There's nothing here for me on this barren road.
Attraversai
la strada mordendomi il labbro, mentre tenevo la
testa bassa per coprirmi dal freddo vento autunnale. Quando diavolo
sarebbe
cambiato qualcosa? Sbuffai. La strada era deserta e gli alberelli
spogli
rendevano tutto eccessivamente gelido, non mi ero mai sentito
così solo come in
quel momento. Presi una boccata di fumo dalla sigaretta e sentii le
prime gocce
di pioggia bagnarmi il viso, scendere poi lungo il mio collo e
infilarsi sotto
alla mia maglia, come a cercare riparo da loro stesse. Il vento che
tirava era
davvero molto forte quel giorno e la febbre mi aveva provocato
quell’insopportabile mal di testa che proprio non se ne
voleva andare, pulsava
sulle tempie e mi faceva chiudere gli occhi per cercare sollievo.
Mentre
svoltavo l’angolo tra la sesta e la settima strada sentii la
pioggia aumentare
e il freddo penetrarmi sin dentro alle ossa, non sarei mai riuscito ad
arrivare
a casa in tempo per salvarmi da una polmonite. Misi a fuoco il luogo in
cui mi
trovavo e pensai che, probabilmente, sarebbe stato meglio andare a casa
di
Matt, a qualche isolato da li. Gli occhi mi lacrimavano per il freddo e
il naso
non lo sentivo nemmeno, avrei dovuto portarmi via una giacca la sera
prima ma,
come mio solito, non avevo dato molto peso al meteo della televisione..
eravamo
in California cazzo. Affondai il piede sinistro dentro la prima
pozzanghera e
imprecai sottovoce contro il buco che avevo nella scarpa da ormai
troppo tempo,
dopodiché salii i pochi gradini che mi separavano dalla casa
del mio amico e mi
attaccai al campanello. Nessuna risposta. Suonai nuovamente ma non
rispose
nessuno ancora una volta. Ma che giornata di merda era appena iniziata?
Mi
voltai per andarmene quando sentii un cigolio dietro di me,
spontaneamente mi
voltai e trovai Matthew Charles Sanders in boxer che si strofinava gli
occhi
con la mano, mentre con l’altra teneva ancora ben salda la
maniglia della
porta. Dopo aver inquadrato per bene la situazione si portò
in avanti,
perplesso.
«Brian!»
mi disse «Cosa diavolo fai
qui alle otto e mezzo del mattino?»
Ok, dovevo solo spiegare che io e Zackary non ci sopportavamo, che ci
eravamo
urlati dietro ancora una volta e che avrei preferito davvero cacciarlo
dal
gruppo il prima possibile ma mi limitai ad emettere un flebile
«Uhm» prima di
accasciarmi a terra in preda al mal di testa.
«Cazzo ma sei bollente!» esclamò il
più grosso dopo avermi messo una mano sulla
fronte «Vieni dentro razza di scellerato» mise un
mio braccio sopra la sua
spalla e mi portò in casa. Il salotto di casa Sanders non
era mai stato tanto
accogliente come quel giorno. Era tutto dannatamente pulito e in
ordine, le
tende bianche erano rette da dei pratici bastoncini in legno chiaro e
il divano
in pelle beige era posto proprio davanti alla televisione e ad un
tappeto
estremamente soffice. Alle pareti color crema erano appese un sacco di
foto di
famiglia e un paio di quadri dall’aria vagamente noiosa che,
probabilmente,
aveva comprato sua madre a qualche mercatino di beneficenza. Mi tolsi
le scarpe
e nascosi i piedi sotto il sedere, cercando un po’ di
conforto.
«Tieni» mi disse Matt, porgendomi una coperta a
trama scozzese «E poi è il caso
che ti cambi» nell’altra mano teneva un paio di
pantaloni di una tuta neri, una
maglietta di un gruppo e una felpa bordeaux con una strana scritta
bianca. In
cima alla pila di vestiti svettavano un paio di calze di lana bianche.
«Ti amo»
gli dissi ironicamente, mentre prendevo il tutto e iniziavo a levarmi i
vestiti
per cambiarmi.
«Scusami per l’ora» gli dissi, mentre mi
toglievo i pantaloni e mettevo quelli
della tuta «Ma sono stato cacciato in malo modo»
spiegai, infilandomi poi i
calzini e la felpa.
