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Autore: Stukas are Coming    30/04/2012    4 recensioni
Un Tom molto diverso dal solito, un Tom cattivo. Una vita squallida senza felicità porta a diventare... Persone con hobby alquanto macabri.
L' idea per questa storia me l' ha data una mia carissima amica, avevo già pensato ad un racconto simile ma lei mi ha definitivamente "aiutato" a scriverla. Danke, Alice :3
Spero vi piaccia, a me l' idea di un Tom tatuato e bullo -anzi, qualcosa di diverso- mi piace molto.
Il luogo non è ben definito, ero indecisa tra Amburgo, Genova o Londra per l' ambientazione. Se vedete che non lo dico, è per questo motivo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tom Kaulitz
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Apro la porta ed entro in casa, inspirando come sempre il profumo di quell' affare che vedono in qualità di “neutralizzante dell' odore di fumo”, che in realtà non mi pare sia tanto miracoloso. Appoggio le chiavi sul piattino a forma di pesciolino, uno dei souvenirs del viaggio in Egitto quest' estate. Bei posti, che grandi meraviglie le piramidi !

Fuori piove, e vado di corsa in bagno per togliermi il cappotto senza allagare l' appartamento intero; lo aggancio con un appendino alla doccia e lo lascio a sgocciolare.

Martina è a scuola, esce alle quattro e mezza, la andrò a prendere per evitare di farle prendere acqua. Fabio pure è al lavoro, finirà verso le cinque; sono l' unica che ha avuto la fortuna di tornarsene a casa all' una perchè il lunedi il mio turno termina presto.

Abbiamo un' abitazione molto bella, al quinto piano e con grandi vetrate in ogni punto possibile: di soldi ne abbiamo, soprattutto Fabio guadagna bene.

Attraverso il salotto e vado ad appendere la borsa all' appendiabiti nello “spogliatoio”, non so come definirlo. Siccome, quando l' abbiamo acquistata, l' appartamento aveva un vano in più a cui non sapevamo che mansione dare perchè cucina, camera matrimoniale, stanza di Martina, ripostiglio, bagno, cucina e sala erano già impiegate, abbiamo deciso di metterci degli scaffali alti dove teniamo i vestiti, i miei tacchi, abiti in generale. Le mie colleghe ne vanno matte, dicono che è una cosa da vip. Io rispondo che altrimenti sarebbe rimasta vuota, decidete un po' voi.

Infine bevo un caffè mentre metto a bollire dell' acqua per la pasta, e mi siedo sul divano senza accendere le luci; nonostante il giorno sia brutto c' è molta luce.

Segno sull' agenda che domani devo pagare la bolletta dell' acqua e, appoggiandola su tavolino, l' occhio mi cade sui giornali e sui ritagli che ci sono sul ripiano inferiore del mobiletto.

Mio marito spesso chiede cosa li tenga a fare, sono vecchi, io rispondo che tanto non danno fastidio a nessuno e lui allarga le braccia. Forse farei meglio a metterli nel mio comodino, prima o poi spinto da spirito rivoluzionario di riordinare casa potrebbe buttarli via.

La prima rivista è rivolta a faccia in giù sulle altre, per non dovere sempre leggere involontariamente quegli articoli. La copertina di fondo mostra una nave da crociera che viaggia su un mare cristallino, pubblicizza un' entusiasmante crociera nei Caraibi.

Vado a controllare l' acqua della pasta, che non sta ancora bollendo, e torno a sedermi. Con un sospiro allungo il braccio e raccolgo il giornale, che inizia ad avere i bordi delle pagine ingialliti. Faccio spesso così, quando sono sola, solo un' occhiatina e poi li rimetto a posto.

RITROVATO L' ASSASSINO DELLA DICIOTTENNE” dice, con tono isterico.

Senza leggere -ormai conosco a memoria ogni singola parola- guardo la foto, piccola e piuttosto sgranata, di una ragazzetta con i capelli tinti di nero, il piercing sotto al labbro inferiore, trucco da dark e una faccia sconvolta. Sarà a causa della chioma di colore diverso, il tempo passato e la bassa qualità dell' immagine, ma mio marito non mi ha mai riconosciuta. Certo, non ha neanche mai letto questi giornali, altrimenti avrebbe capito dal nome che ero io, però... beh, è una strana sensazione. Quando me l' avevano scattata ero appena arrivata in prigione.

