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Autore: Madgirl    21/11/2006    10 recensioni
“E’ qui che ti sbagli, Granger. Mi dici che il mondo non è solo bianco o nero, e che ci sono mille sfumature in mezzo, ma la realtà è che sei tu che vuoi trovarle. Io ci vedo solo bianco oppure nero. O sei con me, o sei contro di me.”
“Non chiedermi di scegliere. Lo sai che non posso farlo.”
Una Draco/Hermione post-Hogwarts. Un po' triste, forse, ma io 'le voglio bene'. Ah, avverto che è lunghina...commentate,please!
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È ufficiale, quando non sono dell’umore adatto per scrivere Ron/Hermione o demenziali… scrivo malinconiche Draco/Hermione (ott
Tu non sei tu, e io non sono io

(It never began for us)

 

È buio intorno a me. Fa freddo, ma non mi importa.

Non sento nulla e non ho paura, riesco solo a pensare alle ultime parole che l’ho sentito pronunciare.

 

“E’ qui che ti sbagli, Granger. Mi dici che il mondo non è solo bianco o nero, e che ci sono mille sfumature in mezzo, ma la realtà è che sei tu che vuoi trovarle. Io ci vedo solo bianco oppure nero. O sei con me, o sei contro di me.”

“Non chiedermi di scegliere. Lo sai che non posso farlo.”

“O sei con me, o sei contro di me.”

 

Per favore, non fatemi la ramanzina, non venitemi a dire che non c’era da aspettarsi di meglio da uno come lui, perché lo so. Lo sapevo fin dall’inizio che ritrovarsi invischiati in quella cosa sarebbe stato come sprofondare nelle sabbie mobili, scivolare subdolamente verso il fondo di un abisso dal quale sarebbe stato molto difficile risalire.

No, il mondo non è solo bianco o nero, io credo che in mezzo ci siano così tante sfumature di colore da restare abbagliati. Ma in quel momento per me non esistevano, quelle sfumature. O meglio, non esistevano per lui e quindi erano totalmente superflue anche per me. Fosse stato per la sottoscritta mi sarei aggrappata con le unghie e con i denti a tutta una scala interminabile di grigi, dal perla all’antracite, ma lui aveva scelto, non avrebbe mai fatto parte di una sfumatura e tutti i grigi del mondo non sarebbero stati diversi dal bianco ai suoi occhi. Era più una questione di nero o non nero, per continuare con la metafora cromatica.

Dentro o fuori.

O sei con me, o sei contro di me.

 

Ho sbagliato.

Non è stato un comportamento da me, io sono sempre stata una persona con dei principi.

Ma com’è che dicono? Meglio pentirsi di aver sbagliato piuttosto che rimpiangere di non aver mai rischiato? Magari non proprio con queste parole, ma il senso è quello. Ebbene, io non rimpiango niente.

Il fine giustifica i mezzi, eccolo un altro modo di dire.

Non siete d’accordo? Non mi stupisco, non sareste gli unici. In effetti neanch’io avrei condiviso questa filosofia, prima. Prima che scoprissi fini dei quali non sospettavo neanche l’esistenza…

 

Vi siete mai sentiti così carichi di energia da sentire scariche elettriche scorrevi nelle vene?

Vi siete mai sentiti così vivi da sentire il bisogno di urlare?

Io sì, e vi auguro di provare solo la metà delle sensazioni che ho provato io. E se quel giorno arriverà anche per voi, allora sono certa che non mi biasimerete.

Sto parlando di ribellarsi, anche solo per qualche attimo, a quel torpore che ci soffoca e all’interno del quale ci trasciniamo giorno dopo giorno.

Svegliarsi da quello stato di sonnambulismo che ci accompagna costantemente.

Aprire gli occhi.

Vivere, invece che sopravvivere.

 

Il gioco valeva decisamente la candela.

Voi, che avreste fatto?

Ancora me lo vedo là, a fissarmi prepotente con quei freddi specchi che si ritrova là dove noi comuni mortali abbiamo le iridi.

“O sei con me, o sei contro di me.”

E io a perdermi in quello sguardo ghiacciato, colpevolizzandomi ma al tempo stesso così ubriaca di lui da non poter dire altro che un timido “non posso farlo”.

Invece potevo, eccome! Potevo urlargli in faccia tutta la mia rabbia, la mia disapprovazione, il mio disgusto.

Potevo prenderlo a schiaffi per quello che era. Picchiarlo per come mi faceva sentire, nonostante tutto.

Disprezzarlo, perché era lui a impormi la sua realtà e non viceversa.

Fargliela pagare, perché non mi sarei mai più sentita così con nessun altro.

 

“Non chiedermi di scegliere. Lo sai che non posso farlo.”

Stupida! Stupida, Hermione! Non ho preso nessuna posizione, mi sono limitata a scivolare via in silenzio, scappare dalla sua vita, e anche dalla mia.

Ma voi non sapete un bel niente di quello di cui vi parlo. Non sapete cosa vuol dire sentirsi andare in fiamme solo per l’effetto di uno sguardo che, gelido, si posa su di voi.

Sentirsi bruciare dentro.

 

Lui, di tutte le persone.

Lui che odiavo, lui che disprezzavo, lui che avrei volentieri visto morto.

Lo stesso lui che solo sfiorandomi mi accendeva quel brivido che si diffondeva lungo ogni centimetro quadrato del mio corpo.

Mi consola il fatto che se io sono stupita e arrabbiata al tempo stesso, la cosa è reciproca. Io rappresento tutto quello che non ha mai avuto importanza per lui, feccia da cui stare alla larga. Ma nonostante ciò, proprio come me, anche lui boccheggiava in cerca d’ossigeno quando era nelle mie vicinanze, quando eravamo solo noi due e il mondo era un’altra cosa che non ci riguardava, e tutto il resto non esisteva.

Quando lui non era lui, e io non ero io.

Mi ha illusa, dite?

No. Voi non avete visto.

