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Autore: Lizanna    28/04/2012    2 recensioni
Il suo essere sottomessa da sempre pensava l'avrebbe fregata. Che interesse poteva esserci nel dialogare anche se per iscritto, con qualcuno che non poteva avere proprie opinioni e temeva una qualsiasi lamentela? Eppure quando ricevette l'ennesima risposta insperata dal contenuto ancora più inaspettato del precedente, dovette iniziare a prendere il coraggio che mai aveva posseduto realmente, o forse si era auto imposta di non manifestare mai.
-Io ho risposto perché mi annoio, non per ricevere scuse. E finiscila di essere così triste, non avevi scritto di voler anche se in un pezzo di carta, essere te stessa? Anche se non capisco il divertimento che puoi trovare in un pezzo di carta ed una fottuta penna ingestibile. Comunque ti prometto che un giorno sarai tu a provare piacere nel vedere messi male i tuoi padroni-
Fu un riflesso incondizionato quello di sbarrare gli occhi e mettersi una mano sulla bocca spalancata. Sia per la maleducazione del suo interlocutore che aveva spento una sigaretta sul foglio, e sia per la minaccia finale che augurava ai suoi padroni. In teoria doveva essere lei ad augurare cose brutte verso quelle persone, eppure non ne trovava il coraggio, era davvero schiava anche moralmente.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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..ho deciso di provarci ancora per un capitolo, se capisco che il gradimento non c'è e sto scrivendo solo per me lascio perdere e non vi scoccio più xD buona lettura =)




Non sapeva se fosse più grossa l'irritazione e la rabbia che provava in quel momento, o l'eccitazione che non accennava a svanire dopo la sua ennesima vittima le cui carni lentamente svanivano mangiate da Teese.

Solitamente dopo aver compiuto il suo lavoro, lasciava il corpo del malcapitato in qualche posto vistoso dove era certo sarebbe stato rinvenuto con facilità: la carneficina che compieva con tanto piacere doveva essere sotto gli occhi di numerosi individui i quali si sarebbero sentiti il corpo invadere di terrore... quel sentimento che come nessuno riusciva ad eccitarlo e far sentire soddisfatto.

Eppure non ne ebbe il tempo né la voglia quel giorno, perché qualcuno vicino a lui tentava di rubargli il palcoscenico, senza il ben che minimo senso d'eleganza: infatti le urla strazianti di una donna le poteva udire dalla sua posizione che non era così distante ma allo stesso tempo vicina.

Giudicava i killer umani come dei barboni dell'omicidio. Non che lui nella sua vita umana fosse la più raffinata delle persone, ma trovava necessaria una certa finezza quando si poneva fine ad una vita.

Era uno spettacolo che si compieva per puro piacere personale e perciò andava fatto con riguardo, il terrore della vittima doveva essere la portata principale, divisa con nessuno se non lo sfondo che contornava la scena. Invece quell'assassinio che si compieva vicino a lui era rumoroso quanto un concerto della peggior specie, inscenato in maniera stonata così tanto da dargli ai nervi e rovinargli la serata.

Ogni passante che si accorgeva della scena veniva in poco tempo ucciso in silenzio, sopraffatto dai suoi golem che parevano nervosi come il suo padrone che detestava l'idea che qualcuno potesse levargli il divertimento.

Più andava avanti, e più i fasci di luce viola prodotti dai Teese gli facevano da accompagnatori nell'oscurità di quella notte parecchio nuvolosa, se non fosse abituato alle tenebre probabilmente, avrebbe perso la strada o si sarebbe fatto del male sbattendo su muri o cartelli.

 

-Non è ancora arrivato il momento di estinguere l'intero pianeta ma in questi momenti lo farei tutto da solo.-

 

Provava una rabbia che si intensificava con il passare del tempo, violenta e selvaggia dentro quel corpo già di per sé contaminato dai più loschi sentimenti i quali, ricevettero l'apice quando gli occhi di lui poterono osservare la scena del crimine, che non gli era affatto sconosciuta, anzi vi entrava ogni giorno o quasi, anche se per qualche fugace istante.

