Crossover
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Autore: Registe    28/04/2012    3 recensioni
Prima storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
In una Galassia lontana lontana (ma neanche troppo) l'Impero cerca da anni di soffocare l'eroica Alleanza Ribelle, che ha il suo quartier generale nella bianca citta' di Minas Tirith, governata da Re Aragorn e dal suo primo ministro lo stregone Gandalf. I destini degli eroi e malvagi della Galassia si intrecceranno con quelli di abitanti di altri mondi, tra viaggi, magia, avventure, amore e comicita'.
In questa prima avventura sulla Galassia si affaccia l'ombra dei misteriosi membri dell'Organizzazione, un gruppo di studiosi dotati di straordinari poteri che rapisce delle persone allo scopo di portare a termine uno strano rito magico da loro chiamato "Invocazione Suprema"...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 23 - L'ultima mossa


Lorestones

Tre delle sette Pietre della Sapienza




Fu la prima a toccare la Pietra della Sapienza. Grande come un uovo, la pietra emise un bagliore caldo e rassicurante a contatto del suo palmo, e l’animo di Daala accettò con gioia. La luce prese forma tra le sue dita, ed iniziò pigramente a vagare tra i suoi ricordi; scivolò tra le fredde stanze di Carida ed i simulatori, Tarkin con le mappe strategiche illuminate dietro al suo viso ed il locale con Kratas. Con la sua musica della Terra I e l’ottimo succo di juri.
Il calore arse lungo le sue dita, poi lungo le braccia, e quando arrivò alla testa tutte le immagini danzarono, illuminate dalla fiamma che faceva risplendere le pareti bianche dell’istallazione militare come fosse il sole al tramonto. Ma quando raggiunsero Kratas ed il suo sorriso, la musica, il sapore dolciastro della bibita che poteva sentire anche in quell’istante… tutto fu avvolto dalla luce. I suoi occhi si disgregarono, il locale svanì, quel ricordo andò in frantumi senza che lei potesse davvero rendersene conto. Come un fuoco.
Quando riaprì gli occhi la Pietra era di nuovo inerte, e Zam la fece scivolare dalle sue dita a quelle di Tarkin, mentre una seconda pietra illuminava gli occhi di Zachar “Ora ti senti meglio, Daala?”
Sì. Adesso sì. Scosse la testa un paio di volte, come per scacciare gli ultimi residui della sua infatuazione per Kratas, che volarono via come la cenere di un camino. Perché non era altro che cenere, dopotutto. Le Pietre della Sapienza avevano quel potere: guarire le ferite e le alterazioni della mente, oltre che quelle del corpo.
“Stando a quello che mi hanno detto quei due” fece la cacciatrice di taglie, indicando Mu e l’uomo vestito di rosso al suo fianco “I vostri ricordi sono stati modificati da quei buffoni in tunica nera. Condizionati, pare sia la parola giusta. Adesso le cose vanno meglio?”
Era davvero così fragile il suo amore?
Della gente aveva manipolato così facilmente i suoi ricordi?
Tutto quello che aveva costruito era diventato un giocattolo per uomini misteriosi. Gente che si era presa gioco di lei e della famiglia che aveva costruito contro ogni logica, quando l’opinione pubblica e l’Imperatore stesso parlavano di follia. Aveva costruito una vita stupenda solo per farsela portare via da cinque maghi incappucciati. Prima ancora che suo marito restituisse la Pietra della Sapienza a Zam gli si avvicinò e lo baciò.
“Per sicurezza” gli sorrise.
Quando tutti, Kaspar compreso, toccarono gli oggetti magici nella stanza tornò il silenzio. Il bianco delle pareti era ancora più innaturale. Tutte le aree illuminate, i simboli, tutto svanito. Nel punto in cui i Membri dell’Organizzazione li avevano osservati non c’era alcuna traccia. Per la prima volta da quando Daala aveva messo piede in quelle stanze si chiese quanto tempo fosse passato. Quello reale, il tempo in cui vivendo le sue figlie, non le continue illusioni a cui erano stati sottoposti.
