Tu non sei tu, e io non sono io
(It never began for
us)
È buio intorno a me. Fa
freddo, ma non mi importa.
Non sento nulla e non ho
paura, riesco solo a pensare alle ultime parole che l’ho sentito pronunciare.
…
“E’ qui che ti sbagli,
Granger. Mi dici che il mondo non è solo bianco o nero, e che ci sono mille
sfumature in mezzo, ma la realtà è che sei tu che vuoi trovarle. Io ci vedo
solo bianco oppure nero. O sei con me, o sei contro di me.”
“Non chiedermi di
scegliere. Lo sai che non posso farlo.”
“O sei con me, o sei
contro di me.”
Per favore, non fatemi la
ramanzina, non venitemi a dire che non c’era da aspettarsi
di meglio da uno come lui, perché lo so. Lo sapevo fin dall’inizio che
ritrovarsi invischiati in quella cosa sarebbe stato come sprofondare nelle
sabbie mobili, scivolare subdolamente verso il fondo di un abisso dal quale
sarebbe stato molto difficile risalire.
No, il mondo non è solo
bianco o nero, io credo che in mezzo ci siano così tante sfumature di colore da
restare abbagliati. Ma in quel momento per me non esistevano, quelle sfumature.
O meglio, non esistevano per lui e quindi erano totalmente superflue anche per
me. Fosse stato per la sottoscritta mi sarei aggrappata con le unghie e con i
denti a tutta una scala interminabile di grigi, dal perla all’antracite, ma lui
aveva scelto, non avrebbe mai fatto parte di una sfumatura e tutti i grigi del
mondo non sarebbero stati diversi dal bianco ai suoi occhi. Era più una
questione di nero o non nero, per continuare con la metafora cromatica.
Dentro o fuori.
O sei con me, o sei contro
di me.
Ho sbagliato.
Non è stato un comportamento
da me, io sono sempre stata una persona con dei principi.
Ma com’è che dicono? Meglio
pentirsi di aver sbagliato piuttosto che rimpiangere di non aver mai rischiato?
Magari non proprio con queste parole, ma il senso è quello. Ebbene, io non
rimpiango niente.
Il fine giustifica i mezzi,
eccolo un altro modo di dire.
Non siete d’accordo? Non mi
stupisco, non sareste gli unici. In effetti neanch’io
avrei condiviso questa filosofia, prima. Prima che scoprissi fini dei quali non
sospettavo neanche l’esistenza…
Vi siete mai sentiti così
carichi di energia da sentire scariche elettriche scorrevi nelle vene?
Vi siete mai sentiti così
vivi da sentire il bisogno di urlare?
Io sì, e vi auguro di
provare solo la metà delle sensazioni che ho provato io. E se quel giorno
arriverà anche per voi, allora sono certa che non mi biasimerete.
Sto parlando di ribellarsi,
anche solo per qualche attimo, a quel torpore che ci soffoca e all’interno del
quale ci trasciniamo giorno dopo giorno.
Svegliarsi da quello stato
di sonnambulismo che ci accompagna costantemente.
Aprire gli occhi.
Vivere, invece che
sopravvivere.
Il gioco valeva decisamente
la candela.
Voi, che avreste fatto?
Ancora me lo vedo là, a
fissarmi prepotente con quei freddi specchi che si ritrova là dove noi comuni
mortali abbiamo le iridi.
“O sei con me, o sei contro
di me.”
E io a perdermi in quello
sguardo ghiacciato, colpevolizzandomi ma al tempo stesso così ubriaca di lui da
non poter dire altro che un timido “non posso farlo”.
Invece potevo, eccome!
Potevo urlargli in faccia tutta la mia rabbia, la mia disapprovazione, il mio
disgusto.
Potevo prenderlo a schiaffi
per quello che era. Picchiarlo per come mi faceva sentire, nonostante tutto.
Disprezzarlo, perché era lui
a impormi la sua realtà e non viceversa.
Fargliela pagare, perché non
mi sarei mai più sentita così con nessun altro.
“Non chiedermi di scegliere.
Lo sai che non posso farlo.”
Stupida! Stupida, Hermione!
Non ho preso nessuna posizione, mi sono limitata a scivolare via in silenzio,
scappare dalla sua vita, e anche dalla mia.
Ma voi non sapete un bel
niente di quello di cui vi parlo. Non sapete cosa vuol dire sentirsi andare in
fiamme solo per l’effetto di uno sguardo che, gelido, si posa su di voi.
Sentirsi bruciare dentro.
Lui, di tutte le persone.
Lui che odiavo, lui che
disprezzavo, lui che avrei volentieri visto morto.
Lo stesso lui che solo
sfiorandomi mi accendeva quel brivido che si diffondeva lungo ogni centimetro
quadrato del mio corpo.
Mi consola il fatto che se
io sono stupita e arrabbiata al tempo stesso, la cosa è reciproca. Io
rappresento tutto quello che non ha mai avuto importanza per lui, feccia da cui
stare alla larga. Ma nonostante ciò, proprio come me, anche lui boccheggiava in
cerca d’ossigeno quando era nelle mie vicinanze, quando eravamo solo noi due e
il mondo era un’altra cosa che non ci riguardava, e tutto il resto non
esisteva.
Quando lui non era lui, e io
non ero io.
Mi ha illusa, dite?
No. Voi non avete visto.
Lui era ghiaccio, ma
bruciava allo stesso mio modo, glielo leggevo dentro, dietro a quegli occhi
immobili, glielo leggevo addosso, sulla pelle, lo sentivo nelle sue dita ogni
volta che mi toccava.
“O sei con me, o sei contro
di me.”
Non si dice una cosa così a
qualcuno che non ha importanza.
*
Mi ricordo ancora la prima
volta che l’ho visto. Di lui non si sapeva più nulla, forse era morto, forse
era stato risparmiato, forse era scappato.
Era quasi Natale ma io non
potevo sentirmi più morta. Sedevo su quella panchina a testa bassa, noncurante
della neve che fiocco dopo fiocco si posava su di me come su ogni altro oggetto
immobile lì attorno. Noncurante del freddo, e del fatto che tremavo. Non aveva
importanza.
