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Autore: Luli87    30/04/2012    13 recensioni
“Per favore, per favore non farlo. Ti restituisco i soldi, eccoli, ma non farlo, ti prego.”
Parole inutili, estreme, che una vittima inginocchiata a terra, disperata, grida a pieni polmoni prima dell’ultimo respiro. Una pistola, un colpo secco, un proiettile in pieno cuore.
Genere: Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Capitolo 14
“Un gesto d’amore”
 
Arrivarono al parcheggio con le sirene spente su ordine di Kate: non voleva mettere in allarme nessuno, né tantomeno voleva fare scappare l’assassino.
Il quartiere era esattamente come se lo ricordavano dalla prima volta in cui erano capitati: alti
palazzi per gente poco agiata, strade piene di immondizia, e tutto sembrava vecchio e decadente. Castle, appena sceso dall’auto, vide ancora lo stesso barbone afferrare la sua coperta e nascondersi dietro ad un cassonetto. L’uomo però li riconobbe, perché la sua testa sbucò da dietro il maleodorante nascondiglio per osservare la singolare scena.
“Beckett, qual è il piano?” chiese Esposito, afferrando la sua arma.
“Nessun piano: salgo e arresto l’assassino. Castle verrà con me, tu e Ryan restate qui, occhi aperti nel caso dovesse cercare di scappare.” Rispose la detective. Per sdrammatizzare, lo scrittore indicò i propri occhi ai detective, per poi puntare le dita verso quelli di Esposito. “Occhio alle scale!” suggerì Rick. Javier lo guardò storto: con chi credeva di avere a che fare, con un pivello alle prime armi?!
Kate guardò in alto: l’edificio era quello giusto, grigio topo, vecchio, alto sette piani; le persiane rotte, le griglie delle scale scassate o addirittura mancanti. Ricordava perfettamente la sensazione che aveva provato la prima volta che era venuta a casa di Charlene Stewart, la fidanzata della vittima. Avrebbe dovuto comunicarle la morte del suo amato, una notizia più che sconvolgente, ma chela donna già sapeva. Eppure, lo stesso Esposito aveva confermato più volte di non averlo detto né a lei, né al fratello Ronald, l’unico con cui il detective era riuscito a parlare al telefono. E Kate non aveva dovuto comunicarlo: una volta entrata nell’appartamento, i fratelli Stewart già ne erano a conoscenza. Il portone del palazzo era ancora rotto e, questa volta, Kate non si fermò a citofonare, sapeva già dove doveva andare: quarto piano.
“Sei pronta?” le chiese Castle, salendo le scale dietro di lei.
“A scoprire la verità? Sempre.” Rispose sicura, afferrando il suo distintivo.
Davanti alla porta di ingresso, appoggiò l’orecchio per sentire se ci fosse qualcuno. Rumori di bicchieri e di acqua scrosciante. Bussò: “Detective Beckett, NYPD. Charlene Stewart, è in casa?” chiese ad alta voce.
Il rumore dell’acqua cessò e dei passi si avvicinarono. Poi la porta si aprì e comparve di fronte a loro Charlene, ancora in camicia da notte, con le mani bagnate. “Scusatemi, stavo sistemando la cucina. Detective, prego, entrate pure.” Aveva un’espressione molto stanca e molto provata, segno che soffriva molto per la perdita del suo uomo.
Beckett le sorrise gentilmente ed entrò: “Grazie Charlene, mi scusi se non l’ho chiamata prima…Lei come sta?”  Castle chiuse la porta alle loro spalle, girando per sicurezza la chiave.
La donna cercò di ricambiare il sorriso e alzò lo sguardo verso gli occhi della detective: “Oh cielo cosa le è successo?” chiese alzando una mano e indicandole il graffio sul volto.
“Niente di grave Charlene. Non si preoccupi. È sola in casa? Dov’è suo fratello Ronald?”
“E’ tornato dal lavoro pochi minuti fa. È sotto la doccia.” Charlene indicò il bagno. “Gli stavo giusto preparando la colazione. Posso offrirvi qualcosa?”
Beckett scosse la testa, ringraziando comunque la donna per la gentilezza dimostrata.
“Charlene, devo parlarle. Possiamo sederci per cortesia?”
La donna tremò. “Avete scoperto qualcosa sul mio Aaron? Chi l’ha ucciso e perchè?” Charlene aveva le lacrime agli occhi e strinse forte una mano a Kate, portandosi l’altra sul grembo e accarezzandoselo più volte. Castle le accompagnò verso il divano e aiutò Charlene a sedersi, spostandole due enormi cuscini  e posizionandosi accanto a lei.