Lui era ghiaccio, ma bruciava allo stesso mio modo, glielo leggevo dentro, dietro a quegli occhi immobili, glielo leggevo addosso, sulla pelle, lo sentivo nelle sue dita ogni volta che mi toccava.

“O sei con me, o sei contro di me.”

Non si dice una cosa così a qualcuno che non ha importanza.

*

Mi ricordo ancora la prima volta che l’ho visto. Di lui non si sapeva più nulla, forse era morto, forse era stato risparmiato, forse era scappato.

Era quasi Natale ma io non potevo sentirmi più morta. Sedevo su quella panchina a testa bassa, noncurante della neve che fiocco dopo fiocco si posava su di me come su ogni altro oggetto immobile lì attorno. Noncurante del freddo, e del fatto che tremavo. Non aveva importanza.

Ero rimasta sola. Harry e Ron, le due persone più importanti della mia vita, in quel momento erano chissà dove, lottando contro di Lui, anche se a me sembrava più che altro una lotta contro i mulini a vento. Avrebbe mai portato a qualcosa? Chissà. Io temevo (e temo tuttora) che più che altro ci avrebbe logorati fino a sfinirci.

Fu per un contrattempo (che a posteriori mi sembra decisamente dettato dal destino) che non fui in grado di seguirli, e rimasi sola.

Sola a seppellire i miei genitori.

No, niente magie oscure, niente ritorsioni contro i babbani. Se ne erano andati un giorno, così, come tanti. Due auto, un incrocio, un semaforo rosso ignorato… molto “alla babbana”; non che facesse meno male, comunque.

I miei due migliori amici non potevano raggiungermi. Non sapevano. D’altronde avevano altro a cui pensare.

Sentivo le lacrime scorrermi silenziose lungo il naso e con la vista annebbiata le osservavo precipitare ai miei piedi perdendosi nella neve.

Il silenzio era così totale da sembrare assordante.

All’improvviso, un rumore. Mi voltai di scatto, impugnando la mia bacchetta senza preoccuparmi di asciugarmi la faccia.

“Chi c’è?” urlai. “Vieni fuori!”

E lentamente, da dietro un albero, vidi la sua ombra uscire allo scoperto. Una figura alta avvolta in un mantello scuro. il viso seminascosto da un cappuccio, ma sempre perfettamente riconoscibile. Posò su di me quello sguardo più ghiacciato dell’aria pungente di dicembre.

“Chi si rivede, la piccola mezzosangue.” Il suo respiro uscì in una nuvola di vapore, a rispecchiare anche visivamente la freddezza del suo tono.

Un tuffo al cuore, il respiro che mi si smorzò in gola, all’improvviso.

“STAI LONTANO DA ME!”

Non rispose, ma si avvicinò lentamente, molto lentamente.

“NON TI AVVICINARE, HO DETTO! Stupeficio!

Lo colpii di striscio, ma so per certo che fu lui a lasciarmi fare. Avevo paura, sentivo il cuore esplodermi nel petto, e la mia mano che oscillava cercando di difendersi.

“Vattene!”

Si rialzò. Lentamente, con sogghigno strafottente, alzò le mani come se si stesse arrendendo.

“Cosa credi che ti faccia, disarmato?”

Perché quel ghigno? Rideva di me? Brutto bastardo…

Cosa voleva?

Un altro fiotto di luce rossa, ma questa volta lo schivò velocemente, mentre io indietreggiai di qualche passo.

“Cosa vuoi da me! Sparisci!” la mia voce tremava per il freddo, per il timore e per il pianto. Avevo paura.

“Assolutamente niente. Altrimenti non starei qua a prenderle da una mezzosangue spaventata e sconvolta. Che c’è, ti mancano gli amichetti?”

Questa volta la mia rabbia fu tanta che risultò più difficile per lui schivare il mio colpo. Ma ero troppo scossa per combattere al solito mio modo e ci riuscì.

Cercai di ricompormi. “Cosa vuoi da me.” ripetei, gli occhi stretti in due fessure, rossi per il pianto.

“Osservavo.”

“Mi spiavi?”

“Osservavo.”

“Cosa? Perché?”

“Sei un soggetto interessante.”

Che razza di risposta era?

“Vattene, tu non sai niente di me. Vattene prima che chiami qualcuno!” di nuovo gridavo. O forse piangevo. Perché non chiamavo qualcuno?

“Vattene tu. Tanto non lo farai, l’avresti già fatto. Come so che non chiamerai nessuno, sei così sola che anche uno schifoso assassino asservito al potere come me è meglio di niente.” Era odiosamente sicuro di sé. “Piangevi, Granger. Dove sono le due spalle assorbi-pianto ufficiali, sempre pronte a sostenerti?”

“Non ti riguarda. E sappi che il niente è mille volte meglio di te.”

Ma lui continuò, ignorandomi. “Qualcosa ti turba, e due amici dovrebbero esserci…”

“NON TI AZZARDARE A PARLARE DI LORO! Non ti permettere di criticarli o biasimarli perché non hanno potuto raggiungermi, Malfoy. D’accordo, sono miei amici e sarebbero dovuti essere al mio fianco, ma hanno cose ben più importanti a cui pensare che uno stupido incidente e io li capisco… e poi non mi sembri nella posizione di giudicare.”

“Infatti non giudico, hai fatto tutto da sola. L’amicizia non è mai stata il mio forte, sai…”

“NON TI AVVICINARE!” Ma come si permetteva, lui, di parlarmi a quel modo? E non mi riferisco agli insulti, quelli erano perfettamente in linea con il suo personaggio. Parlo di quell’aria beffarda con la quale sembrava cercare un’amabile conversazione. E perché io non sapevo fare altro che fissarlo con gli occhi rossi, puntandogli contro una bacchetta con mano tutt’altro che ferma e indietreggiando lentamente? Avrei dovuto colpirlo ancora, catturarlo. Ma il suo essere assolutamente immobile, disarmato e con lo sguardo fisso sul mio, il capo leggermente chino, mi fece vacillare.

 

E crollai a terra. Forse scivolai sulla neve.

