Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: SAranel    30/04/2012    5 recensioni
Senza di lui, John si sente vuoto, perso. Senza di lui, John è incompleto.
Un avviso importante, prima. Qui sotto è indicato il genere 'Malinconico, Introspettivo' ma vi do un consiglio, se non masticate i due generi e ne preferite altri più...leggeri. Non tutto è come sembra. Tutto qui.
"Forse avrebbe dovuto chiamare Harry, sfogarsi con lei, darle una chance per comportarsi da buona sorella maggiore, per una volta. Avrebbe potuto chiedere a Sarah di uscire per una cena, un film, una passeggiata. Pensò a tutte le ipotesi possibili, ad ogni probabile scusa, pur di non ritornare a casa quella sera, pur di non essere costretto ad affrontare fantasmi mai del tutto dimenticati.
John però non aveva davvero voglia di divertirsi, o di svagarsi o di fare qualcosa di diverso da ciò che amava fare. E quello che amava era stare con lui, sfiorarlo, sfiorare la sua morbidezza delicata, sentirsi…abbracciare in quella stretta solamente loro. E per colpa di qualcosa di inspiegabile, di un gesto che John non aveva ancora compreso e che lo lasciava pieno di rabbia, frustrazione, impotenza, lui era sparito come ghiaccio al sole, lasciandolo solo, vuoto. E tutto per colpa…di quell’uomo."[...]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Buongiorno/sera!
Non ho idea di quando pubblicherò questa storia, ma sto già scrivendo le note in cima alla pagina, giusto per avvantaggiarmi. Sono troppo avanti. Sono troppo simpatica.
Su questa storia ho solo qualcosina da dire, una frase semplicissima: Non fatevi ingannare dalle apparenze!
Quindi, se non ami l’angst, l’introspettivo, il malinconico… non chiudere la pagina. Potresti avere una sorpresa.
Sperando di non aver fatto male, vi auguro una buona lettura!

S.

 

Una questione di priorità

*

 

 

 

 

 

 

 

John si sentiva perso, senza di lui.
Aveva cercato di dimenticare, aveva tentato in tutti i modi di voltare pagina e cancellare ogni ricordo, ogni immagine, bella o dolorosa che fosse che gli ricordasse la sua vita quando lui era ancora lì, con lui.
Ne sentiva la mancanza ogni giorno di più e più cercava di distogliere la mente da quei ricordi, più essi tornavano, facendogli male, riaprendo una ferita mai completamente rimarginata. La gente sembrava quasi non capire quanto soffrisse, quanto in realtà fosse tormentato nel profondo, nonostante cercasse di non darlo a vedere, di mantenere quella facciata solare, bonaria, da ‘non preoccupatevi, va tutto veramente bene’.
La realtà, la cruda e triste verità era che John non si sentiva più lo stesso da quando non aveva lui accanto. Era una sensazione strana da descrivere, un profondo senso di vuoto lo stringeva in una morsa, una mancanza che per quanto volesse, per quanto lottasse con tutto sé stesso, non riusciva a colmare. E sapeva perché, nel suo cuore.
Non ci sarebbe mai stato nessuno come lui, e di questo era sicuro. Da quando le loro strade si erano incrociate, non c’era stato giorno in cui i loro destini non si fossero intrecciati, per qualche secondo, qualche ora o l’intera giornata. Lui poteva sparire per ore, ma John sapeva che alla fine sarebbe tornato, per lui, per loro. Perché nonostante non potesse saperlo, ne chiederlo, sapeva che per lui era lo stesso. Un sentimento raro, che si prova una sola volta nella vita e di cui a volte non si riesce più a fare a meno, come una droga, una dipendenza, per quanto così potesse essere chiamata.
Al lavoro, John non faceva che pensarci, in quei giorni. Non riusciva a concentrarsi, sentendosi stupido, infantile, ma non poteva farci niente, non poteva combattere quella sensazione. Tutto quello che poteva fare, era arrendersi ad essa.