“Il suo compagno combatteva ogni notte in un giro di lotte clandestine Charlene. I soldi che portava a casa e che vi permettevano di andare avanti li vinceva in questi combattimenti. Ne era a conoscenza?”
Charlene si portò le mani sul volto, scuotendo la testa e rispose singhiozzando: “No… Ma l’avevo intuito. Tornava spesso a casa con lividi e ferite ma lui mi rassicurava dicendomi che non era niente, che al lavoro ogni tanto c’erano liti o risse ma erano cose da poco. E che i soldi che guadagnava erano tanti e lo faceva per il nostro bambino. A volte mi chiedevo io stessa come mai un ragazzo che lavora al mercato del pesce riuscisse a portare a casa tali somme. Ma Aaron mi amava e io amavo lui. Abbiamo un bambino in arrivo, cosa dovevo fare? Lo faceva per noi…” i singhiozzi si trasformarono in un pianto che Castle cercò di calmare prontamente con un abbraccio e un fazzoletto.
“Charlene mi dispiace, ma quello che sto per dirle le farà davvero male.” Disse Kate, chinandosi vicino alla donna e cercando il suo sguardo. Quando finalmente incrociò i suoi gonfi occhi verdi, disse: “Sono qui per Ronald. Credo che suo fratello abbia ucciso Aaron.”
Proprio in quel momento, la porta del bagno si aprì e un distratto Ronald fece il suo ingresso nel soggiorno, pulito e profumato, in jeans e felpa. “Sorellina, cosa c’è per colaz…” ma non finì la frase. Kate si alzò velocemente e impugnò la sua pistola, mentre Castle trattenne Charlene dall’alzarsi dal divano.
“NYPD! Ronald Stewart, sei in arresto per l’omicidio di Aaron Butler.”
L’uomo, senza farselo ripetere due volte, corse verso la camera da letto, gettando a terra qualsiasi cosa gli capitasse tra le mani: un vaso, la libreria, la lampada appoggiata al mobile. In camera da letto, si barricò dentro: chiuse la porta a chiave e vi spinse contro il letto, guardandosi intorno in cerca di una via di fuga.
Questi gesti bastarono a confermare la teoria di Castle: era stato proprio Ronald a proporre all’amico di combattere in quel ring e, quando Aaron accettò di perdere l’ultimo incontro, l’uomo non la mandò giù e cercò di spingerlo a continuare a combattere e vincere, perché le sue scommesse fruttavano parecchio. Aaron però aveva accettato l’offerta di Coleman senza ascoltare i suggerimenti dell’amico, e aveva intascato una smisurata somma di denaro, che avrebbe permesso a lui e alla sua amata Charlene di trasferirsi in un quartiere migliore. Ronald si sarà sentito tradito e la rabbia lo doveva aver portato a compiere un gesto estremo.
“Non ha scampo Ronald!” urlò Kate, cercando di buttare giù la porta. “Pensi a sua sorella, vuole davvero peggiorare la situazione?”
Ronald aprì la finestra e guardò fuori: la strada era libera, non c’era nessuno ad aspettarlo. Rapidamente, scavalcò il vetro e corse sulle scale esterne, traballanti, malridotte. Tremava, ma non solo per paura. Tremava perché le scale del palazzo faticavano a reggerlo. Sentiva sotto di sé cigolare il ferro, non si sentiva sicuro. Cercò di tenersi al muro, mentre scendeva, ma, temendo di non riuscire ad arrivare all’ultimo gradino, lasciò scendere la scala che l’avrebbe portato direttamente a terra e si aggrappò a quella, a peso morto, sperando di scivolare in basso senza problemi. La scala però non resse e si ruppe, scaraventandolo a terra brutalmente. Nell’impatto, colpì la schiena contro l’asfalto e la botta fu terribile. Urlò dal dolore e si contorse su se stesso. Ryan aveva visto la scena e corse verso di lui, mettendo via la pistola. Qualche sospiro e una goccia di sangue uscì dal naso del ragazzo che svenne dopo pochi secondi. Ryan appoggiò due dita sul suo collo e ascoltò il battito. Afferrò il cellulare e chiamò il 911. Esposito lo raggiunse poco dopo, seguito da Castle. “L’avevo detto che queste scale non erano a posto!”
“La ragazza?” chiese Ryan.
“Sta bene. Kate la porterà in ospedale per un controllo, è sotto shock. Certo che in due giorni perdere il proprio compagno e scoprire che il fratello è un assassino, non dev’essere facile nelle sue condizioni.” Rispose lo scrittore. Nella sua mente e nel suo cuore, sentiva di dover fare qualcosa per lei. E si promise che, alla prima occasione, le avrebbe cercato un piccolo appartamento in un quartiere più agiato e, se la fortuna fosse girata dalla sua, qualche suo vecchio amico avrebbe potuto ripagargli qualche favore per trovarle anche un lavoro.
 

