Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Lorelaine86    30/04/2012    4 recensioni
Lei sbatté le ciglia, posando le mani sui fianchi, una gamba morbidamente piegata davanti all'altra.
«Perché?» domandò, il ritratto stesso dell'innocenza. «Le sembro il tipo che può creare guai?»
In quel preciso momento seppi che stavo sbagliando tutto e che prima o poi avrei pagato caro quell'errore. Non avrei mai dovuto lasciarmi convincere da quella donna. Non avrei mai dovuto investirla, accidenti a lei. «Come una bomba a orologeria» risposi in tono truce. «Vorrei soltanto sapere quando ha intenzione di esplodere»
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Alice/Jasper
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO BETATO DA Amy Dickinson

Alice POV

Al diavolo! Ne avevo abbastanza di pomodori con occhi e gambe, di carote che agitavano le braccia e porri che portavano gli occhiali. Con un gesto secco, gettai la cartella sulla scrivania e lanciai un'imprecazione a mezza voce.

«Col cavolo che lo rifaccio!», borbottai.

«Se vuoi questa immondizia di verdura animata te la fai da te, signor Newton. Io ho chiuso»

«Qualcosa mi dice che il capo non ha apprezzato i tuoi sforzi», disse una voce tranquilla dalla scrivania accanto. «La verdura non era abbastanza fresca questa mattina?»

Guardai Jessica con aria truce e sbuffai. «Vuoi sapere che cosa ha detto?», domandai, il tono tenuto a stento sotto controllo.

 «"Signorina   Cullen,   vedo   che   ha   cominciato   a   entrare   nello   spirito   della   nostra agenzia"», riferii, imitando la voce nasale del capo. «"Questi pomodori sono accattivanti, ed è proprio questo che i consumatori vogliono. Immagini accattivanti. Le suggerisco di ingrandire un po' gli occhi, mettere delle scarpe ai piedi, magari con un po' di tacco, e dare alle carote un'aria più simpatica". Ha detto proprio così:

"dare alle carote un'aria più simpatica". Bleah!» feci una smorfia disgustata. «Ti è mai capitato di trovare simpatica una carota, Jess?»

La collega si strinse nelle spalle. «Non da quando sono a dieta. Odio le carote»

«Beh, lui le vuole simpatiche. Mi domando e dico cosa dannazione deve avere una carota per essere simpatica!»

Un guizzo mi passò negli occhi, mi sedetti dietro la scrivania, presi un blocco da disegno e vergai dei rapidi tratti con una matita. «Che cosa te ne pare di questa?», chiesi poi mostrando il foglio a Jess.

La   collega   guardò  e   scoppiò   a   ridere,   coprendosi   la   bocca   con   la   mano   nel   caso   qualcuno   stesse guardando attraverso la parete a vetro.

 «Non credo che al signor Newton piacerebbe», commentò.

«Ma ai consumatori scommetto di sì», replicai, soppesando con lo sguardo l'immagine della carota a cui era spuntato a media altezza un irriverente e accattivante pisellino. «Migliaia di massaie frustrate troverebbero simpatica una carota così»

Lasciando cadere il disegno, feci uscire un sospiro esasperato.

Non avrei retto in quell'agenzia, lo sapevo.

Lavoravo lì da tre mesi soltanto e fino a quel momento era stata una lotta senza quartiere tra le mie idee e quelle del signor Newton. La verità era che il signor Newton non tollerava altre idee che le proprie. Le sue campagne pubblicitarie erano imperniate sulla banalità più assoluta. Verdure parlanti, omini portentosi che uscivano dai flaconi dei detersivi come dalla lampada di Aladino, orsacchiotti di peluche che si confidavano le prodezze di un ammorbidente. Mai niente di nuovo, niente di veramente creativo.

Ogni innovazione era guardata con sospetto e irrimediabilmente bocciata. Avevo nel cassetto almeno quattordici proposte che erano state bloccate sul nascere da un semplice cenno del capo. Non sapevo come avessi fatto a resistere tanto. Ogni volta che il capo m'aveva mandata indietro con la mia proposta bocciata, avevo giurato di andarmene.

