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Autore: CowgirlSara    22/11/2006    3 recensioni
Il ragazzo aveva riconosciuto la canzone, era un vecchio pezzo e la domanda che si poneva fu proprio la stessa che si fece lui quando vide una ragazza seduta esattamente nel suo angolo preferito: chi diavolo era quella tipa?!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci qua con l

Eccoci qua con l'ultimo capitolo di questa fan fiction. So che non è questo gran capolavoro o tra le migliori cose che ho scritto, ma mi sono comunque divertita a metterla giù. Volevo ringraziarvi per averla letta, in modo particolare chi ha lasciato anche un commento. Spero che il finale, seppur forse un po' sbrigativo, non vi deluda. Grazie ancora e alla prossima su queste pagine!

Un bacione

Sara

= 6 =
= The Surprise =



I can't stand the rain 
Against my window 
Because he's not here with me 
(I Can't Stand The Rain – Tina Turner)


Il tempo passò. I giorni diventarono settimane, le uniformi invernali furono sostituite da quelle estive e lo Shohoku si qualificò per le finali di prefettura. Natsumi e Kaede non si parlarono più.
Quando s’incrociavano nei corridoi s’ignoravano, salvo poi inseguirsi a vicenda con lo sguardo. Per riuscire a non incontrarsi, Kaede divenne l’ultimo ad arrivare agli allenamenti e Natsumi la prima a lasciare le prove. L’umore di entrambi, naturalmente, ebbe un netto peggioramento che, nel caso del ragazzo, si tramutò in un mutismo quasi patologico. 
I compagni di squadra evitavano Rukawa come se fosse portatore di qualche misterioso morbo e, quando ricevevano, come risposta ad una richiesta, uno dei suoi sguardi glaciali, saltavano via, quasi camminando sui muri stile uomo ragno.
La ragazza, per contro, era diventata acidissima e sarcastica, causando insofferenza strisciante nella band; Mito cercava di riportare la pace, ma anche la sua infinita pazienza si stava pian piano esaurendo.
Le cose, insomma, andavano male un po’ per tutti e non aiutava il fatto che i primi giorni di giugno si fossero presentati grigi e piovosi.
Un pomeriggio, mentre fuori veniva giù il finimondo, Yohei si avvicinò a Natsumi, che era presso una finestra. La ragazza guardava fuori con occhi distratti, preparando le sue cose per andare via.
“Che cosa hai?” Le domandò l’amico.
“Io?” Fece Natsumi, voltandosi verso di lui. “Niente.” Aggiunse poi, negando col capo e tornando a guardare fuori.
“Non raccontarmi storie.” Riprese il ragazzo tranquillo. “Sei intrattabile ultimamente, deve esserci qualcosa e credo di sapere di che si tratta.”
“Humpf…” Sbuffò lei, mentre chiudeva la lampo della sua borsa. “È normale che la faccenda mi faccia girare un po’ le palle, no?” Fece poi.
“Sei stata tu a mollarlo, però, Hayashibara.” Ribatté Mito con un sorrisetto.
“Io non l’ho mollato.” Precisò la ragazza, guardandolo. “Poiché non stavamo insieme.” 
“Ma a lui ci pensi sempre.” Affermò Yohei serio, fissandola; lei abbassò gli occhi.
“Non ho ancora il tasto reset.” Replicò amara, mettendosi in spalla la borsa. “E non mi sembra una buona soluzione, eliminare tutti i dannati giocatori di basket di questa scuola…” Aggiunse sarcastica, poi se n’andò, mentre Mito ridacchiava.
Fu proprio quel pomeriggio, mentre era in cucina a prepararsi uno spuntino, che a Natsumi sembrò di vedere qualcuno nel vicolo sotto casa sua. Le prime ombre della sera e la pioggia rendevano la visuale non buona, o forse era il suo cuore confuso a farle immaginare cose irreali, ma le sembrò proprio di vedere qualcuno in bicicletta, fermo all’angolo, vicino ai bidoni della spazzatura. Forse si sognò che era alto e coi capelli neri, perché come lo intravide si girò verso l’interno della stanza col cuore in tumulto e, quando riuscì a voltarsi di nuovo, non c’era nessuno a quell’incrocio.
La ragazza passò il resto della serata in camera sua, ascoltando una vecchia canzone di Tina Turner che sembrava perfetta per la sua situazione; nemmeno lei sopportava il rumore della pioggia sui vetri.

Who needs a heart
When a heart can be broken
(What’s love got to do with it – Tina Turner)


