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Autore: gwapple    29/04/2012    10 recensioni
Il sole soccombe alla carica delle tenebre, e quando perfino il tempo, che mai niente e nessuno è riuscito ad arrestare, si ferma, significa che qualcosa è in atto, sulla Terra o oltre essa.
Quattro cavalieri cavalcano in silenzio i loro sinistri destrieri: le ombre, dapprima ripudiate e scacciate dalla Terra, stanno prendendo possesso dei luoghi giudicati pieni di Luce.
Questa volta non sono gli angeli e i demoni a contendersi un pezzo di cielo o un lembo di terra... ma un'apocalisse è in atto, e solo una persona può fermarla: Dio. Ma Dio è sulla terra, e c'è qualcuno che lo sta cercando.
Tra angeli caduti, la sfortuna di due fratelli, una demone molto sexy, un cerbero addestrato, un Lucifero metallaro e un viaggio straordinario attraverso tre grandi regni, nasce questa storia.
Una storia di lacrime e sangue, dove il protagonista non è il solito bravo ragazzo ma un donnaiolo incallito ed è spalleggiato da un angelo con la fissa per le giacche di jeans.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Timeless'
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Timeless 1
Capitolo 1




«Quindi gestisci l'officina di tuo padre.»
La ragazza morse la cannuccia, rosa ovviamente, ammiccando vistosamente in sua direzione.
«Esatto.» convenne lui. Poi sfoderò IL sorriso, quello per cui le ragazze impazzivano e si gettavano ai suoi piedi: il rossore sulle guance della fanciulla di fronte a lui gli fece capire di aver fatto ancora colpo.
Non che ne dubitasse, del resto: conquistare una ragazza per lui era più facile che bere un bicchiere d'acqua.
«Quindi lavori molto... con le auto.» non era una domanda. Jay allargò il sorriso, cercando una posizione più comoda nella sedia: scacco matto, era sua.
«So usare molto bene le mani, se è questo che vuoi sapere. Anzi, oserei dichiararmi un esperto.»
La luce maliziosa che si diffuse negli occhi della giovane era un chiaro segno di quanto pendesse dalle sue labbra, di quanto ormai il suo cuore si fosse fatto avvincere dall'irresistibile fascino di Jay A. Denver
«A te piacciono le auto?» rincarò la dose, sporgendosi appena. Movimenti lenti e misurati -dettati dall'abitudine- di cui era ormai pratico. La biondina mozzafiato scrollò le spalle, vivace: stava giocando, e lui avrebbe fatto il suo stesso gioco.
«No, preferisco le moto a dire il vero.» rispose assottigliando gli occhi da cerbiatta, mordendosi il labbro. Jay si ritrovò a fissare quei lembi carnosi desiderando di addentarli, ma il suo istinto lo richiamava alla realtà: non ancora, si impose una vocina nella sua testa.
«Le moto? Io ne ho una.» avrebbe voluto anche aggiungere un doppio senso della serie "ed è anche molto ben equipaggiata" ma preferì tacere. La biondina fece scattare un sopracciglio verso l'attaccatura dei capelli, poi si sporse ancora di più, ad un soffio dalle sue labbra.
Jay deglutì aria perdendosi nei suoi occhi color dell'oceano, e poi più sotto: da quando aveva iniziato a fare così caldo? Incapace di distogliere lo sguardo da quelle labbra così umide e vicine, si costrinse a frenare l'impulso di sporgersi e annullare la distanza che ancora li separava.
«Ah davvero?» le dita della ragazza si insinuarono tra le sue, accarezzando sensualmente il dorso della sua mano «Mi piacerebbe...» si fece più vicina, le punte dei capelli lunghi pizzicarono il collo di Jay «...farci...» gli passò una mano tra i capelli corti, e Jay accennò appena un sorriso, lasciandosi totalmente andare «... un giro.»
La ragazza finalmente abbassò le palpebre -mentre fuori si diffondeva una musica che era sicuro di non aver percepito prima, forse troppo concentrato sulla bocca di lei- e Jay le afferrò il mento con tre dita, avvicinandola deciso a sé, quando all'improvviso si sentì strattonato da qualcosa, come un nodo partito dal petto.

