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Autore: scandros    29/04/2004    7 recensioni
Siamo nell’Inghilterra di fine ‘800 nel periodo in cui la colonizzazione delle Indie continua ad accrescere il regno Britannico di ricchezze e lustri. Alla corte della regina, intrighi e amori giovanili sembravano prendere il sopravvento sulla scena politica internazionale. Il conte Gatsby dovrà vedersela con le proposte di matrimonio che inaspettate giungeranno alle figlie Patricia, da parte del conte Benjamin Priceton e a Jennifer da parte dell’arcigno e arrivista barone Rumsfield. Se la prima sogna di vivere il suo grande amore travolta dalla passione e dal sentimento vissuto nel suo più profondo significato, la seconda desidererebbe solo potersi rifugiare nel più sincero e corrisposto sentimento che nutre nei confronti di Philip Callaghan, decaduto marchese di Halfshire. Il ritorno in città di Julian Gatsby farà battere il cuore a Amily Sullivan, la cui madre invece vorrebbe maritarla al timido e solitario duca Huttinton, segretamente invaghito della indomabile Patricia, sorella del suo migliore amico Julian. Mentre ville e castelli si decorano di dame e cavalieri nelle loro mise sfavillanti al suono di melodiose danze, inaspettato un cavaliere di nome Piuma Scarlatta si aggira nelle segrete e negli abbaini in cerca della verità.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Jun Misugi/Julian Ross, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly, Yayoi Aoba/Amy, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Il ballo in maschera

ORCHIDEA SELVAGGIA

 

 

 

La  piuma scarlatta

 

Capitolo 2

 

 

I conti Arthur e Eleanor Gatsby salirono sulla carrozza insieme alle figlie Jennifer e Patricia. Erano stati invitati a cena presso la villa del barone Rumsfield e dopo l’ennesimo invito, il conte aveva pregato la moglie e le figlie di acconsentire. Il barone Nigel Rumsfield era un personaggio molto chiacchierato nei salotti inglesi per il suo carattere severo e spietatamente cinico; di statura alta e corporatura segaligna, aveva uno sguardo sempre vigile, indagatore, con degli occhi sottili di un celeste talmente chiaro che sembrava vitreo.

Era la prima volta che il conte Gatsby portava con se le figlie a villa Rumsfield e si vociferava che il barone volesse indicare una delle due come sua promessa sposa. Arthur Gatsby era stranamente inquieto poiché per quanto la posizione sociale del barone fosse alquanto interessante, non vedeva di buon occhio un matrimonio con una delle sue figlie. Tanto più che per Patricia era già stata avanzata la proposta dal conte Priceton per il figlio Benjamin e Jennifer aveva un carattere troppo sensibile per poter sostenere un matrimonio con un uomo autoritario e assolutistico come il barone.

 

 

Alla fine della strada, il cocchiere imboccò un sentiero alberato costeggiato da vigneti  a perdita d’occhio ancora spogli nel gelido inverno di quell’anno. Patricia non aveva distolto lo sguardo dal finestrino della carrozza. Aveva continuato a guardare il paesaggio con la sua solita aria sognante, non degnando il padre di alcuno sguardo e disegnando nella sua mente a menadito le brughiere inglesi. Il cielo plumbeo tendente oramai al buio stava oscurando le campagne immergendo lo scenario in un tetro quadro dal sapore medievale.

Patricia sapeva che i suoi genitori stavano preparando la lista degli invitati per il ballo in maschera nel quale molto probabilmente avrebbero annunciato il suo fidanzamento con Lord Benjamin Priceton. Questo pensiero era oramai indelebile nella sua mente da vari giorni insieme a quello di sua sorella Jennifer, costantemente in pena per l’amato Philip Callaghan.