Guardando da lontano sarebbe potuto sembrare che il ragazzo pensasse a niente, seduto contro la ringhiera, lo sguardo fisso, immobile. In realtà i suoi pensieri erano più che agitati. 
Rukawa non era mai stato il tipo da perdersi in congetture, almeno fino a quando non aveva conosciuto Natsumi. Credeva che mai in vita sua avrebbe avuto un dubbio, beh, almeno finché non aveva conosciuto Sakuragi… Quelle due scimmie malefiche!
Alzò gli occhi e fissò senza espressione il cielo davanti a se. Lui era sempre stato il migliore in qualunque cosa gl’interessasse. Non era il primo della classe solo perché della scuola non gl’importava un cazzo. Tutte le sue energie, finora, erano rivolte al basket. Era andato avanti a testa bassa, come uno schiacciasassi, senza vedere o curarsi di chi gli stava intorno; il suo obiettivo era la cosa più importante. E poi… non avere sentimenti lo proteggeva dalla sofferenza. Nell’ultimo anno, però, si era dovuto rendere conto di essere fin troppo umano… 
L’incontro con Sakuragi ed il resto della squadra, prima, e quello con Natsumi poi, avevano cambiato inconsapevolmente il suo modo di vedere il mondo. E adesso se ne rendeva conto. Il dubbio era tra continuare come se niente fosse, facendo finta di non avere un cuore e di pensare solo alla pallacanestro, oppure vivere la vita come un diciassettenne dovrebbe fare.
Una cosa era sicura, Rukawa continuava ad essere uno cui non piaceva perdersi in congetture. L’attacco era la miglior difesa, e se questo valeva nel basket, poteva andare benissimo anche nella vita. C’era una sola certezza, questa situazione con Natsumi andava risolta una volta per tutte; non si poteva andare avanti così. 
Si alzò in piedi mentre suonava la campanella. La pausa pranzo era finita, ma non era quello il momento d’intervenire. Lo avrebbe fatto più tardi, non c’era fretta ora che la decisione era presa.
Il vento profumato di giugno scompigliò i capelli neri di Kaede, mentre s’incamminava verso la porta delle scale.

Finita l’ultima azione della partitella d’allenamento, Kaede alzò gli occhi sull’orologio della palestra. Si asciugò il sudore con la sua fascetta nera e cercò con lo sguardo il capitano.
“Hey, Miyaji.” Chiamò atono.
Ryota si voltò allarmato, riconoscendo la voce di Rukawa. “Sì?” Rispose, ritirando allo stesso tempo il collo, timoroso.
“Ti dispiace se vado via un po’ prima? Devo fare una commissione…” Gli chiese con noncuranza il ragazzo dai capelli neri; Miyaji sollevò sorpreso le sopracciglia.
“Ah…” Mormorò. “Ce… certo, fai pure…” Acconsentì infine, annuendo.
Rukawa biascicò un appena intelligibile grazie, gettò la palla che aveva in mano in un cesto e si diresse verso gli spogliatoi.
“Di’ un po’, Nano!” Gridava nel frattempo Sakuragi, avvicinandosi a Ryota minaccioso. “Com’è che a me non l’hai dato il permesso, quando te l’ho chiesto?!”
“Shhh…” Fece Miyaji con aria da cospiratore; poi si rivolse al compagno. “Non hai visto che sguardo da serial killer ha Rukawa ultimamente?” Hanamichi lo ascoltava aggrottando la fronte. “Non ho neanche diciotto anni, non ci tengo ad essere la sua prima vittima…”
“Secondo te dove va?” Gli domandò allora Sakuragi, piegandosi verso di lui per parlottare meglio; si era già calmato, la curiosità aveva avuto la meglio.
“Mah…” Rispose Ryota stringendosi nelle spalle. “Lo seguiamo?”
“Hey, voi due, pettegoli!” Li richiamò Ayako, facendoli sussultare. “Manca più di mezz’ora, tornate ad allenarvi!” E, per incitarli meglio, fece seguire un lungo fischio perentorio. Loro furono costretti ad ubbidirle.
Kaede, nel frattempo, si era infilato in tutta fretta la tuta ed era corso nella scuola, passando per il corridoio dei club. Sapeva che quella sera Natsumi aveva la riunione di classe. Se era fortunato l’avrebbe trovata ancora nell’edificio scolastico.
Quando arrivò in cima alle scale, trasse un sospiro di sollievo, vedendo la luce accesa nella quinta sezione del secondo anno. Ascoltando le voci si poteva intuire che si stessero salutando. Il ragazzo salì un paio di grandini della rampa successiva e si appoggiò al muro; non restava che aspettare.
Poco dopo tre persone, un ragazzo e due ragazze, uscirono dalla classe. Una di loro aveva i capelli viola. Kaede si staccò dal muro. I ragazzi in uniforme scolastica finirono di salutarsi, due di loro si diressero lungo il corridoio, mentre Natsumi raggiunse le scale.
La ragazza si accorse di Rukawa appena prima di posare la mano sulla ringhiera. Era sulla rampa superiore, leggermente sporto verso di lei. Natsumi spalancò gli occhi con espressione indignata, poi si precipitò giù per le scale. Lui le corse dietro.
A Rukawa bastarono un paio di balzi per raggiungerla, prima che lei svoltasse nella rampa che portava al pianterreno. Afferrò la ragazza per un braccio e la strinse a se con l’altro.
Passarono alcuni dilatati secondi di silenzio. Natsumi, stretta nell’abbraccio di Kaede, socchiuse gli occhi; anche attraverso l’odore penetrante del suo corpo appena uscito dagli allenamenti, la ragazza riusciva ad avvertire quel profumo delicato che era così suo. Un vortice di sensazioni la prese alla bocca dello stomaco, e la maggior parte non erano piacevoli…
Kaede, quando pensava di aver ormai raggiunto l’obiettivo, la sentì improvvisamente agitarsi. 
“Questo sarebbe una specie di bizzarro modo per chiedermi scusa?” Mormorò Natsumi, piegando appena la testa verso quella di lui.
“Forse…” Rispose Rukawa in un sussurro, vicino, troppo vicino al suo orecchio. Quasi come quella notte sulla bicicletta.
“Lasciami.” Gli ordinò calma la ragazza; dal suo tono, lui capì che sarebbe stato meglio ubbidire, quindi slacciò la presa e Natsumi scivolò via dalle sue braccia.
Hayashibara scese un paio di scalini, poi si voltò verso Rukawa. Aveva il fiato grosso, le guance arrossate e gli occhi lucidi. 
“Per chi cazzo mi hai presa, eh?” Gli gridò contro; la penombra dava al suo viso una lividezza inquietante. “Credi che basti? Pensi che io sia una di quelle ragazzine tutte miele e lacrime dei manga? Non hai capito un cazzo di me!” Continuò, mentre lui la fissava con sguardo colpevole. “Non hai la minima idea di come mi sono sentita quel giorno sul tetto, mi hai umiliata Rukawa e dovrai fare molto, ma molto di più per farti perdonare da me!”
Il ragazzo continuava a guardarla, senza sapere cosa dire o fare; quando vide una lacrima scendere sul viso di Natsumi, avrebbe voluto agire, ma si rese conto che qualunque cosa, in quel momento, sarebbe stata quella sbagliata.
Natsumi, all’improvviso, distolse lo sguardo da lui, scotendo il capo con un sorrisetto amaro e beffardo. “E anche adesso non dici niente…” Commentò poi, con tono deluso. “Tu non ti rendi conto di come mi fa sentire questa cosa!” Tornò a fissarlo con occhi saettanti. “Io, con te, sono INCAZZATA COME UNA BESTIA!” Gridò a pugni stretti. “Perciò, caro, se vuoi il mio perdono dovrai impegnarti, dare fondo alle tue scarse qualità per riuscire a sorprendermi!”
Detto questo, la ragazza gli diede velocemente le spalle e scese gli ultimi gradini di corsa. Rukawa rimase immobile, in cima alla rampa delle scale. Il fallimento del piano non era previsto. (*)

