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Autore: kithiara    30/04/2012    2 recensioni
Una ragazza come tante, un vampiro come pochi, legati in maniera inspiegabile e apparentemente indissolubile.
Cosa si cela dietro gli strani sogni che lei fa ogni notte? Quale destino la porterà a Sunnydale alla ricerca della vecchia Scooby gang?
Fate doppio click sul titolo di questa storia e lo scoprirete.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, William Spike
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3: Un ospite indesiderato
 
 
 
E’ giorno.
Percepisco, più che vederla, la luce filtrare attraverso le tende della stanza.
Socchiudo appena gli occhi, mentre con un braccio mi allungo verso il comodino per controllare l’ora.
Strano…sono sveglia e sono solo le 6:40, la sveglia non suonerà prima di altri dieci minuti.
Mi rigiro lentamente fra le coperte, godendo ancora per un po’ del loro tepore e di quello stato di grazia che sta fra il sonno e la veglia.
 
Mi sento riposata come non mi capitava da settimane e la cosa mi rende già di ottimo umore.
Finalmente decisa ad alzarmi, butto le coperte verso il fondo del letto, ricevendo in cambio un basso miagolio di protesta da parte di Perelun che si vede ricoprire dal candido piumone.
Ridacchio piano, mentre carico la moka e accendo il fornello, un gesto ormai divenuto abituale visto che sono una vera drogata di caffeina.
E quando intendo caffeina, intendo la vera moka italiana, non la brodaglia che ci propinano qui.
 
Una volta in bagno, apro i rubinetti del lavandino e lascio scorre l’acqua fino a quando non raggiunge una temperatura accettabile.
Il morbido tappetino mi solletica i piedi nudi.
Senza quasi rendermene conto inizio a canticchiare, l’acqua che piacevolmente mi scivola sul viso e nell’aria l’odore del caffè che inizia ad aleggiare.
E’ uno stato di quiete quello in cui sono e quasi inconsciamente mi chiedo quanto possa durare.
Affondo il viso nell’asciugamano fresco di bucato, poi finalmente mi guardo allo specchio e…faccio un salto indietro dallo spavento.
 
Quelli che mi fissano dalla superficie liscia e riflettente non sono i miei occhi.
O almeno, sono i miei occhi, l’espressione è la stessa, ma è il loro colore che non mi appartiene.
Sono di un blu profondo, decisamente diverso dal nero che mi è così familiare.
E’ un po’ come avere delle lenti a contatto colorate…solo che io non porto lenti a contatto.
 
Mi riavvicino per controllare meglio. Sono proprio blu.
Ripensandoci, perché non posso avere gli occhi di questo colore?
E’ decisamente meglio del mio! E si intona molto con la mia carnagione pallida.
Li strizzo fino a vedere le stelline bianche come quando ero bambina e quando li riapro sono nuovamente loro, le mie iridi scure, che mi guardano confuse.
Soffro di allucinazioni adesso?
 
Non faccio nemmeno in tempo a preoccuparmi che uno sguardo all’orologio mi ricorda che devo sbrigarmi se non voglio arrivare in ritardo.
Saltellando per la stanza con una gamba del pigiama sì e una no, sto già pensando a cosa indossare.
L’incidente viene definitivamente archiviato con un’alzata di spalle, nel momento in cui la caffettiera inizia a fischiare.
 

*******

 
E’ verità universalmente riconosciuta, che quand’anche ti dovessi svegliare con il piede giusto, la tua giornata non può che essere destinata a peggiorare.
Per una volta tanto che sono riuscita a svegliarmi prima, i lavori in metropolitana e la pioggia rischiano comunque di farmi arrivare in ritardo.
 
Accelero il passo, facendomi largo in qualche modo sul marciapiede ingombro di persone, la pioggia che mi colpisce incessante perché purtroppo il mio ombrello ha scelto proprio oggi per andarsene in ferie.
Un auto passa pericolosamente vicina al marciapiede, mi fermo giusto in tempo per non essere investita dal getto d’acqua di una pozzanghera.
 
Sono quasi davanti all’ingresso dell’ufficio, già pregusto il calore dell’atrio dopo il freddo gelido della strada.
Ma evidentemente oggi non è proprio il mio giorno fortunato.
 