“E’ passata più di una settimana dalla vostra scomparsa” rispose Zam. Le dava le spalle, scambiando occhiate assassine con Kaspar “L’Imperatore mi ha mandata a cercarvi, e mi ha lasciato le Pietre della Sapienza per spostarmi. Ma non avrei mai raggiunto questo Castello senza l’aiuto di quei due strampalati” disse, indicando le due guide.
Mu era lì vicino, incerto su dove guardare. Il livido sull’occhio non era ancora svanito del tutto, ma non era quello a rendere macilento il suo viso. Sguardo fisso a terra, le ricordava una delle tartarughe che riempivano le spiagge dell’Anduin, con una piccola testa nascosta dentro una pesante corazza. Non ci voleva un Jedi per leggere in quegli occhi verdi “Mu … scusami”.
Forse non sarebbe bastato per risolvere quello che era accaduto, ma glielo doveva.
“Ti abbiamo giudicato male. Io e Mara. Non è stata colpa tua”.
“Io avrei dovuto resistere, però …”
“Tutti avremmo dovuto”. Pensò al suo amore in frantumi e mandò giù il groppo alla gola “Ma tu sei riuscito a liberarti. Senza di te alcuni di noi non sarebbero qui”.
“Non che la cosa mi sarebbe dispiaciuta” brontolò Tarkin alle sue spalle. Kaspar era vicino a loro insieme alla sua ameba, e fremeva di rabbia. Li avrebbe polverizzati in un attimo per il solo piacere di giocare con i loro mucchietti di cenere. In compenso non aveva mai visto Zachar in quello stato: prima di toccare la Pietra della Sapienza aveva letto in lei una nuova grinta ed una donna diversa, ma adesso … una fontana di Naboo era il paragone più calzante.
Il sacerdote intervenne “Credo che ci siano altre persone che ci aspettano fuori di qui”.



L’abbraccio di Mara era forte e sincero. Si erano separate solo da poche ore, eppure da come la sua amica la stringeva sembrava trascorsa una vita intera. Daala avrebbe voluto parlare a lungo con lei, per ringraziarla di aver vegliato su di lei per tutto quel tempo, per non averla mai abbandonata nonostante i ricordi condizionati: perché era meraviglioso avere un’amica come lei.
Si era invece sorpresa di ritrovare Boba in quel castello, per di più seduto accanto ad Ash Ketchum. Zam se lo era squadrato da capo a piedi, un occhio su Kaspar ed uno sul cacciatore di taglie. Se non fosse stato per le grida di gioia del ragazzino ed i brontolii di Mistobaan l’anticamera sarebbe caduta in un silenzio imbarazzante.
“Prendi questa, idiota” brontolò Zam. Armeggiò nel prezioso sacchetto e ne estrasse una delle pietre magiche.
“Ci conosciamo, signorina?”.
Oh, no
La donna divenne di ghiaccio “Boba, mi auguro che tu sia condizionato”.
Il governatore Fett la scrutò come se davvero la vedesse per la prima volta mentre gli altri stavano ancora piangendo o discutendo. Daala detestava trovarsi in discussioni con Zam e Boba, perché portavano soltanto guai. Nemmeno lei aveva perdonato al cacciatore di taglie il modo con cui aveva voltato le spalle alla sua migliore amica e l’aveva accusata di tradimento “Zam, hanno manipolato anche quel poco di cervello che aveva. Dagli una pietra e chiudiamola qui”.
“Daala” fece lui “Tarkin! Cosa vuole questa tizia da me?”
Prima che Zam esplodesse sul serio Daala le prese le pietre di mano e le chiuse nel palmo dell’uomo; la magia scivolò tra le sue dita e fece effetto, glielo lesse negli occhi scuri. Boba guardò prima lei, e poi di nuovo Zam: nei suoi occhi si poteva trovare davvero di tutto.
Paura, in primis. Era da sciocchi non avere un po’ di sana fifa addosso quando si aveva dubitato dell’onore di Zam.
Dubbio. Ma Boba era il maestro dell’indecisione.
Vergogna.
E amore. Ma quello se lo doveva guadagnare.