I see your true colors 
And that's why I love you 
So don't be afraid to let them show 
Your true colors 
True colors are beautiful, 
Like a rainbow
(True colors – Cindy Lauper)


Rukawa decise che era meglio lasciar passare un po’ di tempo, quindi riprese le sue attività ordinarie, senza pensare a Natsumi ed al modo migliore per chiederle scusa. Questo gli permise di affrontare al meglio le ultime fasi del campionato estivo.
Fu, però, alla fine di una delle ultime partite di qualificazione ai nazionali, quella contro il Ryonan, che un fatto estraneo e del tutto casuale, fece lo fece ripensare alla ragazza dai capelli viola.
Akira Sendoh, che era adesso il capitano della sua squadra, come sempre alla fine della partita, andò dagli avversari per salutarli con una stretta di mano ed il suo solito sorriso gentile. Semplicemente irritante. Tutti risposero al saluto, compreso Sakuragi, pur con i suoi modi da bufalo al pascolo. Rukawa, invece, glissò, con la sua solita arroganza. E Sendoh stavolta non stette zitto.
“Lascia che ti dia un consiglio, Rukawa, senza offesa.” Esordì tranquillo. “Impara l’umiltà, perché con questo atteggiamento, forse diventerai il dio del basket, ma nella vita resterai una merda.”
Kaede, sul momento, non dette importanza alle parole del capitano del Ryonan, anzi sbuffò e gli diede le spalle, ma nei giorni successivi si ritrovò a pensarci sempre più spesso. Si disse che probabilmente era a causa dei sensi di colpa che provava nei confronti di Natsumi. 
Rimuginando sulla faccenda, steso nel proprio letto, con nelle orecchie un vecchio pezzo di Cindy Lauper, ebbe l’improvvisa illuminazione; Rukawa realizzò cosa avrebbe dovuto fare. Niente più dubbi, la doveva sorprendere. Gli costava quella soluzione, ma decise di dare retta al testo della canzone. Sempre che, da qualche parte, ci fossero dei colori da mostrare…

Natsumi seguì la madre lungo il vialetto a testa bassa; si era convinta ad andare a fare la spesa con lei soprattutto per non pensare a Rukawa. Non sapeva perché, ma rimanere da sola, ultimamente, le faceva quell’effetto. Forse per colpa di quella simpatica uscita sulle scale? Pensò sarcastica la ragazza. Doveva ammettere, però, che la buona volontà ce l’aveva messa…
Persa nei propri pensieri, non si accorse subito del ragazzo davanti al cancello, come invece fece sua madre. La donna, del resto, davanti ad un tipo come quello, non aveva potuto combattere il desiderio di tornare indietro di vent’anni.
La prima cosa che Natsumi vide di lui furono due lunghissimi piedi dentro ad un paio di Adidas blu con righe bianche. Cominciò ad alzare piano lo sguardo, percorrendo dei jeans slavati e poi un maglioncino di cotone blu. Data la lunghezza di tale percorso, Natsumi aveva già capito di chi si trattava ben prima di raggiungere un volto dai tratti eleganti che la fissava con espressione colpevole. Gli enigmatici occhi blu e la liscia frangia corvina le diedero solo la conferma.
Sbuffò scocciata, roteando gli occhi; quindi incrociò le braccia. “Che ci fai qui?” Gli chiese con diffidenza.
“Mi chiedevo se…” Esordì Rukawa, lanciando uno sguardo interrogativo alla madre della ragazza.
La donna gettò la sua sigaretta e la spense, poi gli sorrise enigmatica e si appoggiò al muro, come se aspettasse l’evoluzione della scena. Kaede, perplesso, tornò a guardare Natsumi.
“Mi chiedevo se volevi venire con me in un posto…” Disse alla ragazza.
“Mi spiace.” Rispose immediata lei. “Devo andare a fare la spesa con mia madre.” Aggiunse; il ragazzo abbassò gli occhi deluso.
“Tranquilla, Na-chan.” Intervenne all’improvviso la madre di Hayashibara; i due ragazzi si voltarono verso di lei. “Ho poche cose da prendere, non ho bisogno di te.”
Natsumi spalancò la bocca incredula. “Mamma!” Esclamò indignata.
“Ci vediamo dopo.” Rispose soltanto la donna, allontanandosi e accendendo una nuova sigaretta.
I due ragazzi rimasero davanti al cancello. Natsumi continuava a seguire con lo sguardo la madre, incapace di credere che l’avesse abbandonata in una situazione tanto imbarazzante. Rukawa, invece, aveva spostato gli occhi su di lei.
“Allora… vieni con me?” Le domandò quindi.
La ragazza sollevò su di lui uno sguardo truce. “Se non ho alternativa…” Rispose malamente.

