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Autore: Pwhore    29/04/2012    2 recensioni
Fanfiction ispirata alla storia dietro 'I don't care if you're contagious' dei Pierce The Veil.
Amber è una ragazza come tante, che ha stretto la mano al suo ragazzo per la prima volta durante un concerto dei PTV. Questa è il racconto di come lei andrà a raccontarglielo.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cazzo, ancora qualche ora e li vedrò. I Pierce The Veil, la band che amo da più tempo in assoluto, i miei salvatori e i miei carnefici, coloro che mi hanno salvata dall'incubo che mi stava inghiottendo sempre di più e che mi hanno aiutata a rinascere; coloro che mi hanno trasformato dal brutto e inutile bruco che ero in una farfalla bellissima dai colori sgargianti e ammaliatori che a tutti piace ammirare; coloro che hanno fatto ricominciare a vivere qualcosa dentro di me con una forza inaudita e che ora non riesce più a fermarsi. Coloro a cui devo il mio attuale benessere, per farla breve.
Sono in treno da due ore circa ormai, sto andando su a San Diego a incontrarli. Faranno una signin' session, in cui se sarò abbastanza fortunata, riuscirò a parlargli e farmi una foto con loro. In realtà, se riuscissi ad averne il tempo, vorrei anche raccontargli una storia, che a esser sinceri è il motivo principale che mi spinge ad andare fin laggiù invece di aspettare che vengano fino alla mia città natale, tra qualche mese. Però dubito che quando verranno qui da me si fermeranno a fare autografi e foto; ho come l'impressione che questa sia la mia unica possibilità e che quindi debba fare di tutto pur di non sprecarla e riuscire a raggiungerli.
Comunque sono quasi arrivata, finalmente. Appena scenderò dal treno, mi aspetteranno dieci fermate di metro e cinquecento metri a piedi, durante i quali incontrerò ragazzi di tutti i tipi, tutti simili a me e con storie da raccontare, ma che non sempre sono disposti a parlare dei loro problemi. In un certo senso sono avvantaggiata, perché arrivando così presto non ci sarà troppa gente e riuscirò quasi sicuramente a incontrare il loro sguardo e rivolger loro un sorriso pieno di gratitudine. Spero davvero di riuscire a parlarci e, non so, sapere cosa ne pensano della mia storia. In fondo li riguarda tutti e quattro completamente, non possono rimanere insensibili tutto il tempo in cui parlerò, giusto? Dio, spero davvero di no, in quel caso avrei fatto tutta questa strada per niente. Be', no, non per niente, però preferirei che mi dicessero qualcosa al riguardo, in modo da mettermi l'anima in pace una volta per tutte e cercare di chiudere la faccenda e cicatrizzare la ferita.
Comunque manca davvero poco, cinque minuti forse, vedo la città dal finestrino. Cazzo, se è bella. E' enorme, i suoi grattacieli spiccano davvero tantissimo rispetto ai palazzetti bassi di casa mia. E poi c'è quel mare limpido e azzurro che la circonda, che accarezza le sue spiaggie con un tocco morbido e dolce e che sembra chiamarmi da quando ho cominciato a scorgerlo, mezz'ora fa. Posso solo immaginare il fascino di quelle coste bianche e sabbiose, visto che non ho tempo per visitarle o anche solo lanciargli uno sguardo, ma so di per certo che devono essere stupende; tutta la gente seduta attorno a me non fa che parlarne e raccontarsi delle loro avventure, dei loro figli che comandano le onde con le loro tavole da surf, di quanto sia piacevole stare lì a farsi accarezzare dal sole. Mi mettono addosso un po' di invidia e voglia di andarci, a essere sinceri, ma sono venuta qui per un motivo e non ho intenzione di sgarrare, anche se questa dovesse essere l'ultima volta che vedo San Diego e la California in generale. I miei idoli non si toccano.