 Ma ogni volta ero rimasta. Sapevo che quella era la mia unica possibilità di lavorare nel campo che più mi piaceva: quello pubblicitario. Fino ad allora avevo svolto diversi lavori, da quando avevo deciso di tagliare con il passato e iniziare una nuova vita.

Venditrice di enciclopedie porta a porta, barista, commessa, persino cameriera a ore, mentre frequentavo la scuola serale di grafica pubblicitaria. In realtà la mia vera passione era la fotografia pubblicitaria. L'agenzia del signor Newton era soltanto il primo passo, lo sapevo. Dovevo resistere almeno il tempo per farmi un minimo di esperienza e per rimpinguare in qualche modo il mio curriculum. Ma le verdure parlanti

erano troppo. Le  avevo eseguite su richiesta del capo, ma più le guardavo e meno mi piacevano.

«I miei incubi sono popolati da battaglioni di verdure che marciano contro di me con l'intenzione di divorarmi», mi lamentai sconfortata. «Se non me ne vado da questa agenzia, divento pazza»

Jessica, dall'altra parte della stanza, fece un sorriso di sufficienza. «Tutto sta a farci l'abitudine. Guarda me: sono qui da quattro anni»

E si vede, avrei voluto dirle, ma mi trattenni in tempo.

«Tu sei più... tollerante di me», osservai invece.

«Lo sono diventata»

Buon per te. Io piuttosto mi taglio le vene per fare la pubblicità di uno smalto color rosso sangue”

«Questione di carattere»

«Questione di bisogno», mi contraddisse Jessica con aria pacata, continuando a disegnare dei fiorellini per pubblicizzare un deodorante. «Se riesci a trovare un'altra agenzia che ti assume...» buttai via la carota con il pisellino. «Io un'idea ce l'avrei», borbottai, quasi tra me e me. «Lo studio Butler»

Jessica sgranò gli occhi e smise persino di disegnare. «Tu sei pazza. Quell'uomo è... una specie di genio malefico ed è completamente inavvicinabile»

«A me piace. E’ il pubblicitario più pagato del momento. L'agenzia Butler chiede tariffe da capogiro per una campagna pubblicitaria. E non sbaglia un colpo, mai»

«È una questione di gusti. Butler è stato denunciato più di una volta a causa delle sue immagini troppo... osé, e ogni volta suscita una polemica»

«Chiamalo stupido. Quell'uomo sa cos'è la pubblicità. E poi, realizza delle fotografie eccezionali»

«E credi che lui ti assumerebbe, con la tua esperienza?», chiese Jessica stringendo le labbra in una smorfia sprezzante. Pensai a come sarebbe venuta una fotografia di Jessica che stava morendo soffocata.

«Sì, io credo proprio che mi assumerebbe» dissi, con aria tracotante. Buttai la matita sulla scrivania e mi alzai.

«Non appena   avrò   dato   le   dimissioni   al   capo   del   personale» conclusi   prendendo il giaccone di pelle dall'attaccapanni. «Io me ne vado, questa sera niente straordinario»

Jessica fece un sogghigno. «Vai dal capo del personale?»

Ero già alla porta. «Domani», dissi tra i denti. «Ci vado domani»

«Arrivederci, allora» mi  fece eco Jessica.

Feci un cenno con la mano e abbandonai l'edificio senza curarmi del fatto che il signor Newton aspettava di vedere le carote simpatiche che io avrei dovuto inventare.

E adesso che cavolo faccio?, mi domandai una volta in strada, cominciando a camminare senza una meta precisa.

Sicuramente   Jessica   avrebbe   chiacchierato   in   giro,   diffondendo   la   voce   che   io   volevo   passare   a lavorare per la concorrenza. Già, come se fosse facile.