Have I said too much 
Maybe I haven't said enough 
But know that every word was a piece of my heart
(Every Word Was A Piece Of My Heart – Jon Bon Jovi)


Natsumi si domandava quale senso avesse camminare da quasi mezz’ora, calpestando bacche di gelso, nel parco della seconda scuola elementare del primo distretto di Kanagawa… Alzò perplessa gli occhi sul ragazzo, fermo a qualche metro da lei; aveva le mani in tasca e guardava in basso, calciando la ghiaia ai suoi piedi.
“Rukawa?” Lo chiamò interrogativa; lui si voltò nella sua direzione.
“Hn?” Fece poi, sollevando un sopracciglio.
“Che cavolo ci facciamo qui?!” Gli chiese Natsumi infastidita.
Kaede riabbassò lo sguardo e le diede anche le spalle, continuando a muovere la terra con la punta della scarpe; la ragazza roteò gli occhi arresa, pronta per l’ennesima infinita pausa alla Rukawa…
“Ecco…” Esordì, però, il ragazzo dopo qualche secondo. “…mi sembrava di aver capito che… beh, il problema fosse che non ci conoscevamo abbastanza…” Natsumi lo fissava incredula. “…quindi…”
“Quindi?!” Lo spronò lei, avvicinandosi di un passo.
Rukawa si girò improvvisamente verso l’edificio scolastico. “Qui è dove ho iniziato a giocare a basket…”
E Natsumi capì, quasi all’improvviso. C’erano cose di sé che Kaede non le avrebbe mai detto a voce; semplicemente perché non ne era capace, andava contro al sua natura. Ma le parole non sono l’unico modo di far capire qualcosa. E allora, se questo era l’unico modo per avvicinarsi al riccio, tanto valeva pungersi un po’ le dita.
“Ah, hai iniziato qui…” Mormorò quindi la ragazza, mettendosi ad osservare la scuola.
“Hn… sì…” Rispose laconico lui.
Attraverso i muri di mattoni rossi la raggiungevano le voci fresche dei bambini. Natsumi seguì con lo sguardo il graffiti di un drago colorato che percorreva il fianco dell’edificio, fino a trovare le finestre alte di una palestra. Da lì le voci giungevano più forti ed entusiaste. 
“Sembra che stiano giocando…” Affermò senza togliere gli occhi dalla palestra. “Che ne dici se andiamo a guardare un po’?” Propose poi, entusiasta, voltandosi verso il ragazzo.
“Scherzi?” Fece Rukawa. “I bambini che giocano a basket sono patetici…” Aggiunse con aria di superiorità.
“Anche tu eri patetico?” Gli domandò allora lei, con un sorrisino provocatorio.
Kaede alzò un sopracciglio, poi sbuffò. “Io ero il migliore.” Dichiarò sicuro, incrociando le braccia.
Natsumi rise, facendo un giro su stessa. “E come ti sbagli!” Commentò divertita. “Dai, andiamo.” Soggiunse quindi, prendendo Rukawa per un braccio e trascinandolo con se.

Videro tutto il secondo tempo, durante il quale Natsumi fece un tifo indiavolato per la squadra di casa e Kaede condusse una silenziosa battaglia con se stesso per trattenersi dall’andare ad insegnare a quelle mezze seghe come si fa un vero passaggio. La passeggiata, quindi, continuò nel centro della città. 
I ragazzi camminavano uno affianco all’altro, ma lontani almeno una spanna. Lei, ogni tanto, lo scrutava; la sua espressione sembrava sempre la stessa, ma era molto bello sentire il suo profumo, mentre le camminava vicino. Natsumi era ancora persa dietro la contemplazione del profilo del ragazzo, quando lui l’afferrò per un braccio, non troppo delicatamente, e la trascinò in un vicolo.
La ragazza si aspettava qualche ritorno di passione, un bacio mozzafiato, abbracci cinematografici, richieste di perdono, chessò… Ora non esagerare, Natsumi… Kaede, invece, la fece entrare in un piccolo negozio. 
Una volta ripresasi dalla sorpresa si guardò intorno. Il locale era composto da una sola lunga stanza rettangolare ed era letteralmente stipato di dischi, poster e cartonati; gli scaffali straripavano di vecchi vinile e lo spazio dove passare era limitato. Dietro lo stretto banco, occupato quasi interamente dal registratore di cassa, c’era un tizio che leggeva un libro; gli strani capelli lunghi e biondicci, gli occhiali sul naso e la maglietta psichedelica lo rendevano un personaggio alquanto bizzarro.
Natsumi, piacevolmente sorpresa, si mise ad ascoltare la musica diffusa nell’ambiente ed i suoi occhi s’illuminarono. Si voltò verso Rukawa, sorprendendolo a fissarla con un sopracciglio alzato.
“Questa è Nebraska di Springsteen!” Esclamò la ragazza incredula.
“Hn, sì…” Rispose tranquillo lui, mettendosi a guardare i dischi.
“In Giappone saremo in tre a conoscerla!” Dichiarò ancora Natsumi, stupita che Rukawa ne sapesse il titolo.
“E siamo tutti e tre in questo negozio, dolcezza.” Intervenne il proprietario, senza alzare gli occhi dal suo libro; lei sorrise divertita.
La ragazza, poi, si avvicinò a Kaede, che stava spulciando distrattamente (almeno all’apparenza) alcuni vinile dai titoli storici.
“È fantastico questo posto.” Gli sussurrò. “Come lo hai scoperto?” Chiese quindi.
“Hn… mi ci portava mio padre… anni fa…” Rispose laconico il ragazzo, spostandosi ad un altro scaffale.
“Tuo padre è appassionato di musica?” Domandò Natsumi.
“Hn, sì…”
“E che genere preferisce?” Continuò la ragazza.
“Non ha un genere preferito.” Fece Kaede, stringendosi nelle spalle. “Gli piace tutto, da Sinatra ai Led Zeppelin…” Aggiunse voltandosi. 
“Ah, ma senti…” Commentò interessata lei. “Anche tu sei così eclettico?”
Rukawa si strinse nelle spalle, continuando il giro tra i dischi. “Credo di sì.” Rispose infine.
“Interessante…” Fece Natsumi, seguendolo con un sorriso allegro. “Mi piace!” Sentenziò poi; lui si girò e sollevò un sopracciglio. Trascorsero nel locale più di un’ora.