Sarah aveva notato il suo comportamento e quella fresca mattina di maggio gli aveva chiesto come si sentisse, cosa provasse ancora dopo tanto tempo. Aveva paura di ferirlo, di essere troppo inopportuna, di infastidirlo. Ma John le era grato per la sua amicizia e il suo sincero interesse per lui.
“Sto bene, Sarah” aveva risposto, sfiorandole una mano con la sua. “E’ solo che…non faccio che pensarci”.
Sarah gli aveva accarezzato i capelli, come con un bambino in cerca di consolazione.
“E’ passato tanto tempo, John. Devi voltare pagina, cercare di… rimpiazzarlo, magari”.
Non avrebbe potuto dire qualcosa di più inopportuno, di più dolorosamente orribile.
John si era alzato dalla sua sedia, rifiutando il suo tocco e andando verso la finestra, appoggiandosi al davanzale in cerca d’aria. Come aveva potuto anche solo pensare una cosa simile?
“Sarah, io… non posso nemmeno concepire l’idea di fare una cosa simile” aveva risposto, con voce resa roca dall’emozione. “Lui non si può sostituire. Una cosa tanto importante è…” non era riuscito a continuare. Sarah gli aveva dato una pacca sulla spalla, sinceramente dispiaciuta per l’effetto che le sue parole avevano avuto. In cuor suo, però, era ancora decisamente contrariata dalla testardaggine del medico.
“Scusami se ti ho ferito, John, mi dispiace, sul serio” John aveva annuito, ma senza incrociare il suo sguardo. “Ma davvero, devi voltare pagina. Scrivere un nuovo capitolo della tua vita o non uscirai mai da questo rancore, da questo continuo… pensarci. E’ dannoso, per te e per gli altri”.
John aveva guardato la dottoressa, senza sapere cosa dire, frenando la lingua per impedirle di dire qualcosa di offensivo, di sbagliato. Le aveva sorriso, sorriso davanti alla sua ingenuità, al modo in cui credeva di poter capire come lui si sentisse. Poteva immaginarlo certo, ma non capirlo, non comprenderlo… non sentirlo dentro di sé come lui era costretto a fare. Se avesse saputo, se avesse provato con lui le stesse identiche emozioni, non si sarebbe comportata certo allo stesso modo.
“Grazie del consiglio, Sarah” aveva chiuso lì. “Appena esci, fai entrare il primo paziente, per favore” aveva poi aggiunto, cercando di modulare la voce assumendo un tono sereno. In realtà, dentro di sé, stava bruciando.

All’uscita dall’ambulatorio, la pioggia scendeva copiosa allagando le strade e costringendo i passanti e i turisti, probabilmente non completamente abituati a quei repentini cambi di meteo, a ripararsi sotto portici e balconi, aprendo ombrelli e usando ripari di fortuna.
Quella pioggia gli riportò alla mente un ricordo, l’immagine di una notte in particolare, di qualche mese prima quando aveva corso con lui, all’inseguimento, ovviamente su tacchi e suole, di un ladro di gioielli a Chelsea.
Quando erano tornati a casa erano entrambi zuppi e grondanti acqua, e rise quando si ricordò della reazione della Signora Hudson alla lunga scia fangosa e bagnata che avevano lasciato lungo le scale imbrattando tutto il pianerottolo.
Ricordi che non avrebbero più avuto un seguito. Momenti che non avrebbero mai più vissuto, non insieme. John strinse gli occhi, mordendosi la lingua per costringersi a non pensare ancora, a spegnere la mente, cercando una distrazione, una qualunque.
Forse avrebbe dovuto chiamare Harry, sfogarsi con lei, darle una chance per comportarsi da buona sorella maggiore, per una volta. Avrebbe potuto chiedere a Sarah di uscire per una cena, un film, una passeggiata. Pensò a tutte le ipotesi possibili, ad ogni probabile scusa, pur di non ritornare a casa quella sera, pur di non essere costretto ad affrontare fantasmi mai del tutto dimenticati.
John però non aveva davvero voglia di divertirsi, o di svagarsi o di fare qualcosa di diverso da ciò che amava fare. E quello che amava era stare con lui, sfiorarlo, tastare la sua morbidezza delicata, sentirsi…abbracciare in quella stretta solamente loro. E per colpa di qualcosa di inspiegabile, di un gesto che John non aveva ancora compreso e che lo lasciava pieno di rabbia, frustrazione, impotenza, lui era sparito come ghiaccio al sole, lasciandolo solo, vuoto. E tutto per colpa…di quell’uomo.

