I Capitolo ~ Storia di due notti tormentate
Pioveva, quella notte.
L'acqua cadeva scrosciando lentamente per poi scontrarsi con violenza con il
terreno, picchiettando sui vetri, nel suo tragitto, tuonando sulle tegole,
suotendo e lasciando rabbrividire la debole casetta di legno, tormentandola
senza sosta, nè pietà. Il vento soffiava di continuo, ululando fra le fronde
scosse, fischiando e stridendo, filtrando attraverso ogni più piccola crepa
delle pareti della casa, insinuandosi come un serpente fra le fessure,
sibilando maligno agli ancgoli delle porte e delle finestre, ritmicamente,
quasi a delinare con il suo rombo e il loro scuotimento una sorta di magica
musica composta da più reali, anche se al contempo finti, tamburi, che
riempivano l'aria di loro rombi e tuoni, incessantemente. L'unica luce
all'interno della casa era prodotta da una debole lampada ad olio che, nella
sua fugacità, danzando sotto le flessuose dita del vento, che la muovevano
elegantemente da sinistra verso destra, illuminava il volto sofferente della
ragazza, a volte sì, e a volte no, come a volerla nascondere da quel tempo così
ostile per poi tornare a sipare di nascosto la sua bellezza, di tanto in tanto,
ma non trovando il coraggio di sostenerla troppo a lungo.
Stava urlando.
Le grida della donna riempivano l'aria, perfette compagne dei rombi di tuono e
del chiasso delle finestre, stridenti e improvvise, alternate a brevi momenti
di calma nei quali si limitava ad ansimare stesa sul letto, a gambe divaricate.
C'era un bambino, accanto a lei, e dai lineamenti del suo volto si poteva
dedurre che non avesse avuto più di una decina d'anni, che teneva stretta la
mano della madre, intrecciando le dita con le sue, accarezzandole lentamente,
stringendola con forza. Sudava, e aveva paura. Paura di che? Forse non avrebbe
neppure saputo rispondersi... d'altronde, quando si ha paura non si ha nè la
coscienza nè la ragione necessaria per esaminare il vero motivo per cui la si
prova in quel momento.
Quello dopotutto non era certo il luogo migliore per un parto, senza nè un
dottore a poterli aiutare, ma la tempesta che infuriava all'esterno pareva non
volerli far uscire, e non ci sarebbero stati comunque villaggi nei quali
sostarsi, nelle vicinanze.
Un'ennesima contrazione, e le urla della donna salirono ancora, aumentando di
volume, accompagnate dallo spasmo di dolore, e il bimbo al suo fianco iniziò a
piangere e mordersi le labbra, stringendo con più forza la mano della madre, le
pupille che tremavano all'interno dell'iride. Le urla disperate aumentarono
ancora d'intensità, a pari passo con le contrazioni e la disperazione crescente
del primo figlio accanto a lei. Ormai si era persa perfino la cognizione del
tempo, e nessuno dei due faceva più caso ai minuti, alle ore, che erano
trascorse e che ancora in quel momento stavano trascorrendo inesorabilmente,
verso il nuovo giorno, fatto sta che i capelli insolitamente bianchi del
bambino avevano fatto a tempo a infradiciarsi per la pioggia, asciugarsi
all'interno della casa e inzupparsi ancora una seconda volta, questa, però, di
madido sudore.
Il padre, ovviamente, non c'era.
Passarono altri minuti angosciosi, forse ore, e infine il bimbo nacque,
sollevando, almeno in parte, le sofferenze della madre. Piangeva, versava
lacrime, avvolto com'era stato, così, improvvisamente, dalle dita gelide,
crudeli e taglienti della notte. La madre, cullandolo lentamente fra le
braccia, lo avvolse fra le coperte, per non disperdere il suo lieve tepore,
nonostane la fatica e il dolore immenso stessero ancora scuotendo il suo corpo
dall'interno costringendola a tremare e rabbrividire. A quel contatto, quel
così piacevole calore, il bimbo smise di piangere, e il figlio canuto si
allontanò di qualche passo dal letto, il volto bianco e tirato per aver
assistito di persona a un orrore tanto grande da essere definito come il più
grande miracolo della vita. Poggiò una mano sulla fronte, cercando di placare
la nausea, e guardò lentamente verso il basso, come se non avesse mai visto in
vita sua le venature e i nodi di un pavimento in legno, e poi, dopo qualche
secondo, rialzò il viso, e parlò.
"Come lo chiamerai?" Chiese con voce affannata, mentre il respiro
usciva violentemente dalla bocca aperta, sempre più regolare, nel tentativo di
riprendere fiato.
"...Taera..." Fu la risposta della madre, dopo qualche secondo
impiegato a ricombinare le idee, che ancora cullava il bimbo, ormai
addormentato, e ne accarezzava con lo sguardo le dolci fattezze "Un nome
che gli darà forza, che lo farà potente e temuto, e lo aiuterà a vincere su
qualsiasi nemico."
Iris si svegliò di soprassalto.
Cos'era stato? Un sogno? Una visione? No... solamente un terribile incubo.