Usciti dal negozio, i due ragazzi si avviarono a casa passando per il lungomare. L’oceano s’infrangeva placido sulla battigia, in quel tiepido tramonto, mentre Kaede e Natsumi camminavano tranquilli sul marciapiede sporcato dalla sabbia.
Lui era più avanti, le mani in tasca e lo sguardo fisso sull’orizzonte; lei, qualche passo più indietro, rifletteva sull’olimpica imperturbabilità del ragazzo dai capelli neri, convinta più che mai a scoprire quanti più particolari della sua enigmatica personalità. 
“Com’è che tuo padre non viene più al negozio di dischi?” Gli chiese all’improvviso.
“Hn?” Fece lui girandosi con un sopracciglio alzato.
“Perché non vai più al negozio con tuo padre?” Ripeté la ragazza.
“Ah…” Mormorò Rukawa, poi si passò una mano tra i capelli, voltandosi verso il mare. “Lavora all’estero, lo vedo sì e no due volte l’anno…” Rispose infine; a Natsumi non sfuggì una nota di rammarico nella sua voce.
“E tua madre?” Continuò lei, sperando che Kaede si aprisse almeno un po’.
“Fa l’architetto.” Dichiarò il ragazzo. “Lavora anche quindici ore al giorno, non la vedo mai.” Continuava a guardare il mare con espressione assolutamente impassibile, ma in qualche modo si capiva che non amava quella situazione.
“Chi si occupa di te, quindi?” S’informò Natsumi, aggrottando la fronte.
“Abbiamo una governante, Tata Kyoko.” Spiegò indifferente Kaede.
La ragazza sorrise, rassicurata dal fatto che un adolescente maschio non dovesse farsi il bucato da solo; quindi si avvicinò a Rukawa e con un piccolo balzo salì a sedere sul muretto che divideva il lungomare dalla spiaggia.
“Sai…” Iniziò a parlare senza curarsi se lui l’ascoltava o no. “…è stato mio padre, anche nel mio caso, a farmi appassionare alla musica.” Affermò tranquilla. “Lavorava al porto di Tokyo, è morto cinque anni fa, in un incidente sul lavoro…” Kaede sollevò, sorpreso, gli occhi su di lei, ma l’espressione della ragazza sembrava tranquilla, tranne che per gli occhi un po’ lucidi. “Adorava Bruce Springsteen, per questo conosco Nebraska.”
Rukawa fece un breve sorriso sorprendentemente dolce, che Natsumi intercettò quasi per miracolo. Gli rispose allo stesso modo, luminosa, poi si fissarono per qualche istante negl’occhi.
“Posso farti qualche domanda a risposta diretta?” Gli chiese allora la ragazza.
“Come sarebbe?” Replicò perplesso lui.
“Io ti faccio una domanda e tu mi dai una risposta secca.” Spiegò lei.
“Hn, ok…” Acconsentì Kaede, dopo una breve riflessione. E cominciò l’intervista.
“Qual è il tuo colore preferito?” Esordì Natsumi.
“Il blu.” Rispose lui senza scomporsi.
“Avrei giurato il nero…” Rifletté lei.
“Hn, no…”
“Andiamo avanti.” Tagliò corto Hayashibara, cosa che Rukawa gradì. “Il tuo piatto preferito?”
“Mangio poco e non mi piace niente in particolare.” Affermò lui atono.
“Ma, dai, non è possibile!” Esclamò incredula la ragazza. “Ci deve essere qualcosa che ami di più, non posso credere che non ci sia niente!”
Kaede sembrò riflettere per qualche attimo, con la fronte aggrottata. Natsumi, in pochi istanti, si perse nel magico contrasto tra la sua pelle candida e la sua zazzera lucidissima e corvina. Lui, però, spostò quasi subito gli occhi di nuovo su di lei.
“I biscotti al cioccolato di tata Kyoko, forse…” Ammise quindi il ragazzo, stringendosi nelle spalle.
“Vedi che qualcosa c’era!” Sbottò allegra Natsumi.
Rukawa sbuffò, appoggiandosi al muretto. “Dai, vai avanti, che mi sto per rompere le palle…” La incitò poi, svogliatamente.
“Oh, ok!” Ribatté lei, divertita. “Vediamo… qual è il tuo numero fortunato?”
Il ragazzo roteò gli occhi, rassegnato. “Trovo che avere un numero fortunato sia una cosa stupida.” Rispose poi, secco.
“Ah!” Fece Natsumi sorpresa. “Questo significa che non sei superstizioso come tutti gli sportivi?”
Lui scosse il capo. “No, assolutamente… ho anche un gatto nero…” 
“Hai un gatto?!” Esclamò incredula la ragazza. “Hai un animale domestico?”
“Oh, ma per chi mi hai preso?” Replicò offeso Rukawa. “Sono una persona normale…” Lei gli lanciò uno sguardo scettico. “Vabbè, quasi…” Aggiunse quindi lui; Natsumi ridacchiò.

