Lil’
brother.
Riprese il telefono in mano, ricordando le ansie, le paure,
i demoni che stava affrontando il fratello minore e per il quale
avrebbe voluto
fare di più che parlargli solo attraverso uno stupido
apparecchio elettronico,
ma non poteva fare altro.
Chiuse la porta a chiave, gettandosi nel letto, la testa
affondata nel cuscino e le parole appena sentite che le risoanavano
nella
testa. Quelle paure, le sue stesse quando aveva l'età del
fratello. I tredici
anni più brutti della sua vita.
Si chiese perché anche lui doveva affrontare quel percorso.
Fortuna che lei era lì per lui, ad aiutarlo a non commettere
i suoi stessi
errori. Lui era più forte. Forse gliel'aveva insegnato lei
ad esserlo, forse
era una cosa innata di suo o c'era lo zampino del fratello maggiore che
aveva
sempre una parola per tutto e tutti.
La voce risoluta la
fece riprendere per un attimo. Credeva in lui e doveva farglielo
sapere, ne
aveva bisogno in quel momento, lo sapeva bene.
"Lo so. Sono
sicura che ci riuscirai."
"Come io sono
sicuro che affronterai i tuoi."
Uno strano verso le
uscì dalla bocca, tra un sorriso e uno sbuffo. Era rinchiusa
tra quelle quattro
mura da un mese ormai, per volere dei genitori. I fratelli li avevano
pregati
di farla rimanere a casa. L'avrebbero aiutata loro. Invece no.
La madre l'aveva
scoperta in bagno, nella vasca ormai rossa di sangue mentre si tagliava
l'interno coscia. Da lì non ebbe più vita, tenuta
sempre sott'occhio. Avrebbe
smesso. Aveva una forza di volontà ferrea.
Si ridestò da
quell'immagine e rispose al fratellino: "Io li affronto ogni giorno. Ma
a
volte alcuni demoni non possono sparire da soli, perché sono
persone a noi
vicine e gli ostacoli quando non sono muri, ma persone, non li puoi
risolvere.
Sarebbe bello che ognuno di noi fosse come un cubo di Rubik, complicato
ma
risolvibile, no? Ma non è così, quindi
è meglio riporre alcune cose in un
cassetto sperando che prima o poi quelle persone maturino per poterle
affrontare con te."
Probabilmente il
fratellino rimase di stucco, ma lei la prese più come un
'chi tace,
acconsente'.
Sospirò di nuovo mentre
tornava a pancia su, alzando le
maniche della maglia leggera che le dava fastidio con il caldo estivo
imminente. Guardò i piccoli segni bianchi, le cicatrici.
Tolse poi i
pantaloncini ed esaminò l'interno coscia.
Chiuse gli occhi ed infilzo le unghia nelle cosce. Voleva uscire
di lì. Tornare alla sua libertà. Poter
abbracciare i fratelli, le amiche.
Invece si ritrovò a portare le mani verso la schiena,
abbracciandosi da sola.
L'unica cosa che la teneva lucida, lì dentro, in istituto,
era che presto suo fratello sarebbe venuta a riprenderla e l'avrebbe
portata a
vivere da lui. Gliel'aveva promesso.
Avrebbero portato con loro anche il piccolo e sarebbero
vissuti come una famiglia. Magari sarebbero andati in Inghilterra,
dalla
sorella maggiore che studiava e lavorava lì.
Sì, quello era il suo
sogno. Finché avrebbe sognato, avrebbe avuto speranza.
Finché avrebbe sperato,
avrebbe continuato a vivere per loro e per se stessa.
Il fratello venne a prenderla la settimana dopo, con il
minore, stringendo tra le mani tre biglietti di sola andata per
Brighton.
L'avrebbe fatto davvero. Sarebbero scappati tutti insieme.
Avrebbe voluto tirarsi un pizzicotto per vedere se era vero,
ma le bastarono le braccia dei fratelli per crederci.
Certo, il viaggio, lo stare assieme non era stato forse
tutto rosa e fiori per lei, e aveva pensato bene di ritirare fuori la
lametta
un paio di volte. Ma loro c'erano sempre stati. La facevano sfogare
cantando,
facendola uscire, facendola scrivere.
Fu sempre il più piccolo a togliergli la lametta del tutto.
Lui era depresso, primo amore andato male. Lei aveva
riaperto il cassettino dei ricordi, e non solo quello. Aveva ripreso la
scatola segreta' dove teneva vecchie
foto, vecchie lettere e il portamonete con dentro la sua lametta ancora
un po'
sporca.
La rigirò tra le dita quando sentì entrare il
fratellino in
camera sua.
"Ecco.. dammi una lametta che mi taglio anche io."
Come se nulla fosse, come se fosse in trance mentre rigirava
quella lametta tra le dita, rispose. "E' un po' sporca.."
"Si sporcherà sempre, qual è il problema?"
"Si deve pulire e disinfettare se non vuoi prendere
infezioni. E' una delle prime cose che impari quando sei un
autolesionista."
La voce era priva di enfasi, inflessioni. Apatica.
"Dammela."
"No. Non devi diventarlo."
"Dammela lo stesso."
Lo guardò, trasalendo. Non poteva dargliela. Non
doveva. Lui era il fratellino
e lei quella che doveva dare il buon esempio.
"NO." Alzò la voce. "Ti proteggerò
finché
posso."
"Io.... io sto proteggendo te."
Solo in quel momento capì che quello scricciolo che era
più
alto di lei, voleva quella lametta non per sé, ma per
toglierla a lei, per buttarla forse.
Solo in quel momento capì che quella scatola sarebbe stata
sigillata per sempre grazie a lui.