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Autore: AliceInHeartland    01/05/2012    3 recensioni
Dopo la vita, vi sono i ricordi.
E grazie ai ricordi, si può tornare a vivere.
Posso tornare con la mente a quando eri con me...
Lo ricordo ancora benissimo, quel giorno, la mia promessa che tu, forse per tenermi contenta, o forse anche per gioco, accettasti.
...
"Ah, Hikaru, sei stata bravissima. Hai raccolto tutti questi fiori" . La mamma mi sorrise,sedendosi elegantemente vicino il tavolino della stanza in cui ricevevamo gli ospiti.
"Che ne dici se li mettiamo nel portafiori?"
"No!" . La mia risposta fu decisa. E con eguale determinazione, mi voltai verso di te, porgendoti il mazzetto profumato di margherite e lavande.
"Voglio darli a Sou-nii! Perchè... Perchè io diventerò la tua sposa!"
Genere: Azione, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ciao a tutte quante! ^^
E’ da tanto che non ci si sente, vero? Be’, è passato più di un anno effettivamente… (ride).  Ebbene sì, sono tornata. Non vitale come prima, ma sono tornata. Dovete perdonarmi se ho abbandonato all’improvviso la storia e tutto, ma ci sono stati gravi problemi personali sotto vari profili a cui ancora oggi cerco di porre rimedio in tutto e per tutto (anche se non ci riesco al 100%).
Oggi, giornata dei lavoratori – anzi, ne approfitto per fare gli auguri a chi di voi lavora, me compresa, attualmente – Alice è tornata per donarvi un altro capitolo di questa straziante storia XD E come se non bastasse anche questo capitolo è infinitamente lungo come i precedenti. Sono rimasta circa 38 minuti a pensare e domandarmi se dividere il capitolo o meno, ma ragionandoci su ho notato che il punto in cui avrei dovuto interrompere la storia era proprio quello cruciale e che sicuramente vi avrei lasciate scontente e deluso. Quindi, contando che è anche il capitolo che annuncia il mio ritorno in pista (anche se purtroppo sarò ancora moooolto lenta nel rilasciare i capitoli, causa università mista a lavoro) ho voluto regalarvi queste pienissime 21 pagine di capitolo tutte per voi *w* Spero vivamente che il capitolo piaccia. Come sempre ho cercato di mantenere i personaggi il più IC possibile  e spero anche di esserci riuscita. Che dire di questo capitolo? Be’, scopritelo da sole no? ^w^
Nel frattempo, prima che me ne scordi, ringrazio tutte le persone che mi hanno recensito la storia, che l’hanno continuata a seguire e che ogni tanto si domandavano che fine avessi fatto ( XD ) e dedico a tutte mie lettrici questo capitolo! Grazie del vostro continuo supporto!
La vostra Alice.

                                                             ****

Il vuoto.
In quel momento sentii solo il vuoto in me.
Probabilmente perché persi i sensi e, di conseguenza, non vidi niente, né sentii niente. Il vuoto più totale.
Sarà stato per la rinnovata delusione che ottenni nei confronti di mio padre? Per il dolore che provai constatando che per mia madre valevo meno di quell’uomo? Per la paura di essere ritrovata e portata da loro che mi inchiodò a terra, incapace persino di respirare? Oppure per la felicità di averti ritrovato?
Probabilmente per tutte e quattro le cose.
Erano successe tante cose in quelle poche ore che ero giunta a Kyoto, ma se non altro almeno mi ero ricongiunta a te. E questo, per me, contava più di ogni altra cosa.

Autunno. 20 Ottobre, 1866. Kyoto.

Ero intontita. No… Intontita era dir poco: frastornata mi si addiceva di più.
Forse quello non era proprio il momento giusto per svegliarmi, dato che appena aprii gli occhi consumati e gonfi a causa delle lacrime, la testa incominciò a barcollarmi (e non mi ero neanche messa seduta!) e percepivo le forme di ciò che mi era davanti in maniera offuscata, quasi come se mi avessero bendata.
Non ero in grado di capire se fosse mattina, pomeriggio o tarda sera, o semplicemente non ci feci caso: la sola ragione per cui mi svegliai dal mio riposo ristoratore fu a causa delle voci altisonanti nelle vicinanze del luogo in cui giacevo.