Quando il cocchiere fermò i cavalli dinanzi il maestoso portico della tenuta, Patricia sembrò ridestarsi dal suo torpore e seguì la sua famiglia all’ingresso dell’immensa villa. Scese dalla carrozza e si avviò verso il maggiordomo che evidentemente si era già avveduto dell’arrivo degli ospiti. Scambiò qualche breve parola  di pura formalità ed aprì la portiera della carrozza, aiutando i suoi passeggeri a scendere.

Il maggiordomo in alta livrea salutò con profondo inchino gli aristocratici ospiti che avrebbero allietato la serata della tanto bella ma quanto fredda villa. Come un perfetto padrone di casa, il barone li attendeva all’interno della residenza.

-         Conte Gatsby è il benvenuto nella mia dimora. – gli disse stringendogli la mano in segno di saluto. – Milady, siete sempre più bella. – disse a Lady Eleanor inchinandosi per baciarle la mano.

-         Buonasera barone. Vi trovo in splendida forma. –

-         Ma quale beltà vedono i miei occhi. Lady Jennifer, Lady Patricia, siete fulgenti. – disse inchinandosi per salutare le due contessine. Patricia lo guardò con estrema diffidenza, disegnando con gli occhi i tratti marcati di quel viso adulto e del segaligno corpo. Uno sguardo infiammato balenò nelle iridi acquee del padrone di casa.

Il barone fece loro cenno di seguirlo per accomodarsi in salotto dove li attendevano i visconti Victor e Johanna Barnes anche loro ospiti in quella serata. Le dame si accomodarono sui salotti divagando in convenevoli e pettegolezzi da ricche aristocratiche mentre il conte Gatsby, il visconte Barnes e il barone Rumsfield chiacchieravano vicino il caminetto sorseggiando dello sherry.

-         Vi trovo proprio bene Lady Eleanor. Ed anche voi ragazze. Ma quanti anni avete adesso? –

-         Jennifer ventiquattro e Patricia ventidue. – rispose la contessa Gatsby indicando con orgoglio le belle figlie. Jennifer aveva il capo leggermente chino, con lo sguardo attento ai movimenti delle sue agili dita che solleticavano continuamente i merletti dell’abito. Patricia guardava qua e là con circospezione cercando di comprendere quale atmosfera stesse lentamente prendendo forma in quella monotona e tediosa serata. Era una casa priva di anima, della bellezza femminile e di aria familiare. Sembrava il maniero di un despota. Quell’idea la fece rabbrividire e il suo profilo si spostò sulla sorella.

-         Jennifer oramai sei in età da marito. Hai già ricevuto delle proposte? – chiese la viscontessa direttamente alla giovane figlia del conte. Jenny abbassò ancor di più lo sguardo intimidita da quella domanda così diretta e personale.

Come fulminata da una strana sensazione, Patty guardò il barone. I suoi occhi avevano qualcosa di malefico e inquietante e dal loro arrivo non si erano per nulla spostati dalla sorella maggiore. Il cuore vibrava impetuoso. Sentiva che quell’uomo nascondeva qualcosa, non si fidava di lui e non gli avrebbe permesso di mettere in una situazione di disagio la sorella Jenny.

Sua madre continuava a discorrere con la viscontessa nell’intento di eludere le domande indirizzate alle figlie. L’ingresso del maggiordomo che annunciava che la sala da pranzo era pronta, distolse i presenti dalle loro chiacchiere. Precedendo i suoi ospiti, il barone aprì le porte della grande ed elegante sala da pranzo dove la tavola era stata sontuosamente imbandita per i sette commensali.

Il barone sedette a capotavola e ai suoi lati fece galantemente accomodare Lady Eleanor e Lady Johanna. A seguire i rispettivi consorti e di fianco a loro, Jennifer e Patricia. Patty sorrise alla sorella che le sedeva frontale. Era un’espressione dolce e serena la sua, nel disperato intento di tranquillizzarla. Il barone sembrava troneggiare dinanzi la grande finestra che imperiosa si ergeva alle sue spalle. La servitù servì le pietanze in eleganti servizi di fine porcellana inglese e argenti lucidissimi. I cristalli dei bicchieri e delle bottiglie rilucevano sulla tavola tra i colori dei fiori e del tovagliato di broccato ambrato. Jennifer non toccò quasi nulla sebbene sollecitata dallo sguardo di Patricia che la invitava a desinare con loro.