Forse erano stati quegli occhi a buttarmi giù. Non a caso sono grigi, come due lame taglienti.

Scoppiai a piangere di nuovo, un po’ per lo spavento, un po’ perché la verità che mi aveva detto era disarmante. Ero sola, i miei amici non c’erano quando sarebbero dovuti esserci e io ce l’avevo con loro per questo. E mi sentivo in colpa per il mio egoismo, perché stavano rischiando la vita.

Alzai lo sguardo. La sua figura era sempre lì davanti a me, a squadrarmi.

“Vattene, Malfoy… ti prego, vattene. Lasciami in pace!” piangevo davvero, adesso. Con la coda dell’occhio lo vidi rimanere fermo ancora qualche istante, poi voltò le spalle e sempre molto lentamente si allontanò.

Ero di nuovo sola, l’ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento.

Mi alzai di scatto, lasciando che le braccia mi ricadessero lungo i fianchi.

“Dimmi perché mi spiavi. Avresti potuto colpirmi alle spalle.”

Lui si bloccò di nuovo e tornò a guardarmi. “Te l’ho detto, eri un soggetto interessante. E poi non avrei avuto interesse a colpirti.”

Rimasi immobile. Era vero, anche uno schifoso assassino asservito al potere era meglio di niente, almeno con lui non dovevo fingere di essere forte.

Impassibile, mi guardò crollare di nuovo a terra ai suoi piedi, in un pianto silenzioso ma dirotto. Finché una mano gelida non mi afferrò il mento e me lo sollevò. Sussultai leggermente, in effetti era la prima volta che la sua pelle e la mia si incontravano. Una strana vibrazione, un brivido. Sarà stato il freddo.

“Perché?” chiesi di nuovo. Non rispose.

Doveva essere sconcertato quanto me, Malfoy, glielo leggevo in faccia. Sconcertato di se stesso e del mio comportamento, proprio come la sottoscritta: ero sconcertata del suo comportamento e delle sue parole, ma anche di me stessa.

Avete presente quando vi capita di agire in una determinata maniera e compiere determinati gesti come se non aveste il controllo del proprio corpo, come se fosse qualcuno a manovrarvi dall’alto? Ecco, questo è quello che mi successe in quel momento. Come se la mia mente si fosse temporaneamente separata dal mio corpo, potei solo prendere atto della mia figura che, con le guance rigate di lacrime, si alzava, lo fissava e affondava il viso nella spalla di questo assassino per cui provava odio e disgusto.

“Che schifo…” dicevo, piangendo silenziosamente sul suo mantello.

 

Ma stavo bene. Finalmente potevo far esplodere tutta la mia rabbia liberamente, senza dovermi bardare di quella pesante maschera di finta forza d’animo. Proprio perché era lui, non mi importava.

Ma queste cose non durano mai troppo a lungo, e presto il mio cervello, la mia razionalità, realizzarono quanto fosse inconcepibile quello che stava succedendo. Aprii gli occhi e ritornando in me lo spinsi lontano, fissando incredula la sua espressione altrettanto sconvolta, e mi smaterializzai.

*

Questo è quanto.

Ma non sarebbe finita così semplicemente, non dopo aver scatenato simili catastrofi emozionali. E adesso non sto esagerando, perché per breve che potesse essere stato quel nostro incontro, aveva significato talmente tanto! In un lampo, barriere umanamente riconosciute come insormontabili erano crollate come un castello di carte. In pochi minuti il suo sguardo mi aveva scavato dentro, portandomi a essere più sincera e me stessa con lui che con chiunque altro.

Era strano, ma c’era qualcosa in quel volto che mi impedì di fare quello che altrimenti avrei fatto. Si trattava di un Mangiamorte e io, invece che combatterci, mi ci aggrappai. E lui mi lasciò fare (questa è la cosa buffa).

E quel brivido? Non prendiamoci in giro, non era il freddo.

 

Ma soprattutto, perché lui?

Che io avessi bisogno di qualcuno con cui sfogare la mia rabbia era cristallino, ma fu il fatto che quel qualcuno rispondesse al nome di Draco Malfoy a farmi tornare in me e spingermi a scappare, anche se sapevo che ormai la frittata era fatta e non avrei potuto ignorarla.

Ma che diamine, era colpa sua!

Era stato lui a cominciare, a scrutarmi nell’ombra con quell’enigmatica faccia e definirmi soggetto interessante, il tutto in un momento in cui ero letteralmente a terra, piena di rabbia, dolore e tristezza. Io ero giustificata, ma lui no!

Soggetto interessante.

Che razza di risposta si è permesso di darmi?

 

Dovevo riflettere, ma non ne avevo voglia, volevo solo fare finta che non fosse mai successo niente.

Fare finta che quel volto pallido immerso nella penombra di un cappuccio non mi perseguitasse.

Infine, fare finta che quel brivido fosse stato davvero per via del freddo.

Ma non sarebbe stato facile.

*

Casa mia era buia e vuota, e così pure mi sentivo io dentro. Svuotata della mia forza e delle mie certezze.

Qualcuno bussò alla porta e andai ad aprire, titubante.

Due lame grigie mi colpirono in pieno. Un tuffo al cuore, avvampai.

“Ancora tu?” protestai, ma senza tutta la fermezza che avrei voluto, solamente con un po’ di timore. Che fosse venuto per riscattarsi del suo assurdo comportamento di poco prima?

“Come mi hai trovata? Vattene!” e richiusi la porta con violenza, ma lui la bloccò velocemente con un piede. Aveva la testa china, sempre coperta da quello scuro cappuccio, e i capelli gli ricadevano sulla fronte nascondendo in parte gli occhi, ma senza impedire che mi trafiggessero.

“Vattene!” ripetevo a denti stretti, cercavo di fare forza, ma era inutile.

“Non riuscivo a toglierti gli occhi di dosso.”

