era rimasto in sospeso tra loro, e non era soltanto per la coda che gli aveva spezzato la noce del collo ma per quel passato in cui troppe volte aveva dovuto piegare la testa e sentirsi umiliato.

In quegli anni si era allenato duramente: non avrebbe tagliato la corda come aveva pensato di fare su Namecc.

La tensione intanto poteva affettarsi con un coltello.

Trunks ne percepiva il peso ed attendeva trepidante.

Ma ad un tratto la potente energia che avanzava nella loro direzione cessò d’incanto, le nubi rossastre si ritirarono poco a poco, come un esercito che arretra innanzi al nemico, lasciando intravedere perfino le stelle ed anche il vento si ridusse ad una brezza notturna che lusingò le ultime foglie rimaste sugli alberi.

Trunks si rivolse al padre e scioccato gli chiese cosa fosse successo.

Vegeta aveva la bocca dischiusa, ma non per dargli una risposta che purtroppo non aveva.

“Entriamo dentro…” gli rivolse le spalle.

Trunks si sentì ad un tratto più leggero e rilassato, libero di un fardello, e seguì il padre dopo essersi asciugato significativamente la fronte.

Nella stanza c’era la sedia capovolta, le coperte finite in un angolo, i fazzoletti sparpagliati a terra insieme ai cocci di un vaso, libri e pagine volanti, ma mancava qualcuno:

“Bulma! Mamma!” un grido suonò rabbioso, l’altro carico di rinnovata angoscia.

C’era ancora dell’altro che doveva succedere quella notte?

Vegeta corse a vedere in bagno, ma anche questo era vuoto.

“Sono qui sotto… posso uscire?” la sua capigliatura azzurra spuntò da sotto il letto e con flemma si rimise in piedi.

Trunks emise un respiro di sollievo e le disse che Freezer era scomparso ancor prima che ella potesse domandare cosa era successo.

Bulma si avvicinò alla finestra, allungò un braccio e sciolse il nodo che teneva agganciato il fantoccio di stoffa, scampato miracolosamente alla forza distruttrice del vento:

“Allora ha funzionato…” l’osservò con meraviglia.

Vegeta strinse rabbiosamente i pugni.

Ci voleva ben altro che un pupazzo di stoffa per tenere lontano Freezer.

Poteva immaginarlo ardere d’oro e sfoggiare la sua potenza elegante ed esemplare, la sua faccia senza risentimento, la forza mai brutale, il piglio di chi è sicuro che alla fine il bene trionfa sempre, anche tra i morti.

“Che tu sia maledetto Kakaroth…” pensò tra sé.

Anche nell’aldilà doveva fare l’eroe e prendersi tutto il divertimento, e lui era lì a perdere il tempo su un pianeta così soporifero e tranquillo da far rivoltare nella tomba tutti i suoi antenati.

“Ehi ragazzi…” Bulma si affrettava intanto a rifoderare il letto per recuperare il resto della notte “visto che siete qui…” diede l’ennesima strofinata al naso “che ne dite di dormire tutti insieme?”.

Vegeta si era già avviato alla porta, ignorandola di rimando.

Trunks fece una smorfia nauseata e disse:

“Ma che ti salta in testa? Certe cose le fanno le femminucce…” e con passo spocchioso la lasciò a starnutire da sola.

 

 

FINE

 

 

Bene… spero che abbiate mandato giù quest’altra capsula di convivenza: non sono obbligatorie e non hanno controindicazioni!

Come avrete notato, le capsule non seguono necessariamente un ordine cronologico, non sono l’una il continuo della precedente, ogni episodio è a sé stante, ma sono integrate tra loro ed allacciate alle precedenti fanfictions che ho scritto in modo da offrire al lettore un quadro omogeneo di vita alla Capsule Corp.

Per un nuovo episodio non garantisco niente… non mi piace fare promesse che potrei non mantenere.

Poiché mio fratello ritorna a vivere a casa, non avrò più il pc a mia completa disposizione.

Ciao a tutti e commentate!

 

 

 

 

 

 

   
 
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