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Autore: Sefiriel    01/05/2012    4 recensioni
Cos'è la realtà? Cos'è vero e cos'è falso? Non vive forse l'uomo di mere illusioni?
Una ragazza, un dolore. Un'illusione, una realtà. Stanca del mondo grigio che la circonda, in cui non trova confronto, una giovane "parla" orami soltanto con una tela, che cela il suo più profondo inconscio, il suo amore ormai spento, la sua vita ormai desaturata.
Genere: Malinconico, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Luka Megurine
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-(Prima di leggere la storia consiglierei, a chiunque ancora non l'abbia fatto, l'ascolto della canzone da cui essa è tratta, che si intitola "Leia"  ^^)-

 

Una ragazza, solitaria, sedeva in camera sua. Nulla disturbava l'oscurità soffusa del luogo, se non un sottile sprazzo di luce che penetrava dalla finestra socchiusa, andando ad illuminare una tela, mettendo in risalto due vividi occhi disegnatici sopra.

«Di nuovo qui, io e te, soli. Questa poetica intimità mi lascia ogni volta senza fiato».

Nella stanza, solo queste poche parole riecheggiarono, quasi a non voler violare la sacrale tranquillità di un flebile ma profondo contatto tra due amanti. Ma... contatto? Non c'erano altre persone oltre alla ragazza, seduta davanti alla tela, in una contemplazione che da fuori sarebbe potuta apparire serena a chiunque l'avesse guardata.

"Si, soli, in questa stanza grigia. Di nuovo. Per sempre?".
Prole non udibili all'orecchio dell'umanità, eppure urla strazianti, laceranti ed indelebili, per il delicato orecchio della coscienza della povera ragazza.

Il sottile sprazzo di sole per un attimo sembrò intensificarsi ed espandersi a tutta la stanza, riflesso e rifratto debolmente da una lacrima che, cadendo, lo attraversò, quasi a voler abbracciare una luce da tanto tempo ignota all'anima della persona dal cui occhio era sgorgata.
La delicata maglietta indossata dalla ragazza, dopo qualche secondo, ospitava ormai varie chiazze più scure rispetto al colore di fondo, umide. Gli occhi non si rivolgevano più alla tela di fronte alla quale stava seduta, bensì sul proprio grembo, bagnato da lacrime che contenevno ben più che acqua e sale.
Le braccia quindi si sollevarono, lentamente, quasi a non voler affaticare i muscoli, come se ognuna delle poche energie che erano rimaste in quel corpicino dovessero essere conservate per non scivolare via da quella realtà. Le mani andarono a sfiorare i contorni della figura, per poi cingerla e portarla vicino al petto, come a farla abbracciare anche dai rosei capelli.

«Perché? Perché? Perché hai scelto me? Perché mi hai trascinato in questa pazzia? »
"Pazzia? Non è la mia una realtà? Non è la tua una realtà? Chi può dire cosa sia vero e cosa sia falso?"

Un sorriso emerse dalle delicate e sottili labbra della ragazza. Quella volta le parole dell' altro non erano state strazianti, bensì tiepide, come del dolce miele effuso nel latte caldo durante una mattina d'inverno.
«La tua voce a volte è per me il toccasana che guarisce le ferite lasciate da questo mondo vuoto e doloroso, mia illusione senza fine».
Quasi aveva dimenticato il giorno in cui aveva dipinto con i pennelli quel ragazzo, moro, magro e con dei bei occhi rossastri.

Era una mattina d'autunno, precisamente, la mattina in cui aveva espresso i propri sentimenti al ragazzo della classe accanto. Era stata giorni a trovare le parole che avessero potuto meglio esprimere mesi di pensieri dolci, di lunghe camminate pensando a lui, di rosei sogni in compagnia della sua immagine.
"Eppure, non era forse anche quella una mera illusione? Tutti i tuoi pensieri, tutte le scene in cui ti eri immaginata abbracciata a lui che ti baciava, erano forse meno reali di me? No. La gente sogna, si illude".
Già, e quando il ragazzo le diede il No più doloroso che lei avesse mai sentito dire, capì quanto la realtà fosse un elemento labile, anche per chi, ancora "sano" di mente, a differenza sua, si illudeva di vivere con i piedi per terra.

Per non parlare dei suoi genitori: dopo quell'incidente, spesso sognava di rivederli, di riabbracciarli, di baciarli e di sentirli consolare lei e solo lei, la loro "bambina". Non aveva ben metabolizzato ancora la loro perdita, sebbene fosse passato ormai un anno. Ancora i loro fantasmi, o meglio, le loro illusioni la accompagnavano, facendo da sfondo le giornate immaginarie che passava con il ragazzo che ora stava ammirando impresso sulla tela.
Ormai quello era il suo mondo: un mondo labile, effimero, irriconoscibile ed inconoscibile da chiunque altro.... eppure era il suo mondo, l'unico che lei riusciva ad amare.