Un taxi accosta al marciapiede proprio in quel momento senza fare alcuna attenzione e ciò che prima avevo solo sfiorato, ora mi travolge in pieno.
Sono bagnata fradicia.
Sto ancora snocciolando bestemmie in tutte le lingue del mondo, quando vedo uscire dal taxi niente meno che Barry Mitchell, l’odioso Barry come lo chiamo io, uno dei soci più giovani del mio studio e neanche a dirlo uno dei miei più fervidi oppositori.
 
Mi guarda dal suo metro e novanta di altezza e senza degnarmi nemmeno di una scusa, mi rivolge uno dei suoi viscidi sorrisini denigratori.
Che si fotta.
L’unica cosa che voglio ora è varcare quella maledetta soglia e riscaldarmi un po’.
Sento le gocce d’acqua scendere giù per la schiena, ho il fondo dei pantaloni gonfio di pioggia e neanche sto a raccontarvi come sono i miei capelli, una matassa arruffata e ingarbugliata tutta appiccicata alla testa.
 
Purtroppo, quando si dice che le sfighe non vengono mai sole, ecco entrare nell’atrio lui in persona, Clifford Cox, uno degli avvocati più blasonati di tutta Londra, discendente di uno dei due soci fondatori della C&C Associates, in parole povere…il mio capo.
 
Cerco di farmi piccola piccola, non mi pare proprio il caso che mi veda in queste condizioni, quando ecco che quel verme strisciante di Mitchell si fa incontro a Cox e dopo averlo salutato e leccato per bene, mi apostrofa così
“Dickinson, sembri il mostro della palude appena uscito dalle acque, non penserai di salire con noi in ascensore, vero?”
E si mette a ridere.
 
L’ascensore parte e io vorrei sprofondare.
Ho notato perfettamente lo sguardo disgustato che mi ha lanciato il Signor Cox prima che si chiudessero le porte.
Già ci si mette madre natura a complicarmi la vita, per quale motivo poi persone spregevoli come Barry Mitchell devono infierire?
 
Sto quasi meditando di girare sui tacchi e tornarmene a casa, quando incrocio lo sguardo della ragazza della reception, mi pare che si chiami Anne qualcosa.
Nei suoi occhi azzurri scorgo un mare di comprensione, mentre con gentilezza mi porge una salvietta.
Balbetto un distratto grazie e mi dirigo a tutta velocità verso il bagno più vicino.
Sto per mettermi a piangere.
 
Il contatto coi vestiti bagnati mi fa tremare di freddo, così cerco invano di tamponare la stoffa.
Guardo nello specchio e il mio riflesso ricambia lo sguardo con occhi scuri di mascara sbavato.
Apro il rubinetto dell’acqua calda e mi appoggio al lavandino in attesa di poter lavare via la sensazione di gelo che mi pervade.
So già che la sensazione costante e ben più ingombrante di completa inadeguatezza invece non se ne andrà.
 
Appoggio gli occhiali sul ripiano del lavandino poi raccolgo un po’ d’acqua fra le mani e mi detergo il viso.
La sensazione di sollievo è immediata e per un attimo mi illudo di potermi sentire meglio, quando ecco che un dolore fortissimo mi trapassa le tempie e reggendomi la testa che pare voler esplodere, mi accascio a terra gemendo.
 
E in quel momento la sento.
“Per l’inferno, che dolore!”
 
La sorpresa mi paralizza, seduta lì sul lucido pavimento del bagno.
“Chi ha parlato?”
“I miei occhi, non vedo un accidente di niente dannazione!”
“C’è qualcuno?”
La mia voce rimbalza sulle pareti dello stretto locale.
“Ehi parla più piano, qui dentro rimbomba tutto.”
“Dentro dove? D-dove sei?”
“Come se lo sapessi. Qui è tutto così maledettamente confuso.”
 
La voce che sento è chiaramente irritata e lo sarei anch’io, se non fossi già anche decisamente spaventata.
Rialzandomi in piedi a fatica, con il sangue che pulsa ancora forte nelle tempie, apro di scatto le porte di tutti i bagni, alla ricerca del colpevole.
Sono tutti vuoti.
Alzo la voce, che assume così una tonalità forse un tantino isterica.
“E’ uno scherzo, vero? Andiamo ragazzi, uscite fuori! Siete contenti? Mi avete già spaventata abbastanza, ora basta però!”
“Ma la pianti di urlare? Qui ci siamo solo io e te…e il mio mal di testa, ovvio.”
 