Ero rimasta sola. Harry e
Ron, le due persone più importanti della mia vita, in quel momento erano chissà
dove, lottando contro di Lui, anche se a me sembrava più che altro una
lotta contro i mulini a vento. Avrebbe mai portato a qualcosa? Chissà. Io
temevo (e temo tuttora) che più che altro ci avrebbe logorati fino a sfinirci.
Fu per un contrattempo (che
a posteriori mi sembra decisamente dettato dal destino) che non fui in grado di
seguirli, e rimasi sola.
Sola a seppellire i miei
genitori.
No, niente magie oscure,
niente ritorsioni contro i babbani. Se ne erano andati un giorno, così, come
tanti. Due auto, un incrocio, un semaforo rosso ignorato… molto “alla babbana”;
non che facesse meno male, comunque.
I miei due migliori amici
non potevano raggiungermi. Non sapevano. D’altronde avevano altro a cui pensare.
Sentivo le lacrime scorrermi
silenziose lungo il naso e con la vista annebbiata le osservavo precipitare ai
miei piedi perdendosi nella neve.
Il silenzio era così totale
da sembrare assordante.
All’improvviso, un rumore.
Mi voltai di scatto, impugnando la mia bacchetta senza preoccuparmi di
asciugarmi la faccia.
“Chi c’è?” urlai. “Vieni
fuori!”
E lentamente, da dietro un
albero, vidi la sua ombra uscire allo scoperto. Una figura alta avvolta in un
mantello scuro. il viso seminascosto da un cappuccio, ma sempre perfettamente
riconoscibile. Posò su di me quello sguardo più ghiacciato dell’aria pungente
di dicembre.
“Chi si rivede, la piccola
mezzosangue.” Il suo respiro uscì in una nuvola di vapore, a rispecchiare anche
visivamente la freddezza del suo tono.
Un tuffo al cuore, il
respiro che mi si smorzò in gola, all’improvviso.
“STAI LONTANO DA ME!”
Non rispose, ma si avvicinò
lentamente, molto lentamente.
“NON TI AVVICINARE, HO
DETTO! Stupeficio!”
Lo colpii di striscio, ma so
per certo che fu lui a lasciarmi fare. Avevo paura, sentivo il cuore esplodermi
nel petto, e la mia mano che oscillava cercando di difendersi.
“Vattene!”
Si rialzò. Lentamente, con
sogghigno strafottente, alzò le mani come se si stesse arrendendo.
“Cosa credi che ti faccia,
disarmato?”
Perché quel ghigno? Rideva
di me? Brutto bastardo…
Cosa voleva?
Un altro fiotto di luce
rossa, ma questa volta lo schivò velocemente, mentre io indietreggiai di
qualche passo.
“Cosa vuoi da me! Sparisci!”
la mia voce tremava per il freddo, per il timore e per il pianto. Avevo paura.
“Assolutamente niente.
Altrimenti non starei qua a prenderle da una mezzosangue spaventata e
sconvolta. Che c’è, ti mancano gli amichetti?”
Questa volta la mia rabbia
fu tanta che risultò più difficile per lui schivare il mio colpo. Ma ero troppo
scossa per combattere al solito mio modo e ci riuscì.
Cercai di ricompormi. “Cosa
vuoi da me.” ripetei, gli occhi stretti in due fessure, rossi per il pianto.
“Osservavo.”
“Mi spiavi?”
“Osservavo.”
“Cosa? Perché?”
“Sei un soggetto
interessante.”
Che razza di risposta era?
“Vattene, tu non sai niente
di me. Vattene prima che chiami qualcuno!” di nuovo gridavo. O forse piangevo.
Perché non chiamavo qualcuno?
“Vattene tu. Tanto non lo
farai, l’avresti già fatto. Come so che non chiamerai nessuno, sei così sola
che anche uno schifoso assassino asservito al potere come me è meglio di
niente.” Era odiosamente sicuro di sé. “Piangevi, Granger. Dove sono le due
spalle assorbi-pianto ufficiali, sempre pronte a
sostenerti?”
“Non ti riguarda. E sappi
che il niente è mille volte meglio di te.”
Ma lui continuò,
ignorandomi. “Qualcosa ti turba, e due amici dovrebbero esserci…”
“NON TI AZZARDARE A PARLARE
DI LORO! Non ti permettere di criticarli o biasimarli perché non hanno potuto
raggiungermi, Malfoy. D’accordo, sono miei amici e sarebbero dovuti essere al
mio fianco, ma hanno cose ben più importanti a cui pensare che uno stupido
incidente e io li capisco… e poi non mi sembri nella posizione di giudicare.”
“Infatti non giudico, hai
fatto tutto da sola. L’amicizia non è mai stata il mio forte, sai…”
“NON TI AVVICINARE!” Ma come
si permetteva, lui, di parlarmi a quel modo? E non mi riferisco agli insulti,
quelli erano perfettamente in linea con il suo personaggio. Parlo di quell’aria
beffarda con la quale sembrava cercare un’amabile conversazione. E perché io
non sapevo fare altro che fissarlo con gli occhi rossi, puntandogli contro una
bacchetta con mano tutt’altro che ferma e
indietreggiando lentamente? Avrei dovuto colpirlo ancora, catturarlo. Ma il suo
essere assolutamente immobile, disarmato e con lo sguardo fisso sul mio, il
capo leggermente chino, mi fece vacillare.
E crollai a terra. Forse
scivolai sulla neve.
Forse erano stati quegli
occhi a buttarmi giù. Non a caso sono grigi, come due lame taglienti.
Scoppiai a piangere di
nuovo, un po’ per lo spavento, un po’ perché la verità che mi aveva detto era
disarmante. Ero sola, i miei amici non c’erano quando sarebbero dovuti esserci
e io ce l’avevo con loro per questo. E mi sentivo in colpa per il mio egoismo,
perché stavano rischiando la vita.
Alzai lo sguardo. La sua
figura era sempre lì davanti a me, a squadrarmi.