Ne conosceva ogni piccolo angolo desolato, spoglio e povero ma allo stesso tempo particolareggiato da chi lo abitava, soprattutto per l'enorme pila di fogli sopra quel misero tavolino in legno usurato dalle termiti. Non credeva che si sarebbe mai trovato lì per uccidere o vedere qualcuno morto, per lui quello era il luogo dal candore più nauseante non tanto per il mobilio che era misero, ma per chi ci risiedeva. Era così abituato ad entrarvi che non si insospettì della direzione che aveva imboccato preso dall'istinto, finché non vide quei corpi. Iniziò a credere che fosse colpa sua, dovunque metteva le mani corrompeva, oscurava e mortificava, niente si salvava per quanto potesse essere immacolato.


Come ora, quella notte di alcuni mesi antecedenti, stava ritornando a fare rapporto dopo la sua ultima vittima, un esorcista che non gli aveva dato il ben che minimo divertimento, tanto avido che pensava di poterlo corrompere... forse, non si era reso conto di chi si trovasse dinnanzi.

Era una delle sue solite giornate, dopo aver svolto la mansione e prima di fare rapporto al Conte che aspettava con impazienza lui ovviamente con la solita noncuranza si sedeva a far nulla, se non osservare quel che casualmente gli passava tra gli occhi con una sigaretta ad invadergli il corpo nel tentativo di rilassarlo, quando invece a nulla serviva se non a devastare i polmoni. Era un vizio frivolo, ma come tutti non sapeva negarselo anche se voleva dire mettersi alla pari di un comune umano dipendente dalla nicotina, ma lui era fatto così: non gli interessavano i confronti né i giudizi che essi fossero positivi o negativi.

Osservava con poca attenzione le ville difronte al tetto su cui si era seduto. Risiedevano nella stessa città in cui lui ogni giorno lavorava ma sembrava tutto un altro posto, la differenza di prestigio era così dannatamente assurda: il fatto che ci fossero persone così ricche ed altre come lui così povere gli metteva su una dannata rabbia, non tanto per l'ingordigia che non era sicuramente il suo difetto, ma per i diritti che i soldi toglievano ai poveri, come Izu che non riceveva sostentamenti medici perché orfano e con conoscenze poco influenzabili, e mentre continuava con i suoi pensieri tutt'altro che utili per la sua esistenza, qualcosa gli piombò tra gli occhi senza causargli però grandi sofferenze se non un piccolo spavento. Benché solo l'innocence fosse in grado di ucciderlo, quella misteriosa apparizione che lo sfiorò tra gli occhi lo fece sobbalzare, notò poi con stupore che era solo della carta, piegata in maniera bizzarra.

Sembrava un aeroplano, o almeno quello che aveva potuto vedere solo nei disegni di un bambino glielo ricordava. Rimase incerto per qualche istante: se l'avesse steso forse si sarebbe spiegato come fosse stato congegnato, ma ciò non era sicuro e rischiava così di rovinarlo. Chissà se conosceva qualcuno in grado di illustrare i vari procedimenti per crearlo... beh alla fine che gli interessava se non per perderci un po' di tempo? Non era neanche più un bambino che poteva permettersi di farsi prendere dalla curiosità per un oggetto così inutile ed infantile, perciò senza più indugi lo prese tra le dita, appianandolo con delicatezza... all'interno ci trovò un testo che lo stupì. Da quando in qua si creavano giochi di carta per mandare messaggi?

Guardò difronte a lui, notando che dall'altra parte della strada c'era una casa, in alto una piccola finestrella semi aperta da cui poteva scorgere anche se debolmente una sagoma perfettamente in linea con lui, ecco ora sapeva chi era il folle.

Ma nonostante fosse convinto che si trattasse di un folle, decise di dedicarci qualche attimo, anche perché ne aveva sprecati così tanti che sarebbe stato immotivato non dare un occasione anche a quel perditempo.