Aveva provato un'infinità di volte a farsi ricevere da James Butler, ma per avere un appuntamento con lui bisognava essere come minimo un imprenditore miliardario. Quanto al suo staff dirigenziale, l'assistente della segretaria del capo del personale mi aveva detto che poteva mandare un curriculum, ma che comunque in quel momento erano al completo.

Sai che allegria, mi dissi. Come minimo, dovrò tornare a servire

ai tavoli in qualche trattoria di terz'ordine, a farmi dare pacche sul sedere da qualche avventore ubriaco.

Scrollando con un gesto rabbioso la folta capigliatura nera, mi guardai intorno stupita. Dove ero  finita? Mi ci volle solo un momento  per riconoscere la palazzina stile Tudor   che  svettava  oltre la cancellata in ferro battuto. Sulla colonna a fianco del cancello troneggiava una targa in ottone: Agenzia Butler.

La lingua batte dove il dente duole, pensai con disgusto.

Guardai l'ingresso scintillante che si intravedeva in lontananza, oltre il lungo viale alberato, e mi immaginai come dovesse essere lavorare lì. Ciò che m'attirava non era l'eleganza raffinata del luogo, che pure aveva la sua parte, quanto l'idea di lavorare a fianco di un genio. E se lui mi avesse perfino apprezzata? Se mi avesse chiesto  di proporre delle  idee? Quella sembrava l'unica via di salvezza, la strada  che poteva

finalmente farmi decollare verso la meta. Naturalmente era soltanto una pia speranza, e io una povera illusa.

Stavo per attraversare la strada e cambiare direzione, quando scorsi con la coda dell'occhio la berlina scura che sopraggiungeva sulla destra. Aveva il lampeggiatore in funzione, segno che intendeva svoltare all'interno del vialetto.

Uno sguardo veloce al guidatore dell'auto e ebbi la più folgorante idea della mia carriera. Stringendo i denti mi gettai in avanti, dritta verso le ruote dell'automobile, una BMW color canna di fucile, serie sette.

 

Jasper POV

 

Avanzando lentamente nel traffico cittadino ruminavo foschi pensieri. Non era

stata una buona idea, pensavo. Ci voleva altro per convincere il genio della pubblicità Butler a lavorare per te. Da anni Butler aveva clienti fissi e difficilmente allargava la cerchia degli eletti.

La ditta di cosmetici che rappresentavo, per quanto prestigiosa, non era sufficiente a richiamare l'attenzione del grand'uomo. Per ora, tutto ciò che avevo ottenuto, grazie all'intercessione di un conoscente comune, era un appuntamento a tu per tu. Non con il suo tirapiedi numero uno o la sua efficientissima segretaria.

Proprio il genio in persona. Bene, era già qualcosa. Per il resto, avrei dovuto improvvisare.

Scorgere il lampo nero e marrone e schiacciare il pedale del freno fu tutt'uno. La BMW si inchiodò all'ingresso del vialetto con uno stridio pauroso, ringraziai mentalmente l'ABS e l'alta tecnologia delle automobili tedesche. Con un balzo fui a terra e il sangue mi defluì dal viso quando vidi il fagotto di abiti e carne che spuntava dal muso dell'auto.

«Per tutti gli dei!» mormorai chinandomi. «Signorina... Si è fatta male? Che cosa... Perché diamine si è buttata sotto le ruote dell'auto?»

«Chi è?» domandò la ragazza, sollevando  leggermente il capo e andando a sbattere   contro il paraurti.

«Ouch!», esclamò, ricadendo all'indietro. «Chi è lei?» domandò poi con voce flebile.

«Senta,   riesce   a   muoversi?   Sente  dolori   da  qualche  parte? Crede di avere  qualcosa di rotto? È già qualcosa che non abbia perso conoscenza»

«Lei chi è?» ripeté la donna. «Perché mi è venuto addosso?»

«Ehi, è stata lei a... Lasciamo perdere. Come si sente?»