Non è possibile, sono sola eppure la sento chiaramente…
“Io…sto sognando, non c’è altra spiegazione.”
Ma certo, cadendo ho sbattuto la testa e sono svenuta…e ora sto sognando.
“Non stai sognando.”sbuffa
Nemmeno la ascolto, tanto quella voce non esiste.
“Forse se mi do un pizzicotto mi sveglio.”
Brava Emily, mantieni la calma.
“Ahi!”
 
Sussulto, appoggiandomi di scatto al muro dietro di me.
“Ma come, l’hai sentito anche tu?”
Ecco brava, mettiti pure a parlare con qualcuno che non esiste.
“Sì accidenti e ha fatto un male cane, quindi vedi di non riprovarci.”
Ma bene, adesso anche nei sogni vengo rimproverata.
“Questo sogno è fin troppo realistico…”
“Come devo dirtelo, non stai sognando!”
“Ah no? Allora come lo spieghi il fatto che sto parlando con una voce dentro la mia testa?”
 
Al diavolo la calma, sono imbufalita!
Ci mancavano solo le voci per rendere la mia giornata già schifosa…definitivamente orribile.
“Sei sicura di non essere tu dentro la mia? Sai, ho già avuto esperienze di questo tipo.”
“So riconoscere la mia testa e quella…quella è la mia testa!”sbraito indicando lo specchio che occupa tutta la parete di fronte e su cui la mia immagine si riflette in tutto il suo candido pallore alla luce delle lampade al neon.
“Oh. In effetti quello non sono io, almeno credo, è da un po’ che non mi vedo allo specchio.”
Una pausa, come se stesse valutando meglio, poi prosegue.
“No, decisamente non sono io. Io ero più alto, molto più alto. E…beh non ero una donna. Perché sei una donna, vero?”
 
Ok adesso basta, fuori le telecamere.
Perché è chiaro che sono finita su Scherzi a parte.
O è così o ho a che fare con il fantasma più cafone dell’universo.
“Come sarebbe se sono una donna? Cos’è sei cieco?”
“Veramente tutto quello che vedo è una sagoma, il resto è annebbiato.”
 
Cosa?
“Fammi capire, mi stai dicendo che non sei solo dentro alla mia testa…ma anche dentro al mio corpo?”
Sono una debole, mi pareva di avervelo già detto.
E infatti sto già prendendo in considerazione l’ipotesi che questo tizio, a dire il vero poco cordiale, stia davvero dentro di me.
“E puoi vedere quello che vedo io…è inquietante.”Sussurro colpita.
“Se è così, dobbiamo fare qualcosa per i tuoi occhi, dico io, ma ci vedi sempre così male?”
 
Poco cordiale davvero.
Però devo ammettere che su questo ha ragione, certo che è normale
“Non ho gli occhiali.”concludo a voce alta
“Come?”
“Ho detto che vedi annebbiato solo perché adesso non ho gli occhiali.”
E così dicendo recupero gli occhiali dalla montatura sottile che avevo provvidenzialmente appoggiato sul piano di marmo del lavandino un attimo prima di ritrovarmi a terra preda di dolori lancinanti alla testa.
 