“Malfoy, ti sto chiedendo di andartene!” dissi, a metà tra l’esasperata e la rassegnata. “Mi vuoi ascolt…” ma poi capii. Capii che in realtà aveva appena risposto a quel ‘perché’ che più di una volta gli avevo chiesto. Mi bloccai e alzai lo sguardo, lasciando che i miei occhi incontrassero i suoi e, per la prima volta, cercassero di tenergli testa.

“Ecco la risposta.” Mi disse piano, attraverso la porta. “Ti ho vista là, su quella panchina, e non sono riuscito a staccarti gli occhi di dosso. È da oggi che mi perseguiti, non ti sopporto più! Dovevo vederti, sarei impazzito.”

Cosa? Era assurdo, inconcepibile, inammissibile.

“Non ha senso quello che stai dicendo. Se è una trappola…”

“Non è una trappola, Granger!” aveva il tono di chi urla, ma le parole uscivano in poco più di un sussurro. “Oggi eri sotto il mio completo controllo, che bisogno c’era di aspettare fino a strasera?” mi affrontò.

“E allora? Cosa vuoi ancora da me?”

“Te.”

Mi sentii gelare il sangue nelle vene. Non so se rendo l’idea, ma quella persona vibrava, la sua presenza mi destabilizzava.

Voleva me. Non uccidermi, ferirmi, o umiliarmi.

Me.

“Ti rendi conto della totale assurdità di questa situazione?” balbettai. “A quest’ora avrei già dovuto catturarti.”

“E io avrei anche potuto fare molto di peggio, se è per questo…”

Quella verità mi fece trasalire. Ma ancora di più mi fece trasalire il suo avanzare lento ma sicuro attraverso l’uscio di casa mia, mentre con un gesto altrettanto lento faceva scivolare giù il cappuccio dietro cui si nascondeva, svelando il volto nella sua interezza.

“Ma non dopo oggi. Tu non sei più tu e io non sono più io.”

Il mio respiro si era fatto d’un tratto stentato. E se il mo cervello mi diceva di cacciarlo, una piccola ma molto convincente parte di me non riusciva a resistergli. Era istinto, era qualcosa che prescindeva dalla razionalità, che veniva direttamente dalla carne e dalle ossa.

Mi girava la testa e tutto il resto era annebbiato. Lo fissavo. Anche lui respirava con rapidità, e se il suo volto aveva con gli anni imparato ad apparire imperscrutabile, io sapevo che le stesse mie emozioni lo mandavano alla deriva.

Era vicino a me, troppo vicino.  Un abisso a dividerci là fuori, pochi millimetri a separarci fisicamente.

Ma non c’era nessun là fuori, per noi, quella notte.

“Ti odio, Granger. Perché non riesco a controllarmi? Cosa mi hai fatto?” bisbigliò, mentre il suo naso sottile sfiorava il mio e gli occhi non accennavano a staccarsi dai miei.

“Non c’è nessuna Granger.” mi sentii dire. “Tu non sei tu, e io non sono io.”

Ci fu una pausa.

E poi fui io, sì io, a dire quella cosa. Ripensandoci sembravo quasi implorarlo.

“Resta con me, stanotte. Non voglio rimanere sola.”

E alla fine, molto lentamente, le sue labbra sottili e fredde si poggiarono sulle mie, prima leggere, poi con più insistenza, in un bacio più profondo. E fu come venire investita in pieno da un tornado di emozioni. Tutto di lui mi mandava in orbita, le sue mani, il modo in cui mi sfioravano il collo e si infilavano sotto la mia maglia per sfiorarmi la schiena, il suo sapore, il suo odore, la consistenza della sua pelle. Il modo in cui le nostre lingue si inseguivano e i suoi capelli morbidi che mi scorrevano tra le dita. Bruciavo dentro.

Rapidamente mi staccai da lui e, massaggiandogli la nuca con una mano, con l’altra gli scostai i capelli, per guardarlo meglio.

No, non era Malfoy quella persona. Non poteva essere lo stesso ragazzo che odiavo a farmi provare così tanto, adesso. Non poteva essere lui a farmi sentire così, non dopo tutto quello che aveva fatto.

Con l’indice, lentamente, percorsi il solco lasciato da una cicatrice che dall’occhio sinistro scendeva a rigargli la guancia, senza però intaccare la perfezione di quel viso. Poi furono le mie labbra a ripercorrerlo. Con una spinta veloce chiusi la porta ancora accostata e ripresi a baciarlo con avidità, mentre sentivo salire dentro di me la voglia di assaporare ogni centimetro di questo sconosciuto, dopo che ogni barriera mentale era crollata, tutto il resto annullato.

Eravamo solo due persone e una sintonia perfetta.

Io non ero io e lui non era lui.

Con una naturalezza impensabile ci trascinammo verso camera mia e affondammo nel materasso, mentre metà dei nostri vestiti erano scivolati via lungo la strada con altrettanta disinvoltura.

No, non era uno sbaglio, era tutto troppo perfetto perché lo fosse.

Di nuovo mi staccai dalle sue labbra e sollevai il viso dal suo per guardarlo, mentre lo sovrastavo. Era ancora più pallido sotto il riflesso dei deboli raggi di luna che filtravano attraverso le imposte riflettendo il chiarore della neve.

“Ehi, straniero” sussurrai, con un mezzo sorriso.

 “Straniera…” rispose, inarcando un sopracciglio. Poi tornò ad avvolgermi col suo corpo e presto anche quei pochi vestiti rimasti ci fecero la cortesia di crollare.

Il mio posto era lì, tra le sue braccia, non importa se deturpate o meno da uno stupido tatuaggio.

Pelle contro pelle, due persone e una sintonia perfetta.

Era tutto troppo perfetto perché si trattasse di uno sbaglio.

Non era la prima volta che stavo con un ragazzo. Ma in un certo senso, era come se lo fosse.

*

Mi svegliai, fuori era ancora buio.

Vedere la sua figura seduta ai piedi del letto mi fece acquistare consapevolezza di quello che era successo. Mi ero, no, ci eravamo lasciati andare, dimenticando per un po’ quello che rappresentavamo l’uno per l’altra. Ma adesso?