Le mani della giovane lasciarono leggermente la presa sulla tela, per portarla a qualche centimetro di distanza, ed osservarla, liberatala dal proprio abbraccio: «Questo mondo è grigio. Grigio. Solo con te posso sentirmi bene, poiché solo a contatto con un'entità che non sia umana posso ancora apprezzare questa realtà. Accoglimi nei tuoi pensieri, mia illusione senza fine... ti prego...»

Questa volta però, non vi fu risposta.
Solo pensieri tristi affollavano la mente della giovane: non trovava nessun riscontro di quello che si aspettava, nel mondo. Non vedeva felicità, non vedeva amore, se non false sembianze di amori destinati inesorabilmente a finire. Ma lei no, lei non avrebbe accettato di provare solo emozioni destinate a finire, non avrebbe accettato di accontentarsi di quel mesto mondo. Lei aveva "LUI": un concetto, una perfezione astratta, qualcuno che non l'avrebbe mai tradita, mai delusa, mai abbandonata.

«Ti prego, vivi! Abbracciami! Consolami! Amami!». La ragazza era scattata in piedi, tenendo tra le mani la pittura, con una morsa che, se l'avesse avuta su delle braccia umane, avrebbe forse laceratone la pelle, sicché per poco non si era lacerata la tela stessa.
E proprio osservando, dopo aver allentato un po' la presa, la piccola deformazione della tela dovuta alla pressione delle dita, il vuoto in lei si fece ancora più schiacciante: «No... tu sei vivo.... tu esisti... tu devi esistere... io non posso vivere senza di te...»

In ginocchio quindi cadde, ed indi ripieghò le cosce sui polpacci, tenendo su di esse la tela, accarezzando il contorno virtuale della figura dipintavi sopra: «Esisti solo per me, e sempre sarà così, vero? Nessun'altro ti conoscerà, nessun'altro ti amerà, nessun'altro potrà vedere quanto tu ami me. Sei destinato a non lasciare traccia in questo mondo? Il nostro amore non è destinato a lasciare traccia in questo mondo?». Le lacrime non volevano sapere di fermarsi. Lacrime amare più di qualsiasi veleno, che rigavano più l'anima che le guance della figura ora accasciata in quella stanza in oscura.

Un guizzo fulmineo fecero gli occhi, ad un tratto. Si fermarono a contemplare l'unico colore che nella stanza sembrava non avesse perso completamente intensità.
«Non voglio vivere in un mondo dove tu non esisti. Solo nei miei sogni riesco a sentire il tuo calore, tutte le tue parole, tutte le tue carezze. Ogni notte, io ti incontro. Non dovrò fare altro che andare incontro ad una notte perpetua».

Le tende viola, apparivano grigie ai suoi occhi. Il quaderno blu su una scrivania lì accanto, appariva grigio ai suoi occhi. I libri sulla mensola sopra la scrivania apparivano grigi ai suoi occhi. La rossastra luce solare che penetrava dallo spiraglio dalla finestra, appariva grigia ai suoi occhi. Il mondo intero, con tutte le sue colorate emozioni, appariva grigio ai suoi occhi. Cosa faceva eccezione? Il colore rosso degli occhi stagliati su quella tela, ma soprattutto le testine dei fiammiferi dispersi nel cassetto aperto, rossi allo stesso modo. Proprio loro avevano attirato gli occhi spenti e tristi della ragazza.

Non si mosse, ma semplicemente sussurrò, non distogliendo gli occhi da quel rosso morbosamente attraente, ed avvicinando alle sue labbra la parte della figura dipinta che corrispondeva all'orecchio: «Non biasimarmi, comprendimi. Non accusarmi, consolami. Ora più che mai, non odiarmi: amami !!».

....e fu un attimo, un semplice momento, il più bello ed il più brutto che avesse mai vissuto, ma anche il più desiderato. Un semplice gesto della mano, una sola scintilla.

 

Il giorno dopo i testimoni dell'incendio che avevano assistito all'incendio della casa, non seppero come spiegare l'avvenimento. Erano turbati però, turbati dal fatto che poco prima dell'avvampare delle fiamme avevano sentito un grido della ragazza che lì abitava: un anglofono sostenne di aver sentito urlare la parola "bugia", mentre tutti gli altri dissero chiaramente di aver sentito uno strano nome, urlato acutamente:

«Leiaaa!!»

   
 
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