Negli ultimi tempi, nella sua casetta provvisoria sul pianeta dei Ribelli, si era trovata spesso a discutere con Mara di quello che era avvenuto tra Zam e quell’uomo mentre facevano giocare le bambine lontano da nani chiassosi e principesse sospettose. Le era capitato spesso di lamentarsi un po’ del carattere di Tarkin, e la Sith spettegolava sempre sulle gaffes del suo Luke, ma avevano sempre sorseggiato i loro the con gioia, soddisfatte di avere mariti strani ma dolci a modo loro, che non avrebbero cambiato per nulla al mondo, nemmeno con re Aragorn. Ma Zam non aveva avuto quella fortuna: lei era un drago, e Boba la pallida imitazione di un lombrico. Aveva dubitato del suo onore, voltato le spalle al loro stesso figlio e la cosa più incredibile era che nemmeno si rendeva conto di quanto l’avesse ferita. E lei era stata fin troppo misericordiosa a lasciargli tutti gli arti al loro posto.
Mara si avvicinò alla sua amica ed indicò il sacchetto con le pietre “Resta solo una persona. Direi che anche Mistobaan ha diritto ad avere indietro i suoi ricordi. Non può passare la sua vita credendo di adorare l’Imperatore Palpatine!”.
“Perché no?”
Daala si congelò. Zam e Tarkin erano tornati a guardarsi, increduli di aver parlato insieme. Se erano d’accordo su qualcosa … se avevano la stessa idea … perché ho la netta sensazione che le conseguenze non mi piaceranno?
Suo marito sfoderò il sorrisetto che conservava per le occasioni speciali “Lo sapete meglio di me che papà Impe adora i souvenir, vero?”



 “Padron Vexen?”
La voce di Camus gli arrivava distorta e ovattata, come la sua testa si fosse trovata all'interno di una gigantesca bolla d'acqua. Vexen aprì gli occhi lentamente, stordito, cercando di mettere a fuoco ciò che aveva intorno. Era nel laboratorio semidistrutto, sdraiato sull'unico lettino sopravvissuto. Vide Camus che armeggiava intorno al suo braccio con bende e fasciature, e in un lampo ricordò cos'era successo.
“E' svenuto, padron Vexen. Non avrebbe dovuto attraversare un corridoio dell'oscurità in quelle condizioni.”
Aveva lasciato la Stanza dell'Invocazione Suprema per modificare ancora i ricordi dell'Invocatrice maga. La cosa stava andando per le lunghe, nessuna delle due sembrava intenzionata a uccidere il proprio Intercessore, così aveva deciso di mischiare un po' le carte in tavola e dare una spinta agli eventi. Non appena uscito dal portale oscuro aveva sentito le ferite sul braccio e sul petto riaprirsi e il calore del sangue impregnarsi nella stoffa della tunica e colargli sulla pelle, ma aveva stretto i denti. Era a un passo dalla realizzazione del piano a cui aveva lavorato per più di un anno, non poteva cedere, semplicemente non poteva. Aveva fatto in modo che l'Invocatrice credesse che il suo Intercessore avesse ucciso Auron... poi però le ferite, il macabro regalo dell'ultima visita della Ninfa Selvaggia, avevano iniziato a bruciare in modo insopportabile. Ma era certo di avercela fatta, prima che il suo corpo e la sua mente cedessero all'oblio.
L'Invocazione Suprema a quell'ora doveva essere già avvenuta.
Fece per alzarsi, ma Camus lo bloccò con un gesto gentile ma allo stesso tempo deciso.
“Padron Vexen, se si alza così in fretta rischierà di svenire di nuovo!”
“Spostati, maledizione! Non posso starmene a dormire in un momento simile! Non posso perdere l'Invocazione!”
“Padron Vexen...” il viso del giovane assistente si adombrò. “Io non so bene di cosa parla, ma mentre la medicavo si sono sentiti dei rumori strani nel Castello... come se qualcosa stesse crollando a pezzi. Ora però è tutto tranquillo...”