Faccio giusto in tempo ad alzare gli occhi dal mio ipod che sento il fischio del treno che avvisa il capostazione che sta per entrare e fermarsi. Sorrido, un sorriso straripante di felicità ed emozione, e comincio a radunare la mia poca roba. Uno zaino nero ricoperto di scritte, un quaderno pieno di scarabocchi con relativo astuccio, una bottiglia d'acqua, qualcosa da mangiare, una felpa e qualche soldo. Avevo pensato a tutte le possibilità, persino quella che il treno potesse partire in ritardo, quindi avevo prenotato una stanza in un hotel gestito dai genitori di una mia amica, che non si sarebbero arrabbiati in caso non mi fossi presentata e che non mi avrebbero neanche fatto pagare il mancato pernottamento. Non sembra, ma sono brava ad organizzarmi, soprattutto se c'è in ballo qualcosa che m'interessa direttamente; ed io, in questa storia, sono dentro fino al collo. Infilo tutto nello zaino e raggiungo l'uscita, scendendo le scalette con un salto. Scruto un attimo la situazione ma non vedo nessuno che indossi magliette dei Pierce o che abbia un qualsiasi tipo di loro gadget, quindi mi sento un po' più rilassata e mi avvio verso la metro. Durante il tragitto non riesco a non pensare a tutto quello che gli dirò, ripeto il discorso mille e mille volta nella mia mente finché non lo imparo quasi a memoria, senza riuscire a smettere. Il mio cuore batte troppo velocemente, sento già l'adrenalina salire, e i miei tentativi di riprendere il controllo falliscono miseramente. Dieci minuti dopo sto già correndo lungo il corso, e non mi fermo finché non sento i miei polmoni raggrinzirsi per la mancanza di ossigeno; ma la sosta dura solo qualche manciata di secondi e poi via, via verso i miei idoli. Arrivo lì che la testa mi gira decisamente e alzando lo sguardo non posso che rimanere delusa dalla marea di gente che c'è prima di me. Mi affaccio verso la destra e vedo la fila ordinata di ragazzi estendersi per un centinaio di metri, prima d'incontrare un omone della security che ne fa passare uno alla volta. Era tutto organizzato nei minimi dettagli: non ci sarebbero mai dovute essere più di due persone a parlare col gruppo, e queste persone prima di avvicinarsi dovevano mostrare i contenuti delle loro borse e lasciar via tutte le armi che possedevano. La security teneva molto a questo tipo di procedimento, perché non ci vuole niente a un qualche maniaco per comprare una maglietta del gruppo, truccarsi in modo bislacco, infilarsi un paio di pantaloni strappati e fingersi un grande fan per poi avvicinarsi alla band e attaccarli con un coltello. Tanta gente crede che un comportamento del genere sia esagerato da parte degli addetti alla sicurezza, ma secondo me le persone così esistono; sono come quell'idiota che è andato a un concerto di Justin Bieber solo per tirargli una bottiglia d'acqua dalla folla. Non so se l'abbiano beccato o se sia tornato a casa a vantarsene con gli amici, ma sicuramente è un coglione e qualcuno dovrebbe insegnargli il rispetto a forza di calci in culo, altro che dirgli 'bravo.' Quello ha fatto una stronzata immane e il suo gesto è stato davvero offensivo nei confronti non solo del cantante, ma di tutti i suoi fan e quelli che si sono sempre adoperati per aiutarlo ad arrivare dov'è ora, e lo dico da persona che non ama la sua musica. Il rispetto vale per tutti, e prendere in giro la gente per ciò che ascolta è una stronzata, tanto più che ora è diventato di moda insultare la gente che ascolta pop e artisti che passano alla radio. Cristo santo, che ve ne frega a voi? I gusti sono loro, la vita pure, lasciateli respirare un attimo e fregatevene altamente, porca miseria.
Ad ogni modo, sono rimasta in fila per più di due ore prima di arrivare dove sono ora, cioè a cinque metri dalle guardie e con solo una ventina di ragazzi che mi precede. Credo che se tutto andrà bene, entro un'ora arriverà il mio turno, anche se il ragazzo di ora ci sta mettendo davvero un'eternità, a chiedere un autografo. Quando stava parlando con l'omone della security sembrava un sacco in ansia, molto più di tutti quelli che l'hanno preceduto, e quello continuava a sorridergli e a mettergli una mano sulla spalla, come per tranquillizzarlo e diminuire la sua paura. A quanto vedo, un po' ce l'ha fatta, anche se il ragazzo è ancora notevolmente spaventato e riesco a vederlo tremare fin da quaggiù. Spero di non apparire così anch'io, ho bisogno di un sacco di concentrazione e calma per fare quello che devo fare e non scoppiare nel pianto più penoso che quei poveracci possano aver mai visto; quindi ora sto facendo tutti gli esercizi di rilassamento che mi passino per la mente, e devo dire che stanno funzionando benone. Mi sto schiarendo ulteriormente le idee e sto riordinando tutti i miei pensieri, in modo da arrivare là e non ingarbugliarmi con le parole, parlare in modo chiaro e non a macchinetta come faccio di solito, e soprattutto, in modo da mantenere un certo ritegno.
Quindici persone. Nell'orecchino dell'uomo davanti a me è incastonata una pietra viola, bellissima, dentro cui giocano i raggi del sole, formando riflessi e figure di ogni tipo. Mi piacerebbe averne una.