Stava seduto a torso nudo tenendosi la testa tra le mani, e io finsi di essere ancora addormentata. Con gli occhi socchiusi lo vidi tirarsi indietro i capelli con un sospiro e guadarsi attorno pigramente, cercando il resto dei suoi vestiti.

“Te ne vai?”

“Da quanto sei sveglia?”

“Non ha importanza. E per la cronaca, non sono una qualunque puttana che puoi salutare con un post-it sul cuscino e chi si è visto si è visto.”

Lui non mi rispose e si alzò per raccattare la maglia, ma issandomi a sedere di scatto lo bloccai per un polso.

Si voltò verso di me,  quello sguardo che mi aveva tanto colpito era stato prontamente nascosto dalla collaudata maschera di rabbia e arroganza. Arroganza verso il mondo, rabbia verso se stesso, probabilmente.

“Cosa vuoi ancora, mezzosangue, non ti è bastato stanotte?”

Eccola, la prima pugnalata. D’altronde, cosa mi credevo?

Lo guardai talmente cupa che parve leggermi dentro, vidi scintillare qualcosa dietro quegli occhi freddi. Poi abbassai lo sguardo e con un dito sfiorai il marchio. Ritornai a guardarlo dritto negli occhi.

“Senti, quella tra noi è stata una parentesi, d’accordo?!” mi disse, spazientito.

La seconda pugnalata mi colpì in pieno petto mozzandomi il respiro per qualche interminabile secondo.

Una parentesi, ecco cos’ero. Ma chi volevo illudere?

“Una parentesi fantastica, ma non metterti in testa strane idee” continuò. “La realtà è questa, entrambi abbiamo scelto. Chiuso.”

“Si è sempre in tempo per cambiare, Malfoy.”

“Adesso non far viaggiare quella testolina presuntuosa, Granger, sarebbe inutile e fastidioso. Ormai le parti sono state fatte, non si può più tornare indietro, quindi non propinarmi la tua lezione sul giusto e lo sbagliato perché sprecheresti solo tempo e fiato. Chissà, forse avrei dovuto incontrarti tempo fa, quando non era troppo tardi, ma ormai… io non mi rimangio la parola data, per quanto schifato possa essere.”

Lo studiai per un po’.

“Con chi è che sei più arrabbiato, eh Malfoy? Con questa schifosissima realtà? Con me? O forse solo con te stesso?”

“Non cercare di psicoanalizzarmi, non funziona.”

“Coda di paglia?”

“BASTA, HO DETTO!” mi zittì. “Non capisci quando devi farti da parte?”

“Capisco solo che tu sei una persona diversa, e ti nascondi dietro a una facciata che, onestamente, è più fragile di quanto voglia far credere…”

Ritto in piedi davanti a me, mi squadrava dall’alto al basso, con l’aria di sfida di chi è troppo orgoglioso per ammettere di aver sbagliato tutto, e troppo debole per porvi rimedio.

“Quella persona non ero io. O per lo meno non solo. Io sono anche e soprattutto questo!” disse, alzando il braccio e sbattendomi sotto la faccia quel maledetto marchio rosso sangue. Ma io non lo degnai neanche di uno sguardo e continuai a fissarlo dritto in viso. Gli tenevo testa.

“Quello è solo un segno sulla pelle.”

“Non sai di cosa stai parlando.”

Detto ciò mi voltò le spalle e finì di vestirsi. Col mantello già addosso, si rivolse un’ultima volta a me.

“Ieri hai fatto crollare tutte le mie difese. Ma certe cose non durano per sempre, bisogna stringere i denti e tirare avanti per la propria strada.”

Abbassai gli occhi. “Amen.”

Temporeggiò qualche attimo, poi si avvicinò e mi afferrò gentilmente per la nuca, massaggiandomi il collo. Di nuovo quel brivido lungo la spina dorsale, quella mancanza di ossigeno. La magia c’era ancora. Inspirai forte, come per fare il pieno del suo profumo.

“Cosa succederà, adesso?”

“A te, niente, non lo permetterò.”

“E per il resto?”

Mi guardò serio, con la fronte aggrottata. “Non rovinare tutto.”

Afferrò la sua bacchetta e io lo guardai smaterializzarsi.

E finalmente diedi libero sfogo alle lacrime.

Piangevo perché sapevo che si trattava di un errore e che lui non sarebbe mai cambiato.

Piangevo perché non mi perdonavo di provare simili cose per quella persona, cose che non avrei mai più provato con nessun altro.

Piangevo perché ero consapevole che avrei sbagliato ancora.

*

“Abbiamo motivo di pensare che Malfoy sia ancora vivo.”

Le parole di Harry nel bel mezzo di quella riunione a Grimmauld Place mi colpirono come un fulmine a ciel sereno. Abbiamo motivo di pensare che sia ancora vivo… ma dai? Davvero? Non pensavo.

Io ero muta. Per la prima, massimo la seconda, volta in vita mia, non sapevo che dire. Che avreste fatto al mio posto?

“Hermione, tutto bene? Ti vedo strana…”

Per lui sono sempre stata un libro aperto. “Come? Sì, tutto a posto…” bugiarda, Hermione.

“Nessuno ti costringe a restare se non te la senti, capito?” mi disse Ron, dolce come sempre.

“Ho detto che sto bene! Volete decidere voi per me anche il mio stato d’animo?” mi trovai a rispondere con un’acidità che loro non si meritavano di certo. Resamene conto mi alzai in piedi e uscii dalla stanza. Cosa avrei dovuto fare?

“Aspetta.”  Mi sentii afferrare per un braccio, e voltandomi di scatto mi trovai faccia a faccia con Ron. “Mi spiace, devi avere sofferto tantissimo e noi non c’eravamo.”

“Non importa, davvero.”

“E invece sì. Avevi bisogno di noi, i tuoi amici. Ma non c’eravamo.”

“Ron ti dico che…” ma mi attirò a sé e io affondai la testa nella sua spalla. E piansi come una fontana per un tempo imprecisato, finalmente senza dovermi sentire in colpa per lasciarmi andare con la persona sbagliata.