Mentre passeggiava, incurante della pioggia che lo stava inzuppando da capo a piedi si ritrovò a due passi da Baker Street. Aveva fatto quella strada migliaia di volte e probabilmente l’aveva percorsa anche quel giorno, senza pensarci, nonostante il suo appartamento fosse l’ultimo posto in cui volesse tornare. Era troppo arrabbiato, teso, nervoso per poter tollerare anche solo la vista di casa sua. Troppi ricordi, ogni volta. Troppi frammenti di qualcosa di perso, scomparso.
Nonostante quell’iniziale reticenza però, i minacciosi e roboanti suoni dei tuoni e della bufera di vento, lo convinsero che almeno quella sera, suo malgrado, ritirarsi tra le quattro mura di casa era decisamente molto più raccomandabile che rimanere per strada in balia degli elementi. Arrivato davanti alla porta, con il numero 221B che rifletteva la luce dei lampioni dall’altro lato della strada, esitò per un momento, cercando di ritardare il più possibile il momento in cui avrebbe messo piede nel suo appartamento. Sospirando e facendosi coraggio infilò le chiavi nella toppa svogliatamente, chiudendo la porta dietro di sé e lanciando uno sguardo alla porta dell’appartamento della Signora Hudson, che sembrava stranamente silenzioso. Meglio così. Sentiva che non sarebbe stata una serata tranquilla, quella.
Salì le scale lentamente, e con forza d’animo aprì anche la porta a vetri, mettendo nuovamente piede, con il cuore che batteva all’impazzata, nel silenzioso salotto di casa sua.
Era tutto calmo, tranquillo, e John non si sarebbe mai abituato a quell’innaturale silenzio, alla mancanza di passi frenetici che scendevano le scale, alle strane esplosioni nella cucina e agli immancabili pezzi di cadavere sparsi tra il frigorifero e la dispensa.
Poggiò la sua borsa sul tavolo guardandosi intorno ad occhi semichiusi, come a voler meglio percepire quella calma innaturale, quella pallida luce malata che invadeva la stanza dandole un aspetto lugubre, spaventoso.
John si lasciò cadere sul divano, con il volto fra le mani.


 

 

Qualche ora dopo, John si svegliò, spaesato.
Si era addormentato sul divano senza nemmeno accorgersene, e svegliatosi in salotto, gli ci era voluta un’attenta analisi dell’ambiente per rendersi conto di dov’era, chi era, e cosa ci faceva li. Quando riuscì ad inquadrare la situazione e ricordare ogni cosa, il suo sguardo si spostò verso la cucina, dove una figura sedeva al tavolo, con le spalle curve e l’aria concentrata.
“Oh, Sherlock. Sei tornato” disse John, stropicciandosi gli occhi cisposi. Non riuscì a trattenere un cipiglio irritato nella voce, mentre pronunciava quella frase. Il detective lo guardò, distrattamente.
“Oh si, una mezz’ora fa. Non ho voluto svegliarti” annunciò Sherlock, senza distogliere un secondo l’attenzione dal set di provette che stava maneggiando. A quella vista, John sentì una rabbia incontrollata ribollirgli pericolosamente nelle vene.
“Che stai facendo, Sherlock? Ne avevamo già parlato!” sbottò tutt’un tratto, alzandosi di scatto dal divano. “Mi avevi promesso che non avresti più fatto esperimenti per almeno due mesi!” si impuntò con determinata enfasi su quel particolare.
Sherlock alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
“John sei veramente infantile! E’ successo secoli fa!” sbottò, scuotendo la testa. “Ho detto che mi dispiace, che mi dispiace davvero, che non volevo! Cosa altro vuoi, ancora?”.
John mise le mani sui fianchi.
“Voglio che tu…smetta di scambiare la nostra cucina per il laboratorio del Barts! Specialmente dopo quello che è successo! Era tutto così bello, il silenzio…la calma…nessun disgustoso moncherino umano in decomposizione…”.
“Oh ma John” sbottò quello, come se non concepisse che il medico trovasse la normalità qualcosa di gradevole. “Quello che è successo non è stato tanto grave da giustificare questo tuo impedirmi di svolgere il mio lavoro! E’ stato solo uno spiacevole…contrattempo!” gridò il detective esasperato.
John non aveva parole per descrivere il suo stato d’animo in quel momento. Non sopportava la straordinaria e irritante capacità di quell’uomo di minimizzare ogni cosa quando si trattava di ciò cui lui teneva.
“Contrattempo? Hai quasi incendiato l’appartamento, Sherlock! E hai… hai distrutto il mio MAGLIONE PREFERITO!” strepitò, agitando le braccia.