Il freddo della sua piccola cameretta lo avvolse abbracciandolo velocemente,
come accorgendosi solo in quel momento del suo ridestarsi, stringendo e
opprimendo sul petto, bloccando il respiro in una morsa gelida. Era seduto,
probabilmente si era alzato inconsapevolmente con uno scatto, svegliandosi,
così si strinse le braccia al petto, afferrandosi le spalle, cercando di
placare lo stupore e lo spavento col calore del suo stesso corpo e della sua
stessa pelle... umida, madida di sudore, ma comunque calda. Il suo respiro
usciva ritmicamente dalla piccola fessura formata dalle labbra, prima dentro, e
poi fuori, e i battiti del cuore erano accellerati tanto da rimbombare nel suo
stesso petto, a ritmo delle finestre del sogno, assordandolo con la loro
insistenza.
Era solo un incubo, solo un incubo...
Si riprese qualche secondo più tardi, e afferrò violentemente le coperte con
forza, alla ricerca di un segno che gli dicesse con forza e chiarezza che si
trovava ancora nella sua stanza, e non più nella piccola casetta di legno buia,
scossa dalle interperie, visto che l'oscurità gli impediva di accertarsene con
chiarezza. Trovate, il suo animo si placò del tutto, permettendo ai suoi occhi,
ora più calmi, di adattarsi alle tenebre per permettergli di guardarsi intorno.
Tutto era come al solito, e nulla sembrava essere stato spostato o fuori
posto... la sua solita stanza. La sveglia ticchettava al suo apatico ritmo sul
comodino a fianco del letto, davanti a lui l'armadio lo guardava cupo,
dall'alto verso il basso, e le mura della camera erano sempre lì, vigili e
attente come sentinelle da guardia, mostrando due soli spiragli, una porta e
una finestra.
Solo un incubo, ancora una volta...
Ancora, come sempre, visioni e incubi erano tornati angosciosi a tormentare il
suo apparentemente tranquillo poltrire, confusi e incomprensibili come al
solito.
Si alzò lentamente dal letto, come la sua forza meglio glielo permetteva, e si
diresse con passo malfermo e tremante verso la finestra, dove scostò le tende
con un ampio gesto della mano, ad osservare l'esterno. Anche quella era una
notte buia, ma nè buia, nè tempestosa, e, ad ogni modo, la città di Imil
riusciva a rispeldere comunque, rispecchiando nel suo volto la pallida luce della
luna.
Le vie erano vuote, spazzate da una lenta e calda brezza, le case e gli edifici
immobili, nella loro potente struttura, a disegnare un paesaggio quadrangolare
davanti a se, come una rudimentale scacchiera dalla quale, a tratti, si alzava
un edificio più alto, più grande, che saliva imponente verso l'alto; e, come
ogni notte, la vista di quel paesaggio così immobile, silente, e altrettanto
impalpabile da dietro il vetro della finestra, riuscì a placarlo del tutto,
così si girò, lasciando che le tende coprissero ancora una volta il mondo
esterno, per poi tornare al suo letto con passo più sicuro, più fermo e deciso,
dove si sarebbe riaddormentato tranquillo.
Il battito cardiaco e il respiro erano tornati finalmente regolari, e anche il
corpo aveva terminato di tremare. Perchè si era agitato così tanto? Ormai
questi sogni incomprensibili si ripetevano di notte in notte, da quanto poteva
ricordarsi, sempre diversi e sempre confusi, e, dopo tanto tempo, avrebbe anche
dovuto imparare a farci l'abitudine. Ma non è facile abituarsi agli incubi, che
vanno e vengono, repentinamente, feriscono in profondità per poi svanire nel
nulla, sempre violenti, lasciando dietro di se una scia di brividi e affanni.
Si sdraiò, dopo aver cercato il letto a tastoni, e cercò di riprendere sonno,
voltandosi al lato opposto che volgeva alla finestra, in modo che la pallida
luce della luna non gli desse troppo fastidio, ma, appena fu voltato, notò che
questa era misteriosamente scomparsa, lasciandolo solo, e lasciando che le
tenebre si impossessarono improvvisamente della stanza, cancellando ogni
traccia di luminosità, anche se pallida. L'oscurità lo avvolse, lo abbracciò
insinuandosi in ogni anfratto e penetrando in ogni poro della sua pelle,
offuscando ogni suo senso, lasciandolo solo, nella stanza, con la
consapevolezza che non vi era alcuna luce per uscirne.
Che cosa stava succedendo ora? Si voltò verso la finestra agitato, e, proprio
in quel momento, ciò che oscurava la luce scomprave, lasciando che la luna
tornasse a compiere il suo lavoro di sostituto dell'unico vero astro,
illuminando pallidamente gli edifici sottostanti e la sua piccola stanza, come
se tutto quello che erasuccesso fino a quel momento fosse dovuto solamente ad
una nuvola passeggera.
La così lo intimorì un poco, ma non abbastanza da costringere alle sue membra
ormai intorpidite di ordinargli di alzarsi per esaminare la situazione, così,
dopo qualche secondo di vigilanza, visto che il fenomeno pareva non volersi
ripetere, si calmò ancora una volta, e il topore lo costrinse a chiudere
lentamente le palpebre, a riposare gli occhi, sperando che, quella notte, non
sarebbe successo null'altro.
La mia prima storia... vi prego di essere clementi, semmai vogliate leggerla ^^' questo è un capitolo un po' corto, in quanto prefasi... se vi piacerà posterò il seguito ^^ Grazie già da ora!