Allungando le mani, la sondai attraverso il giaccone di pelle e poiché la donna si muoveva

piuttosto agilmente ne trasse la convinzione che non doveva avere nulla di rotto. Per sbaglio, una mano scivolò all'interno del giaccone, finendo dritta dritta su un seno, come se ne fosse stata calamitata, e anche quello era tutto intero, sano e... conturbante.

«Ehi, che diavolo fa?» domandò, rizzandosi a sedere di colpo, evitando di un pelo il paraurti, questa volta. Fu in quel momento che mi resi conto che quella donna dai capelli neri aveva i più incredibili occhi verdi che mi fosse mai capitato di vedere. Spalancati.

«Io... mi scusi, è stato del tutto casuale. Senta, non dovrebbe stare seduta. Può avere battuto la testa e...»

«Nossignore, non ho battuto la testa» affermò lei in fretta, ravviando all'indietro i luminosi capelli.

«Tuttavia, è meglio che si faccia vedere. Telefono per un'ambulanza...»

«Non credo proprio di averne bisogno», dissentì lei, agitandosi per alzarsi.

Inginocchiato accanto a lei, le misi entrambe le mani sulle spalle per farla stare giù. «Non si alzi! Potrebbe... svenire...»

Testarda, la donna incrociò le gambe e fece leva sulle cosce, rizzandosi in piedi con una mossa che solo un'abile ginnasta poteva fare. La guardai con la fronte aggrottata, sollevandomi a mia volta.

Ondeggiando   lievemente,    si   appoggiò   al   cofano   dell'auto,   guardandomi   negli   occhi.

 «Lei non guarda mai dove va?» mi accusò.

«Come sarebbe a dire? È stata lei a buttarsi in mezzo alla strada. Un attimo prima era là e quello dopo era qui. Dico, non è il modo di attraversare la strada»

«Questa non è una strada, ma un vialetto privato»

«È la stessa cosa»

«Io avevo la precedenza»

«Non ci sono strisce pedonali. E in ogni caso, non potevo fare in tempo a vederla. Grazie al cielo, mi pare che non si sia fatta nulla. Come si sente?»

Lei tentennò lievemente il capo, come se stesse saggiando la situazione. «Dove è diretto?» chiese poi, inaspettatamente.

Mi sorpresi. «Che diamine. All'agenzia Butler, che si trova in quella palazzina laggiù»

«Lei ha un appuntamento con il signor Butler, per caso?»

«Proprio» socchiusi un po' gli occhi, perplesso. Chi era quella donna? E che cosa voleva da me?

«La cosa le interessa per caso?»

 «Io... senta, mi gira un po' la testa. Potrei... sedermi nella sua auto?»

Dimenticai i miei sospetti. «Ma certo. Si segga, forza» la invitai, tenendole aperta la portiera della BMW. «È sicura di non volere andare all'ospedale?» chiesi poi scrutandola preoccupato.

La donna scivolò sinuosamente sul sedile di pelle bianca, morbida e calda. Allungò le gambe davanti a sé e appoggiò la testa all'indietro.  Nonostante  l'aspetto vagamente  languido stava  ragionando in fretta.

«No, niente ospedale» disse, riaprendo gli occhi. Sbatté un paio di volte le lunghe ciglia folte, quindi abbozzò  un sorriso. «Però forse è meglio che non riprenda a camminare da sola. Non si sa mai...»

«Certo»,   convenni,   consultando   rapidamente   l'orologio.

«Senta,   posso   chiamarle   un   taxi. L'accompagnerei io ma il mio appuntamento è tra meno di cinque minuti e non posso rimandarlo»

«No,   no»   si   affrettò  a  dire  lei.   «Non  deve  rimandarlo  affatto.   Ma  un  taxi   ci  metterà  un  secolo  ad arrivare»

Vero, convenni, guardandomi attorno con impazienza. Con quella donna che si era piazzata sul sedile della mia auto, che cosa dovevo fare? Senza parere, studiai le belle gambe allungate davanti al sedile inguainate in un paio di attillatissimi pantaloni neri.