Ora sono molto diversa, mi sono un pochino arrotondata, non tanto, e sono tornata a tingermi -di castano, stavolta- non per fare la ribelle ma perchè ho dei fili grigi che iniziano a comparire. In effetti sarebbe stato difficilissimo capire che quel devasto di ragazzina era sua moglie.

Neanche Martina, che ha 13 anni, ha mai letto i fogli che tengo ora in mano, perchè oltre a loro qua tengo qualche libro di cucina e dunque non gliene può fregare di meno di dare un' occhiata al ripiano del tavolino. Quando finisco di leggere li sposto nel mio comodino.

La sequenza di titoli a caratteri cubitali prosegue sfogliando i ritagli, in realtà non dicono nulla rispetto a ciò che so.

Quella foto era appunto di quando ero appena arrivata in Italia, se non sbaglio il giorno stesso del nostro arrivo.

Il processo mi aveva lasciato senza parole: non hanno mai scoperto che ero stata io, prima ancora di quel casino, ad ammazzare il tizio passandoci sopra con la macchina. Mi hanno accusata di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni a pubblico ufficiale (le pietrate e la mascella spaccata allo stronzo) e qualcosa tipo complicità con il colpevole, una roba simile.

Quattro mesi in carcere ed ero già fuori.

Quel periodo è stato infernale, ero ancora innamoratissima di Tom e mi sentivo impazzire, volevo farmi fuori perchè non capivo come a me potesse essere andata così bene mentre a lui era capitata la morte. Avevo denunciato i poliziotti che lo avevano picchiato e ho fatto passare loro qualche grana, non troppe perchè ovviamente sono intoccabili, ma la soddisfazione di raccontare ogni singolo calcio e pugno ce l' ho avuta.

Hanno tentato di vendicarsi dicendo che un giorno avevo aggredito uno di loro, ma nessuno ci ha creduto e la mia compagna di cella, una sudamericana con dei bellissimi occhi dentro per spaccio di droga, ha fatto da testimone assicurando che non ho fatto nulla.

Sono venuta a sapere che eravamo davvero finiti in Polonia, e anche di un bel pezzo. La polizia italiana per qualche motivo aveva insistito per darci lei la caccia ed era rimasta stupita da quanto siamo riusciti a sfuggire.

All' uscita del carcere ero andata da mia madre, con la quale non avevo mai avuto dei grandi rapporti ma che ora mi sembrava la persona più essenziale per me al mondo. Mi chiedeva sempre di raccontarle cos' era successo, tuttavia ero troppo innamorata e addolorata per la perdita di quel ragazzo con le treccine e i dilatatori per poterci pensare senza soffrire come un cane.

Non so cos' abbia pensato quando ci hanno staccato a forza le mani, mi ricordo ancora alla perfezione un immenso senso di colpa nel suo sguardo, e la sensazione delle sue dita fredde separarsi dalle mie. Spesso la notte sogno della fuga in auto a 230 allora e della camminata nella neve. Sogno anche il suo viso, ma il ricordo inizia a sfumarsi lievemente.

Quando mi caricarono in macchina m' era rimasto il coltello in tasca ma gli sbirri, probabilmente agitati per la situazione, hanno avuto la gravissima mancanza di non perquisirmi: una volta arrivati davanti al carcere, dove c' era mia madre disperata, le hanno dato la mia borsa dimenticata nell' auto rubata, e hanno permesso di scambiarci due parole. Io, quasi senza capire nulla, avevo fatto cadere il coltellino nel suo interno e quello si doveva essere infilato in qualche zona segreta, perchè mamma non l' ha mai trovato.

Tornata a casa col cuore che seguitava ad essere distrutto per la perdita di Tom, un giorno presi quella sacca per farmi travolgere dai ricordi, e sentii un peso dentro. Pensando che fosse una bottiglietta o un oggetto simile ci infilai la mano e una stilla di dolore mi fece sobbalzare: qualcosa di metallico mi aveva punto ! Tirai su il braccio e mi guardai la gocciolina di sangue che si andava formando sulla punta del medio sinistro. Allora ribaltai la borsa e, con mio immenso stupore, vidi cadere sul tappeto un coltello che riconobbi subito.

Per settimane mi domandai come diavolo aveva fatto a passare dalla tasca dei pantaloni del mio amico assassino alla stuola del mio appartamento, e per molto credetti che avevo assistito ad un avvenimento magico. Solo col tempo ho ricostruito l' ordine dei fatti: avevo totalmente cancellato dalla testa l' averlo infilato nella sacca prima di entrare in carcere.