Dèi ladri, la più straordinaria forma di energia del nostro mondo si è appena dispiegata in tutta la sua potenza e io ero svenuto come un idiota... dèi ladrissimi e truffatori!
“Camus, senti” disse per levarselo dai piedi “vammi a preparare un thè.”
L'assistente obbedì subito, sparendo nella stanzetta adiacente al laboratorio dove tenevano il fornelletto portatile per far bollire l'acqua. Vexen ignorò i giramenti di testa e si rimise in piedi con caparbietà, recuperò la tunica che Camus aveva appoggiato su un cumulo di detriti che una volta era stato uno scaffale pieno di libri e la indossò sporca di sangue com'era. Usare di nuovo un corridoio dell'oscurità sarebbe stato rischioso, ma poteva sempre camminare fino alla Stanza dell'Invocazione Suprema e...
Improvvisamente percepì uno spostamento d'aria alle proprie spalle, accompagnato dal tipico rumore di un corridoio oscuro che si apriva.
Oh, finalmente qualcuno si degna di venire ad avvertirmi di...
“Ha fretta di andar via, padron Vexen?”
Dèi ladri.
Dal ghigno orribile dipinto sulla faccia del bestione vestito di rosso Vexen dedusse che l'Invocazione Suprema non era andata nel modo sperato. Auron e Mu lo fissavano torvi, ma nell'unico occhio del mercenario brillava un senso di sadica anticipazione che trasformò le gambe di Vexen in due budini tremolanti.
Dèi ladrissimi.
Auron gli fu addosso in meno di un respiro. Lo afferrò per la tunica intrisa di sangue e lo sbatté contro la parete con violenza inaudita. L'impatto gli mozzò il fiato e fece ardere le sue ferite appena medicate di un dolore indicibile e lancinante. Vexen sentì che la testa gli girava sempre di più e il suo sguardo si appannava, mentre macchie giallognole si affollavano ai margini del suo campo visivo. Lottare per liberarsi fu un tentativo patetico e inutile: la presa del mercenario era d'acciaio, e Vexen era così debole da non riuscire neppure a usare la magia.
“Padron Vexen, la voglia è troppa... di prenderla a calci!”
Vexen cercò lo sguardo di Mu, del mite, tonto, ingenuo, gentile Mu... ma le sue speranze si inabissarono quando vide che anche il sacerdote stava chiaramente apprezzando lo spettacolo che aveva davanti. Tentò comunque di giocarsi un'ultima, disperata carta.
“Pensavo che i vostri dèi vietassero l'omicidio...” riuscì in qualche modo a balbettare.
Fu Auron a rispondere: “Oh, ma noi non vogliamo uccidere... solo mutilare, o ferire gravemente!”
Il mercenario lo tenne inchiodato alla parete con una mano, mentre con l'altra si preparò a sferrare un pugno micidiale. Tremando, Vexen chiuse gli occhi.
“Padron Vexen, il thè lo vuole alla pesca o al limone?”
Camus! Si era dimenticato di Camus! Riaprì gli occhi: il suo assistente era tornato e fissava la scena a bocca aperta, con ancora due bustine di thè in mano, il suo solito sorriso ingenuo che si contorceva pian piano in una smorfia di stupore e paura. Per un attimo nella stanza nessuno parlò, e il pugno di Auron rimase immobile a pochi centimetri dalla sua faccia.
Vexen fu il primo a riprendersi dalla sorpresa, i riflessi acuiti dal puro istinto di sopravvivenza: si divincolò dalla presa di Auron approfittando della distrazione di quest'ultimo, gridando: “Camus, fai qualcosa, sono impazziti, vogliono ucciderci!”
Scoppiò il finimondo.
Un incantesimo di ghiaccio partì dalle mani di Camus con una rapidità di cui Vexen non avrebbe mai ritenuto capace il giovane assistente, e Auron fece appena in tempo a sguainare la Masamune e deviare la sfera di magia in un'altra direzione. Con le ultime forze che gli restavano Vexen si gettò da quella parte, lasciandosi colpire in pieno dal proiettile di ghiaccio. L'effetto benefico del suo stesso elemento si fece sentire immediatamente: Vexen sentì nuova energia affluire nel suo corpo stanco e martoriato, quanto bastava per evocare una stalagmite di ghiaccio proprio sotto i piedi del mercenario.