«Forse posso farle una proposta» disse lei. «Posso venire con lei. Così dopo il colloquio potrà accompagnarmi a casa»

Non riuscì a nascondere un moto di perplessità. «Venire con me? È un colloquio d'affari,

niente che possa divertirla, temo»

«Sono un tipo paziente» assicurò lei. «E poi... è con Butler che deve vedersi, no? È un uomo... interessante»

Socchiusi gli occhi. «Davvero? Lei lo trova interessante?»

 «Io sono una pubblicitaria» confessò con un sorriso smagliante. «E lui è un genio

in questo campo»

«Così dicono»

«Lo è» assicurò lei. «Senta, sono disposta a dimenticare che mi ha quasi ucciso con la sua auto se mi porta con sé. Starei buona e zitta...» si fermò. «Così lei non dovrà preoccuparsi del fatto che potrei svenire o finire sotto a un autobus per colpa sua»

«Ehi, ci vada piano. Non è mia la colpa dell'incidente... E poi lei non si è fatta niente»

«Non si sa mai. Una commozione cerebrale può dare effetti anche a distanza di ore» mi scoccò uno sguardo in tralice. «Se mi accadesse qualcosa, potrebbe essere accusato di omissione di soccorso. Non vuole controllare che vada tutto bene?»

Mi grattai la nuca. «Non mi sembra una buona idea» dissi, perplesso. «Non ho idea di quanto durerà l'incontro e...»

«Io ho tutto il tempo che voglio» assicurò la donna. «Non c'è problema»

«Senta, devo parlare di affari. Sarà noioso»

«Niente può essere noioso con James  Butler» smentì lei. «E io sono un tipo paziente»

Ne dubito, pensai. Adesso ero non soltanto perplesso, ma anche incuriosito, oltre che vagamente eccitato. Quella donna riusciva a spedirmi brividi sotto la pelle con una semplice occhiata.

«Se la porto con me, lei in cambio che cosa mi concede?»

Lei arricciò le labbra. «Che cosa intende dire? Al massimo, posso permetterle di accompagnarmi a casa, per assicurarsi che non ci sono state complicazioni»

Sogghignai. «Immagino di doverlo considerare un onore»

«Naturalmente. Io non accetto passaggi dagli sconosciuti, di solito»

Avrei voluto farle notare che si era installata nella mia auto senza alcun problema, ma preferii lasciar perdere. Stavo facendo tardi al mio appuntamento e quella storia prometteva di rivelarsi interessante.

«D'accordo» acconsentii con un rapido cenno del capo. «La porto con me»

Girai intorno all'auto e mi misi al posto di guida. Volevo scoprire che cosa aveva in mente quella donna.

Lei, intanto, si era raddrizzata contro lo schienale, segno evidente che non aveva affatto giramenti di testa e aveva abbassato lo schermo parasole per guardarsi nello specchio. «Accidenti!» borbottò frugando nella borsetta. «Ho un aspetto orribile»

«Non mi sembra» dissentii, avviando l'auto. «A proposito, forse è meglio se ci presentiamo. Io mi chiamo Jasper Whitlock»

« Alice Cullen»  disse  lei,   mentre  si   spalmava  il  mascara con abili   tocchi.  Poi   prese il  rossetto  e cominciò a lavorare intorno alle labbra. «Ma tutti mi chiamano Alice. Perché deve vedere il signor Butler?» volle sapere.

Percorsi lentamente il vialetto, mentre guardavo affascinato i suoi movimenti. «Rappresento un’azienda di   cosmetici   della   West   Coast.   Stiamo   cercando   di   assicurarci   una   campagna   pubblicitaria   da Butler.»

Alice fischiò piano tra i denti, poi si sfregò le labbra in un modo che mi fece salire le pulsazioni.

«Avete molti soldi, allora. Butler fa pagare il suo lavoro»

«Ci stiamo ingrandendo» feci io, vago.