La risacca pigra del mare cullava la fine della giornata, ma ci sarebbero state molte altre domande da fare. Natsumi sfiorò con lo sguardo il profilo chiaro di Kaede, poi sorrise dolcemente, scotendo il capo. Rukawa era proprio il ragazzo più strano di cui si fosse innamorata. E voleva conoscerlo, come mai aveva desiderato conoscere qualcuno, voleva svelare i suoi segreti, conoscere la tenerezza oltre la maschera gelida…
“Qual è la tua canzone preferita in assoluto?” Domandò la ragazza, riprendendo l’intervista.
“Di che colore sono veramente i tuoi capelli?” Chiese invece lui, sovrapponendosi alla richiesta di Natsumi e sorprendendola.
La ragazza spalancò gli occhi, non si aspettava una sua domanda. Kaede la fissava tranquillo, ma i suoi occhi erano talmente penetranti che Natsumi arrossì, chinando il capo.
“Niente di che…” Mormorò poi, stringendosi nelle spalle. “…castani…”
Rukawa si girò meglio verso di lei, appoggiandosi sinuoso al muretto, poi allungò una mano, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte con le sue lunghe dita eleganti. A quel delicatissimo tocco, Natsumi socchiuse gli occhi e un brivido le percorse la pelle.
“Credo che il tuo vero colore farebbe risaltare i tuoi occhi.” Le disse il ragazzo sistemandole i capelli dietro l’orecchio con delicatezza. “Sono molto belli…” Aggiunse poi.
Natsumi, spiazzata, non seppe fare altro che abbassare gli occhi, troppo emozionata da quelle parole per riuscire a guardarlo, mentre lui ritraeva la mano. Poco dopo, però, rialzò lo sguardo, incontrando i due zaffiri trasparenti che erano gli occhi di Kaede.
“Lo pensi davvero?” Gli chiese, lui si limitò ad annuire con un mezzo sorriso; lei arrossì di nuovo.

“Eccoci qua.” Affermò Hayashibara, fermandosi nel vialetto che conduceva all’entrata del suo condominio; quando si voltò verso Rukawa, ruotando su se stessa, lo trovò lì, che la guardava distrattamente con le mani in tasca.
“È stato così terribile, uscire con me?” Gli domandò quindi, con un sorriso divertito e provocatorio.
“Questo era un appuntamento?” Replicò lui alzando un sopracciglio.
Natsumi scosse il capo con un sorriso. “No.” Gli rispose poi. “Era un’improvvisazione, ma non è andata male, no?”
“Hn, sì…” Fece lui noncurante, aggrottando appena le sopracciglia sottili.
“Sei incorreggibile…” Lo rimproverò poco seriamente la ragazza, poi si guardò intorno. “Beh, adesso vado, ci vediamo lunedì a scuola…”
“Mi saluti così?” L’interruppe lui; Natsumi lo guardò sorpresa.
“E come dovrei salutarti?” Replicò poi, sollevando interrogativa un sopracciglio.
Un lampo furbo e malizioso passò velocissimo negl’occhi di Kaede, appena prima che prendesse la ragazza per le spalle e si abbassasse sulle sue labbra. Il bacio fu delicatissimo, niente a che fare con quelli quasi famelici che si erano sempre scambiati. C’era tenerezza e leggerezza. E voglia vera di darle un bacio. Natsumi si affidò a lui e non rimase delusa.
“Ciao.” Le sussurrò all’orecchio, quando si staccarono; quindi si allontanò, con una ciocca dei suoi capelli tra le dita, che lasciò andare lentamente.
“Ciao.” Gli disse lei sorridendo felice.
Così si separarono. Il ragazzo si diresse verso il cancello e lei verso l’entrata del palazzo. Natsumi, però, quando finì di salire la prima rampa di scale si fermò; si sporse dal parapetto, in direzione di Rukawa che stava uscendo dal cancello.
“Hey, Straniero!” Gli gridò richiamandolo; lui si girò.
“Hn?” Fece interrogativo.
“Poi non mi hai detto qual è la tua canzone preferita!” 
Kaede alzò un angolo della bocca in un sorriso sghembo. “Purple Rain.” Rispose poi; lei gli sorrise e lui se ne andò, sollevando una mano in saluto.