Ce l' ho ancora ora, lo metto in ogni borsetta che indosso. Mi fa sentire più sicura -ho un po' la paranoia delle aggressioni- ed è un bel ricordo. Quando mi capita di toccarlo mi fa sentire bene nel cuore e, oltre a far soffiare un lieve vento di rimembranze, mi infonde sicurezza.

E' per questo motivo che i poliziotti si sono strappati i capelli per mesi, impazzendo nel tentativo di recuperare l' arma del delitto, e mai l' hanno trovata. Per forza, ha sempre riposato nel fondo della borsa, appesa in ripostiglio !

E ormai, anche se per caso me lo vedessero durante un' ipotetica ed improbabile perquisizione, non lo riconoscerebbero più. Direi che esco tardi dal lavoro e già una volta mi derubarono, lo conservo per legittima difesa.

In realtà non ce n' è il minimo bisogno, ho la mia macchina e di autobus ne prendo poche volte, anche se finissi di lavorare alle tre di notte non correrei alcun pericolo perchè la mia auto è parcheggiata nel posteggio dei dipendenti, davanti all' ascensore dell' azienda e protetto da una robusta recinzione.

E' che voglio ricordarmi di quel ragazzo, tutto qua. Con il passare degli anni ho smesso di amarlo nel senso stretto della parola ma l' affetto, la stima e la pietà per la sua vita rovinata che provai a quel tempo sono rimasti immutati. Non è certo un avvenimento che si scorda facilmente, anzi mi ha lasciato molte “tracce” nel mio comportamento: quando guido mi immagino per istinto una tormenta di neve, non vado mai oltre i 100 all' ora, quando c' è del ghiaccio per terra procedo come una tartaruga... E in bagno, nell' armadietto sopra il lavandino, tengo una scorta record di penicillina. Non ho mai preso nient' altro quando capita di tagliarmi, una spolveratina e via che, manco a dirlo, solleva un mucchio di ricordi.

A mio marito non ho detto nulla, per giustificare i ritagli di questo caso ho raccontato che ero amica della ragazzina ammazzata, Clara, e dunque volevo seguire gli sviluppi della faccenda. All' esterno del mio cuore, senza mostrare ciò che ci è dentro, Tom è scomparso con la neve di quella nottata, e nessuno sa che ero io la sua complice.

Ho provato a fare una ricerca discreta sul luogo della sua sepoltura ma non l' ho scoperto: si domandava spesso di che foto avrebbero messo sulla sua lapide, e se qualcuno sarebbe andato al suo funerale. Volevo provare a saperlo, non si sa.

Ed infine Alex, il suo vecchio amico... Sebbene non l' avessi visto di persona Tom me lo aveva descritto minuziosamente, e nonostante gli anni passati anche per lui non ho fatto fatica a riconoscerlo, soprattutto per un pezzetto di tatuaggio che sporgeva dalla manica.

Era una domenica mattina ed ero al parco con Martina, quando ho visto un vecchietto molto malridotto su una sedia a rotelle ed una donna che la spingeva. Dalla bocca del vecchio scendeva un filo di bava e nel complesso pareva un cadavere tirato fuori dal sarcofago.

Conoscevo di vista la badante, ci avevo fatto un paio di chiacchiere dal fornaio.

Avendo adocchiato il signore anziano mi sono diretta verso la tizia e, salutandola, abbiamo iniziato a fare due chiacchiere. Le ho domandato chi fosse l' uomo e lei mi ha risposto: “Alessandro, e io sono sua sorella”. Vedendolo così macilento ho chiesto il motivo della sua debolezza e lei, abbassando la voce, ha replicato: “ha un tumore al cervello da mesi. Soffre molto, i medici dicono che ancora per un po' ne avrà”. Solo impiegando al massimo il mio autocontrollo sono riuscita a reprimere un ghigno crudele.

E' meglio morire giovani, o passare la vita a sbavare con un cancro grande quanto una pallina da golf nel teschio ? Chi è stato più fortunato ? Non mi pare che Alex se la sia cavata da dio, e gli sta bene. Godo immensamente.