NEW YORK– Cade l'ultima maschera dell'ipocrisia rimasta sul volto della crudeltà nella nostra città. Ieri, le forze di polizia del Dodicesimo Dipartimento dello Stato di New York hanno condotto un blitz notturno nella sede dell'associazione no profit "Hope, for a better day" sita nel cuore del Bowery, tra la prima e Bleeyker Street, scovando un mercato di carne umana che farebbe impallidire persino gli schiavisti settecenteschi.
Coperto dalle false attività benefiche in sostegno alla comunità, il presidente della "Hope", Hector Cooper, 46 anni, organizzava incontri di pugilato clandestini, utilizzando come lottatori quei poveri indigenti segnati a libro paga dalla sua attività; tra loro disoccupati, immigrati clandestini, ex carcerati alla disperata ricerca di un riscatto e lottatori professionisti tagliati interessati ad arrotondare con denaro esentasse.
L'indagine, condotta con successo dalla Detective Katherine Beckett e dalla sua brillante squadra, è stata avviata in seguito alla morte di uno dei contendenti, Aaron Butler, giovane padre di famiglia, entrato nel giro sporco della "Hope" per arrotondare lo stipendio da addetto alle attività portuali.
Ciò che più sconvolge i newyorkesi è che il circo privato costruito dal Sig. Cooper raccoglieva tra i suoi visitatori alcune tra le personalità di maggiore spicco della città, che si recavano nel prestigioso edificio d'epoca per assistere agli incontri e scommettere su quale lottatore fosse riuscito ad uscire vincente dal ring. Un giro di scommesse dal valore di milioni di dollari che Hector Cooper, il benefattore, non poteva non truccare al fine di incassare il massimo guadagno e, quando Butler si rifiutò di perdere un incontro, seppur involontariamente Hector Cooper si è trasformato da schiavista in assassino. Sì, perché anche se non direttamente, ha provocato un omicidio. Quante vite sono state distrutte per questo massacro silenzioso?
Oggi, chi nella nostra città si alza tutte le mattine per lavorare, si sveglia con la triste consapevolezza che neppure le associazioni volte alla cura dei poveri sono indenni alla dilagante corruzione, ma, dall'altro lato, può confidare nell'alacre lavoro delle forze del Dodicesimo Distretto, le quali, aiutate da un detective d'eccezione, Richard Castle, hanno trovato la forza di snidare questo antro di vipere.

George Parker

 