 

 

-Cosa c'è di più inutile se non scrivere, per chi non è neppure padrona della propria esistenza?

Probabilmente, anzi certamente sto sprecando quel poco lasso di tempo che gentilmente mi viene dato per riposare, tentando inutilmente di sfogarmi su un foglio di carta che mai nessuno leggerà, nella speranza remota che qualcosa mi spinga a ribellarmi. Ma come puoi andar contro a quello che hai sempre fatto senza neanche avere la certezza che là fuori sia meglio di quanto non lo sia in quest'umida soffitta? La mia ignoranza è tale da non sapere neanche che odore emana l'oceano o di che colore sia un prato fiorito. Tutto ciò vale la pena di andar contro ai miei stessi padroni? Sono scriverlo in questo misero foglio mi mette dentro un ansia schiacciante quanto la paura di essere una bambola che respira, o forse che viene fatta credere da qualcuno di essere in grado di ciò.-

 

 

Sbuffò copiosamente, gettando via aria carica del fumo, di quella sigaretta che non toccava ormai da diversi minuti, ma rimaneva sempre ad invadergli la respirazione.

Gli umani erano seriamente stupidi, si facevano comandare da loro stessi simili, quando in realtà tra di loro non vi è alcuna differenza anzi, tutti accomunati da delle insulse convinzioni del cazzo, ciò gli fece accendere l'ennesima sigaretta per la rabbia, senza rendersi conto di averne una poggiata su qualche tegola. Ovviamente quel tabacco non sarebbe servito a nulla.

Per sua fortuna nonostante la povertà, non fu mai costretto a compiere nulla di così umiliante come schiavizzarsi, e se mai qualcuno ci avesse mai tentato lo avrebbe probabilmente fatto fuori senza troppi ripensamenti. Da quella lettera però, poteva intuire che era stata una donna a scriverlo, anche la calligrafia così curata e lineare dava l'impressione di un elegante mano che con classe macchiava il foglio di quelle parole che però trovò molto colte per una semplice schiava. Forse in qualche modo, tentava la fuga dai suoi obblighi con l'istruzione? Che cosa ridicola! Lui era libero ed ignorante, senza problemi ad ammetterlo tranne quando si trovava di fronte ai gemelli Noah che nonostante la non superiore cultura, non facevano altro che deriderlo, ma essi erano un caso più malato di quella schiava.

Ridicolo, anche se forse lo era di più la situazione a cui era costretta e di cui non poteva di certo liberarsi da sola se non privandosi della sua vita.

 

-Tyki lo sai che il Conte odia aspettare!- dietro di lui, una voce dolce lo destò dall'ennesimo stupido pensiero che non aveva la ben che minima utilità. Era Road che probabilmente si stava stufando anch'essa di attendere il suo arrivo, forse non aveva nessun altro da torturare tra i noah che in quel periodo erano sempre indaffarati tra vari affari di natura offensiva contro l'Ordine Oscuro o difensiva nella creazione di Akuma... non erano tutti come lui, usati come fucile per abbattere esorcisti in ogni dove.

Girò gli occhi nella direzione della bambina, senza muovere il volto di un millimetro per guardarla bene. Era così scocciato dalla situazione che neanche i suoi muscoli volevano saperne di spostarsi. Nonostante ciò sapeva che sarebbe finito trascinato per qualche porta che lo avrebbe catapultato verso la stanza del Conte che con una risatina sommessa lo avrebbe accolto felice della missione compiuta.

 

-E voi sapete che non ho fretta- replicò spegnendo l'ennesima sigaretta su una delle tegole di quel tetto altissimo e ripido, in cui una persona normale senz'altro sarebbe caduta... infatti, quando si girò notò che Road lievitava sopra un Lero non tanto felice di trovarsi là, sicuramente era stato rubato nel mentre che il Conte schiacciava il suo pisolino serale.