“Ti ho bagnato tutto” commentai poi con un sorriso inumidito da enormi lacrimoni.

“Ma chi se ne frega! Non potevi continuare a tenerti tutto dentro in questo modo, dovevi sfogarti.” E così facendo mi attirò di nuovo a sé. Certo, tenermi tutto dentro. Peccato che non avesse capito proprio niente, perché io mi ero già sfogata con qualcuno. Non aveva la benché minima idea di quale fosse il perché di quel pianto.

Mi vergogno di me stessa, se ci tenete a saperlo. Non sono mai stata una persona che ha bisogno di essere consolata, incoraggiata, o sostenuta. Non ho mai avuto bisogno di una spalla su cui piangere, me la sono sempre cavata da sola, indipendente fin da piccola. Cos’era adesso quest’improvvisa fragilità così disgustosamente lontana dalla ragazza forte che ero? Lui mi aveva cambiata fino a questo punto?

 

Ma sapete cosa mi fa più rabbia?

Ron.

Cioè, non lui in quanto persona, ma quello che rappresenta per me.

Io gli voglio bene. Non come ne voglio a Harry, in un modo diverso. Si sa, ci sono tante sfumature di amicizia. 

Amicizia, appunto. Quella sera, mentre ero stretta tra le sue braccia, assieme all’affetto provai un incredibile impeto di rabbia. Perché non poteva essere lui a farmi vibrare? Era l’ideale a pensarci bene, a volte un po’ irritante magari, ma anche dolce e comprensivo. E mi voleva bene come io ne volevo a lui.

Ci avevamo anche provato, ad essere sinceri, ma non aveva funzionato. A suo tempo non eravamo stati capaci di fornircene una vera spiegazione. Si era detto la guerra, si era detto due caratteri troppo distanti, mah.

Ora ho capito, il fatto è che con lui io mi sento invadere al massimo da un piacevole tepore, e ora so che non è sufficiente.

Alcuni dicono che in realtà sarebbe meglio così, perché dopotutto giocando col fuoco ci si brucia.

Ipocriti.

Chiunque la pensi in questo modo, o è un ipocrita che è rimasto scottato e non vuole riconoscere il proprio errore, o non si è mai bruciato, e allora non sa di cosa sta parlando.

Io non mi sarei mai più accontentata di un semplice tepore, non dopo che avevo provato cosa vuol dire bruciare dentro.

*

Il mio problema è che per quanto io stessa cerchi di negarlo, adoro giocare col fuoco.

D’altronde sono o non sono una Grifondoro? Altrimenti il Cappello Parlante non ci avrebbe pensato due volte a spedirmi diretta nei Corvonero.  A volte penso a cosa sarebbe stato di me se fosse andata veramente così. Non avrei conosciuto Harry e Ron? Non sarei quella che sono adesso? Sinceramente ne dubito.

Andiamo, si tratta solo di stupide classificazioni, fatte per giunta da un vecchio cappello impolverato.  Non vogliatemene, è un cappello molto saggio, ma non è uno stemma cucito su un mantello a dirmi chi sono. Un leone… una serpe.

Ditemi invece qual è il vero scopo di tutta questa faccenda dello smistamento. Non fa altro che aggiungere divisioni e fazioni a una realtà che, purtroppo, di fazioni e divisioni è già tristemente piena.  E così si induce la gente a pensare che si stia bene solo tra i propri simili, finché arriva un bel giorno che ti senti dire con candore abomini inascoltabili del tipo:

“Devi scegliere, o sei con me o sei contro di me”

“Bianco oppure nero?”

(Grifondoro o Serpeverde? Ma andatevene tutti al diavolo!).

 

Ma lui aveva smesso di crederci, non poteva, perché siamo troppo perfetti insieme. Lo sente, come lo sento io.

Basta accusarmi di farmi dei film da ragazzina non corrisposta. Io ho ragione e voi avete torto. Perfetti nelle nostre diversità, che poi non sono neanche così tante. Siamo più simili di quanto voi non pensiate, ambiziosi, orgogliosi e testardi. Solo, stiamo su due sponde opposte, perché la sua ottusa ambizione (e una discreta dose di fragilità abilmente nascosta) lo ha portato a una scelta di comodo, e perché il suo ancor più ottuso orgoglio gli impedisce di ammettere di aver sbagliato.

 

Era stupendo. È stupendo.

Non potrò mai dimenticare come mi sentivo mancare la terra da sotto i piedi quando respiravamo la stessa aria.

Come se nello sfiorarci a vicenda le nostre mani avessero trovato finalmente lo scopo della loro esistenza, perché sembravano nate per toccarsi, e toccarci. Come potrò mai accontentarmi dopo tutto questo? 

Romanticherie fuori moda? Però è così che lui mi fa sentire.

A volte vorrei ancora guardarlo fisso negli occhi, in silenzio, come facevamo sempre quando eravamo solo io e lui sotto quella coperta, e il mondo là fuori era messo da parte per un po’. Eravamo perfetti.

 

“Sai cosa mi fa impazzire?” bisbigliava nella penombra.

“Cosa?”

“Questo…” e con un mezzo sorriso mi indicava un piccolo neo appena sopra il seno.

“Sì, in quella zona è proprio il neo che ti interessa…”

“Davvero! Giuro. È perfetto, isolato e altezzoso!” e rideva, e mi baciava quella piccola imperfezione della pelle, e poi gli occhi, il naso, le labbra.

Sì, Draco Malfoy è capace di tutto questo, è capace anche di ridere, quando non si sente sotto esame, quando cede e getta quella maschera pesante che lo nasconde ai più. Ride, proprio come ogni ragazzo dovrebbe ridere a vent’anni, anche se di questi tempi non ci è gran ché concesso.

E io ridevo con lui, perdendomi in quegli occhi che si accendevano all’improvviso d’argento, specchi immobili al di là dei quali avevo l’onore di poter guardare. Ma si trattava di risate amare, che non potevano essere gustate appieno, perché c’era sempre quella piccola parte di me che faceva capolino a gridarmi nelle orecchie quanto sbagliassi, quanto non avrei mai dovuto lasciarmi coinvolgere, quanto a giocare con il fuoco ci si scotti. E le risa mi si smorzavano in gola in un sospiro.