«Non preoccuparti» Matt mi sorrise, mostrandomi la
fila di denti bianchi e
delle fossette estremamente dolci. Si portò al caminetto che
vi era dietro il
divano ed iniziò ad armeggiare con tutto quello che
occorreva per accenderlo.
«Senti Matt..» cominciai, girando la testa verso di
lui e infagottandomi meglio
dentro la coperta calda.
«Dimmi tutto» disse il più grosso,
soffiando sulla fiammella che si era creata.
«Avresti un phon?»
In effetti la mia non era stata una domanda particolarmente stupida,
avevo i
capelli che grondavano acqua, lasciando tante piccole gocce sul morbido
divano
dei Sanders e, nonostante mi fossi cambiato, sentivo ancora freddo a
causa di
tutta l’umidità che i miei dolci capelli si
portavano appresso. Avevo dovuto
aspettare solamente un paio di minuti prima che Matt ricomparisse con
quello
che mi serviva. Inserì la presa e accese quello che mi
avrebbe permesso, forse,
di smettere di battere i denti. Matthew Charles Sanders sarebbe stato
un buon
padre, almeno così lo vedevo io. Si era portato dietro di me
e con le mani mi
spostava le ciocche di capelli, asciugandomele.
«Sei davvero gentile» mi ritrovai a dire, mentre mi
accarezzava la testa con le
mani per permettere all’aria calda del phon di agire meglio.
Immaginai stesse
sorridendo quando mi disse «Grazie», mi fece
reclinare la testa di lato e si
mise a lavorare con i capelli alla mia destra «Ma per un
amico farei questo ed
altro» mi strinsi più forte dentro alle coperte e
chiusi gli occhi, godendomi
quel momento così rilassante.
Dopo aver terminato l’operazione ed essermi goduto
leggermente il tepore che
l’aria calda del phon mi aveva dato, Matt era ricomparso
dalla cucina con una
tazza fumante di thè caldo perché «Il
caffè ti farebbe alzare sicuramente la
temperatura» e si era seduto con me sul divano facendo
colazione. La
televisione era accesa su un canale musicale ma non era seguita,
perché il
volume era talmente basso che si riuscivano ad udire solo le note alte
durante
gli assoli. Avevo sorseggiato la bevanda calda con estrema lentezza e
il
silenzio che si era andato a creare tra di noi era abbastanza
imbarazzante.
«Dimmi una cosa» cominciò
l’altro, poggiando la tazza di caffè vuota sul
tavolino «Chi è che ti ha cacciato in malo
modo?» chiese, puntando i suoi occhi
verdi nei miei.
«Lascia stare» risposi, bevendo un altro sorso
«Si tratta sempre del solito
discorso» terminai di bere, appoggiando a mia volta la tazza
sul tavolino
chiaro.
«Sapevo ti fossi fermato da Zack ieri sera, ma non credevo
che ti avrebbe
cacciato così brutalmente» mi espose il suo
pensiero con un’innaturale
tranquillità.
«Non mi ha propriamente cacciato» cominciai a
spiegare «Mi ha lasciato dormire
sul divano con la febbre senza nemmeno una coperta, il suo cane mi ha
svegliato
alle otto della mattina e lui si è fatto la colazione senza
nemmeno prendermi
in considerazione» sbuffai, portandomi una mano sulla testa
«Mentre ci stavamo
urlando dietro mi sono messo le scarpe e l’ho salutato con un
bel medio.. prima
che si chiudesse la porta».
Matt mi guardava con la sua tipica espressione da “ti
stò ascoltando” e questo
mi faceva solo che piacere, era un ottimo amico su cui potevo fare
affidamento
ogni volta che avevo un problema.
«Finchè non vi parlate come due persone civili non
risolverete un bel niente»
mi disse, annuendo a se stesso.
«Con Zackary è impossibile parlare Matt, almeno
per me» mi ritrovai a
rispondere, avvolgendomi meglio la coperta attorno.
«Lo so che per te non è facile, ma prova a
metterti nei suoi panni» si mise a
rovistare in un cassetto li vicino, completamente allungato sul divano
«E’
stato declassato da chitarrista solista a ritmico dal detto al fatto,
non deve
essere facile per lui sopportare una cosa del genere» mi
passò un termometro
per farmi provare la febbre, lo accettai volentieri e lo posizionai
alla meglio
sotto alla maglietta.