-         Lo sa conte, devo farle davvero i complimenti. Ha delle figlie davvero deliziose. E’ difficile trovare delle bellezze tanto singolari e voi avete davvero due pietre preziose. – disse all’improvviso sorseggiando del vino rosso. Arthur Gatsby lasciò cadere malamente la forchetta nel piatto. Il tintinnio dell’argento sulla porcellana sembrò echeggiare nella stanza. Alzò lentamente lo sguardo verso il barone.

-          Perdoni la mia franchezza: ecco mi chiedevo se fosse possibile chiedere la mano di sua figlia Jennifer. -. Quelle parole rimbombarono dure e taglienti nell’aria già tesa di quella serata. Jenny tremava come una foglia. Gli occhi, già privi di espressione, si empirono di lacrime.

La proposta del barone aveva sconcertato tutti i presenti ma più di tutti proprio le sorelle Gatsby. Lord Arthur Gatsby non sapeva cosa dire. Il visconte gli aveva preannunciato poco prima che il barone avrebbe avanzato una simile proposta ma non si aspettava che l’avrebbe fatto in maniera tanto plateale e durante il convivio.

-         Lady Jennifer. Qualcosa non va? Siete pallida! – le chiese con quella sua voce quasi stridula che avrebbe fatto rabbrividire chiunque.

-         Scusatemi, io…non mi sento molto bene. – sibilò tremolante.

-         Barone, signori, vorrete scusarci. Accompagno mia sorella a rinfrescarsi. – disse Patricia alzandosi e raggiungendo la sorella che a stento si reggeva in piedi. I tre uomini si alzarono in segno di rispetto. Il barone scosse una campanella d’argento e una cameriera giunse velocemente nella sala. Patricia afferrò un braccio di Jennifer e lentamente la condusse fuori dalla sala da pranzo seguendo una cameriera che le indicò un salotto appartato dove riposare.

-         La mia proposta ha avuto un effetto deleterio su vostra figlia! – esclamò con un ghigno di soddisfazione il barone, continuando imperterrito a sorseggiare il suo vino.

-         E’ una ragazza molto emotiva ed evidentemente, come noi è rimasta alquanto allibita dalla vostra proposta. – rispose educatamente e in maniera alquanto formale.

-         Io sono un uomo diretto conte, non amo perdermi in inutili convenevoli e formalità. –

-         Devo pensare che la vostra è una proposta seria? – gli chiese cercando di scoprire le sue mosse.

-         Certamente conte. Senza alcun dubbio. Vostra figlia mi piace e non mi dispiacerebbe se divenisse mia moglie. Comunque vi lascerò il tempo per pensare. Non vi preoccupate, non voglio una risposta immediatamente. Vi chiedo solo di non farmi attendere troppo. Non mi piace aspettare. – disse ridendo.

Lady Eleanor lesse sul suo volto furbizia e cattiveria. Come avrebbe potuto impedire che Jennifer finisse nelle grinfie di quell’uomo dall’aria spietata?

-         Conte, a proposito, ho sentito dire che le miniere acquistate in India vi stanno fruttando bene! Un consiglio da amico: state attento. Ho sentito che Lord Philip Callaghan ha perduto in India tutti i suoi averi. Le miniere da lui acquistate non hanno fruttato nulla e adesso sostiene che non sono quelle che lui ha comprato. Sembra essere impazzito dal dolore e dalla frustrazione. Hi, hi… stupido ragazzino. Questi giovani d’oggi vogliono precedere gli adulti con l’arroganza e il senno di poi…e alla fine si ritrovano un pugno di mosche in mano! – sostenne a voce alta stringendo i pugni trionfante. Il suo sguardo era ardente e ostile. Nelle rughe del viso adulto, si potevano percepire piccole fiamme di lussuria e avidità.