 

“Io non ce la faccio più… non ce la faccio a sentirmi in colpa ogni volta perché non riesco a fare a meno di te. Cosa mi hai fatto?”

Lui continuava a fissarmi silenzioso, ma io vedevo che erano gli stessi miei dubbi a perseguitarlo, quella certezza di non far nulla di male, ma anche la consapevolezza che comunque non sarebbe mai dovuto accadere.

Ma non apriva bocca, Malfoy. Mi fissava immobile, ma non mi diceva nulla. Avrei preferito sentirlo urlare, insultarmi, cacciarmi. Dirmi qualcosa, qualsiasi cosa. Ma niente.

“Almeno dimmi qualcosa, maledizione!”

“Cosa vuoi che ti dica, Granger? Che ti amo alla follia e sono pronto a mandare tutta la mia vita a puttane per te?!”

No, non era questo che volevo sentirmi dire, non così freddo e sarcastico. Dicono che il silenzio faccia  male più di mille parole e probabilmente è vero. Ma vi garantisco che anche le parole possono ferire, a volte.

“Vuoi sentirmi dire che sono pronto a sputare su tutto quello che sono per combattere al tuo fianco? Che mi hai fatto scoprire la retta via e te ne sarò per sempre riconoscente? Lo sapevi da subito come stavano le cose. Cresci una buona volta.”

Basta, ti prego, basta. Mi stai facendo troppo male adesso.

Ma ero stata io a autoinfliggermi quella tortura, e dovevo subirla. Mi morsi il labbro, per cercare con quel dolore di offuscare quella fitta lancinante al petto, ma non sembrò funzionare.

“Te l’ho già detto una volta, non intendo più ripeterlo. Quel che è fatto e fatto. Se ho sbagliato tutto nella mia cazzosissima vita è un problema che non ti riguarda, perché ormai indietro non si torna. Punto.” E si alzò stizzito.

Restai silenziosa, e con gli occhi inondati di lacrime che il mio orgoglio non voleva liberare, lo seguii nel cercare i suoi indumenti nella penombra della stanza. Perché mi faceva questo? Mi annullava totalmente. Io non sono una che se ne sta zitta in disparte, non lo sono mai stata e non lo sarò mai.

“Non mettermi in bocca frasi che non mi appartengono.” Dissi piattamente, portandomi a sedere. Lui si voltò verso di me per ascoltarmi. “Non ti ho mai detto che ti amo o che voglio sentirmelo dire, né tantomeno pretendo che tu diventi un paladino della giustizia. Penso solo che se questo errore (sì, Malfoy, è un errore) ci sta consumando così tanto ma allo stesso tempo non possiamo farne a meno, dovremmo cercare una soluzione.”

Lui si esibì in uno dei suoi soliti ghigni beffardi, arroganti. Un’ottima performance, devo dire. “Una soluzione? Sentiamo.”

“Non esistono solo il bianco o il nero a questo mondo.”

“E’ qui che ti sbagli, Granger. Mi dici che il mondo non è solo bianco o nero, e che ci sono mille sfumature in mezzo, ma la realtà è che sei tu che vuoi trovarle. Io ci vedo solo bianco oppure nero. O sei con me, o sei contro di me.”

“Non chiedermi di scegliere. Lo sai che non posso farlo.”

“O sei con me, o sei contro di me.”

 

E così l’aveva trovata lui, la soluzione. Scegli tu, Granger, perché io l’ho già fatto.

Perché non l’ho insultato? Perché non l’ho colpito?

Perché me ne sono stata ancora in disparte, incapace di prendere una posizione?

Perché lentamente mi sono rivestita e me ne sono andata senza aprire bocca? Vigliacca.

*

E’ stato il mese più lungo della mia vita.

Ho cercato di tirare avanti, ignorando quella specie di vuoto che mi si era aperto dentro, uno squarcio proprio in mezzo allo stomaco. Mi sono convinta di aver fatto  la cosa giusta, di essermi lasciata alle spalle tutto quello che di sbagliato mi era successo.

Ma non si può lasciare alla spalle anche il senso di colpa, con quello ci tocca fare i conti ogni singolo giorno della nostra esistenza.

E ancor di meno si può lasciare alle spalle la consapevolezza di aver sbattuto la porta in faccia alla vita, quella vera, e aver scelto la banale sopravvivenza.

Però vuol dire che non sei stata vigliacca, potrete obiettare voi. Certo.

 

Ma allora cosa ci faccio qua?

Perché me ne sto impalata a fissare l’uscio di questa casa in pietra che per anni è stato il suo rifugio, e che io ho l’onore e l’onere di conoscere? Lui è dentro, lo so. Lo avverto.

Torna indietro, Hermione. La vita ti ha dato un’altra possibilità.

Torna indietro finché sei ancora in tempo, non si è ancora accorto di te. Non bussare, non ricascarci.

Troppo tardi.

Adesso starà guardando fuori, per vedere di chi si tratta. Ora starà riflettendo se ignorarmi oppure no. Magari penserà che è una trappola. Ma alla fine verrà ad aprirmi, so anche questo.

E infatti.

Non parla e mi fissa, le sue lame mi trafiggono come al solito e io come al solito vado a fuoco, dentro.

“Hai distrutto tutte le mie certezze, Malfoy, mi hai lasciato con un vuoto incolmabile dentro e un pugno di mosche in mano. Sono più poche le cose in cui sento di credere. La prima, è che non potrò mai stare con te, quindi non provare a richiedermelo. Ma la seconda, è che non potrò mai stare contro di te. E tra le due temo che quest’ultima sia la più forte. Se ti basta, è tutto quello che ho da offrirti.”