“Hijikata-san, per favore… Lasciate almeno che si riprenda!” implorava con tono sottomesso, una voce esile, però a me molto famigliare.
Di chi era quella voce? Non ricordavo proprio…
“Non intendo discuterne ancora” tuonò la voce di un altro uomo, di tutta risposta, all’apparenza un po’ burbera. “Basta così”.
“Ma… Non potete lasciarla in quelle condizioni!”
“Posso e come!”
Confusa qual’ero ancora, non capivo di che cosa stessero parlando quelle voci e tantomeno a chi appartenessero.
Mi misi lentamente a sedere sul futon morbido che mi aveva accolta, senza chiedermi minimamente da dove fosse sbucato fuori. Attesi che la testa finisse di girarmi e che gli occhi accettassero di vedere immagini un po’ più vivide delle ombre deformi avvistate fin dal mio risveglio.
“Hijikata-san, vi scongiuro… So di chiedervi molto, ma almeno rifletteteci su”.
“Non c’è niente su cui riflettere, Chizuru”.
Non mi ero ancora ripresa del tutto, né stavo capendo dove mi trovavo, in presenza di chi e per quale ragione (era tutto ancora offuscato), ma bastò quel nome per riportarmi alla mente tutto quello che era successo. Non sapevo dire se si trattava di molto o poco tempo, giacché non ero a conoscenza di quanto ero rimasta priva di sensi, ma doveva trattarsi di poco, dato che ricordavo ancora tutto così nitidamente, come se stessi rivivendo tutto attraverso uno specchio d’acqua purissima.
Subito mi accinsi ad avvicinarmi al fusuma che mi separava dalle due figure che si stavano accingendo a raggiungere la mia stanza: l’una era quella di Chizuru, ne ero più che sicura, dato che avevo anche riconosciuto la sua voce. Ma l’altro… Chi era?
Sou-nii?
Pensai istintivamente, ma non si trattava di lui.
Se fossi stata un po’ più furba, non avrei neanche azzardato l’ipotesi, dato che la voce del mio salvatore non faceva altro che ripetere in continuazione “Hijikata-san, Hijikata-san”, ma ero troppo vacillante e poco lucida, appena sveglia, perché potessi accorgermene.
Esitante, allora, non appena capii che le due figure si erano fermate proprio al di là del mio fusuma, feci per aprire uno spiraglio che mi potesse permettere d’intravedere quelle persone e di constatare se uno dei due fosse realmente Chizuru-san.
Non nascondo che la curiosità di vedere questo “Hijikata” con cui stava battibeccando il ragazzo  mi stava divorando viva, ma questo non conta poi tanto.
Non appena lo vidi, ebbi un sussulto.
Un uomo possente, dai lineamenti duri, occhi piccoli e cattivi, corpo simile a quello di un orso e un’aria terrificante… Era così!
Beh… Perlomeno era così che immaginavo fosse… ma… dovetti ricredermi: era bello. Bellissimo. Come un dio.
Era alto, molto alto, ed era una delle cose che lo rendeva inquietante, ma non spaventoso, perché aveva un corpo ben allenato e gli si intravedevano dal kimono i muscoli sodi, i suoi lineamenti erano delicati, nonostante la voce burbera, gli occhi li aveva del colore dell’ametista e sembravano tanto gioielli preziosi, così come i suoi lunghi capelli neri parevano pregiata seta, legati in una lunghissima coda di cavallo.
Probabilmente se la mia mente e il mio cuore non fossero stati pieni di te da così tanto tempo, me ne sarei potuta anche invaghire follemente fino ad arrivare ad amarlo.
Era uno di quegli uomini per cui una donna facilmente poteva perdere la testa ed arrivare a provare vera e propria ossessione nei suoi confronti.
Ero sicura di essere arrossita, dopo averlo visto in tutto il suo splendore, ma la dura realtà mi chiamò nuovamente al suo cospetto, dopo il nuovo intervento di Chizuru: “Vi prego… Vi chiedo solo il tempo necessario a farla sentire meglio!”.