It don't take money *
and it don't take fame
don't need no credit card
 to ride this train

I muri blu del locale, con tutte le luci intermittenti, le piastrelle colorate del pavimento e i bicchieri di drink abbandonati sul tavolo come tanti scogli in mezzo al mare, si dilatarono fino a diventare una sequenza di sfumature indistinte.

Tougher than
diamonds and stronger than steel
you won't feel
nothing' till you feel

Jay spalancò gli occhi con un sussulto, ridestandosi di soprassalto.

You feel the power,
just the power of love

That's the power,
that's the power of love

you feel the power of love
you feel the power of love
feel the power of love

«Buongiorno amici! Qui è radio Hourglass che vi da' la sveglia col sorriso!»
Jay soffocò un gemito nel cuscino, svegliato nel bel mezzo di un sogno particolarmente avvincente: per carità, apprezzava radio Hourglass -e adorava le canzoni che trasmettevano, dal gusto tipicamente anni '80- che costituiva la sua sveglia ogni mattina ma...
Beh, era un maschio particolarmente voglioso di sc...oprire le personalità di gentili pulzelle. E la fanciulla che aveva popolato i suoi sogni era particolarmente -o almeno, l'apparenza era quella- piena di segreti da scoprire, se capite cosa intendo.
«E quella che avete appena ascoltato è ''Power of Love'' di Huey Lewis & the News!» annunciò la voce dell'altra speaker di Radio Hourglass. «Un buongiorno caloroso a tutti! Oggi è la giornata ideale per una bella scampagnata, giusto Beatrix?»
«Esatto Jules! Ma mandiamo un bacio anche agli sfigati che come noi sono stati costretti ad alzarsi a orari indecenti per andare a lavoro!»
«Grazie tante.» borbottò Jay, trascinandosi fuori dal letto con la stessa volontà di un bradipo in letargo.
Il problema non era tanto che sarebbe dovuto andare a lavoro -l'officina apriva solo per metà mattinata e Bill White, co-proprietario e dittatore assoluto, l'avrebbe gestita fino all'ora di pranzo, quando sarebbe andato a mangiare a casa Denver dato che per qualche inspiegabile ragione adorava la cucina di sua madre- ma che si sarebbe dovuto trascinare a recuperare suo fratello Archie e quella spocchiosa della fidanzata, Gwen.
Ora -a scanso di equivoci- Jay adorava suo fratello: e come no? Era un po' saccente ma, ehi, aveva i geni Denver e tanto bastava. E lo aveva praticamente tirato su lui dopo la morte di suo padre.
Il problema era lei, Gwen.
Che poi, esteticamente era molto carina: il problema era il suo carattere, degno di... ahem, di certi bisogni naturali che ognuno di noi ha dopo aver mangiato. E a buon intenditore poche parole.
«Allora, che argomento abbiamo oggi?»
Beatrix cominciò a parlare di qualcosa di non ben definibile mentre Jay tuffava la testa sotto il getto d'acqua fredda del lavandino. Per una qualche ragione sentiva che quella sarebbe stata una giornata estremamente lunga coi borbottii di Gwen alle orecchie e le frasi dolci -melense più che altro- che i due si sarebbero scambiati.
Come ogni volta.
Archie studiava medicina in un'università di Londra: aveva vinto una borsa di studio qualche anno prima, la secchionaggine non era proprio un tratto che aveva preso da lui, e tornava ogni volta che poteva anche se solo per pochissimo.
E dio, capiva la distanza e -ma non l'avrebbe detto ai piccioncini per ovvie ragioni- l'astinenza ma non tutto quello... quello zucchero.
Era semplicemente... irritante. E lui non ci teneva certo a morire di diabete, era ancora giovane! Solo perché aveva raggiunto i venticinque anni giusto una manciata di mesi prima non era mica da buttare!
Rialzò uno sguardo esausto allo specchio sopra il lavandino, che gli restituì l'occhiataccia di due iridi verdi sopra una spruzzata di efelidi -che si accentuavano ad ogni cambio di stagione-.
«Buongiorno, bellezza.» fece, cupo, ignorando volutamente le due ombre scure sotto gli occhi -in un paio di minuti sarebbero state sostituite dal suo solito colore- e allungò le dita alla ricerca della tovaglia.