“Vattene, Malfoy… ti prego,
vattene. Lasciami in pace!” piangevo davvero, adesso. Con la coda dell’occhio
lo vidi rimanere fermo ancora qualche istante, poi voltò le spalle e sempre
molto lentamente si allontanò.
Ero di nuovo sola, l’ultima
cosa di cui avevo bisogno in quel momento.
Mi alzai di scatto,
lasciando che le braccia mi ricadessero lungo i fianchi.
“Dimmi perché mi spiavi.
Avresti potuto colpirmi alle spalle.”
Lui si bloccò di nuovo e
tornò a guardarmi. “Te l’ho detto, eri un soggetto interessante. E poi non
avrei avuto interesse a colpirti.”
Rimasi immobile. Era vero,
anche uno schifoso assassino asservito al potere era meglio di niente, almeno
con lui non dovevo fingere di essere forte.
Impassibile, mi guardò
crollare di nuovo a terra ai suoi piedi, in un pianto silenzioso ma dirotto.
Finché una mano gelida non mi afferrò il mento e me lo sollevò. Sussultai leggermente,
in effetti era la prima volta che la sua pelle e la mia si incontravano. Una
strana vibrazione, un brivido. Sarà stato il freddo.
“Perché?” chiesi di nuovo.
Non rispose.
Doveva essere sconcertato
quanto me, Malfoy, glielo leggevo in faccia. Sconcertato di se stesso e del mio
comportamento, proprio come la sottoscritta: ero sconcertata del suo
comportamento e delle sue parole, ma anche di me stessa.
Avete presente quando vi
capita di agire in una determinata maniera e compiere determinati gesti come se
non aveste il controllo del proprio corpo, come se fosse qualcuno a manovrarvi
dall’alto? Ecco, questo è quello che mi successe in quel momento. Come se la
mia mente si fosse temporaneamente separata dal mio corpo, potei solo prendere
atto della mia figura che, con le guance rigate di lacrime, si alzava, lo
fissava e affondava il viso nella spalla di questo assassino per cui provava
odio e disgusto.
“Che schifo…” dicevo,
piangendo silenziosamente sul suo mantello.
Ma stavo bene. Finalmente
potevo far esplodere tutta la mia rabbia liberamente, senza dovermi bardare di
quella pesante maschera di finta forza d’animo. Proprio perché era lui, non mi
importava.
Ma queste cose non durano
mai troppo a lungo, e presto il mio cervello, la mia razionalità, realizzarono
quanto fosse inconcepibile quello che stava succedendo. Aprii gli occhi e
ritornando in me lo spinsi lontano, fissando incredula la sua espressione
altrettanto sconvolta, e mi smaterializzai.
*
Questo è quanto.
Ma non sarebbe finita così
semplicemente, non dopo aver scatenato simili catastrofi emozionali. E adesso
non sto esagerando, perché per breve che potesse essere stato quel nostro
incontro, aveva significato talmente tanto! In un lampo, barriere umanamente
riconosciute come insormontabili erano crollate come un castello di carte. In
pochi minuti il suo sguardo mi aveva scavato dentro, portandomi a essere più
sincera e me stessa con lui che con chiunque altro.
Era strano, ma c’era
qualcosa in quel volto che mi impedì di fare quello che altrimenti avrei fatto.
Si trattava di un Mangiamorte e io, invece che combatterci, mi ci aggrappai. E
lui mi lasciò fare (questa è la cosa buffa).
E quel brivido? Non
prendiamoci in giro, non era il freddo.
Ma soprattutto, perché
lui?
Che io avessi bisogno di
qualcuno con cui sfogare la mia rabbia era cristallino, ma fu il fatto che quel
qualcuno rispondesse al nome di Draco Malfoy a farmi tornare in me e spingermi
a scappare, anche se sapevo che ormai la frittata era fatta e non avrei potuto
ignorarla.
Ma che diamine, era colpa
sua!
Era stato lui a cominciare,
a scrutarmi nell’ombra con quell’enigmatica faccia e definirmi soggetto
interessante, il tutto in un momento in cui ero letteralmente a terra,
piena di rabbia, dolore e tristezza. Io ero giustificata, ma lui no!
Soggetto interessante.
Che razza di risposta si è
permesso di darmi?
Dovevo riflettere, ma non ne
avevo voglia, volevo solo fare finta che non fosse mai successo niente.
Fare finta che quel volto
pallido immerso nella penombra di un cappuccio non mi perseguitasse.
Infine, fare finta che quel
brivido fosse stato davvero per via del freddo.
Ma non sarebbe stato facile.
*
Casa mia era buia e vuota, e
così pure mi sentivo io dentro. Svuotata della mia forza e delle mie certezze.
Qualcuno bussò alla porta e
andai ad aprire, titubante.
Due lame grigie mi colpirono
in pieno. Un tuffo al cuore, avvampai.
“Ancora tu?” protestai, ma
senza tutta la fermezza che avrei voluto, solamente con un po’ di timore. Che
fosse venuto per riscattarsi del suo assurdo comportamento di poco prima?
“Come mi hai trovata?
Vattene!” e richiusi la porta con violenza, ma lui la bloccò velocemente con un
piede. Aveva la testa china, sempre coperta da quello scuro cappuccio, e i
capelli gli ricadevano sulla fronte nascondendo in parte gli occhi, ma senza
impedire che mi trafiggessero.
“Vattene!” ripetevo a denti
stretti, cercavo di fare forza, ma era inutile.
“Non riuscivo a toglierti
gli occhi di dosso.”
“Malfoy, ti sto chiedendo di
andartene!” dissi, a metà tra l’esasperata e la rassegnata. “Mi vuoi ascolt…” ma poi capii. Capii che in realtà aveva appena
risposto a quel ‘perché’ che più di una volta gli avevo chiesto. Mi bloccai e
alzai lo sguardo, lasciando che i miei occhi incontrassero i suoi e, per la
prima volta, cercassero di tenergli testa.
“Ecco la risposta.” Mi disse
piano, attraverso la porta. “Ti ho vista là, su quella panchina, e non sono
riuscito a staccarti gli occhi di dosso. È da oggi che mi perseguiti, non ti
sopporto più! Dovevo vederti, sarei impazzito.”