I never wanted 2 be your weekend lover 
I only wanted 2 be some kind of friend, hey 
Baby, I could never steal U from another 
It's such a shame our friendship had 2 end...
(Purple Rain – Prince)

Era una mattina splendente. Una bella mattina d’inizio estate. Il cielo terso con solo poche, rare, nuvole sparse e bianchissime. L’aria profumava di mare. E Natsumi si sentiva particolarmente leggera, mentre camminava verso la scuola.
La ragazza non sentì la bicicletta finché non frenò vicino a lei; quindi si fermò, voltandosi. Rukawa, era lì, splendido come un crepuscolo di primavera.
“Ciao!” Lo salutò lei allegramente.
“Nh…” Ribatté lui, con un cenno del capo. “Andiamo, sali.” Aggiunse, invitandola sulla bici.
Natsumi spalancò gli occhi; questa proprio non se l’aspettava. Sì, vabbene, le cose sabato si erano evolute in modo molto positivo, ma questo… questo era…
La ragazza aggrottò la fronte. “Ti rendi conto, vero, di che significa questo? Di cosa penseranno, quando arriveremo a scuola insieme, sulla tua bicicletta?” Lui si limitò ad annuire.
“Beh, stiamo insieme, no?” Fece poi, abbassando il capo. 
“Stiamo insieme?!” Ribatté lei incredula.
“Beh, sì…” Biascicò Kaede guardando il marciapiede. “Sempre che tu voglia provare a stare con un tizio scarsamente romantico, piuttosto presuntuoso e dalla conversazione stitica, che si dimenticherà sistematicamente compleanni e feste comandate e ti costringerà a passare interi week end a vedere la NBA…” Affermò poi, tutto d’un fiato, inanellando la frase più lunga da quando lo conosceva.
Natsumi sorrise, era quasi commossa. “Vorrei provarci…” Gli rispose, avvicinandosi a lui.
“Allora sali?” L’interrogò Rukawa, piegando il capo di lato.
“Sì, salgo.” 
E quel sì aveva un significato più profondo, voleva dire accettare Kaede così com’era, con tutti i suoi meravigliosi difetti e le sue nascoste virtù. Ma adesso, Natsumi avrebbe avuto molto tempo per conoscere a fondo quel ragazzo indecifrabile. E per farsi conoscere da lui.
Salì sulla canna della bicicletta. Lui rimise le mani sul manubrio, facendola appoggiare al suo torace. Natsumi lo guardò, lui sorrise appena e le sfiorò le labbra con un bacio lieve.
E l’aria profumava di mare. Ed il cielo era terso, con poche nuvole bianche. Era una bella mattina d’estate.