Lo potevo immaginare, anche io mi sarei arrabbiato se qualche
sconosciuto mi
avesse soffiato il posto da solista, ma dopo due mesi probabilmente mi
sarei
messo via la cosa. Invece lui insisteva a mantenere la sua posizione,
freddo
come il ghiaccio continuava a guardarmi dall’alto in basso
come se fossi stato
uno scarafaggio e a illuminarmi con i suoi assoli ogni volta che
entravo in
sala prove. Per me la situazione stava prendendo una piega da non
ritorno.
«Capisco Matt» cominciai «Ma per me la
situazione sta diventando pesante»
«L’unica cosa da fare caro mio» e mi
battè una mano sulla schiena, facendomi
tossire «E’ quella di portare pazienza, vedrai che
le acque si calmeranno
presto»
Lo speravo davvero tanto, ma non mi sarei mai aspettato qualcosa di
rapido e
veloce. Estrassi il termometro e lo controllai.
«Cazzo» mormorai «Ho 38.8»
sorrisi.
Matt mi aveva curato finchè non aveva smesso di piovere,
dopodiché mi aveva
caricato in macchina e mi aveva portato a casa intorno alle 12.00.
Avevo aperto
la porta principale e avevo salutato mia madre, intenta a preparare una
torta
per mio padre e mia sorella. Nell’aria sentivo un buonissimo
odore di mirtilli
e quello che sperai era che si trattasse di una crostata. Salii al
piano di
sopra e mi buttai sotto il piumone, iniziando a guardare il cielo fuori
dalla
finestra che si trovava proprio accanto al mio letto. Ripensai a quella
mattina
e a quel maledettissimo ragazzo che non voleva avere nulla a che fare
con me, e
pensai che quella sera avrei avuto delle stramaledettissime prove a cui
non
volevo andare a causa della febbre e del componente indesiderato. Stava
andando
tutto troppo una merda.
Mi sedetti, appoggiando la schiena al morbido cuscino e osservai i
grossi
goccioloni che si stavano addossando sul vetro un po’ sporco,
si era messo a
piovere di nuovo. Merda.
«Brian» mia sorella aprì appena la porta
e sbirciò dentro, era piccolina, si
trovava all’ultimo anno di scuola elementare e aveva diversi
problemi con la
matematica.
«Ehi» mi voltai a guardarla mentre lei, con il suo
vestitino viola, entrava in
camera mia.
«La mamma mi ha detto di portarti questa» e mi
allungò una fetta di crostata ai
mirtilli appoggiata sopra ad un tovagliolino bianco.
«Grazie» le dissi, mentre prendevo la torta e ne
addentavo un pezzo,
assaporando il gusto dolce del mirtillo appena sfornato.
Si voltò e andò verso la porta, portando con se
l’innocenza che può avere un
bambino e, prima di chiudere la porta mi guardò con i suoi
occhioni e mi disse
una frase che mi rese felice di avere una sorellina come lei
«Sei il fratellone
migliore del mondo» e scomparì dietro alla porta,
lasciandomi solo con la mia
torta, i miei pensieri e il rumore della pioggia che si infrangeva sul
vetro
della finestra di camera mia.
Poco più tardi, dopo aver pranzato e aver ingurgitato una
medicina orripilante
per farmi abbassare la febbre, mi misi a ripassare gli assoli che
quella sera
avrei dovuto provare in sala prove. Non avevo nessuna voglia di fare
figure
davanti a Zackary Baker. La mia Schechter necessitava di una piccola
ripulita e
quindi occupai altro tempo a lucidarla per bene. Notai con orrore che
dovevo
cambiare le corde, prima che si rompessero con una sola plettrata.
Sarei andato
sicuramente il giorno successivo al grande negozio di articoli musicali
che vi
era nei presso della spiaggia, a
qualche
isolato da casa di James. Il telefono vibrò sul mio
comodino, facendomi
sobbalzare. Il messaggio era di Matt che, come al solito, ricordava a
tutti che
le prove si sarebbero svolte quella sera dalle otto alle dieci. Gettai
il
telefono sul letto e tornai ad occuparmi della mia chitarra,
armeggiando con lo
straccetto per pulirla al meglio.
Ero arrivato leggermente in ritardo ma, una volta aperta la porta della
sala
prove, mi ero reso conto che mancavano ancora all’appello
James e Matt. Come al
solito nel momento stesso in cui la porta si chiuse dietro di me,
Zackary iniziò
ad improvvisare assoli su assoli, cosa che tentai di evitare di
ascoltare.
Quello che quel ragazzo non aveva ancora capito era che apprezzavo come
suonava, mi piaceva quello che scriveva e la passione che ci metteva in
quello
che gli piaceva fare. Alzai gli occhi al cielo, mentre prendevo la
Schechter,
posizionandomela a tracolla.