Lei lo guardò contrariata come era solita fare quando dava spazio alla sua parte bianca: svogliata, sporca e maleducata. Era l'unico a non riuscire a tenerla a freno, quella facciata disordinata di lui. Nonostante i bei abiti che portava non era per nulla galante, e si domandava se fosse reale il sangue Noah che circolava dentro di lui o se fosse solo un illusione che giustificasse la sua eccessiva sete di sangue.

 

-Non sei carino Tyki!- come immaginato, Road iniziò a tirarlo per il braccio con una potenza eccessiva per il corpo che mostrava, se anche lui non fosse detentore della stessa forza, sarebbe barcollato. Poi ella si accorse della lettera che lui teneva per le mani, chinandosi con il mento poggiato sulla spalla del compagno per osservare, ma prontamente si vide il foglio piegato in due per non darle maniera di trovare altro di ridicolo da appuntargli.

 

-Perché la nascondi?-

 

-Perché devi mettere il muso ovunque?-

Era piuttosto seccato dalla privacy che gli era sempre negata da quella curiosa bambina, così per tagliarla corta decise di alzarsi e seguirla sperando che la smettesse di fare domande su quel pezzo di carta.

 

-Sapendo che non sei bravo con i miei compiti, ho immaginato che non fossi in grado di rispondere a quella lettera, o forse... neanche a comprenderla...-

Pungente, odiosa e dispettosa. I tre aggettivi che Road riusciva sempre a portarsi affianco, saldamente incollati in ogni discorso, dal più breve al complesso.

Non le rispose, sarebbe stata una grossa seccatura farlo, e ancora più grande sarebbe stata la replica cattiva che avrebbe dovuto ascoltare. Figurarsi, anche se avrebbe assicurato una risposta a quella lettera, lei non ci avrebbe mai creduto se non gliela avesse fatta leggere, e di certo non lo avrebbe fatto, ficcava già sufficientemente il naso in ogni dove.

 

**

 

Dire che lo aveva fatto solo per noia sarebbe stata una grossa bugia, e con quelle non era affatto bravo, già tentennava a raccontarle agli amici che non si spiegavano cosa facesse nel suo lavoro secondario. Perciò decise di lasciare quel dannato pezzo di carta e finirla di crogiolarsi sul da farsi, avrebbe così tolto a sé stesso le insinuazioni di Road e la curiosità di una qualsiasi reazione di quella donna che un po' l'aveva incuriosito, sarà che non aveva altro da fare quel giorno, passato a lavorare e divertirsi con una giocata a poker che poi sfumò per una febbriciattola di Izu che in serata si attenuò. Il piccolo insistette per farlo uscire nonostante la sua precaria salute: sicuramente aveva l'espressione stressata più che mai, non era abituato senza far nulla ma non poteva andare a 'divertirsi' lasciando il piccolo malato. Ma dopo vari tentativi di dissuaderlo dal rimanere affianco a lui a consumare sigarette su sigarette, decise di uscire un po' a distrarsi per non farsi prendere dalla rabbia che lo inondava quando pensava che era inerme contro quella malattia che indeboliva tanto Izu.

Quando si affacciò la prima volta nella stanza di quella donna che gli aveva spedito quella carta, la trovò proprio al suo interno intenta a fasciarsi una mano ferita.

Nonostante fosse un taglio di considerevole grandezza e profondità, gli attrezzi che usava per disinfettare e chiudere la ferita erano davvero improponibili, poté scorgere persino del filo e dell'ago in quella cassetta, forse quando si era trovata ferita gravemente si era trovata costretta a cucirsi da sola le carni, quasi gli vennero i brividi... ed era davvero un tutto dire se la pelle d'oca era sulla pelle di un assassino che godeva sulla sofferenza altrui.