Il cortile dello Shohoku, nel frattempo, stava per essere teatro di un altro necessario chiarimento. 
Hanamichi, mentre aspettava di entrare a scuola, vide arrivare Haruko insieme alle sue amiche. Le ragazze si fermarono a parlare sulle scale davanti all’entrata. Sakuragi la fissò per un lungo istante, con espressione assorta, poi chinò il capo sbuffando.
“Ha ragione Rukawa.” Affermò quindi; gli altri dell’Armata alzarono su di lui sguardi allibiti.
“Come hai detto?!” Mormorò incredulo Noma.
“Hana, ma stai bene?” Intervenne preoccupato Mito, sotto gli sguardi perplessi di Okusu e Takamiya.
“Devo parlarle ora, o potrei pentirmene.” Continuò Sakuragi, sempre con sguardo pensoso, come se non li avesse sentiti, poi tornò a guardare Haruko.
Yohei comprese. Stava parlando della ragazza. Rukawa doveva avergli detto qualcosa. Si avvicinò all’amico, posandogli una mano sulla spalla.
“Sì, dovresti farlo.” Gli consigliò, quindi, dolcemente.
“Allora… vado…” Soggiunse timoroso Hanamichi, guardando negl’occhi Mito come per cercare sostegno.
“Vai.” L’incitò l’amico con un sorriso.
Sakuragi, allora, si staccò dal gruppo degli amici, guardandosi intorno con aria smarrita e torcendosi le mani; poi, dopo essersi grattato la nuca, assunse un’espressione più decisa e si diresse verso Haruko a grandi passi. La strana camminata lo faceva sembrare decisamente goffo. Yohei trattenne un sorriso.
“Cia… ciao Ha… Haruko…” Balbettò quando la raggiunse.
La ragazza si voltò con un sorriso. “Oh, ciao! Buongiorno Hanamichi!” Lo salutò dolcemente.
“Ci… ciao!” Ripeté lui imbarazzato, strusciandosi la nuca con una mano; lei lo guardò interrogativa.
“Hai bisogno di qualcosa?” Gli chiese quindi.
“Io?” Fece il ragazzo indicandosi. “Io no, no, no, no!” Negò con veemenza.
“Beh, allora io vado…” Disse allora Haruko, incamminandosi verso la porta della scuola. “Ci vediamo dopo agli allenam…”
“No, aspetta!” La bloccò lui. “Io… io devo… parlarti…” Aggiunse titubante.
“Ah…” Replicò la studentessa sorpresa, poi si voltò verso le amiche. “Mi aspettate agli armadietti, ragazze?” Chiese, loro annuirono per poi allontanarsi. “Cosa c’è, allora?” Continuò poi, tornando a rivolgersi al ragazzo dai capelli rossi. A pensarci bene, adesso… anche la sua faccia era rossa…
“Ha… Haruko…” Esordì quindi un balbettante Hanamichi. “…ti… ti ricordi di que… quello che ti dissi quando mi hanno portato via in barella?” Riuscì a biascicare infine.
“Certo che mi ricordo!” Ribatté lei con un sorriso. “Come potrei dimenticarmene?” Aggiunse con dolcezza.
“Ah… bene!” Fece Sakuragi sorpreso. “Pe… perché i… i… io vorrei che tu sapessi che… che per me…” S’indicò con mano tremante. “…è ancora valido quel che ti ho detto…”
Haruko lo guardò negl’occhi con un tenero sorriso sulle labbra. “Mi fa tanto piacere, questo…” Mormorò; poi, però il suo sguardo si spostò oltre Hanamichi, verso il cancello della scuola. “Ma quello… non è Rukawa?”
Quando Hanamichi sentì pronunciare il nome dell’eterno rivale, roteò immediatamente gli occhi esasperato, pronto a mettersi a pensare ad infiniti e truculenti modi per liberarsi della malefica Kitsune; questo prima di accorgersi che il tono di Haruko sembrava diverso… Non era, come al solito, adorante e fatuo, ma più curioso e sorpreso. Sakuragi, così, si girò verso il cancello.
Rukawa era appena entrato nel cortile, come sempre in sella alla bicicletta. La cosa strana era che, seduta sulla canna, tra le sue braccia, c’era la Stampella Viola e i due si guardavano negl’occhi in un modo che non lasciava adito a dubbi. Ad Hanamichi scappò un breve sorriso: la Volpaccia ce l’aveva fatta a dichiararsi, alla fine!
“Ah, sì…” Fece poi. “…adesso è impegnato, lui.”
Haruko tornò a guardare il ragazzo che le stava di fronte. “Sono contenta che abbia trovato la ragazza giusta.” Affermò stranamente tranquilla.
Hanamichi abbassò gli occhi su di lei. “Ti piace ancora?” Le domandò serio.
La ragazza lo fissò per un lungo istante nei profondi occhi scuri. “No… io credo che la cotta mi sia passata…” Rispose infine, abbassando lo sguardo; Sakuragi sgranò gli occhi. “Non sono più convinta che Rukawa sia il mio tipo… penso… penso che mi piaccia un altro…” Confessò poi.
Il ragazzo, in quell’istante, fu pervaso da un possente raggio di speranza e allargò le labbra in un sorriso a tremila denti. “Ti piace qualcun altro?!” Chiese eccitato.
“Sono una bella coppia.” Glissò però Haruko, continuando a guardare Rukawa e Hayashibara. “Potremmo uscire insieme, una volta.” Aggiunse poi, tornando a guardare Hanamichi.
“Uscire… chi?!” Riuscì ad articolare il ragazzo, cui quasi mancava la voce.
“Beh, Rukawa e la sua ragazza e… io e te…” Rispose lei tranquilla, continuando a guardarlo negl’occhi. Sakuragi, ormai, era partito per un altro pianeta.
“Io…” Mormorò, indicando la ragazza. “…e te?!” Continuò indicando se stesso e provocando la risata di Haruko. “Cioè, te e io, insomma… te e… NOI?!?!”
“Ma sì, secondo me sarebbe carino…” Soggiunse lei, con un sorriso calmo.
“Carino… carino… carinissimo!” Esclamò entusiasta Hanamichi, che tanto non capiva più nulla. “Ma sappi che non sono favorevole allo scambio di coppia!” Aggiunse, con tono da Tensai; Haruko rise e poi si allontanò verso l’entra della scuola, mentre suonava la campanella.
“Chiamami per metterci d’accordo, ciaooo!” Lo salutò correndo su per le scale.
“Se ti chiamo? Certo che ti chiamo! Eccome se ti chiamo!” Ribatté il ragazzo sventolando sguaiatamente la mano, quindi si voltò verso gli amici. “Ce l’ho fatta!” Proclamò con un saltello. “Sono il Tensai dell’amore!” Yohei scosse la testa con un sorriso divertito.
“Sgancia i soldi, Noma…” Mormorava Okusu nel frattempo.
“Uffa…” Si lamentò l’amico. “…avrei giurato che lo avrebbe rimbalzato anche questa…”
“Oku, quanto ti devo io?” Domandava allo stesso tempo Takamiya.

Il cielo sopra il Liceo Shohoku era di un azzurro intenso e limpido. L’ora di pranzo. La terrazza era deserta, nell’aria solo le note di una canzone.
Rukawa era steso a terra, con le braccia e le gambe allargate, gli occhi chiusi. Quando sentì delle dita leggere sfiorare la sua mano, allargò il pugno, permettendo all’altra di posarcisi sopra; poi la strinse piano. 
Natsumi era stesa come lui, solo nella direzione opposta. La sua testa violetta sfiorava i capelli neri del ragazzo. Una sua mano in quella di lui, ora. L’altro braccio raggiungeva solo metà di quello del giocatore di basket, ma questo non toglieva il sorriso dalle sue labbra.
La ragazza girò il capo e aprì gli occhi, incontrando quelli di Kaede. Sorrise e si avvicinò un poco di più. Le loro labbra si sfiorarono appena. Nell’aria solo una canzone.

All I ever wanted 
All I ever needed 
Is here in my arms 
Words are very unnecessary 
They can only do harm
(Enjoy The Silence – Depeche Mode)

FINE

(*) So che in questa sezione è stata pubblicata una ff in cui compare una scena simile a questa, anche nel dialogo; volevo solo dire che non mi sono ispirata a quella, perché io la scena l'avevo già scritta quando ho letto quella ff, ma bensì (come avrete capito) alla ben più popolare scena dell'anime Candy Candy, anche se il finale è decisamente diverso. Questo solo per chiarezza.






   
 
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