“Elementale del ghiaccio di merda!” Auron riuscì a evitare lo spuntone ghiacciato ma perse l'equilibrio e scivolò a terra tra sonore imprecazioni. Vexen raggiunse Camus dall'altro lato della stanza: le mani del suo assistente brillavano nuovamente della magia del ghiaccio, e lui e Mu si fronteggiavano senza che nessuno dei due avesse il coraggio di colpire l'altro per primo.
“Mu, come hai potuto fare del male a padron Vexen?!”
“Camus, apri gli occhi! Ti ha condizionato di nuovo! Cerca di ricordare, sei stato tu a farci scappare da...”
Eh, no!!
Vexen afferrò Camus per un braccio: “EVOCA UN PORTALE, CE NE ANDIAMO DI QUI!!” Glielo urlò dritto nell'orecchio, tanto per essere sicuro di sovrastare del tutto le pericolosissime parole di Mu. Fortunatamente il condizionamento resse e l'assistente obbedì all'istante.
L'ultima cosa che sentì prima di essere avvolto dalle tenebre fu la sequela di sonore bestemmie lanciata da Auron.



Narratore: "Vexen... Vexen, svegliati! E che cavolo, è la seconda volta che svieni nel giro di un capitolo! Non posso ogni volta perdere dieci righe per raccontare del tuo risveglio!"
“Dove... dove siamo?”
“Vicino all'entrata delle Stanze della Memoria, padron Vexen. Ho pensato che volesse controllare la situazione nel Castello.”
“Bravo. Finalmente qualcuno che mette in moto il cervello qui dentro.”
Camus lo aiutò a rialzarsi dal pavimento bianco. La sensazione di benessere provocata dall'incantesimo di ghiaccio era solo un ricordo: un altro viaggio nei corridoi oscuri e come minimo sarebbe finito in coma.
Dèi ladri.
Se Auron e Mu erano venuti a cercarlo significava che qualcosa era andato terribilmente storto. Zoppicando Vexen si avvicinò al portone della Stanza della Memoria e vi poggiò il palmo della mano, invocando il potere del Castello dell'Oblio.
Mostrami cosa sta succedendo... mostrami dove si trovano le Invocatrici...
Il Castello rispose prontamente al richiamo del suo padrone, e una visione occupò la mente di Vexen, nitida e definita: la Stanza dell'Invocazione Suprema. Portava i segni di una battaglia recentissima, le pareti un tempo immacolate ora annerite dal fuoco di molti incantesimi. Alcune porzioni del muro erano addirittura crollate. Le Invocatrici erano lì, tra le macerie, con gli Intercessori, e Mistobaan, e tutti gli altri membri dei due gruppi comprese le bestioline buffe del ragazzino col berretto, e in più c'era una donna vestita di viola che Vexen ricordava vagamente di aver visto tra i ricordi di uno degli Intercessori. In quel momento un corridoio oscuro si aprì e ne uscirono anche Auron e Mu.
Gli unici che non si vedevano da nessuna parte erano gli altri membri dell'Organizzazione.
“Quel bastardo ci è scappato per un soffio” stava dicendo Auron. “Ormai sarà lontano, come gli altri. Non credo che avranno il coraggio di rimettere piede qui per un bel po'.”
“Continuiamo a cercarli.” disse la donna vestita di viola. “Potrebbero essersi nascosti da qualche parte.”
“Fanno tanto gli spacconi, ma in realtà sono dei codardi, signora” fece il mercenario con disprezzo. “Si credevano tanto potenti, ma nemmeno con l'aiuto del Castello dell'Oblio possono sperare di sconfiggere qualcuno in grado di trasformarsi in un drago.”
Trasformarsi... in un drago?!
“Oh, ti assicuro che il drago non è neanche lontanamente la più terribile delle creature di cui Zam può prendere sembianze e poteri!” intervenne l'Invocatrice con la divisa verde, che ora era felicemente abbracciata al marito a cui fino a poco tempo prima avrebbe voluto spaccare la faccia.