“Non insistere, Chizuru. Ho già detto che non se ne parla più. La ragazza deve andarsene. E subito!” ribatté con tono burbero l’uomo dagli occhi ametista, circondato dal candore della luce mattiniera. I raggi del sole nascevano timidi oltre le montagne. Era appena l’alba.
Fu allora che intesi che l’oggetto del diverbio ero io.
“Come potete ragionare in questo modo? Quella giovane è ferita e non ha alcun posto dove andare…”
“Come ragiono è un mio problema che non deve riguardare te” . Sospirò. “Cielo… non ostinarti a perseguire questo tuo assurdo proposito, Chizuru. Sono stanco di ripetermi. Non ha alcuna importanza se è ferita, non ha un posto dove andare o qualunque altra cosa… Se ho detto che non può restare, allora non può restare”.
Chi è quella persona? Chi è questo Hijikata-san?
Non potetti fare a meno di chiedermi, anche leggermente intimorita.
Dove siamo? Dov’è Sou-nii? E perché Chizuru-san sta litigando con quel tizio?
Restare? Andarmene? Ma… dove? Che sta succedendo?
La confusione albergò in me come la linfa in un albero: mi aveva invasa completamente. Non riuscivo a capire dove ci trovavamo, chi era quell’Hijikata e di che cosa esattamente stesse parlando con Chizuru. Molto probabilmente, se non vi fosse stato quest’ultimo a rassicurare la mia mente, avrei dato di matto. Ma… una preoccupazione molto più profonda s’insinuò nel mio cuore: dov’eri tu, Sou-nii? Perché non c’eri anche tu lì?
La tristezza mi prese all’improvviso e incominciai a pensare che la voglia di vederti era talmente tanta che mi aveva spinto ad immaginare tutto: di averti incontrato, di averti parlato e che tu, anche dopo non pochi sforzi e dolori, mi avessi riconosciuta.
Tutto. Tutto quanto.
Ho forse sognato tutto? Ho forse avuto un miraggio? Magari dovuto alla stanchezza e allo stress…
Nonostante cercassi di darmi una spiegazione, il solo pensiero che in realtà non ti avessi incontrato veramente, mi dava la nausea. Sarei potuta svenire nuovamente da un momento all’altro. E sono certa che sarebbe accaduto se all’improvviso Chizuru non avesse esordito: “Hijikata-san, quella ragazzina… è anche una parente di Okita-san! Anche questo non ha alcuna importanza?”
Allora… non ho immaginato tutto? E’ vero! Ho davvero incontrato Sou-nii!
La gioia che mi aveva dato il mio salvatore pronunciando quelle parole fu immensa. Probabilmente se non fosse stato impegnato a discutere con quell’Hijikata, gli sarei saltata al collo ringraziandolo a più non posso.
Sempre continuando a spiare dalla fessura tra ifusuma, intravidi l’espressione alquanto disorientata dell’uomo e quella ostinata e temeraria di Chizuru-san.
“Parente?” chiese, ormai non più spaesato, quanto voglioso di conoscere la verità. “Che intendi dire? Chi sarebbe questa giovincella per Souji?”
“Ecco… In realtà, non ve lo saprei dire con esattezza” rispose, un po’ in difficoltà, lui. Aveva lo sguardo rivolto in basso e un’aria colpevole, mortificata di non saper dare una spiegazione esordiente. “Prima di svenire, Hikaru-chan ha detto qualcosa circa una sposa, o qualcosa del genere…”
“Una sposa?” chiese, meravigliato, Hijikata. “Come sarebbe a dire?! Non è possibile che…”
“No, no, non è come pensate voi, Hijikata-san. Dopo che la ragazza ha perso i sensi, Okita-san l’ha presa in braccio e mi ha liquidata dicendomi che era una sua parente. Ma andavamo di fretta per portarla qui, quindi non sono riuscita a chiedergli di chi si trattasse con esattezza”.
“Una parente…” . L’uomo sembrò ragionarci su per un po’, dopodiché: “Per quanto ne so io, le uniche donne con grado di parentela che ha Souji, risiedono ad Edo. E’ assurdo che qualcuno della sua famiglia si trovi qui. In questo periodo, poi…”.