Per il resto la mia vita è simile a quella di moltissime altre donne: ho una figlia che sta iniziando a sviluppare interesse per il metal, proprio come avevo fatto io da piccola; ho un marito conosciuto per caso quando alla nostra azienda s' è rotto il cancello automatizzato ed è venuto lui, a proporci una soluzione visto che lavora in un' industria che vende quei prodotti. Abbiamo fatto numerosi viaggi, e la prossima meta sarà Praga. Tom è stato una stella cadente, è durato un solo istante ma ha graffiato il cielo con un segno indelebile per quanto piccolo, e spesso mi domando cosa avrebbe fatto se fosse vissuto.

Per molto tempo rimasi convinta che non fosse morto, ma se ci penso ora mi rendo perfettamente conto che, quando vidi i poliziotti sollevarlo, quello era un cadavere. Certo, ancora caldo, deceduto da pochissimi minuti, ma senza vita. Altrimenti la testa non avrebbe ciondolato in quella maniera così inerte, così cadaveresca, con rivoli di sangue che gli uscivano dalla bocca e dal naso. Soprattutto solo ora da adulta sono riuscita a riportare alla memoria come dondolava la testa, in un modo strano: collo spezzato, con tutte le probabilità. Non voglio sapere come sarà stato ridotto il suo corpo quando gli hanno fatto l' autopsia. Avranno sicuramente detto che tutte quelle fratture se le sarà fatte mentre aggrediva i poliziotti, e dunque la loro è stata legittima difesa. Ma, a meno che le magie non esistano, non mi sembra molto probabile che una persona a terra quasi dissanguata e immobile possa aver assaltato un branco di energumeni come loro.

Altrettante volte mi sono chiesta come sarebbe proseguita la nostra vita se lui fosse rimasto in vita. Anni di carcere, ovvio, ma poi ? Ci saremmo rincontrati e saremmo andati a vivere insieme dopo esserci sposati, come in un libro romantico ? Oppure saremmo rimasti solo amici, o semplicemente sarebbe svanito tutto con il passare degli anni ? Non lo so. Forse avrebbe continuato a vivacchiare a modo suo, bevendo e sniffando, per sempre ai margini della società, o forse sarebbe diventato un padre modello con i miei figli o con i figli di sua moglie, un' altra donna. Non ha mai avuto un' ulteriore possibilità, e può anche darsi che non se la meritasse affatto, ma ancora oggi non riesco a incolparlo. I genitori sono sempre la firma di un certo futuro per i loro bambini, e la firma che è capitata a lui sono certa che è stata quella che lo ha alla fine fatto ammazzare. Per questo motivo mi impegno al massimo nel crescere bene Martina.

Ci sono giorni dove magari mi lascio trasportare dai ricordi (ma il pensiero della mia vita attuale è sempre al primo posto, non vivo nel passato) dove mi immagino la possibilità di trovarmelo davanti in strada. Lo riconoscerei ? Penso di si perchè sarebbe devastato dopo le botte che ha preso, e allora cosa farei ? Ehi Tom, chi si rivede ! Non ti hanno ammazzato, allora ! Non mi concentro mai molto su simili pensieri perchè so che è impossibile, ci rimango su qualche minuto e poi le faccende quotidiane mi riprendono subito.

Ho raggiunto un equilibrio personale, ho la mia vita -una bella vita- e il passato è una terra dove mi avventuro quando voglio, per poco tempo ma in ogni momento che desidero.

So cosa è successo, so quanto sono stata felice con lui, e ciò mi basta. La mia esistenza è ora e domani, e mi impegno ciascun giorno nel vivere al meglio. Paradossalmente, a quel ragazzo e agli avvenimenti accaduti ci penso davvero poche volte, ma quando sfoglio il libro dei giorni passati lo faccio sempre nei momenti più calmi e delicati che ho.

Ora pranzo e poi vado a prendere Martina a scuola, dovrò usare la macchina perchè piove senza sosta, e devo indossare un altro cappotto essendo l' altro fradicio come uno straccio lasciato fuori.

E mi diletto a far volare la mente pensando che, se davvero è sopravvissuto, magari anche lui sta andando a prendere suo figlio in qualche istituto, vivo, distante da me pochi metri o vari chilometri, con il corpo solcato dai colori dei suoi innumerevoli tatuaggi, forse un po' zoppo e con qualche cicatrice (immagino l' ipotetica moglie che gli avrà domandato “ caro, quel taglio sul tuo fianco a cosa è dovuto ?”) ma di nuovo felice, di nuovo sorridente, il Tom che ho conosciuto e che morte non può toccare, forse mortale nel corpo, di certo immortale nella mia mente.

   
 
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