Cosa? Era assurdo,
inconcepibile, inammissibile.
“Non ha senso quello che
stai dicendo. Se è una trappola…”
“Non è una trappola,
Granger!” aveva il tono di chi urla, ma le parole uscivano in poco più di un
sussurro. “Oggi eri sotto il mio completo controllo, che bisogno c’era di
aspettare fino a strasera?” mi affrontò.
“E allora? Cosa vuoi ancora
da me?”
“Te.”
Mi sentii gelare il sangue
nelle vene. Non so se rendo l’idea, ma quella persona vibrava, la sua presenza
mi destabilizzava.
Voleva me. Non uccidermi,
ferirmi, o umiliarmi.
Me.
“Ti rendi conto della totale
assurdità di questa situazione?” balbettai. “A quest’ora
avrei già dovuto catturarti.”
“E io avrei anche potuto
fare molto di peggio, se è per questo…”
Quella verità mi fece trasalire.
Ma ancora di più mi fece trasalire il suo avanzare lento ma sicuro attraverso
l’uscio di casa mia, mentre con un gesto altrettanto lento faceva scivolare giù
il cappuccio dietro cui si nascondeva, svelando il volto nella sua interezza.
“Ma non dopo oggi. Tu non
sei più tu e io non sono più io.”
Il mio respiro si era fatto
d’un tratto stentato. E se il mo cervello mi diceva di cacciarlo, una piccola
ma molto convincente parte di me non riusciva a resistergli. Era istinto, era
qualcosa che prescindeva dalla razionalità, che veniva direttamente dalla carne
e dalle ossa.
Mi girava la testa e tutto
il resto era annebbiato. Lo fissavo. Anche lui respirava con rapidità, e se il
suo volto aveva con gli anni imparato ad apparire imperscrutabile, io sapevo
che le stesse mie emozioni lo mandavano alla deriva.
Era vicino a me, troppo
vicino. Un abisso a dividerci là fuori,
pochi millimetri a separarci fisicamente.
Ma non c’era nessun là
fuori, per noi, quella notte.
“Ti odio, Granger. Perché non
riesco a controllarmi? Cosa mi hai fatto?” bisbigliò, mentre il suo naso
sottile sfiorava il mio e gli occhi non accennavano a staccarsi dai miei.
“Non c’è nessuna Granger.”
mi sentii dire. “Tu non sei tu, e io non sono io.”
Ci fu una pausa.
E poi fui io, sì io, a dire
quella cosa. Ripensandoci sembravo quasi implorarlo.
“Resta con me, stanotte. Non
voglio rimanere sola.”
E alla fine, molto
lentamente, le sue labbra sottili e fredde si poggiarono sulle mie, prima
leggere, poi con più insistenza, in un bacio più profondo. E fu come venire
investita in pieno da un tornado di emozioni. Tutto di lui mi mandava in
orbita, le sue mani, il modo in cui mi sfioravano il collo e si infilavano
sotto la mia maglia per sfiorarmi la schiena, il suo sapore, il suo odore, la
consistenza della sua pelle. Il modo in cui le nostre lingue si inseguivano e i
suoi capelli morbidi che mi scorrevano tra le dita. Bruciavo dentro.
Rapidamente mi staccai da
lui e, massaggiandogli la nuca con una mano, con l’altra gli scostai i capelli,
per guardarlo meglio.
No, non era Malfoy quella
persona. Non poteva essere lo stesso ragazzo che odiavo a farmi provare così
tanto, adesso. Non poteva essere lui a farmi sentire così, non dopo tutto
quello che aveva fatto.
Con l’indice, lentamente,
percorsi il solco lasciato da una cicatrice che dall’occhio sinistro scendeva a
rigargli la guancia, senza però intaccare la perfezione di quel viso. Poi
furono le mie labbra a ripercorrerlo. Con una spinta veloce chiusi la porta
ancora accostata e ripresi a baciarlo con avidità, mentre sentivo salire dentro
di me la voglia di assaporare ogni centimetro di questo sconosciuto, dopo che
ogni barriera mentale era crollata, tutto il resto annullato.
Eravamo solo due persone e
una sintonia perfetta.
Io non ero io e lui non era
lui.
Con una naturalezza
impensabile ci trascinammo verso camera mia e affondammo nel materasso, mentre
metà dei nostri vestiti erano scivolati via lungo la strada con altrettanta
disinvoltura.
No, non era uno sbaglio, era
tutto troppo perfetto perché lo fosse.
Di nuovo mi staccai dalle
sue labbra e sollevai il viso dal suo per guardarlo, mentre lo sovrastavo. Era
ancora più pallido sotto il riflesso dei deboli raggi di luna che filtravano
attraverso le imposte riflettendo il chiarore della neve.
“Ehi, straniero” sussurrai,
con un mezzo sorriso.
“Straniera…” rispose, inarcando un
sopracciglio. Poi tornò ad avvolgermi col suo corpo e presto anche quei pochi
vestiti rimasti ci fecero la cortesia di crollare.
Il mio posto era lì, tra le
sue braccia, non importa se deturpate o meno da uno stupido tatuaggio.
Pelle contro pelle, due
persone e una sintonia perfetta.
Era tutto troppo perfetto
perché si trattasse di uno sbaglio.
Non era la prima volta che
stavo con un ragazzo. Ma in un certo senso, era come se lo fosse.
*
Mi svegliai, fuori era
ancora buio.
Vedere la sua figura seduta
ai piedi del letto mi fece acquistare consapevolezza di quello che era
successo. Mi ero, no, ci eravamo lasciati andare, dimenticando per un po’
quello che rappresentavamo l’uno per l’altra. Ma adesso?
Stava seduto a torso nudo
tenendosi la testa tra le mani, e io finsi di essere ancora addormentata. Con
gli occhi socchiusi lo vidi tirarsi indietro i capelli con un sospiro e
guadarsi attorno pigramente, cercando il resto dei suoi vestiti.
“Te ne vai?”
“Da quanto sei sveglia?”