Se la passò su volto, sul collo, stiracchiando le articolazioni e le giunture, cercando di ricordare i dettagli della ragazza del sogno, mentre si dirigeva alla doccia.
Quando anche i vestiti vennero ammucchiati in disordine in un angolino del bagno a piastrelle verde acqua -il colore preferito di suo padre, almeno a detta di sua madre Susan- Jay entrò nel box e il getto di acqua calda che gli scivolò sulla schiena lo fece rabbrividire di piacere.
Sapone, shampoo, solita routine.
Fischiettando si massaggiò i capelli, mentre la schiuma gli scendeva nelle pupille. Archie l'avrebbe sicuramente rimproverato per questo, notando i suoi occhi arrossati, e da brava mamma chioccia -o uccello del malaugurio, a seconda dei punti di vista- gli avrebbe profetizzato un'incurabile congiuntivite.
Sì, che magari l'avrebbe condotto alla tomba entro un paio di giorni. Ghignando sdegnoso Jay si abbandonò al calore della doccia, cercando ancora una volta di rimembrare le fattezze della ragazza.
Ricordava a stento che avesse i capelli biondi...
Com'è che si chiamava?
Candy? Ginny? Ruby? Gliel'aveva detto o no il nome?
Ma poi che importanza aveva? Era un fottutissimo sogno!
Qualche minuto dopo il trillo del cellulare lo svegliò dal suo stato di abbandono: Jay uscì dal box doccia, con l'acqua che ruscellava lungo la schiena e dai corti capelli castano chiaro, offuscandogli la vista. Quando si fermò sul tappeto una nuvola di vapore si levò dalla doccia, ma la ignorò. Indossò l'accappatoio rigorosamente bianco -al diavolo le cose colorate, era un uomo lui!- e aprì la finestra, sempre canticchiando.
Canticchiando, per altro, la stessa canzone anche mentre si faceva la barba e dopo, lavandosi i denti.
«Power of Love» fece, stizzito. «Sì, potere dell'amore un corno! Al diavolo Huey and The News.»
In quello stesso istante, mentre le voci di Beatrix e Jules lo raggiungevano attraverso la porta a vetri che separava il bagno dalla camera da letto del suo mini-appartamento, Jay realizzò di aver dimenticato la radio accesa. Un classico.
«Al diavolo anche Radio Hourglass.» concluse lanciando una ciabatta, che andò a cozzare con l'apparecchio.
La piccola radiolina cadde a terra lanciando uno sbuffo, ma Jay non se ne preoccupò: era più resistente di lui, ne era certo. Una volta era precipitata dal balcone -e lui abitava al terzo piano, mica poco!- e se n'era uscita indenne.
Come facesse a non procurarsi neanche un graffio -e ce ne voleva, era pur sempre una sua proprietà- rimase un mistero.
Con un asciugamano tra i capelli fradici Jay aprì la finestra permettendo al vapore di uscire, e si diede un'ultima occhiata allo specchio appannato: decisamente meglio, aveva perso un po' del pallore della notte.
Si vestì in fretta con una semplice maglietta verde muschio ed un paio di jeans, e acciuffò la giacca di pelle prima di uscire, insieme al cellulare sul comodino.
«Buongiorno caro ragazzo!»
Uscendo dalla porta Jay si trovò davanti alla faccia sorridente della vecchia signora Mao, sua vicina di casa che da tempo tentava di accasarlo con sua nipote di diciassette anni: la ragazzina era carina ma a lui piacevano decisamente più le bionde. Sopratutto quelle con gli occhi chiari.
«Buongiorno signora Mao» la salutò chiudendosi la porta dell'appartamento alle spalle. Tirò fuori le chiavi dalla tasca destra dei jeans e, dopo aver fatto scorrere il dito sull'anello alla ricerca di quella giusta, la acciuffò e la infilò nella toppa ben conscio dello sguardo vispo della donna sulla nuca.
«Vai da qualche parte?»
Sentendosi lievemente a disagio il giovane sforzò un sorriso.
Era un po' come parlare con la signora in giallo...
«Ahem, sì... mio fratello mi aspetta all'aereoporto» rispose gentilmente tentando disperatamente di ricacciare in un angolo della sua mente la musichetta del telefilm. «E sono molto in ritardo signora Flet... ahem, Mao. Buona giornata!»