Era magra, ma fortunatamente non superava il filo del de nutrimento. Aveva una pelle candida ed imperfetta per via dei vistosi lividi che la invadevano. I lunghi capelli castani che coprivano l'intero schienale della sedia, erano mossi e prendevano delle curve che ricordavano onde, che richiamavano i suoi occhi azzurri rovinati dai segni della stanchezza. In quella piccola sedia con quel vestito tutto rovinato e lo sguardo tranquillo nonostante la ferita, la trovò più simile che mai ad una bambola dalla pelle di porcellana e le sembianze di qualunque donna ideale anche se fragile, a cui potevi anche rompere un braccio, strappare i capelli e tagliare il busto che mai avrebbe tramutato il suo sguardo rimanendo sempre freddo, artificiale. Lei era fatta di carne, ossa e sangue, nonostante ciò sembrava più porcellana o ceramica che si muoveva su dei fili invisibili di un marionettista sapiente, che non si faceva notare. Forse era vero quello che aveva messo per iscritto? Le era stato proibita anche la sua esistenza? Non poteva esserci altra spiegazione al suo carattere così remissivo anche in solitudine, dove nessuno poteva scoprire le sue imperfezioni.

Quel modo di fare però lo rapiva ed incuriosiva, non aveva mai visto un qualunque essere umano prendere con tanta forza il dolore fisico, senza dar la vittoria alla sofferenza. Chissà come avrebbe reagito dinnanzi alla sua parte nera. Forse avrebbe ritrovato quel briciolo di esistenza propria che le avrebbe permesso di temerlo? Oppure, sarebbe stata così forte da sfidarlo con lo sguardo finché non avrebbe esalato l'ultimo respiro?

Gli sarebbe piaciuto scoprirlo, ma l'idea di infierire nel caso ci fosse un briciolo d'umanità in lei, lo faceva sentire un po' come i suoi padroni che la ridicolizzavano e sfruttavano chissà in quale atroce maniera, forse tanto da farle sperare di morire... in quel caso le avrebbe fatto sì un favore... ma che piacere c'era nell'uccidere qualcosa di vuoto? Faceva prima ad acquistare una bambola e distruggerla, che prendere quella donna e privarle della vita lunga che ancora l'attendeva.

Aspettò per un tempo indefinito che lasciasse la stanza per poi posizionare quel dannato pezzo di carta che tra le sue mani sudate stava prendendo un assurda piega, non più di quella aeroplano che tanto si era vantato con sé stesso per essere riuscito a creare, ma di una lattina schiacciata.

Finalmente con il calar del sole uscì da quella stanzetta, probabilmente doveva preparare la cena o qualcosa di simile. Ne approfittò per entrare e dare un occhiata a quel poco che c'era.

Era davvero piccolo, una coperta grossa faceva da letto con degli stracci cuciti tra di loro a mo di cuscino. Di fronte alla finestrella c'era un tavolo con una sedia... non sapeva dire quale fosse la più precaria delle due, entrambe logorate di buchi di termiti che consumavano il legno assai grezzo, con qualche scheggia sui lati. Nel muro alla sinistra, dove il sole picchiava di meno, c'era una grossa libreria stranamente, non piena di polvere come sarebbe stata una sua ipotetica. Probabilmente erano libri vecchi che non si usava più leggere e lei se li era studiata tutti quanti. Sopra quel tavolo poté osservare anche della carta a fogli liberi ed una penna piuttosto vecchia di legno, di cui alcune gocce di inchiostro avevano macchiato il legno e le tegole consumate del pavimento. Decise di non stare troppo oltre, dopo aver osservato il vetro rotto che probabilmente usava per specchiarsi, accanto a quel “letto” poggiò il suo pezzo di carta che lo fece sorridere. Aveva scritto due righe striminzite contro quel garbato messaggio lungo ed elegante. Inoltre, la sua scrittura era pessima e sicuramente piena di errori che avrebbero fatto rabbrividire quella donna, forse era la volta buona che tirasse fuori quel carattere, ma per insultarlo o deriderlo.

 

 

-Mi scusi... io non volevo farle del male, anzi pensavo che questo straccio di carta sarebbe passato inosservato a chiunque finendo a marcire per sempre su qualche terreno desolato.-

Se ci fosse stata Road sicuramente avrebbe risposto con un -Su qualcosa di desolato c'è pur sempre finita questa lettera, anche se è un cervello e non un terreno-.