“Non ha importanza. E per la
cronaca, non sono una qualunque puttana che puoi salutare con un post-it sul cuscino e chi si è visto si è visto.”
Lui non mi rispose e si alzò
per raccattare la maglia, ma issandomi a sedere di scatto lo bloccai per un
polso.
Si voltò verso di me, quello sguardo che mi aveva tanto colpito era
stato prontamente nascosto dalla collaudata maschera di rabbia e arroganza.
Arroganza verso il mondo, rabbia verso se stesso, probabilmente.
“Cosa vuoi ancora,
mezzosangue, non ti è bastato stanotte?”
Eccola, la prima pugnalata.
D’altronde, cosa mi credevo?
Lo guardai talmente cupa che
parve leggermi dentro, vidi scintillare qualcosa dietro quegli occhi freddi.
Poi abbassai lo sguardo e con un dito sfiorai il marchio. Ritornai a guardarlo
dritto negli occhi.
“Senti, quella tra noi è
stata una parentesi, d’accordo?!” mi disse, spazientito.
La seconda pugnalata mi
colpì in pieno petto mozzandomi il respiro per qualche interminabile secondo.
Una parentesi, ecco cos’ero.
Ma chi volevo illudere?
“Una parentesi fantastica,
ma non metterti in testa strane idee” continuò. “La realtà è questa, entrambi
abbiamo scelto. Chiuso.”
“Si è sempre in tempo per
cambiare, Malfoy.”
“Adesso non far viaggiare
quella testolina presuntuosa, Granger, sarebbe inutile e fastidioso. Ormai le
parti sono state fatte, non si può più tornare indietro, quindi non propinarmi
la tua lezione sul giusto e lo sbagliato perché sprecheresti solo tempo e
fiato. Chissà, forse avrei dovuto incontrarti tempo fa, quando non era troppo
tardi, ma ormai… io non mi rimangio la parola data, per quanto schifato possa
essere.”
Lo studiai per un po’.
“Con chi è che sei più
arrabbiato, eh Malfoy? Con questa schifosissima realtà? Con me? O forse solo
con te stesso?”
“Non cercare di
psicoanalizzarmi, non funziona.”
“Coda di paglia?”
“BASTA, HO DETTO!” mi zittì.
“Non capisci quando devi farti da parte?”
“Capisco solo che tu sei una
persona diversa, e ti nascondi dietro a una facciata che, onestamente, è più
fragile di quanto voglia far credere…”
Ritto in piedi davanti a me,
mi squadrava dall’alto al basso, con l’aria di sfida di chi è troppo orgoglioso
per ammettere di aver sbagliato tutto, e troppo debole per porvi rimedio.
“Quella persona non ero io.
O per lo meno non solo. Io sono anche e soprattutto questo!” disse, alzando il
braccio e sbattendomi sotto la faccia quel maledetto marchio rosso sangue. Ma
io non lo degnai neanche di uno sguardo e continuai a fissarlo dritto in viso.
Gli tenevo testa.
“Quello è solo un segno
sulla pelle.”
“Non sai di cosa stai
parlando.”
Detto ciò mi voltò le spalle
e finì di vestirsi. Col mantello già addosso, si rivolse un’ultima volta a me.
“Ieri hai fatto crollare
tutte le mie difese. Ma certe cose non durano per sempre, bisogna stringere i
denti e tirare avanti per la propria strada.”
Abbassai gli occhi. “Amen.”
Temporeggiò qualche attimo,
poi si avvicinò e mi afferrò gentilmente per la nuca, massaggiandomi il collo.
Di nuovo quel brivido lungo la spina dorsale, quella mancanza di ossigeno. La
magia c’era ancora. Inspirai forte, come per fare il pieno del suo profumo.
“Cosa succederà, adesso?”
“A te, niente, non lo
permetterò.”
“E per il resto?”
Mi guardò serio, con la
fronte aggrottata. “Non rovinare tutto.”
Afferrò la sua bacchetta e
io lo guardai smaterializzarsi.
E finalmente diedi libero
sfogo alle lacrime.
Piangevo perché sapevo che
si trattava di un errore e che lui non sarebbe mai cambiato.
Piangevo perché non mi
perdonavo di provare simili cose per quella persona, cose che non avrei mai più
provato con nessun altro.
Piangevo perché ero
consapevole che avrei sbagliato ancora.
*
“Abbiamo motivo di pensare
che Malfoy sia ancora vivo.”
Le parole di Harry nel bel
mezzo di quella riunione a Grimmauld Place mi colpirono come un fulmine a ciel
sereno. Abbiamo motivo di pensare che sia ancora vivo… ma dai? Davvero? Non
pensavo.
Io ero muta. Per la prima,
massimo la seconda, volta in vita mia, non sapevo che dire. Che avreste fatto
al mio posto?
“Hermione, tutto bene? Ti
vedo strana…”
Per lui sono sempre stata un
libro aperto. “Come? Sì, tutto a posto…” bugiarda, Hermione.
“Nessuno ti costringe a
restare se non te la senti, capito?” mi disse Ron, dolce come sempre.
“Ho detto che sto bene!
Volete decidere voi per me anche il mio stato d’animo?” mi trovai a rispondere
con un’acidità che loro non si meritavano di certo. Resamene conto mi alzai in
piedi e uscii dalla stanza. Cosa avrei dovuto fare?
“Aspetta.” Mi sentii afferrare per un braccio, e
voltandomi di scatto mi trovai faccia a faccia con Ron. “Mi spiace, devi avere
sofferto tantissimo e noi non c’eravamo.”
“Non importa, davvero.”
“E invece sì. Avevi bisogno
di noi, i tuoi amici. Ma non c’eravamo.”
“Ron ti dico che…” ma mi
attirò a sé e io affondai la testa nella sua spalla. E piansi come una fontana
per un tempo imprecisato, finalmente senza dovermi sentire in colpa per
lasciarmi andare con la persona sbagliata.
“Ti ho bagnato tutto”
commentai poi con un sorriso inumidito da enormi lacrimoni.