Il nome di Lord Philip Callaghan risuonò nella mente di Lady Eleanor. Subito associò l’immagine della figlia e del nobiluomo uniti da un bacio rubato, celati furtivamente dai roseti della loro serra. Non aveva mai rimproverato la figlia per quell’atto così passionale poiché nei loro sguardi aveva visto un sentimento sincero e profondo. Era un segreto che serbava nel cuore e che le aveva provocato infinita tristezza, allorquando il quotidiano inglese più rinomato aveva pubblicato la notizia del fallimento di Lord Callaghan nelle miniere acquistate in India. Aveva anche intuito che i malesseri della figlia erano legati al momento negativo che stava attraversando il marchese Callaghan e all’improvvisa proposta di matrimonio avanzata dal barone.

 

 

 

Jennifer era ancora tremante e scossa dalla richiesta del barone.

-         Io…io…aiutami Patty…aiutami ti prego…non voglio! – esclamò prorompendo in un pianto dirotto.

-         Non ti preoccupare Jenny, vedrai che si aggiusterà tutto. Parlerò io con nostro padre e vedrai che sistemeremo la questione. Non ho alcun dubbio che ci riusciremo. Adesso calmati. C’è sempre una soluzione a tutto. Ti prometto che non sposerai quell’uomo. Non ti sfiorerà neanche con un dito. Lui non ti merita. E’ un uomo infimo capace solo di far del male alla gente. Adesso chiudi gli occhi e riposati. Vado ad avvertire che stai meglio e torno da te. – le disse sorridente fingendosi serena e quieta.

Sapeva benissimo che se il barone voleva Jennifer in sposa, avrebbe trovato il modo di averla. Strinse i pugni e respirò intensamente. Percorse il corridoio e bussò alla prima porta, quella da cui era uscita poco prima.

-         Scusate se vi interrompo ancora. Desideravo dirvi che Jennifer sta meglio ma preferisce riposare in salotto. Se non vi dispiace, torno da lei a farle compagnia. – disse con sguardo basso per evitare di incontrare ancora quegli occhi taglienti che sembravano spogliarla.

-         Certamente Lady Patricia. Se vi occorre qualcosa, chiamate subito qualcuno della servitù. Fate come se foste a casa vostra. – le disse guardandola avidamente.

-         Vi ringrazio barone, siete molto gentile. – rispose inchinandosi e congedandosi dalla sala da pranzo. Appena si fu richiusa la porta alle spalle, Patricia si sentì percorrere da un brivido. Fu investita da un’improvvisa folata di aria gelida. Si guardò intorno nella penombra dei lumi sistemati lungo il corridoio le cui mura erano percorse da ritratti di avi e statue di marmo.

-         Ma che…- pensò scorgendo un’ombra scura in fondo al corridoio, nella direzione in cui c’era il salotto dove riposava Jennifer. Preoccupata, con passo incalzante, corse verso il salotto prestando attenzione a non urtare la porta socchiusa. L’aria si faceva sempre più fredda, sembrava quasi che qualcuno avesse lasciato le finestre aperte. Si strinse nel vestito di seta e merletti che le fasciava un corpo giovane e bello. Entrò nel salotto e vide Jennifer riposare sul sofà estenuata da quella serata. La porta finestra che dava sulla terrazza era socchiusa, la brezza invernale muoveva leggermente le tende in damasco. Si avvicinò per chiuderla ma scorse nuovamente un’ombra. Incuriosita, scostò lentamente l’anta della porta finestra e silenziosamente uscì sulla terrazza. Fu investita da una ventata gelida. Il freddo era pungente e lei non aveva alcun mantello per coprirsi. Schiuse gli occhi cercando di vedere meglio nella tetra notte illuminata solo dalle stelle e da qualche lanterna accesa qua e la in giardino. Avvertì una presenza alle spalle e sussultò per il timore. Tentò di girarsi ma qualcosa le impedì di farlo e di gridare aiuto.