Kate si svegliò avvolta dal profumo di caffè che Rick le aveva premurosamente preparato.
“Buongiorno amore!” la salutò nel vederla comparire in cima alle scale, fuori dalla camera da letto.
Castle era seduto comodamente intorno al tavolo della cucina, sorseggiando il suo succo d’arancia e con il New York Times aperto a pagina due sul servizio speciale del suo vecchio amico, ormai direttore del New York Times.
“E’ un bell’articolo?” chiese Kate sbadigliando e stiracchiandosi un po’, prima di dargli un bacio leggero sulla guancia e di afferrare bramosamente il suo caffè.
“Devo dire che ha fatto un buon lavoro. Molte persone verranno arrestate e molte addirittura perderanno credibilità oltre che al posto di lavoro, ma cosa ti aspetti? Tu come stai, dormito bene?”
Kate annuì. “Sì, decisamente. Il tuo letto è così… perfetto…”
“Ehi, ti confondi con me. Io sono perfetto, il mio letto è solo un comunissimo mobile!”
L’attenzione di Kate fu richiamata da una busta argentata appoggiata vicino al giornale.
“E quella cos’è?” chiese indicandola.
Castle chiuse il giornale e appoggiò le sue mani sulle gambe della detective. “Siamo stati invitati da Parker ad una cena di gala. È per la sua promozione a Direttore.”
Kate sfiorò una mano dello scrittore e appoggiò la tazza di caffè sul tavolo. Poi, si portò una mano sulla guancia, sfiorando il graffio che ancora sporgeva sul suo volto. Castle capì la sua preoccupazione ma Martha lo anticipo.
“Tesoro, quello un po’ di trucco e svanirà in un batter d’occhio!”
Era comparsa magicamente dietro le sue spalle ed era più bella che mai.
“Buongiorno madre!” la salutò Rick.
“Per me niente colazione, devo andare ad un brunch e sono già in ritardo! Come sto?”
“Per esserti appena svegliata sei perfetta! Come fai Martha?” chiese Kate.
“Duro allenamento, ragazza! Kate, tornerò per metà pomeriggio. Fatti trovare pronta e ti sistemo io il trucco!” disse, uscendo di casa come una diva esce di scena dal proprio teatro.
Castle guardò la sua musa alzando le sopracciglia: “Allora, verrai? È stasera.”
Kate accettò, ma ad una condizione: “Ok, ma voglio un nuovo vestito e verrai con me a comprarlo!”
Lo scrittore, piacevolmente sorpreso da questo nuovo lato della sua Kate, solitamente restia dal fare shopping, annuì: “Sarò la tua carta di credito. A patto che il vestito sia rosso!”
E, detto questo, la baciò teneramente, prima di aggiungere: “Prima di fare shopping però, dobbiamo cercare un appartamento.”
La donna non capì: “Perché? Devi cambiare casa?”
“No, ma c’è una persona che merita il mio aiuto. Sono un miliardario Kate, penso che fare beneficienza sia un mio dovere. E Charlene…” Allora Kate capì e abbracciò forte lo scrittore.
“Sul serio? Rick, mi stai mostrando un altro lato di te, molto diverso da quello di bambino che conosco!”
“Ehi, ho tanti strati, come la cipolla, riuscirai a toglierli tutti?” le chiese ridendo.
Kate sorrise, con un sorriso felice, sereno e innamorato. “Questa frase l’ho già sentita!”
“Lo so!” 


Finito il party, quella notte, Parker noleggiò una limousine per ringraziare Castle e la detective Beckett per il loro aiuto e per non averlo arrestato nonostante il suo pessimo comportamento.
“Siete stati davvero gentili con me, non avreste dovuto.”
“George, sei tu che non dovevi prestarci una limousine per tornare a casa!” lo ringraziò Castle stringendogli la mano.
Kate invece sembrò più fredda e lo ammonì: “La prossima volta però, comportati bene e chiama la polizia prima che muoia qualcuno.”
Parker annuì: “Non ci sarà una prossima volta, Kate. Te lo prometto.”
“Lo spero. E’ stato un piacere conoscerti, buona fortuna per tutto.”
Nell’auto, Kate fu piacevolmente sorpresa di trovare, in una busta grande, le fotografie dei paparazzi che avevano immortalato la proposta di matrimonio di Rick. E, nel vederle, ogni timore e ogni pensiero svanirono. Parker aveva sbagliato, è vero, ma l’associazione era stata smascherata e molte vite erano state risparmiate. Giustizia era stata resa e Charlene aveva accettato il regalo dello scrittore, ringraziandoli più e più volte e promettendo loro di rendere il favore, un  giorno.
Castle strinse forte la sua musa e la baciò, completamente indifferente ai fotografi che richiamavano la sua attenzione. E Kate ricambiò quel bacio, ignara dell’immagine che avrebbe trovato il giorno dopo su tutti i giornali di pettegolezzi.


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