E scappò via prima che potesse ribattere o invitarlo a prendere il the per fargli vedere le foto della nipotina.
Scese le scale con la stessa velocità di un leone che insegue una preda particolarmente sfortunata o di uno che ha visto la sfiga in faccia... pardon, la morte: attraversò un corridoio prima di trovarsi davanti alla portineria.
Ora, non è che vogliamo dire che il nostro protagonista fosse particolarmente sfigato -o forse un po' lo era- ma aveva la (s)fortuna di abitare in un palazzo di gente strana, ecco tutto: la signora Mao, tanto per cominciare, e il vecchio Rodrigo -che con quel nome sembrava uno di quei classici sudamericani di un filmetto di serie B, o una soap opera di terz'ordine- tanto per finire, il portiere del palazzo che aveva una pancia così grossa da fare invidia a un cocomero, una canottiera -che si sospettava avesse cucita addosso dalla nascita- che si intravedeva sotto la camicia, un sombrero e un fucile che amava mostrare a mo' di cimelio di guerra.
«Oh ciao!» lo salutò vedendolo.
Lui gli rivolse un sorriso cordiale, uscendo.
«'Giorno signor Guirao, passi una buona giornata!» augurò uscendo con la segreta speranza che non lo richiamasse per mostrargli la sua collezione di armi d'epoca.
Che poi okay avere i propri hobby ma... Dio, aveva i brividi da quando il signor Guirao gli aveva mostrato la sua collezione di foto di organi umani. Raccapricciante.
E non è che s'impressionasse spesso, eh.
Pregando segretamente che la giornata si volgesse al meglio si diresse verso il garage in cui, ogni sera, sistemava la sua adoratissima piccolina, l'unico amore della sua vita. E no, non era un cavallo e nemmeno una bambola gonfiabile pervertiti!, ma una moto.
Una MV Agusta F41000 Senna rosso fiammante, ad essere precisi.
Estrasse dalla tasca gli occhiali da sole -ray ban del '67 dalla montatura bianca che erano appartenuti a suo padre- , per il tempo della strada, perché il sole picchiava indisturbato quel giorno, con nessuna nuvola all'orizzonte, e lui odiava camminare con gli occhi ridotti a due fessure come un gatto.
Fortunatamente l'officina si trovava a pochi isolati dal suo appartamento, così quattro angoli, qualche svolta e una manciata di passi più tardi, Jay scoprì la saracinesca già in parte sollevata.
Non del tutto sorpreso bussò sulla superficie a strisce e ricevette solo un cupo borbottio dall'altra parte. Tuttavia, fu una conferma: infilò la punta del suo stivale marrone nella fessura -quei pochi centimetri che separavano la saracinesca dall'asfalto- e la sollevò.
«Eih, Bill.» salutò nessuno in particolare, entrando nelle penombra mentre ancora la saracinesca si stava sollevando, tanto che dovette abbassare la testa per entrare.
Non che raggiungesse il metro e novanta -come quegli spilungoni dell'NBA!- ma Jay poteva vantare una certa altezza che mescolata al suo fisico asciutto e all'intramontabile fascino dei suoi occhi facevano di lui un fotomodello perfetto.
No, va bene, queste erano state parole di Bella, la sua ex del liceo, un'ochetta senza cervello a cui preferiva non pensare.
Non appena la luce del sole invase l'angusto spazio, agli occhi del ragazzo si presentò una macchina rossa col cofano spalancato -a mostrare un motore ancora fumante- ed un pulviscolo irritante che galleggiava nell'aria.
Di Bill non vi era traccia, ma Jay riconobbe i suoi piedi in quelle due ombre che sbucavano da dietro la ruota sinistra.
Afferrò il cappello appeso al chiodino, lo smosse per spostare la polvere ed avanzò bussando sulla carrozzeria.
Con un sobbalzo -ed un conseguente frastuono di oggetti metallici a contatto con l'asfalto- l'uomo sbucò dalla macchina, spingendo indietro il carrellino nel quale era sdraiato, e gli rivolse un'occhiataccia minacciosa.
Occhiataccia che, però, non sortì l'effetto sperato, perché il volto di Bill era una maschera di olio e carbone.