-         Sssttt….non parlate. Non voglio farvi del male. Se mi promettete di non gridare milady, vi lascio andare! – sussurrò la voce nella notte oscura. Il cuore le era arrivato in gola. Sentiva il sangue fluire velocemente nelle vene e il gelo della notte sfiorarle il petto scoperto. L’uomo la fece voltare verso di lui. Era avvolto in un mantello nero e il viso era coperto da una maschera di tessuto che aderiva lungo tutto il volto lasciando scoperti solo gli occhi e le labbra. Sul capo aveva un cappello a tesa larga con una piuma scarlatta. Lasciò la ragazza e si scostò leggermente da lei accennando un sorriso su quella maschera scura.

-         Ma…chi siete? – chiese lei ancora paralizzata dall’inaspettato incontro. La luna piena illuminò i loro volti. La pelle nivea di Patricia sembrò brillare alla luce della luna e i suoi occhi parevano due pietre preziose incastonate in un ovale perfetto.

-         Una bella donna come voi non dovrebbe girare di notte tutta sola in un posto del genere. –

-         Non fatevi celia di me! Chi siete? – gli chiese impetuosa indietreggiando di qualche passo. Avrebbe voluto avere una spada da brandire per potersi difendere da quel losco individuo.

-         Non temete milady, non desidero farvi del male. –

-         Cosa volete? – gli domandò tenendo le distanze.

-         E’ meglio che rientriate o vi prenderete un malanno. –

-         Come osate tanto ardire. Voi non sapete chi sono io! – gli intimò superba e altera additandolo.

-         Voi siete Lady Patricia Gatsby. Non sta bene che una dama del vostro rango si aggiri da sola nei giardini di uno sconosciuto. –

-         La vostra audacia non ha limiti. Come osate dirmi cosa devo fare o come devo comportarmi! – inveì non alzando la voce. Stranamente, passato il sussulto del primo attimo, Patricia si sentiva a suo agio in compagnia di quello strano soggetto.

-         Chi siete? – gli chiese nuovamente non avendo ricevuto risposta alla sua prima domanda.

-         Qualcuno mi chiama La piuma scarlatta. Dovete rientrare milady o vi prenderete un malanno e non desidero essere artefice del vostro malessere. –

-         Siete tanto gentile quanto spudorato, cavaliere. –

-         Consentitemi di dirvi milady che il mio ardire è pari alla vostra loquacità. –

-         Come osate! – esclamò irritata alzando il braccio per schiaffeggiarlo. Il cavaliere le afferrò il polso fermando quel gesto tanto poco signorile per una nobildonna. I loro occhi sembravano penetrare l’uno nell’altra. Patricia si sentiva denudata delle sue vesti, quegli occhi scuri sembravano esser stati scagliati nel suo petto come dardi infuocati.

-         I cani stanno abbaiando. Potrebbe essere entrato qualcuno, presto controllate il giardino! – esclamò qualcuno con una voce che si faceva sempre più vicina a loro.

-         Muovetevi incapaci, ispezionate le terrazze. – gridò qualcun altro impartendo rigorosamente gli ordini. L’abbaiare dei cani si faceva sempre più intenso e cruento. Il cavaliere spinse Patty dietro una colonna di marmo coprendola con il suo mantello nero. Patty sgranò gli occhi guardando quell’uomo che cercava di celarla agli occhi indiscreti dei guardiani del barone.