“Ma chi se ne frega! Non
potevi continuare a tenerti tutto dentro in questo modo, dovevi sfogarti.” E
così facendo mi attirò di nuovo a sé. Certo, tenermi tutto dentro. Peccato che
non avesse capito proprio niente, perché io mi ero già sfogata con qualcuno.
Non aveva la benché minima idea di quale fosse il perché di quel pianto.
Mi vergogno di me stessa, se
ci tenete a saperlo. Non sono mai stata una persona che ha bisogno di essere
consolata, incoraggiata, o sostenuta. Non ho mai avuto bisogno di una spalla su
cui piangere, me la sono sempre cavata da sola, indipendente fin da piccola.
Cos’era adesso quest’improvvisa fragilità così
disgustosamente lontana dalla ragazza forte che ero? Lui mi aveva cambiata fino
a questo punto?
Ma sapete cosa mi fa più
rabbia?
Ron.
Cioè, non lui in quanto
persona, ma quello che rappresenta per me.
Io gli voglio bene. Non come
ne voglio a Harry, in un modo diverso. Si sa, ci sono tante sfumature di
amicizia.
Amicizia, appunto. Quella
sera, mentre ero stretta tra le sue braccia, assieme all’affetto provai un
incredibile impeto di rabbia. Perché non poteva essere lui a farmi vibrare? Era
l’ideale a pensarci bene, a volte un po’ irritante magari, ma anche dolce e
comprensivo. E mi voleva bene come io ne volevo a lui.
Ci avevamo anche provato, ad
essere sinceri, ma non aveva funzionato. A suo tempo non eravamo stati capaci
di fornircene una vera spiegazione. Si era detto la guerra, si era detto due
caratteri troppo distanti, mah.
Ora ho capito, il fatto è
che con lui io mi sento invadere al massimo da un piacevole tepore, e ora so
che non è sufficiente.
Alcuni dicono che in realtà
sarebbe meglio così, perché dopotutto giocando col fuoco ci si brucia.
Ipocriti.
Chiunque la pensi in questo
modo, o è un ipocrita che è rimasto scottato e non vuole riconoscere il proprio
errore, o non si è mai bruciato, e allora non sa di cosa sta parlando.
Io non mi sarei mai più
accontentata di un semplice tepore, non dopo che avevo provato cosa vuol dire
bruciare dentro.
*
Il mio problema è che per
quanto io stessa cerchi di negarlo, adoro giocare col fuoco.
D’altronde sono o non sono
una Grifondoro? Altrimenti il Cappello Parlante non ci avrebbe pensato due
volte a spedirmi diretta nei Corvonero. A volte penso a cosa sarebbe stato di me se
fosse andata veramente così. Non avrei conosciuto Harry e Ron? Non sarei quella
che sono adesso? Sinceramente ne dubito.
Andiamo, si tratta solo di
stupide classificazioni, fatte per giunta da un vecchio cappello
impolverato. Non vogliatemene, è un
cappello molto saggio, ma non è uno stemma cucito su un mantello a dirmi chi
sono. Un leone… una serpe.
Ditemi invece qual è il vero
scopo di tutta questa faccenda dello smistamento. Non fa altro che aggiungere
divisioni e fazioni a una realtà che, purtroppo, di fazioni e divisioni è già
tristemente piena. E così si induce la
gente a pensare che si stia bene solo tra i propri simili, finché arriva un bel
giorno che ti senti dire con candore abomini inascoltabili del tipo:
“Devi scegliere, o sei
con me o sei contro di me”
“Bianco oppure nero?”
(Grifondoro o Serpeverde?
Ma andatevene tutti al diavolo!).
Ma lui aveva smesso di
crederci, non poteva, perché siamo troppo perfetti insieme. Lo sente, come lo
sento io.
Basta accusarmi di farmi dei
film da ragazzina non corrisposta. Io ho ragione e voi avete torto. Perfetti
nelle nostre diversità, che poi non sono neanche così tante. Siamo più simili
di quanto voi non pensiate, ambiziosi, orgogliosi e testardi. Solo, stiamo su
due sponde opposte, perché la sua ottusa ambizione (e una discreta dose di
fragilità abilmente nascosta) lo ha portato a una scelta di comodo, e perché il
suo ancor più ottuso orgoglio gli impedisce di ammettere di aver sbagliato.
Era stupendo. È stupendo.
Non potrò mai dimenticare
come mi sentivo mancare la terra da sotto i piedi quando respiravamo la stessa
aria.
Come se nello sfiorarci a
vicenda le nostre mani avessero trovato finalmente lo scopo della loro
esistenza, perché sembravano nate per toccarsi, e toccarci. Come potrò mai
accontentarmi dopo tutto questo?
Romanticherie fuori moda?
Però è così che lui mi fa sentire.
A volte vorrei ancora
guardarlo fisso negli occhi, in silenzio, come facevamo sempre quando eravamo
solo io e lui sotto quella coperta, e il mondo là fuori era messo da parte per
un po’. Eravamo perfetti.
“Sai cosa mi fa impazzire?”
bisbigliava nella penombra.
“Cosa?”
“Questo…” e con un mezzo
sorriso mi indicava un piccolo neo appena sopra il seno.
“Sì, in quella zona è
proprio il neo che ti interessa…”
“Davvero! Giuro. È perfetto,
isolato e altezzoso!” e rideva, e mi baciava quella piccola imperfezione della
pelle, e poi gli occhi, il naso, le labbra.
Sì, Draco Malfoy è capace di
tutto questo, è capace anche di ridere, quando non si sente sotto esame, quando
cede e getta quella maschera pesante che lo nasconde ai più. Ride, proprio come
ogni ragazzo dovrebbe ridere a vent’anni, anche se di
questi tempi non ci è gran ché concesso.
E io ridevo con lui,
perdendomi in quegli occhi che si accendevano all’improvviso d’argento, specchi
immobili al di là dei quali avevo l’onore di poter guardare. Ma si trattava di
risate amare, che non potevano essere gustate appieno, perché c’era sempre
quella piccola parte di me che faceva capolino a gridarmi nelle orecchie quanto
sbagliassi, quanto non avrei mai dovuto lasciarmi coinvolgere, quanto a giocare
con il fuoco ci si scotti. E le risa mi si smorzavano in gola in un sospiro.