Non aveva tutti i torti, dato che non sapeva più che cosa rispondere. Passava i momenti liberi ad osservare un pezzo di carta preso furtivamente dalla sua stanza nella villa del Conte, non pensava lo avrebbe mai utilizzato, e si augurava che nessuno ci facesse mai caso.

Il resto del tempo libero lo impiegava a spiare di sfuggita oltre quella finestra. La trovava sempre intenta a curarsi l'ennesima ferita procurata chissà come, oppure a leggere guardando ogni tanto quella penna come se cercasse il modo di usarla. Probabilmente l'aveva illusa un po' troppo dandole quella risposta, infondo nessun essere umano è realmente privo d'anima per quanto possa essere schiavizzato il proprio corpo, a certe cose non si può comandare, e la prova fu lui stesso che accendeva l'ennesima sigaretta nervoso. L'aveva presa nell'orgoglio, doveva rispondere anche se male, ma doveva farlo. Non era ignorante solo che... scrivere la trovava una scocciatura.


 

-Io ho risposto perché mi annoio, non per ricevere scuse... E finiscila di essere così triste, non avevi scritto di voler anche se in un pezzo di carta, essere te stessa? Anche se non capisco il divertimento che puoi trovare in un pezzo di carta ed una fottuta penna ingestibile. Comunque ti prometto che un giorno sarai tu a provare piacere nel vedere messi male i tuoi padroni-

 

Nel nervosismo non si rese manco conto di aver scambiato il posacenere con il foglio che finì per marchiare. Nonostante ciò se ne fregò lasciando l'ennesima risposta, sempre sgarbata e sgrammaticata. Questa era l'ultima, se lo era auto imposto. Non doveva perdere tempo con una donna così sottomessa da scusarsi anche in una lettera diretta ad un perfetto sconosciuto che aveva persino fatto irruzione nella sua piccola abitazione.


 

-Non sono triste, anzi l'opportunità che mi sta dando permettendomi di colloquiale con lei in maniera libera mi ha dato un briciolo di fiducia anche se illusorio. Non c'è niente che mi possa far più piacere, neanche il veder soffrire i miei padroni. Non ho il permesso né la forza di ribellarmi anche se nel mio piccolo, scrivendo queste parole sto compiendo un passo in avanti verso una silenziosa ribellione per l'acquisizione di diritti. Sto bene, ho la salute anche se precaria ma è questo che conta, non pensa anche lei?-


 

Era troppo buona per essere vera. Il suo ipotetico candore era paragonabile solo alla pelle di essa, così chiara ed impenetrabile che al cospetto con il suo nero fitto e la pelle abbronzata creava davvero un contrasto considerevole, che si ripeteva anche nei caratteri, nelle vite... in tutto.

Trarre forza da due righe scritte da uno sconosciuto potevano apparire come pazzia, o forse disperazioni dilaganti, eppure quell'effimera speranza che traspariva lo colpiva. Avrebbe voluto sì urlargli che la maniera ideale per ribellarsi non era scrivergli ma prendere quella gente a sonori ceffoni, ma di certo una donna così esile non sarebbe riuscita a fare tanto neanche a volerlo realmente. Pensava nel suo piccolo mondo, di liberarsi delle catene con la gentilezza? Era fottutamente impossibile.


 

-Sinceramente penso che ribellarsi sia ben altro, ma da quel che ho compreso sei una donna e non puoi di certo rivoltarti fisicamente... perciò non tenterò di spezzare il tuo sogno impossibile di liberarti della prigionia con questi buoni gesti di ribellione educati. Cerca però di rendere vano questo tuo tentativo di vivere tra le righe di questi pezzi di carta. Iniziando ad esempio, a togliere quel fottuto modo di parlare educato. Dammi del tu, o la mia salute diventerà realmente precaria a causa del nervoso che mi procuri. Sono al mio secondo pacchetto di sigarette, e ti scrivo in tarda mattinata.