“Ma, Hijikata-san… Lei…”
“Non voglio sentire ragioni. Non sappiamo chi sia esattamente. Possibile che Souji si sia sbagliato. Dunque…”
“Io sono… sua nipote!” esclamai, d’impeto, interrompendo la discussione tra i due.
Non so chi mi diede il coraggio di farlo, soprattutto quando vidi quelle due pietre d’ametista puntate su di me. Ma… dovevo farlo. Sentivo di doverlo fare. Volevo assolutamente rivendicare la mia parentela, il mio legame con te.
Lentamente e cercando di ignorare il dolore alle piante di entrambi gli arti, mi misi in piedi e aprii totalmente le porte dei fusuma, uscendo nel corridoio che dava sul cortile esterno.
Mi avvicinai istintivamente a Chizuru, affiancandomi a lui, proprio perché, nonostante la mia sfacciataggine, avevo timore di quell’uomo che, in primo luogo, non conoscevo e che non sapevo in alcun modo come avrebbe reagito alla mia intrusione nel discorso. Volevo al mio fianco qualcuno di cui mi fidavo e che avevo capito essere dalla mia parte.
“Io sono la nipote di Sou-nii” rivendicai, guardando l’uomo di nome Hijikata in volto.
Proprio quest’ultimo, mi guardò disorientato. “La nipote…?”
Io annuii. “Sou-nii è il fratello minore di mia madre”.
“Fratello minore…” fece per pensarci, per poi tornare alla sua solita espressione incorruttibile e severa. “Ad ogni modo, anche se fosse… Non puoi assolutamente restare qui”.
“Io… Aspettate un secondo… Io non so neanche dove siamo!” cercai di ribattere, per poi voltarmi spaesata e leggermente preoccupata verso Chizuru. “Dov’è Sou-nii? Perché non è qui? Dove siamo?”.
Lui mi sorrise, cercando di calmarmi. “Non preoccuparti, Hikaru-chan. Qui sei al sicuro. Nessuno ti farà del male. Okita-san è uscito un attimo e…”
“Uscito? Dove? Perché se n’è andato?”
“Per favore calmati” mi rimproverò lui, seppur con dolcezza. “Non so dove sia andato, né cosa sia andato a fare. So soltanto che dopo averti accompagnata qui ed avermi pregata di prendermi cura di te, è uscito in fretta e furia, dicendo che aveva qualcosa di urgente di cui occuparsi”.
Qualcosa di urgente di cui occuparsi…
Pensai tra me e me di cosa potesse trattarsi. Avevo il timore che mi lasciassi da sola lì. E io non avevo alcuna intenzione, adesso che ti avevo ritrovato, di perderti di vista, senza neanche poterti incontrare un’ultima volta.
“Ma, Chizuru-s…”.
Non riuscii neanche a richiamare nuovamente la sua attenzione, poiché un gruppo di voci ci raggiunse e m’interruppe.
“Si può sapere che diamine sta succedendo?”
“Già. E’ da stanotte che sentiamo chiasso e movimenti vari… Che avete deciso, di farci passare le notti insonni?”
“Se succede qualcosa, vorremmo sapere almeno di che si tratta”
“E soprattutto perché nessuno sta ancora preparando la colazione?!”.
Tre uomini – unodai capelli lunghi, rossi e gli occhi color dell’ambra, l’altro castano dagli occhi azzurri come il cielo, entrambi molto alti e muscolosi, e l’ultimo un po’ più basso di statura, ma anch’egli molto ben allenato fisicamente, dai lunghissimi capelli castani, raccolti con un’alta coda di cavallo, e gli occhi tendenti al verde-acqua –  giunsero sino al luogo dov’eravamo noi, seguiti da un quarto, di statura e corporatura media, dai lineamenti gentili, nonostante la sua aria impassibile e severa, i capelli anch’essi molto lunghi, raccolti in una coda scesa cadente sulla spalla destra, neri (che alla luce assumevano riflessi quasi i colori del mare) e gli occhi blu.
Erano indiscutibilmente tutti dei bellissimi ragazzi, ma la confusione e il leggero timore di non sapere di chi si trattasse mi diede troppo alla testa, perché potessi constatare con più calma e più oggettività il loro fascino.