“Io non ce la faccio più…
non ce la faccio a sentirmi in colpa ogni volta perché non riesco a fare a meno
di te. Cosa mi hai fatto?”
Lui continuava a fissarmi
silenzioso, ma io vedevo che erano gli stessi miei dubbi a perseguitarlo,
quella certezza di non far nulla di male, ma anche la consapevolezza che
comunque non sarebbe mai dovuto accadere.
Ma non apriva bocca, Malfoy.
Mi fissava immobile, ma non mi diceva nulla. Avrei preferito sentirlo urlare,
insultarmi, cacciarmi. Dirmi qualcosa, qualsiasi cosa. Ma niente.
“Almeno dimmi qualcosa,
maledizione!”
“Cosa vuoi che ti dica,
Granger? Che ti amo alla follia e sono pronto a mandare tutta la mia vita a
puttane per te?!”
No, non era questo che
volevo sentirmi dire, non così freddo e sarcastico. Dicono che il silenzio
faccia male più di mille parole e probabilmente
è vero. Ma vi garantisco che anche le parole possono ferire, a volte.
“Vuoi sentirmi dire che sono
pronto a sputare su tutto quello che sono per combattere al tuo fianco? Che mi
hai fatto scoprire la retta via e te ne sarò per sempre riconoscente? Lo sapevi
da subito come stavano le cose. Cresci una buona volta.”
Basta, ti prego, basta.
Mi stai facendo troppo male adesso.
Ma ero stata io a autoinfliggermi quella tortura, e dovevo subirla. Mi morsi
il labbro, per cercare con quel dolore di offuscare quella fitta lancinante al
petto, ma non sembrò funzionare.
“Te l’ho già detto una
volta, non intendo più ripeterlo. Quel che è fatto e fatto. Se ho sbagliato
tutto nella mia cazzosissima vita è un problema che
non ti riguarda, perché ormai indietro non si torna. Punto.” E si alzò
stizzito.
Restai silenziosa, e con gli
occhi inondati di lacrime che il mio orgoglio non voleva liberare, lo seguii
nel cercare i suoi indumenti nella penombra della stanza. Perché mi faceva
questo? Mi annullava totalmente. Io non sono una che se ne sta zitta in
disparte, non lo sono mai stata e non lo sarò mai.
“Non mettermi in bocca frasi
che non mi appartengono.” Dissi piattamente, portandomi a sedere. Lui si voltò
verso di me per ascoltarmi. “Non ti ho mai detto che ti amo o che voglio
sentirmelo dire, né tantomeno pretendo che tu diventi
un paladino della giustizia. Penso solo che se questo errore (sì, Malfoy, è un errore)
ci sta consumando così tanto ma allo stesso tempo non possiamo farne a meno,
dovremmo cercare una soluzione.”
Lui si esibì in uno dei suoi
soliti ghigni beffardi, arroganti. Un’ottima performance, devo dire. “Una
soluzione? Sentiamo.”
“Non esistono solo il bianco
o il nero a questo mondo.”
“E’ qui che ti sbagli,
Granger. Mi dici che il mondo non è solo bianco o nero, e che ci sono mille
sfumature in mezzo, ma la realtà è che sei tu che vuoi trovarle. Io ci vedo
solo bianco oppure nero. O sei con me, o sei contro di me.”
“Non chiedermi di scegliere.
Lo sai che non posso farlo.”
“O sei con me, o sei contro di
me.”
E così l’aveva trovata lui,
la soluzione. Scegli tu, Granger, perché io l’ho già fatto.
Perché non l’ho insultato?
Perché non l’ho colpito?
Perché me ne sono stata
ancora in disparte, incapace di prendere una posizione?
Perché lentamente mi sono
rivestita e me ne sono andata senza aprire bocca? Vigliacca.
*
E’ stato il mese più lungo
della mia vita.
Ho cercato di tirare avanti,
ignorando quella specie di vuoto che mi si era aperto dentro, uno squarcio
proprio in mezzo allo stomaco. Mi sono convinta di aver fatto la cosa giusta, di essermi lasciata alle
spalle tutto quello che di sbagliato mi era successo.
Ma non si può lasciare alla
spalle anche il senso di colpa, con quello ci tocca fare i conti ogni singolo
giorno della nostra esistenza.
E ancor di meno si può
lasciare alle spalle la consapevolezza di aver sbattuto la porta in faccia alla
vita, quella vera, e aver scelto la banale sopravvivenza.
Però vuol dire che non
sei stata vigliacca, potrete
obiettare voi. Certo.
Ma allora cosa ci faccio
qua?
Perché me ne sto impalata a
fissare l’uscio di questa casa in pietra che per anni è stato il suo rifugio, e
che io ho l’onore e l’onere di conoscere? Lui è dentro, lo so. Lo avverto.
Torna indietro, Hermione. La
vita ti ha dato un’altra possibilità.
Torna indietro finché sei
ancora in tempo, non si è ancora accorto di te. Non bussare, non ricascarci.
Troppo tardi.
Adesso starà guardando
fuori, per vedere di chi si tratta. Ora starà riflettendo se ignorarmi oppure no. Magari penserà che è una trappola. Ma alla fine verrà
ad aprirmi, so anche questo.
E infatti.
Non parla e mi fissa, le sue
lame mi trafiggono come al solito e io come al solito vado a fuoco, dentro.
“Hai distrutto tutte le mie
certezze, Malfoy, mi hai lasciato con un vuoto incolmabile dentro e un pugno di
mosche in mano. Sono più poche le cose in cui sento di credere. La prima, è che
non potrò mai stare con te, quindi non provare a richiedermelo. Ma la
seconda, è che non potrò mai stare contro di te. E tra le due temo che quest’ultima sia la più forte. Se ti basta, è tutto quello
che ho da offrirti.”
Lo vedo alzare un
sopracciglio, e scrutarmi da dietro il suo ciuffo, che stasera gli ricade sugli
occhi. E’ stupendo, la sua sola presenza mi fa ricordare cosa vuol dire vivere
davvero. Le sue labbra sottili si inarcano in un sorrisetto. Lo so, anche lui
non stava aspettando altro.