Vexen barcollò e perse il contatto con la superficie lignea del portone, e la visione sparì all'istante.
Un disastro.
Una catastrofe.
Le Invocatrici scondizionate, gli altri membri fuggiti o nascosti in qualche anfratto del Castello a leccarsi le ferite, l'Invocazione Suprema perduta per sempre... e una donna drago, più forte di tutti loro messi insieme. Persino Marluxia aveva scelto la fuga di fronte a lei.
Ottenere i poteri del Castello dell'Oblio non richiedeva grandi sforzi. Bastava stabilirvisi per un certo periodo di tempo, e il Castello ti riconosceva automaticamente come padrone. Era successo ai membri dell'Organizzazione tanti anni prima, era successo persino ad Auron, Mu e Camus che altro non erano che loro schiavi.
Poteva succedere, no, sarebbe successo sicuramente, anche alla donna drago. Mu e Auron glielo avrebbero spiegato.
Sarebbe diventata potentissima. Indicibilmente potente.
Avrebbe ottenuto la facoltà di controllare le Stanze della Memoria, e fare ciò che Vexen aveva appena fatto.
Trovare le persone. Ovunque fossero.
Vendicarsi.
Il pensiero era così terribile che le gambe gli cedettero definitivamente. Se Camus non lo avesse sostenuto sarebbe caduto in ginocchio.
“Padron Vexen...”
“Torniamo al laboratorio. Ora.”
“Non può attraversare di nuovo un corridoio oscuro padron Vexen.”
“Allora vai tu, ma in fretta. Prendi tutto ciò che può servire, abbandoniamo il Castello.”
I grandi occhi azzurri di Camus si spalancarono per lo stupore: “Cosa?”
“Zitto e fai come ti dico! Non abbiamo tempo! Prendi quello che vuoi dal laboratorio, ma portami tutto il contenuto degli scomparti segreti nelle pareti. Tutto quello che trovi lì dentro, mi hai capito bene? E ora MUOVITI!”
L'attesa gli parve interminabile. Si sedette per terra, appoggiato a una parete, il cuore che gli batteva a mille, e sperò che nessuno di quei pazzi scatenati al piano di sopra sentisse il bisogno di venire lì proprio in quel momento. Ormai non aveva più energia nemmeno per chiedere al Castello di regalargli un'altra visione sugli spostamenti dei suoi nemici.
Camus ritornò di lì a poco, carico di libri, cassette di pronto soccorso e bustine di thè. Legato alla sua cintura Vexen riconobbe un familiare sacchettino di stoffa nera, e ordinò all'assistente di passarglielo immediatamente.
Ne trasse fuori un dispositivo rettangolare di colore nero, dotato di una rudimentale antenna e di una serie di pulsanti.
Esitò.
Se l'avesse fatto non sarebbe più potuto tornare indietro.
“Padron Vexen, sento delle voci. Si avvicinano!”
Le sentiva anche lui. E dei passi, passi di numerose persone. Venivano dall'alto, da una rampa di scale alla sua sinistra.
La donna drago e i suoi compagni.
Il panico lo investì in un'ondata irrefrenabile, ma allo stesso tempo gli diede una scarica di adrenalina, la forza di aprire un ultimo portale. Meglio finire in coma che tra le grinfie di quei pazzi. Camus gridò qualcosa in protesta, e i passi sulle scale accelerarono. Le voci erano vicinissime ormai. Vexen premette in sequenza i pulsanti sul dispositivo, poi si abbandonò all'abbraccio della fredda oscurità del passaggio tra i mondi.
Ma un ultimo barlume di lucidità era sopravvissuto nella sua mente sconvolta dal terrore. Un pensiero più forte di qualsiasi paura, che lo spinse quasi inconsciamente ad impostare il timer sui dieci minuti.
Dieci minuti. Per sicurezza.
A una persona dotata del suo potere ne sarebbero bastati molti meno per accorgersi del pericolo.
L'oscurità lo avvolse.

 
  
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