Dieci persone. La tipa dietro a me si chiama Allison, è venuta con la sua amica Cassie e ascolta i Pierce da circa due anni, e per questo motivo tutta la scuola la prendeva in giro e la derideva.
Cinque persone. L'uomo della security sta sudando molto, vedo dal cartellino sul suo petto che si chiama Anthony.
Quattro persone. L'ansia mi assale.
Tre persone. Mi slego i capelli e mi sventaglio con il mio quaderno. Devo recuperare il controllo.
Due persone. Tiro fuori la penna e la stringo forte nel pugno, sostenendo lo sguardo di Anthony.
Una persona. Il mio sogno è a portata di mano. Devo stare attenta a ricordarmi di respirare.
Zero persone. Tocca a me. Anthony mi porge una mano e m'invita ad avvicinarmi, mi controlla lo zaino e poi mi autorizza a procedere con un cenno del capo, che ricambiai nello stesso modo. Rimango ferma un istante, chiudo gli occhi e respiro a fondo, sentendo il mondo fermarsi per la decina di secondi che mi servivano. Riapro gli occhi e avanzo con fare sicuro, sfoggiando il mio sorriso migliore e ricacciando indietro la nausea. Vic è lì, seduto davanti a me, mi guarda con curiosità e aspetta che io mi sieda. Ma io non voglio sedermi, voglio guardarli dall'alto al basso ancora per qualche secondo, quindi sostengo il suo sguardo con decisione. Tony mi scruta con l'aria di chi non capisce, così mi avvicino un altro po' e, restando in piedi, gli porgo la mano.
"Ciao, io sono Amber" esordisco.
Tengo la mano tesa finché loro, rotta la tensione iniziale, non si sporgono in avanti e ricambiano la stretta.
"Ciao, Amber" mi saluta Mike con voce gentile.
"Vuoi un autografo, una foto, un abbraccio o..?" azzarda Tony, inarcando un sopracciglio.
"In realtà vorrei raccontarvi una cosa" ribatto.
"Una cosa?" ripete Vic, guardando gli altri ragazzi con aria interrogativa. 
Sapevo cosa stava pensando. 'E se ci mette troppo e non ce la facciamo a incontrare tutti?'.
"Ce la farete, vedrai. Vi dirò il minimo indispensabile" commento, decisa.
Mike mi guarda, come se avesse inteso la serietà nella mia voce e nella mia richiesta.
"Va bene. Parla pure" acconsente.
Lo ringrazio con gli occhi, prendo un grande respiro e mi siedo, spostandomi i capelli dal volto.
"Sono cinque anni che vi ascolto. Da quando avete cominciato a suonare, praticamente. La vostra musica mi ha aiutata a superare tutti i colpi duri della mia vita e mi ha aiutata a trovare la felicità, ad un vostro concerto, il terzo a cui avevo partecipato quell'anno. Lui si chiamava Dan, e ci siamo stretti la mano per la prima volta mentre voi cantavate 'I don't care if you're contagious.' Era un ragazzo splendido, dolce, allegro, che aveva dovuto provare tutti gli sconforti che avevo provato io e che stava ancora attraversando un momento difficile, ma che nonostante tutto non aveva mai perso la voglia di sorridere. Col tempo ci siamo conosciuti meglio, abbiamo cominciato a freguentarci e in men che non si dica ci siamo innamorati perdutamente l'uno dell'altra; progettavamo addirittura di sposarci, prima o poi. Tutto questo finché, un mese fa, un incidente d'auto me l'ha portato via."
Sento i loro occhi sgranarsi e divorarmi ma non riesco a fermarmi, le parole mi travolgono come un fiume in piena e io ne sono completamente succube, devo soddisfare il loro desiderio di uscire e travolgere tutti.
"Lui era un ragazzo spontaneo, sincero, e il suo più grande desiderio era conoscervi e riuscire a stringervi le mani, 'perché sono importanti, salvano vite senza neanche rendersene conto, devono sapere tutto quello che hanno fatto per me e che continuano ancora a fare.' Il suo amore verso di voi era profondo, radicato nel suo animo, e non c'era giorno in cui lui non cantasse una vostra canzone sotto la doccia, per strada, in macchina. Lo avevate stregato completamente, come avete fatto con tutti noi, ed è solo grazie a voi che lui è stato veramente felice. Sono venuta qui da molto lontano solo per dirvi che vi sarò sempre riconoscente per averlo fatto vivere sereno, nonostante tutte le preoccupazioni che lo hanno sempre travolto, e per ringraziarvi. Grazie per tutto quello che avete fatto per lui, e che avete fatto per me. Senza la vostra musica non avremmo mai provato la vera felicità, e probabilmente non ci saremmo mai incontrati. Grazie per esserci sempre stati, e grazie soprattutto per avergli garantito una vita serena. Non smetterò mai di ringraziarvi per questo. La sua felicità quando vi ascoltava era enorme, gli brillava il viso, proprio come gli brillava l'ultima volta in cui l'ho visto. Grazie davvero, siete meravigliosi."