“Fantastico, quindi adesso porto di nuovo gli occhiali…centoventisette anni senza un problema di diottria e ora sarò di nuovo un maledetto quattr’occhi!” Sbraita ”Carina però la pettinatura!”
“Che fai sfotti?”dico pensando ai capelli stile gorgone che mi ritrovo in quel momento.
“E poi non cambiare discorso. Che ci fai nella mia testa?”
“Hai una domanda di riserva?”
“Sono forse impazzita?”
“Per chi mi hai preso, per uno psicologo? Intendevo una domanda sensata.”
Sbuffo sempre più infastidita.
“Cosa vuol dire che hai centoventisette anni?”
“Ecco, questa è una buona domanda. Sono un vampiro.”
“Mph ahahahah!!”
“E adesso che c’è da ridere?”
“Rido perché adesso è chiaro che sto sognando! Certo di sogni strani ultimamente ne faccio tanti, maquesto li batte tutti! Un vampiro…nella mia testa! Ahahahah!!”
Cerco di trattenermi, ma le risate mi scuotono tutta.
Metto una mano davanti alla bocca per attutirne il rumore, se qualcuno mi sentisse, passerei da matta oltre che da sfigata.
Ma non so resistere.
“E sentiamo…quale vampiro saresti? Dracula? Lestat? Edward Cullen?”
“Edward chi?”
“Sei qui per uccidermi? O mi morderai sul collo e mi trasformerò in un vampiro anch’io?”
Ancora risate, lui però sembra sempre più irritato.
“Dì un po’, ma tu parli sempre così tanto?”
Non lo ascolto neanche, troppo presa nel mio delirio.
“Dovrò bere il tuo sangue? Perché non sono sicura che mi piaccia, ha quel retrogusto ferroso…”
“Adesso inizi proprio a stufarmi! Se potessi ti morderei seduta stante. E nemmeno io so se mi piacerebbe!”
 
Cerco di rimanere seria.
“Va bene, non ti scaldare. Ricominciamo da capo. Chi sei?”
“Il mio nome è Spike, i miei nemici mi chiamavano il Sanguinario. E…”
Scoppio nuovamente a ridere.
“Mph ahahahah!!”
“E adesso si può sapere cosa c’è?”
“Spike…che razza di nome è Spike? Aiuto, sono prigioniera del pericolosissimo vampiro Spike! Spike il signore delle tenebre! Spike il temibile! Mph ahahahah!!
“Sciocca ragazzina, rideresti meno se potessi sentire la pressione dei miei denti sul tuo collo! E se proprio vogliamo parlare di nomi strani…che razza di nome è Emily Dickinson?”
 
Quasi mi strozzo.
“Tu come…come sai il mio nome?”
“Oh è scritto proprio qui, a caratteri cubitali nella tua testolina. Oddio, certo che i tuoi genitori devono avere proprio un gran senso dell’umorismo!”
“Tu non puoi leggere la mia mente!”
Non deve!
“A quanto pare invece posso farlo. Toh! Ecco qui mamma e papà. Un pochino in sovrappeso il paparino! E questa chi è? Santo cielo, tua sorella è uno schianto! Due figli? Non con quel corpo! E qui che c’è…Hugh Jackman? Chi diavolo è questo bellimbusto, il tuo fidanzato? Uuuh piccante!”
“Basta smettila! Non ti azzardare a sbirciare ancora nella mia testa, razza di vampiro ficcanaso!”
“La pianto se tu la smetti di ridere di me…ho anch’io una mia dignità, anche se nessuno l’ha mai presa molto in considerazione.”
“Va bene, va bene.”
 
Poi più rivolta a me stessa.
“Oddio, ma che ci faccio io con un vampiro nella testa?”
“Tanto per dirne una, potresti mangiare qualcosa. Non so perché, ma riesco a percepire persino il brontolio del tuo stomaco.”
“Magnifico. C’è qualcosa che non puoi fare da lì dentro?”
“Andiamo, su con la vita, poteva andarti peggio…potevo essere uno zombie. Sai, quelli non sanno essere molto di compagnia.”
“Chi ti dice che io voglia la tua compagnia, Spike?”
“Andiamo, Emily, se fra i tuoi pensieri più frequenti ci sono la tua famiglia e un tizio che chiaramente è uscito fuori da una rivista di cinema…non puoi non avere bisogno di compagnia.”
“Certo, tu sì che sai come trattare le donne.”
“Sono un cattivone…fa parte del mio fascino.”
“Quindi non ho scelta, sono costretta ad ospitarti fino a quando non scopriamo come sei arrivato dentro di me?”
“Ti assicuro che questa situazione non soddisfa neppure me. Spero solo che questa convivenza finisca, prima di diventare deleteria per i miei nervi.”
 
I suoi nervi? E i miei allora?
Come farò ad affrontare il lavoro? E i miei genitori?
Tutta questa situazione mi sembra assurda e improvvisamente mi sento molto stanca.
“Andiamo a casa.” dico solo.


  
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