Sherlock lo osservò come se fosse la creatura più stramba che avesse mai visto.
“E’ stato un incidente, John, quante volte devo dirtelo? Mi serviva qualcosa con cui spegnere il fuoco!” disse a sua discolpa, incrociando le braccia come un bambino imbronciato.
“Un incidente!” John disse, ripetendo le parole del detective. “Potevi usare una delle coperte che teniamo sulla poltrona, o la tovaglia…o una cosa qualunque” disse, indispettito. “Tutto ma non quel maglione! Sai quanto ci tenevo, quanto…valeva, per me”.
Rimase in silenzio, tornando seduto e volgendo lo sguardo alla finestra, cercando di sbollire la rabbia.
“Sì, lo so, lo so. Un regalo, l’esercito, pieno di ricordi bla bla bla. Lo sai che mi dispiace. Ma mi sembra veramente che tu stia esagerando, adesso. Devi rivedere le tue priorità, mio caro, se fai tutte queste storie per un maglione”.
John lo fulminò con lo sguardo, voltandosi verso di lui con uno scatto felino del collo.
“Sei il secondo a dirmelo oggi. E dirò anche a te che non ha idea… nessuna idea di quanto valesse per me. E quello che mi fa infuriare è che sia andato distrutto per… per uno dei tuoi giochetti da piccolo chimico”.
Sherlock emise una specie di grugnito contrariato a veder così bistrattato il suo lavoro.
“Non doveva andare così, John, non era…previsto che il contenitore esplodesse. E nemmeno che le tende andassero a fuoco e che dovessi usare il tuo maglione per spegnerle” disse a voce bassa, come se si fosse decisamente stancato di ripetere ancora quel discorso.
John non replicò, assumendo un cipiglio offeso.

“Era importante per me” borbottò, come se parlasse tra sé e sé.
“Lo so. In quante lingue ancora vuoi che ti chieda scusa?” chiese il detective, abbandonando completamente il suo esperimento.
“Non saranno mai abbastanza”.

Sherlock scosse il capo, aprendo il frigo cercando una distrazione qualunque. Dopo aver avidamente tracannato metà del contenuto del bidoncino di latte, soddisfatto, tornò a concentrare l’attenzione su John. Adocchiandolo con un certo interesse e una strana luce negli occhi, come se stesse architettando qualcosa, si avvicinò al dottore, con un sorriso indecifrabile sulle labbra. Si sedette accanto a John, che ancora lo fissava contrariato, e gli cinse la vita con un braccio.
“Torna alle tue diavolerie, Sherlock” borbottò il medico, svogliatamente.
Entschuldigung” sussurrò il detective al tuo orecchio. John lo guardò, senza capire.
“Vuol dire ‘scusa’. In tedesco” spiegò Sherlock, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. John non riuscì a trattenere un piccolo sorriso, che però svanì quasi immediatamente. Non poteva permettersi di dargliela vinta così facilmente.
Desculpa” bisbigliò ancora, sfiorando l’orecchio di John con le labbra. Il medico fremette. “Det er jeg ked af” aggiunse. “Jeg beklager, Sajnálom, Žao mi je”.

John non resistette più quando Sherlock lo strinse ancora più forte, le labbra sul suo collo a provocargli un piacevole solletico ad ogni parola. Suo malgrado, sorrise.
“Non ho idea di cosa tu abbia detto ma farò finta di crederci. Sappi però che non mi hai ancora convinto”.
Il detective scosse ancora la testa con aria esasperata, ma non si alzò, ne lasciò la presa. Anzi, poggiò l’altra mano sulla nuca di John, attirandolo a sé in un bacio mozzafiato.
John non voleva all’inizio, dopotutto era arrabbiato con lui e non poteva lasciare che ogni battibecco, ogni suo tentativo di mettere in riga il coinquilino finissero per essere dimenticati con qualche bacio e qualche moina. A sua discolpa però c’era da dire che per quanto da fuori non sembrasse, Sherlock era terribilmente abile a fargli dimenticare qualunque arrabbiatura nel giro di qualche minuto. Ed era un peccato non approfittarne.
Rimasero con le labbra incollate per dieci minuti buoni, giusto perché John non voleva lasciarsi convincere, e quando si separarono, al medico mancava quasi il fiato.
“Ammetto che era una buona argomentazione” scherzò infine il dottore, e Sherlock ghignò. “Questa che lingua era?” chiese poi John.
Il detective diede un colpetto di tosse, come per darsi un’aria importante.
“Il mio unico, perfetto, adatto a tutte le occasioni linguaggio Holmes” asserì, fiero di sé.
John rise, incapace di tenere il broncio un secondo di più.
“Oh beh, potrei aver bisogno di un lunghissimo ed esauriente discorso ancora, per accettare le tue scuse. E dovrai cercare di essere convincente. Sai quanto sono difficile” sussurrò sulle sue labbra, ammiccante.
Sherlock si schiarì la voce, prontissimo.
“Farò del mio meglio per non deluderla, dottore”.



*

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: SAranel