«Ancora non ti sei deciso a non venire?» mi
domandò Zackary, alzando
leggermente un sopracciglio.
«Non vedo perché dovrei saltare le
prove» dissi, mentre collegavo il jack
all’accordatore
e iniziavo a testare le tenuta delle corde ormai vecchie.
«Perché un chitarrista solista in questo gruppo
c’è già» sorrise
strafottente,
facendo partire un armonico.
«Eddai Zack» si intromise Johnny «Lascialo
stare»
Johnny Christ. Non avevo ancora capito da che parte stesse dato che non
proferiva mai parola riguardo a questa situazione, se non ogni tanto,
come
oggi. Teneva il basso imbracciato in qualche maniera e aveva la sua
solita
cresta.
«Non ti intromettere Johnny» il ragazzo moro si
tolse la chitarra,
appoggiandola all’amplificatore e si diresse verso di me.
«Cosa vuoi ancora, Baker?» domandai, tentando di
mantenere un tono di voce
tranquillo, quando in realtà i nervi del mio braccio erano
pronti a scattare
già da un po’.
«Tu devi levarti dalle palle» mi disse, iniziando a
girarmi intorno come un
leone fa con la sua preda «Devi tornartene a casa tua e non
rompermi più i
coglioni» si fermò davanti a me, sogghignando.
«Altrimenti?» chiesi, alzandomi in piedi e
appoggiando la chitarra al muro.
«Altrimenti cosa Haner?» mi domandò,
incrociando le braccia davanti al petto.
«Sei solo un idiota» sbuffai, stringendo i pugni.
«Sei solo incapace» mi guardò, sfrontato
«E non sai suonare.. Sei solo uno
stronzetto qualsiasi che pensa di potermi fottere il posto da
solista»
In quel momento il nervo del mio braccio scattò, non potevo
controllarlo
ancora. Centrai in pieno lo zigomo di Zackary che rispose con una
ginocchiata
nel mio stomaco. Provai un dolore lancinante alla pancia, quando me ne
assestò
una seconda. Alzai gli occhi verso di lui e gli rifilai un altro pugno
in
faccia. Stronzo che non era altro.
Johnny tentò di dividerci, cosa che non riuscì a
fare data la sua corporatura e
quindi prese in mano il cellulare e uscì dalla sala,
probabilmente a chiamare
Matt e James. Io e Zack ci stavamo davvero pestando pesantemente,
eravamo
caduti a terra, in un groviglio di gambe e braccia. Le chitarre ormai
cadute
non avevano emesso un bel rumore, ma nessuno dei due volle controllare
in che
condizioni fossero. Era completamente a cavalcioni su di me, il braccio
alzato
pronto a colpirmi il viso di nuovo, quando vidi una mano avvolgersi
attorno all’esile
braccio del ragazzo moro.
«Zack basta!» la voce di Matt irruppe prepotente
nelle mie orecchie, mentre
sentivo James aiutarmi a sollevarmi da terra.
«Sei solo uno stronzo!» urlò
l’altro, sputandomi a pochi centimetri dalle
scarpe.
Tentai di divincolarmi dal mio migliore amico per assestare un altro
colpo al
più piccolo ma non riuscii a muovere un passo.
Avevo il labbro spaccato e le costole doloranti. Il moretto si teneva
un occhio
con la mano e aveva il sangue che usciva a fiotti dal suo naso.
«Non ha senso provare in queste condizioni» disse
Matt a James e Johnny, prima
di uscire trascinandosi dietro Zack. Mi lasciai scivolare a terra, tra
il
dolore e il mal di testa che ancora avevo a causa di quella maledetta
influenza.
«Brian» Jimmy si abbassò su di me,
prendendomi il mento con la mano, facendomi
sollevare il viso «Andiamo da me»
Annuii, prima di sentire James che mi aiutava ad uscire dalla sala.
L’ultima
cosa che vidi furono le corde saltate e il manico rotto della mia
chitarra.
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Ed anche
questo capitolo è stato portato a termine. :)
Questo Zacky
così bastardo mi piace e Brian riuscirà a
sopportare ancora a
lungo?
Commenti e critiche
sono sempre ben accetti.
Grazie mille a tutti
quelli che hanno commentato o che hanno aggiunto la fic
tra le
seguite o le preferite.
Un abbraccio.
OldMilk.