Sai che vivo con un bambino orfano e malato? Non si lamenta del fumo ma so che dovrei smettere lo stesso... un po' vi assomigliate. State entrambi in silenzio nella vostra sofferenza... ma tu sei adulta e dovresti averne già le palle piene-

Si divertiva a scrivere tutte quelle parolacce, immaginandosi il volto della sua interlocutrice sbiancarsi più di quanto non potesse già esserlo.

Probabilmente tali vocaboli non le erano mai usciti di testa né dalle labbra, proprio il suo opposto, dato che non riusciva a farne a meno. Non si rese manco conto di aver parlato della sua vita, cosa che inizialmente si era auto imposto di non fare, per non infiammare quella piccola speranza che la ragazza probabilmente riponeva in lui. Era troppo scocciante salvare una persona che tanto poi sarebbe dovuta morire ugualmente.


 

Due giorni dopo aver mandato quella lettera, ricevette una risposta con qualcosa di inaspettato. Sopra al “letto” c'era uno straccio candido, dentro di esso delle arance. Aveva visto un enorme albero intriso di arancio nel cortile di quell'enorme villa, ma per non causare problemi a quella donna non si mise a rubacchiare come suo solito, ma poté constatare che ci aveva pensato lei al posto suo. Si stupì. Non era poi così vuota, dato che aveva preso di nascosto quei frutti per -a sua detta- farli mangiare al piccolo bambino che era costretto ad aspirare quel fumo nocivo. Le vitamine sarebbero stati non un antidoto, ma un buono scudo.

Si mise a ridere: gli umani erano davvero pazzi. Meno possedevano e più davano. E nonostante si vedesse che lei non navigava nel cibo datogli, aveva offerto quel poco che aveva o forse rubato, a lui che magari, aveva anche scritto una bugia per ingannarla. Era talmente buona d'animo che aveva messo da parte un ipotetica menzogna?


 

Ma adesso non trovava più quell'innocenza, fatta violentemente da parte a causa di un oscurità su cui mai avrebbe pensato che quella ragazza avrebbe fatto i conti. Quella pelle che pareva porcellana ora era scura di peccato e macchiata di sangue che sebbene non fosse indelebile, non avrebbe mai potuto pulire dalla pelle che si era marchiata di male.

Il suo nero avrebbe tanto voluto un giorno sporcarla del suo sangue, distruggere quello sguardo apatico e passare tra quelle pelli immacolate che si sarebbero intrise di brividi. Era il suo folle desiderio, quello di impossessarsi dell'unica persona che non provava nulla, neanche quel sentimento che tanto lo faceva impazzire. Avrebbe voluto insegnarglielo per poi poterne usufruire a suo piacimento, ma qualcuno era arrivato prima di lui, e non avrebbe neanche potuto sperare in una vendetta. Era stata lei stessa ad anticiparlo, causando in lei i primi cenni di paura, che poi si trasformarono in vero e proprio panico quando tentò di colpirsi con un vetro rotto. Nonostante fosse di spalle poteva vedere ogni suo gesto da quel vetro della sua stanza ancora più rotto di quanto già non lo fosse in precedenza. Quelle crepe che si riflettevano nella sua figura la rappresentavano come non mai nella sua più grande paura e follia.

Con i rivoli di sangue neri a macchiarla fino al petto fondendosi con quelli rossi delle sue vittime ed i capelli più ribelli che mai a mascherare gran parte del suo piccolo corpo, per la prima volta da quando la conosceva non sapeva che fare, che dirle o consigliarle. Non provava più quel piacere bizzarro nello stare con persona che probabilmente utilizzava anche come valvola di sfogo e appoggio disperato alla sua parte bianca sempre più debole. Ora il suo sentimento era più simile alla delusione, la quale però non lo stava totalmente corrompendo. Era ancora così dannatamente innocente nel suo bagno di malvagità, sentiva di essere in grado di spezzarla con un solo dito in mille cocci splendenti, eppure era sicuro che quel suo provare paura l'avesse cambiata, e non in un mostro come diceva lei, ma in persona libera, tanto da venire a conoscenza in una sola notte di tante delle cose che le erano state proibite. Era diventata come lui, quando aveva scoperto di non essere quello che realmente pensava... ed in un certo modo doveva difenderla dal cadere in quell'oscurità di cui neanche lui era stato in grado di non essere sopraffatto.