-         Voi…- sussurrò, ma le parole le morirono in gola sul sorgere. Nell’intento di farla tacere e di passare inosservati, il cavaliere strinse la dama tra le braccia e posò con ardore le labbra su quelle della giovane contessa che incredula non seppe reagire a quell’atto tanto esasperato quanto passionale. Fu lungo e spontaneo, irriverente e furioso, il suo primo bacio dato ad un estraneo, ad uno strano cavaliere probabilmente braccato dalle forze d’ordine. Il cuore sembrava essersi abbandonato a quelle emozioni si tumultuose. Lentamente le palpebre si chiusero quasi a voler imprimere nella mente quel contatto così ravvicinato con un uomo, le braccia strette attorno al suo esile corpo per proteggerla, il mantello nero a celare quell’atto di insana passione. Riaprì gli occhi sfiorando con le dita le labbra ancora umide e calde. Si guardò intorno cercando il suo respiro, il calore sulla sua pelle. Non c’era più, era andato via in maniera silenziosa, con lo scatto felino di un gatto. In lontananza poteva udire le voci dei guardiani e l’abbaiare insistente dei cani e vicino a lei, l’eco del battito accelerato del suo cuore.

-         Patty! – esclamò la voce flebile e lamentosa di Jennifer. La udì chiaramente e la riportò alla realtà. Con il pensiero al cavaliere, rientrò richiudendosi la porta finestra alle spalle con il cuore ancora ansimante per quell’attimo così emozionante.

-         Jenny, cara…come ti senti? – le chiese cercando di celare quell’emozione ancora dipinta sul volto. Si accovacciò ai piedi del sofà regalando alla sorella il più amabile e sincero dei suoi sorrisi.

-         Un po’ meglio. Vorrei tanto poter andare a casa, per sentirmi più al sicuro. –

-         Fin quando sei con me, sei al sicuro. Se vuoi torno in sala da pranzo e dico a nostra madre che preferisci tornare  a casa. Anche a me non piace questo posto e tanto meno il barone. Quell’uomo riesce a mettermi a disagio e poi…sento che è un tipo losco, poco affidabile. –

-         Scusami Patty. Ti sto dando talmente tanti pensieri che…. Dovrei essere io a proteggerti, a prendermi cura di te e invece mi rendo conto di avere sempre bisogno dell’aiuto di qualcuno, soprattutto del tuo. Vorrei tanto avere almeno un po’ del tuo coraggio. – le disse con gli occhi lucidi per l’emozione.

-         Jenny, tesoro, sei mia sorella ed è naturale che ti voglia bene e che ti protegga. L’età o gli anni che ci dividono non hanno alcuna importanza per me. Ti prometto solennemente che tu non sposerai il barone! – le disse cercando di rincuorarla seppur consapevole che si sarebbe trattata di una promessa difficile da mantenere. Lord Benjamin Priceton. In quel momento le apparve la sua immagine dinanzi agli occhi. Sia lei sia Jenny erano condannate dal destino a sposare due uomini che neppur lontanamente amavano o per i quali non nutrivano qualche sentimento particolare. La piuma scarlatta. Quel nome poetico, leggiadro, libero, echeggiò nella sua mente provocandole un improvviso rossore sulle gote.

-         Tutto bene? – le chiese Jenny guardandola completamente assorta dai suoi pensieri.

-         Ehm…sì, certo. Devo escogitare qualcosa che ci porti via da Lord Priceton e dal barone Rumsfield. – rispose sorridente. Il cuore le batteva forte e dovette respirare profondamente per riprendersi da quell’improvvisa emozione. Jenny non smetteva di guardare la sorella sicura che qualcosa l’avesse profondamente turbata seppure in maniera positiva. Il pensiero di Patricia volò al fratello Julian che ben presto sarebbe tornato a casa. Avrebbe parlato con lui e insieme avrebbero cercato una soluzione ai numerosi problemi che in pochi giorni sembravano aver portato scompiglio nelle vite delle contessine Gatsby.

 

 

  
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