Lo vedo alzare un sopracciglio, e scrutarmi da dietro il suo ciuffo, che stasera gli ricade sugli occhi. E’ stupendo, la sua sola presenza mi fa ricordare cosa vuol dire vivere davvero. Le sue labbra sottili si inarcano in un sorrisetto. Lo so, anche lui non stava aspettando altro.

Mi afferra per  un braccio e mi trascina dentro casa, quella casa in cui tante volte sono entrata. Forse troppe, ma non posso farci niente, non si può chiedere a una persona di non respirare.

Mi guarda senza aprire bocca, poi alza lo sguardo e allunga una mano verso la mia testa, sfilandomi lentamente il fermaglio che mi teneva raccolti i capelli, che adesso mi ricadono a cascata sulle spalle. Non riesco a togliergli gli  occhi di dosso.

“Vedrò quello che posso fare…” mi sussurra, prima di portare una mano sul mio fianco e, con la solita irresistibile delicatezza, attirarmi a .

Sento il suo corpo aderire al mio, i nostri visi che si avvicinano e le labbra che si schiudono le une sulle altre.

Come ho fatto a stare senza per tutto questo tempo?

Come ho fatto a stare senza i suoi palmi che carezzano la mia pelle nuda e bollente sotto i vestiti?

Senza specchiarmi in quelle iridi di ghiaccio?

Sto tremando, al buio sento il peso del suo corpo premere sul mio e i suoi baci che finalmente arrivano a dissetarmi la pelle come non credevo più possibile.

Tremo, perché non sono più abituata a sentire tutte queste emozioni assieme, come un concentrato di vita che improvvisamente mi si ripropone violentemente sotto forma di questa persona.

“Tutto ok?”

“Tutto perfetto.”

Se davvero è un errore, è l’errore più inebriante che si possa commettere.   

*

Non sono a casa mia. Un altro istante e ricordo quello che è successo.

Una debole luce filtra dalla finestra, una luce cupa.  Mi sollevo a sedere, lui non c’è. Non è strano, quante volte mi ha lasciato prima che mi svegliassi. Mi alzo stancamente, mi avvolgo in una coperta e mi trascino fuori da quella stanza adesso fredda, senza la sua presenza.

E poi lo vedo, non se n’è andato. È immobile davanti alla finestra, con le imposte spalancate nonostante la brezza pungente. Guarda fuori, una pioggerella leggera e mattutina lo colpisce leggermente in viso.

“Ti stai bagnando.”

E così dicendo mi accosto a lui che rimane ancora un po’ in silenzio, con gli occhi chiusi.

“Te l’ho mai detto che mi piace la pioggia?” fa poi, voltandosi a guardarmi.

“No… anche a me piace.”

Ancora silenzio. Due pallide figure vicine, appoggiate al davanzale di una finestra che dovrebbe essere chiusa.

“Questo è il mio mondo, Granger. E temo che nel mio mondo non ci sia posto per te, esattamente come nel tuo non ce n’è per me. Non potrà mai andare diversamente.”

Io resto zitta. Assaporo la pioggia che mi bagna le labbra e respiro l’aria frizzante che mi colpisce il viso.

Mai… certo che è proprio un parolone. Io l’ho abolito da parecchio, sapevi?” rispondo tranquilla. Sarà la pioggia, sarà il fatto che è da poco passata l’alba, ma mi sento in pace per la prima volta, dopo troppo tempo.

“Non sarebbe mai dovuta cominciare, e dovrà finire.” Mi dice, come se improvvisamente le parti si fossero invertite. Di solito ero io quella coi sensi di colpa.

Sorrido. “Cominciare che cosa?” 

Lui torna a guardarmi un po’ perplesso, poi alza un sopracciglio perché secondo me sta cominciando a capire, ma mi lascia continuare.

“Insomma, se qualcosa non comincia non può neanche finire, giusto?” spiego candidamente.

Adesso anche lui sorride. Cavolo, quando non ci pensa ha un sorriso stupendo.

“Non hai tutti i torti” ammette.

“Io non ho mai torto.”

“Avevi detto di aver abolito la parola mai…”

Cavoli, è vero! “Mi sono concessa un’eccezione, Draco.”

Lo affronto con un sorrisetto beffardo, quasi volessi emularlo. Certo, non sarò mai brava quanto lui, ma se mi applico…

Ha smesso di piovere, non me ne ero neanche accorta. Adesso un timido raggio di sole fa capolino tra le nubi e va a colpire, pallido, il volto del ragazzo che mi sta accanto. No, non può finire, neanche se volessimo. Non ci si può più accontentare di sopravvivere, una volta scoperto cosa significa vivere.

Eccolo, il suo solito ghigno. Che nervi, non riuscirò mai a essere alla sua altezza. Però neanche lui non riuscirà mai più a tenermi nascosto qualcosa dietro quegli occhi, perché ho imparato a leggervi dentro. Si china verso di me, fermandosi a pochi centimetri dal mio naso.

“Non chiamarmi Draco, lo sai che non lo sopporto.”

 

You are not an enemy anymore
There’s a ray of light upon your face now
I can look into your eyes
And I never thought it could be so simple


When we’ll wake up

Some morning rain
Will wash away our pain,
Cause it never began for us,
It’ll never end for us…


(Elisa – Rainbow)

 

FINE

 

***   ***

 

 

 

PS:

Ed eccoci giunti alla fine di questa interminabile one-shot. La prima su Harry Potter che ho scritto, anche se mi sono convinta a pubblicarla adesso, sull’onda lunga della mia long-fic

Ammetto che è lunga, lunghissima, ma non l’ho voluta dividere perché credo che perderebbe di significato (ammesso che ne abbia uno, logico).

E’ partita per caso come terapia antidepressiva fai-da-te, ovvero ne scrivevo un pezzettino ogni volta che ero giù di morale (funziona!), e non avrei mai pensato che ci avrei concluso qualcosa! Vederla finita ha sorpreso me per prima!

Ringrazio doppiamente chiunque, dopo uno strazio lungo 7000 parole, avrà la forza di lasciarmi un’opinione, anche piccola… in questo caso più che altri  è davvero importante per me.

Kiss

 

 

  
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