Perciò fece qualcosa che per lui era assurdo, a tratti persino contro sé stesso. Odiava sporcarsi le mani, letteralmente. I suoi guanti dovevano restare puliti per testimoniare la sua superiorità nell'uccidere con maestria, un'eleganza che gli umani non avrebbero mai potuto comprendere o imitare. Ma appunto perché tale segno di grazia non sarebbe apparsa come carneficina di un mostro il quale lui era anche se l'apparenza ingannava.

Scrutò l'uomo ancora vivo che terrorizzato se ne stava immobile, sdraiato a pancia in giù nel vano tentativo di non farsi notare, ma quando i passi di Tyki iniziarono a risuonare per la stanza lo vide fuggire lentamente strisciando come un verme... animale, che lo rappresentava più di quanto lui non potesse immaginare. Un individuo capace di sfruttare le persone, picchiarle ed umiliarle senza ritegno alcuno. Gli pestò la caviglia con un piede, schiacciò la punta della suola sul muscolo premendo con cattiveria ma trattenendosi, con quella forza avrebbe potuto sfasciarla come del burro, ma non volle sporcarsi anche le scarpe, e poi chi lo sentiva il Conte infuriato per aver sporcato delle pregiatissime scarpe?

Lo sguardo giallo immerso nella macabra soddisfazione di avere vicina l'ennesima vittima, incontrò per un istante un altro sguardo del medesimo colore ma dai differenti sentimenti, quelli di paura e depressione che trattenevano a stento l'eccitazione nel essere spettatrice di un massacro che quella parte di lei oscura trovava stimolante.

Lui si chinò con il braccio destro teso che con uno scatto si infilò dentro il petto di quell'uomo passando attraverso la cassa toracica e persino l'asfalto sotto il suo corpo. Non ci mise tanto tempo ad estrarre l'arto e mostrare alla ragazza quello che era stato il motivo di tale gesto. Nella sua mano, stretto senza troppa forza c'era il cuore di quell'uomo che giaceva a terra senza vita. Naturalmente non pulsava più ma nonostante ciò grondava gocce di sangue che s'infrangevano sul suolo, ormai inondato di quel liquido dall'odore sempre più pungente ed insopportabile.

Glielo mostrò con un ghigno divertito, voleva fargli comprendere solo a gesti quanto potesse realmente fare un mostro che provava piacere. Lasciò che al muscolo ci pensassero i suoi golem e si spostò verso la ragazza, inginocchiandosi come lei. Era molto più alto della donna, la sua sagoma da dietro nascondeva quella di lei ancora tremante e sotto shock, però poté scorgere dai suoi occhi un divertimento che tratteneva con forza stimabile, non era poi così vuota come appariva.

Allungò un dito avvolto dal guanto di pelle verso il volto di lei, tracciando la linea della sua ferita sul volto ormai rimarginata. Iniziò a muoverlo verso tutto il volto in direzione di ogni goccia che la contornava per pulirla. La visione che aveva avuto di lei non si sarebbe di certo lavata con un pezzo di pelle a strofinarle il volto, ma trovava irritante che una figura così innocente fosse allo stesso tempo demoniaca. Finita quella pulizia approssimativa si leccò il guanto come a voler evidenziare che lei non era nulla a suo confronto, in quando ad essere un mostro.

-Ti stai divertendo?-

Che domanda idiota le aveva posto. Sapeva già che avrebbe risposto negativamente. 

  
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