«Non farlo mai più, razza di idiota!» lo accolse l'amico, con voce ruvida, agitando la chiave inglese. Jay sorrise di rimando, risollevandosi in piedi. «Ciao anche a te Bill, è un piacere rivederti. Come stai? Tutto bene, grazie per l'interessamento, e tu?»
«Spiritoso.» biascicò Bill passandosi un braccio sulla fronte imperlata di sudore, con la conseguenza di sporcarsi ancora di più.
 Personalmente, Jay non aveva idea di quanti anni si fosse lasciato alle spalle, ma era certo che avesse superato la cinquantina, a giudicare sia dai capelli brizzolati -più tendenti al grigio che al nero, ormai- e alle rughe che solcavano perennemente la sua fronte, anche se non troppo evidenti;  in ogni caso, era stato assistente e amico di suo padre, quando ancora era vivo, e Jay lo conosceva da quando era uno scricciolo di appena tre anni.
 «E comunque, che cosa vuoi? Così lustro e pulito non avrai avuto la brillante idea di lavorare, vero?»
«Sai che ore sono?» Jay non aspettò che rispondesse, né si curò di mostrargli l'orologio, che teneva al polso tanto per far contento suo fratello. A lui, per controllare l'orario, bastava il cellulare.
 «Speravo di trovarti già vestito e sbarbato, Bill. Hai dimenticato che giorno è oggi?»
«Il giorno in cui finalmente ti avrò licenziato?» scherzò Bill, che rifiutò la mano di Jay per rimettersi in piedi. «Cretino, quale parte della frase "non sporcarti" non cogli?»
Jay ritirò la mano, tramontando gli occhi al cielo -Bill e i suoi modi sgarbati, non sarebbe cambiato mai!-, e si voltò a tamburellare le dita sul tavolo di legno grezzo mentre Bill si rimetteva in piedi e si toglieva i guanti luridi.
Il tavolo era ingombro di attrezzi, cartine stradali, cartacce, macchie di inchiostro e di olio, scheggiature da urto, un giornale spiegazzato -sintomo che l'amico l'aveva letto prima di lavorare- e penne gettate alla rinfusa come tanti piccoli serpenti.
«Allora, immagino vorrai la tua moto. E' per questo che sei venuto qui, no? Oltre che per farmi da cane da guardia, si intende.»
 «Non posso portare la mia piccola con me, oggi.» rispose invece Jay, in parte dispiaciuto. Beh, e suo fratello dove l'avrebbe messo, sul cofano?
«Non mi dirai che era una visita di cortesia, allora?»
«Ho bisogno di una macchina, Bill. Hai qualche idea?»
Bill si tolse il cappellino e lo gettò lontano, cercando di centrare il chiodo infisso alla parete -inutile dire senza successo- e si strofinò le mani l'una contro l'altra. «Che genere di macchina vuoi?»
«Ricordati che devo andare a prendere Archie.» e Gwen, ma questo Jay non lo disse.
«Ho afferrato il concetto.» fece Bill, cambiando tono, e si diresse a passo sicuro in una direzione precisa.
Ed era così, Bill, un uomo di poche parole che preferiva i fatti e agiva di conseguenza. Jay si identificava in lui, per certi versi, per questo si era subito affezionato.
Comunque quando si avvicinò per esaminare la macchina scelta dall'amico rimase quasi senza fiato: ottima scelta quella di Bill, senza dubbio.
Un'Alfa Romeo Mito nera, una di quelle a cui Bill era più affezionato -perché l'aveva guidata un paio di volte da giovane- e che Jay mai avrebbe creduto di poter utilizzare.
Quando si sedette al posto del guidatore saggiò cautamente lo sterzo, quasi avesse timore di romperlo, e alzò uno sguardo incerto in direzione di Bill, che annuì fiero, dando una pacca al fianco dell'auto e lanciandogli le chiavi che Jay afferrò al volo.
«Trattamela bene, hai capito?»
Jay annuì senza pensarci due volte. Poi un sorriso riconoscente pizzicò le sue labbra.
«Grazie, Bill.»
«Smettiamola con queste smancerie, e muoviti. Non vorrai che tuo fratello faccia la muffa, no?»
Di tutta risposta il ragazzo inserì le chiavi e quando mise in moto il rombo del motore sotto il sedile e sotto i piedi gli iniettò una scarica di adrenalina.
Si parte, pensò sollevando gli angoli della bocca.