Hijikata-san assunse un’espressione contrariata che rivolse subito al quarto degli uomini che erano sopraggiunti. “Saitou, ti avevo ordinato di tenere a bada tutti e di non permettere a nessuno di accedere a quest’ala del tempio fino a questo pomeriggio”.
Tempio?
Mi domandai, sentendo quella parola.
Siamo in un tempio?
Parzialmente la risposta alla mia domanda era giunta, ma che cos’era quel tempio? Non mi sembrava davvero una zona tranquilla quella, per edificare un tempio. E quelli decisamente non erano monaci!
“Sono mortificato, vice-comandante. Non sono riuscito davvero a trattenerli. L’unica cosa che ho potuto fare è stata seguirli e accertarmi che non combinassero ulteriori danni” si scusò il ragazzo dai capelli neri e gli occhi del color del mare, che avevo inteso chiamarsi Saitou.
Vice-comandante?
“Ma con chi credi di parlare? Con dei bambocci?” abbaiò l’uomo dai capelli castani e gli occhi azzurri.
“Su, Shinpatsu-san, non te la prendere. Noi siamo superiori. Su-pe-rio-ri” cercò di calmarlo, il ragazzo un po’ più basso di tutti. A giudicare dall’aspetto doveva essere il più giovane tra di loro. Forse era poco più grande di me.
Are?” esclamò con tono perplesso e nel contempo un po’ spaesato il rosso dagli occhi ambrati, quando il suo sguardo cadde su di me. “E questa qui chi è?” chiese, per poi avvicinarsi pian piano a me.
Di tutta risposta io, forse per via della situazione, forse perché avevo timore che mi facesse qualcosa, mi nascosi istintivamente dietro Chizuru, aggrappandomi al suo roseo kimono con le mani un po’ tremanti.
Vista la mia reazione, tutti i presenti ne furono sorpresi.
“Hai visto, Sano? La tua brutta faccia l’ha spaventata! Ahahah!” non trattenne una risata l’uomo di nome Shinpachi.
“Stai scherzando? E’ sicuramente perché ha visto la tua stazza da orso, che è così terrorizzata! Forse, vedendoti così grosso, ha pensato che te la potessi mangiare!”.
“Volete smetterla una buona volta?” cercò di far cessare la lite, il ragazzino.
“Oh, no… Non devi preoccuparti” mi rassicurò, nel frattempo, Chizuru, sorridendomi e stringendomi a lui, invitandomi con la mano a non nascondermi. “Queste persone non ti faranno niente. Sono dei bravissimi ragazzi. Te l’ho già detto: qui con noi, sei al sicuro”.
Nonostante il suo tentativo di calmarmi, non volli scostarmi da dietro la sua spalla, ma feci qualche passo avanti, limitandomi a rimanergli a fianco, stretta al suo braccio. Nel frattempo gettavo occhiate indagatrici verso i nuovi arrivati, cercando di farmene una qualche idea.
Forse fu proprio il commento e le parole di Chizuru a riportare la loro attenzione su di me.
“A proposito, Chizuru-chan” lo chiamò il tipo di nome Sano. “Saresti così gentile da spiegarci chi è questa ragazza? Una tua amica, per caso?”
“Eh? No, non è una mia amica. Ecco, in verità…”
“Non è nessuno” la interruppe freddo, Hijikata-san. “Non è nessuno di cui valga la pena conoscere l’identità, e, comunque, lascerà questo posto a breve, quindi tornate nell’altra stanza. La colazione arriverà fra poco”.
“Come sarebbe a dire che non sono nessuno?!” ribattei io, profondamente ferita nell’orgoglio. Era vero che avevo timore di quella gente e soprattutto di quell’uomo, ma… Non permettevo che mi si trattasse a quel modo! Se avevo avuto il coraggio di rispondere e ribellarmi a mio padre, figurarsi se mi facevo mettere i piedi in testa da quel bell’imbusto!
E poi, sì, ammetto che se non ci fosse stato Chizuru su cui fare affidamento, molto probabilmente non avrei azzardato quella mossa falsa, ma dato che avevo qualcuno dalla mia parte, ero dell’idea che tanto valeva sfruttare l’opportunità.