Okay, ho finito di parlare, sento due lacrime calde bagnarmi il volto e correre lungo le guance, per ricongiungersi infine lungo il collo. Non ho la forza di alzare gli occhi dal bancone ma so che devo farlo per Dan.
Quando incontro di nuovo i loro sguardi, i Pierce sembrano profondamente sconvolti e dispiaciuti. Jaime, che è rimasto zitto tutto il tempo, si sporge in avanti e mi stringe in un abbraccio spontaneo, di quelli che non possono che farti sorridere e farti tornare il sorriso. Sento i miei muscoli rilassarsi e la tensione allentarsi, mentre le mie lacrime scorrono e s'infrangono contro la spalla forte del ragazzo, senza smettere. Mi sento così vulnerabile, spaventata, ma so di aver fatto la cosa giusta e che Dan sarebbe fiero di me. Alzo lo sguardo al cielo e m'immagino che stia sorridendo, che mi stia dicendo che andrà tutto bene e che gli ho fatto il miglior regalo di sempre; e la cosa mi aiuta. Mi stacco da Jaime, che continua a cercare il mio sguardo, ma io glielo rifiuto, mi concentro su Tony. Lui sembra il più toccato di tutti, ha gli occhi lucidi e il labbro gli trema un po' mentre guarda il mio viso arrossato dalle lacrime. Si stropiccia il volto con il pugno e deglutisce, poi respira a fondo e mi guarda nuovamente. Ha l'aria di uno che vuole parlare ma che non sa con precisione cosa dire per migliorare le cose, e il fatto mi fa sorridere di cuore. Significa che gli importa e che vorrebbe potermi confortare in qualche modo; e questo è il gesto più bello che avesse potuto fare, oltre ad abbracciarmi. Così l'abbraccio io e gli dico che va tutto bene, perché ora Dan è in un posto migliore ed è fiero che i suoi idoli, i suoi ragazzi, siano rimasti così colpiti dalla sua storia e abbiano capito quanto siano stati importanti nella sua vita. Vic si unisce all'abbraccio e pian piano tutti quanti mi circondano con le braccia, conservando un religioso silenzio in segno di rispetto per il mio dolore e per la vita del mio ragazzo, stroncata troppo presto. Sento il clic della macchinetta, probabilmente Anthony mi ha fatto una foto, oppure sono stati i ragazzi in fila dietro di me. Non so se siano riusciti a sentire la mia storia, ma non m'interessa. Quello che conta è che ho portato a termine la mia missione e che i ragazzi sono qui attorno a me, a condividere il mio dolore e a sussurrarmi che Dan non può che essere fiero di avere una fidanzata come me, che ha affrontato tre ore di treno e tre ore di fila pure di raccontare la sua storia ai suoi idoli, senza che nessuno gliel'avesse neanche chiesto. Abbozzo un sorriso, commossa, e smetto di piangere.
"Grazie ragazzi. Grazie infinite," mormoro, annuendo col capo.
"Grazie a te e Dan per aver creduto in noi," ribatte Tony.
"Non dimenticheremo la tua storia," mi informa Vic.
"Dan vivrà sempre con noi, adesso," sorride Jaime.
Mike si limita a mandare un bacio verso il cielo e ad alzare il pollice, come se potesse vedere Dan.
Li guardo con aria riconoscente e mi stacco dall'abbraccio, tirando leggermente su col naso. Tony si avvicina di nuovo e agguanta il mio quaderno, lo sfoglia velocemente e trova una pagina libera. Ci scribacchia sopra qualcosa e passa il quaderno agli altri, che a loro volta imprimono una frase per me impiegandoci chi trenta secondi, chi due minuti. Alla fine del giro il quaderno rimane in mano a Jaime, che ci disegna sopra uno smiley e me lo porge, sorridendo da un orecchio all'altro. Li ringrazio un'ultima volta, un ringraziamento muto ma che vale più di mille parole, e mi allontano un po' da loro, le lacrime che cominciano a riformarsi nei miei occhi.
"Addio, ragazzi," mormoro. "Anzi, sono sicura che questo è solo un arrivederci."
Me ne vado piangendo, col loro calore ancora a coccolarmi le braccia, ma col cuore leggero.
Finalmente Dan può salire in paradiso contento per davvero, e io non avrò più niente da rimproverarmi.
Grazie di tutto, Pierce The Veil.
Non vi dimenticherò mai.
   
 
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