* https://www.youtube.com/watch?v=WK0z87WrhGo minuto 3:03


~ Angolo Autrici { ovvero quelle folli di Lady Holmes e Miss Watson } ~

M
a salve!
Piaciuto questo primo capitolo di apertura? Si? No? A me e alla mia collega, Lady Holmes, si e pure un sacco (quanta modestia o.o n.d. L.H.)!v.v
Questa storia ci sta totalmente sconvolendo - e molti di voi, tra cui La sposa di Ade che salutiamo e ringraziamo per la sua gentile recensione sanno quanto sia difficile scrivere in coppia- e ciò è male. Perchè probabilmente non smetteremo di scriverne/parlarne/tentare di farci un film e pubblicarla
E perchè no? Un giorno potremmo anche decidere di mandarla a una casa editrice!
Ma tanto non la accetterebbero mai.
Ah, già, sono Lady Holmes nel caso non si fosse capito...
E non essere così pessimista! [n.d Miss Watson]
Comunque questo capitolo inizialmente doveva essere più lungo, ma poi abbiamo deciso di dividerlo in due. Quindi nel prossimo avremo ancora la presentazione del protagonista e della sua vita, ma tranquilli, l'azione non verrà a mancare. Ogni dettaglio che noterete qui è fondamentale per lo svolgersi della storia ;)
Che cosa ne pensate di Jay? E di Bill? In ogni caso, come sapete abbiamo scelto degli attori prestavolto, ergo, qui di seguito troverete Jay e Bill :D (in ordine di comparsa... ogni volta che comparirà un personaggio importante avrete la sua foto, non temete! ;) Se preferite non intaccare la vostra immaginazione potete anche non guardare, a noi non cambia! :D) Ma, come dire, uomini/donne avvisati mezzi salvati! v.v
Ci auguriamo che continuerete a seguirci e farci sapere cosa pensate della storia, noi siamo disponibili e aperte a tutte le domande, le richieste e i dubbi, quindi non temete :)
Compare, vuoi aggiungere qualcosa?
No, penso che li abbiamo torturati abbastanza XD
Quindi saluti dal magn... ahem fenomen.. ahem no, vabbeh dal duo Hourglass/gwapple!
E se ci tenete ecco a voi la nostra personale pagina autrici: https://www.facebook.com/#!/pages/Hourglass/118871514848691

***

1. La piccolina di Jay:

 
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2. La macchina scelta da Bill: 

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3. Il nostro Jay A. Denver: 

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4. William (Bill) White:

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Detto questo, alla prossima! ;)





   
 
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