“E come sarebbe a dire che a breve dovrò lasciare questo posto? Io di qui non mi muovo finché non torna Sou-nii!”
Già, era stata soprattutto questa la cosa che mi aveva fatta star male. Il fatto che quell’uomo burbero e crudele, seppur bellissimo, volesse impedirmi di rivederti a tutti i costi. In realtà non è che m’importasse molto di rimanere in quel luogo. Volevo soltanto rivederti, parlarti e magari capirci qualcosa di quella situazione e chiederti perché mi avevi portato proprio in quel posto. E dato che era lì che mi avevi portata, questo significava che quasi certamente  vi saresti tornato, no?
Hijikata-san mi guardò in primo luogo sorpreso, probabilmente, dal fatto avessi osato rispondergli; in secondo luogo mi fulminò con le sue due ametiste, e sembrò voler esordire qualcosa, ma fu interrotto da un sonoro: “Sou-nii?” , che fu esclamato all’unisono dai due di nome Sano e Todou, spaesati.
“E chi sarebbe?” completò, Shinpachi.
Fu così che Chizuru si fece coraggio e prese a spiegare: “Questa notte, di ritorno dalla visita ad Osen-chan, ho incontrato questa ragazza, Hikaru-chan, e quando Okita-san è venuto a prendermi, perché stavo tardando, abbiamo scoperto che si tratta di una sua parente”.
“Una parente?” domandò il giovane Saitou.
Chizuru annuì. “Sembra che sia la nipote di Okita-san”.
“La nipote di Souji?!” affermarono in tono interrogativo, tutti e tre in coro, con aria confusa e meravigliata. Poi presero a fissarmi e ad esaminarmi da cima a fondo.
“Beh, ora che me lo stai facendo notare, si somigliano anche” osservò Harada Sanosuke, piegandosi sulle ginocchia per osservarmi ben bene. “Hanno gli stessi lineamenti del viso”.
Arrossii a quel commento e abbassai lo sguardo, imbarazzata.
A mio parere dirmi che assomigliavo in qualcosa a te, era come se mi si dicesse di essere la più bella donna dell’intero universo.  E ne andavo estremamente orgogliosa.
“Ad ogni modo, si può sapere che ci faceva in giro di notte, da sola?” cercò di cambiare argomento Hijikata-san, quasi per tornare a dibattere sul fatto che dovessi restare o meno, rivolgendosi al mio salvatore.
Chizuru, di tutta risposta, abbassò lo sguardo, desolato. “Questo non glielo so spiegare. So soltanto di averla aiutata a sfuggire da degli uomini che la inseguivano”.
“Degli uomini che la inseguivano?” domandò lui, per poi piegarsi su un ginocchio e rivolgere la sua attenzione su di me. “Chi erano questi uomini? E perché ti stavano inseguendo?”.
Oh no… Se racconto loro tutto, non so che cosa sarebbero capaci di fare…
Devo assolutamente trovare una via d’uscita…
Distogliendo lo sguardo da lui, borbottai: “N-Non lo so chi erano… So soltanto che hanno iniziato a darmi la caccia, senza motivo”.
“Senza motivo, eh?” . Lo sguardo di quel giovane non si distaccò da me, neanche per un attimo. “Chissà perché, ma non mi sembri avere l’aria di una che dice il vero. Non credo ad una sola parola di quello che hai detto”.
“Perché dovete sempre fare così, Hijikata-san? Se questo è ciò che dice Hikaru-chan, dovete sforzarvi di crederle!” ribatté, decisamente ostinato, Chizuru-san.
“Come posso credere ad una che è poco più che una bambina?”
“Io ho tredici anni! E presto ne compierò quattordici!” replicai, con aria offesa e contrariata.
“Potresti averne anche trenta, per quel che m’importa, ma qui non resterai un secondo di più”.
“Non se ne parla! Io non mi muovo di qui, finché non ritorna Sou-nii!”
“Hijikata-san, vi prego!” lo supplicò Chizuru.