Mi afferra per un braccio e mi trascina dentro casa, quella
casa in cui tante volte sono entrata. Forse troppe, ma non posso farci niente,
non si può chiedere a una persona di non respirare.
Mi guarda senza aprire
bocca, poi alza lo sguardo e allunga una mano verso la mia testa, sfilandomi
lentamente il fermaglio che mi teneva raccolti i capelli, che adesso mi
ricadono a cascata sulle spalle. Non riesco a togliergli gli occhi di dosso.
“Vedrò quello che posso
fare…” mi sussurra, prima di portare una mano sul mio fianco e, con la solita
irresistibile delicatezza, attirarmi a sè.
Sento il suo corpo aderire
al mio, i nostri visi che si avvicinano e le labbra che si schiudono le une
sulle altre.
Come ho fatto a stare senza
per tutto questo tempo?
Come ho fatto a stare senza
i suoi palmi che carezzano la mia pelle nuda e bollente sotto i vestiti?
Senza specchiarmi in quelle
iridi di ghiaccio?
Sto tremando, al buio sento
il peso del suo corpo premere sul mio e i suoi baci che finalmente arrivano a
dissetarmi la pelle come non credevo più possibile.
Tremo, perché non sono più
abituata a sentire tutte queste emozioni assieme, come un concentrato di vita
che improvvisamente mi si ripropone violentemente sotto forma di questa
persona.
“Tutto ok?”
“Tutto perfetto.”
Se davvero è un errore, è
l’errore più inebriante che si possa commettere.
*
Non sono a casa mia. Un
altro istante e ricordo quello che è successo.
Una debole luce filtra dalla
finestra, una luce cupa. Mi sollevo a
sedere, lui non c’è. Non è strano, quante volte mi ha lasciato prima che mi
svegliassi. Mi alzo stancamente, mi avvolgo in una coperta e mi trascino fuori
da quella stanza adesso fredda, senza la sua presenza.
E poi lo vedo, non se n’è
andato. È immobile davanti alla finestra, con le imposte spalancate nonostante
la brezza pungente. Guarda fuori, una pioggerella leggera e mattutina lo
colpisce leggermente in viso.
“Ti stai bagnando.”
E così dicendo mi accosto a
lui che rimane ancora un po’ in silenzio, con gli occhi chiusi.
“Te l’ho mai detto che mi
piace la pioggia?” fa poi, voltandosi a guardarmi.
“No… anche a me piace.”
Ancora silenzio. Due pallide
figure vicine, appoggiate al davanzale di una finestra che dovrebbe essere
chiusa.
“Questo è il mio mondo,
Granger. E temo che nel mio mondo non ci sia posto per te, esattamente come nel
tuo non ce n’è per me. Non potrà mai andare diversamente.”
Io resto zitta. Assaporo la
pioggia che mi bagna le labbra e respiro l’aria frizzante che mi colpisce il
viso.
“Mai… certo che è
proprio un parolone. Io l’ho abolito da parecchio, sapevi?” rispondo
tranquilla. Sarà la pioggia, sarà il fatto che è da poco passata l’alba, ma mi
sento in pace per la prima volta, dopo troppo tempo.
“Non sarebbe mai dovuta
cominciare, e dovrà finire.” Mi dice, come se improvvisamente le parti si
fossero invertite. Di solito ero io quella coi sensi di colpa.
Sorrido. “Cominciare che
cosa?”
Lui torna a guardarmi un po’
perplesso, poi alza un sopracciglio perché secondo me sta cominciando a capire,
ma mi lascia continuare.
“Insomma, se qualcosa non
comincia non può neanche finire, giusto?” spiego candidamente.
Adesso anche lui sorride.
Cavolo, quando non ci pensa ha un sorriso stupendo.
“Non hai tutti i torti”
ammette.
“Io non ho mai torto.”
“Avevi detto di aver abolito
la parola mai…”
Cavoli, è vero! “Mi sono
concessa un’eccezione, Draco.”
Lo affronto con un
sorrisetto beffardo, quasi volessi emularlo. Certo, non sarò mai brava quanto
lui, ma se mi applico…
Ha smesso di piovere, non me
ne ero neanche accorta. Adesso un timido raggio di sole fa capolino tra le nubi
e va a colpire, pallido, il volto del ragazzo che mi sta accanto. No, non può
finire, neanche se volessimo. Non ci si può più accontentare di sopravvivere,
una volta scoperto cosa significa vivere.
Eccolo, il suo solito
ghigno. Che nervi, non riuscirò mai a essere alla sua altezza. Però neanche lui
non riuscirà mai più a tenermi nascosto qualcosa dietro quegli occhi, perché ho
imparato a leggervi dentro. Si china verso di me, fermandosi a pochi centimetri
dal mio naso.
“Non chiamarmi Draco, lo sai
che non lo sopporto.”
You are not an enemy anymore
There’s a ray of light upon your face now
I can look into your eyes
And I never thought it could be so simple
…
When we’ll wake up
Some morning rain
Will wash away our pain,
Cause it never began for us,
It’ll never end for us…
(Elisa – Rainbow)
FINE
*** ***
PS:
Ed eccoci giunti alla
fine di questa interminabile one-shot. La
prima su Harry Potter che ho scritto, anche se mi sono convinta a pubblicarla
adesso, sull’onda lunga della mia long-fic…
Ammetto che
è lunga, lunghissima, ma non l’ho voluta dividere perché credo che perderebbe
di significato (ammesso che ne abbia uno, logico).
E’ partita
per caso come terapia antidepressiva fai-da-te, ovvero ne scrivevo un
pezzettino ogni volta che ero giù di morale (funziona!), e non avrei mai
pensato che ci avrei concluso qualcosa! Vederla finita ha sorpreso me per
prima!
Ringrazio
doppiamente chiunque, dopo uno strazio lungo 7000 parole, avrà la forza di
lasciarmi un’opinione, anche piccola… in questo caso più che altri è davvero importante per me.
Kiss