Dopo una spolverata di fard, Alice si spazzolò rapidamente i capelli, che erano lisci e vellutati. Ebbi voglia di toccarli. «Rallenti» disse lei, mentre si toglieva il giaccone di

pelle. Sotto portava una camicia bianca di seta che le cadeva morbidamente sul seno. Alice aprì la lampo dei pantaloni e cominciò ad armeggiare con la camicia per spingerla all'interno.

Guardavo affascinato lo slip di pizzo nero e i triangoli di pelle che si intravedevano tra la stoffa.

«Che cosa fa, dannazione?» domandai, con la bocca secca.

«Non guardi» intimò lei, continuando le sue manovre. Poi sbuffò. «Beh, non ha mai visto una donna sulla spiaggia che mostra un po' di gambe?»

«Buon Dio! Qui non siamo sulla spiaggia»

«Faccia finta di sì», disse lei. «Non salterà addosso a tutte quelle che vede, no?»

«Dipende» mormorai in risposta.

«Da che cosa?»

«Da come sono»

«La smetta. Parcheggi l'auto dietro a quella fila. Devo finire di sistemarmi»

obbedì. Ero sempre più perplesso, e più incuriosito. Lei finì i suoi armeggiamenti e quando tornò a sedersi si era trasformata da giovane donna attraente in pantaloni attillati in una bomba di sesso che non sarebbe passata inosservata in nessun ambiente, tanto meno nella  raffinata  agenzia Butler.  «Fa  tutto questo per un uomo?» le domandai  con voce sardonica.

«Non per un uomo. Per James Butler. È diverso»

Corrugai la fronte. Non ci capivo un accidente e questo non mi piaceva. Ero uno che di solito sapeva le cose prima ancora che accadessero. Questa donna mi aveva spiazzato. «Se lo dice lei. Vogliamo andare adesso? Temo di essere ormai in ritardo»

Alice si diede un'ultima occhiata allo specchio. «Andiamo. Ah, un'altra cosa. Io sono la sua assistente. Se ci sono dei particolari tecnici, li lasci discutere a me»

Rimasi  con un piede a terra e l'altro sull'auto. «Che cosa?»

«Non si preoccupi, gliel'ho detto che lavoro nel settore» disse lei balzando a terra ed ergendosi in tutta la sua piccola statura.   In   piedi   era   ancor   più   sconvolgente   che   seduta. Portava tacchi alti che la rendevano più slanciata e si muoveva in un modo da mozzare il fiato anche a un monaco buddista durante una funzione religiosa. Quei

pantaloni elasticizzati le fasciavano i fianchi e il di dietro in un modo... indescrivibile, conclusi.

«Senta, non mi crei dei guai, intesi?» dissi con voce piuttosto roca mentre mettevo a terra anche l'altro piede. «Io devo solo discutere di un contratto pubblicitario»

Lei  sbatté le ciglia, posando le mani  sui  fianchi, una gamba morbidamente piegata davanti  all'altra.

«Perché?» domandò, il ritratto stesso dell'innocenza. «Le sembro il tipo che può creare guai?»

In quel preciso momento seppi che stavo sbagliando tutto e che prima o poi avrei

pagato caro quell'errore. Non avrei  mai dovuto lasciarmi convincere da quella donna. Non avrei  mai dovuto investirla, accidenti a lei.

«Come una bomba a orologeria» risposi in tono truce. «Vorrei soltanto sapere quando ha intenzione di esplodere»

 

 

Da quant'è che non scrivo qualcosa? *pensa ai due anni di latitanza ed impallidisce*, beh eccomi tornata finalmente con qualcosa di decente ma soprattutto con una storia che ha come protagonisti una delle coppie più adorate di Twilight. come al solito l'ispirazione mi è venuta grazie alla ff  "Living in Manchester" della mia carotina Amy Dickinson (dategli un'occhiata ne vale la pena). Sono un pò arrugginita con la scrittura quindi spero sia di vostro gradimento.

Buona lettura

Lory

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Lorelaine86