“Basta così” tuonò, infuriato, zittendoci entrambi. “Per quanto mi riguarda, la questione è chiusa”.
Vi fu un iniziale silenzio da parte di tutti, finché non intervenne l’uomo di nome Harada con un tono adatto a sdrammatizzare e a rendere meno pesante l’atmosfera che si era venuta a creare dopo il rimprovero di questo vice-comandante: “Avanti, Hijikata-san, non v’intestardite tanto! E’ solo una ragazzina… perché non farla restare qui con noi? Che male può fare? Almeno fin quando non torna Souji. Poi si vedrà, no?”
“Già, ha ragione Sano-san, Hijikata-san!” lo seguì, Todou-san, sorridente. “Anzi, perché non farla rimanere definitivamente? E’ davvero graziosa”
Hijikata-san sospirò e si portò una mano a massaggiarsi le tempie. “Ecco perché non volevo che lo scoprissero…” .
“Hijikata-san, non si tratta unicamente di questo!” prese a farmi giustizia, Chizuru-san. “Hikaru-chan non ha neanche un posto dove andare ed è ferita. Necessita di un luogo in cui risiedere e di una compagnia rassicurante. E’ solo una ragazzina…”
“Giusto, giusto! Teniamola con noi! Qui sarà al sicuro, no?” si aggregò anche Shinpachi-san, con tono allegro.
Nonostante inizialmente non mi fidassi tanto di quelle persone, dopo quei commenti e i loro appoggi, non potei che esser loro grata e istintivamente mi staccai dal kimono di Chizuru, ormai sicura che quelle persone non mi avrebbero fatto niente. O, perlomeno, non finché ci fosse stato Chizuru con me. Chi mi metteva un po’ d’ansia e di timore era quel tizio che parlava raramente, il tipo chiamato Saitou,  e che anche quella volta si astenne dall’esprimere la sua opinione.
“Tenerla con noi?!” ringhiò, indignato e inferocito, Hijikata-san, verso tutti quanti, me compresa. “Cosa pensate che sia: un gatto, un cagnolino, un animale domestico? E’ una bambina!”
“Ma… è proprio per questo che vogliamo tenerla al sicuro dall’esterno, facendola restare al temp…”
“Non è così, Chizuru!” lo riprese nuovamente. “Cosa pensate sia questa? Volete forse che la nostra base diventi un comune ostello?  Oppure, quante donne avete ancora intenzione di ospitare, prima di farlo diventare un bordello?!”
Ma di quali donne sta parlando?!
Pensai istintivamente io, ma non ebbi il coraggio di dirlo, in quanto la sua voce burbera mi faceva venire la pelle d’oca.
Qui ci sono soltanto io!
“Certo, avete ragione, Hijikata-san e in primo luogo ne sono mortificata io, ma…” . Chizuru aveva assunto un’aria addolorata. “Io… Mi dispiace, ma ecco…” . Sembrava quasi sul punto di piangere e così mi avvicinai a lui, cercando di consolarlo con delle amichevoli carezze sulle spalle.
“Ah… L’ha fatta grossa, Hijikata-san! L’ha fatta piangere!” insinuò Shinpachi-san.
Vidi il giovane uomo sussultare e sospirare pesantemente. La sua espressione era un misto di preoccupazione e pentimento. Si avvicinò a Chizuru, poggiandole dolcemente una mano sulla testa. Un dolce gesto che mi sarei aspettata piuttosto da Saitou-san che non da lui.
“Mi spiace, forse ho esagerato un po’… Non volevo dire niente con la frase di prima, ma…”. Un nuovo sospiro. “Cerca di capire ciò sto provando a dirti: questa ragazzina non può rimanere assolutamente qui. Per favore, non farmelo ripetere” . Dopodiché si rivolse anche a tutti gli altri. “E non vi ci mettete anche voi. Se non voglio che rimanga qui, ho dei buoni motivi, non credete?”
I tre uomini si guardarono tra di loro, anche se io per prima notai che non condividevano molto l’idea di Hijikata-san, ma non osavano contraddirlo. E, a dir il vero, non osai farlo neanche io, tuttavia se avesse provato ad allontanarmi da quel posto prima del tuo ritorno, quasi sicuramente, mi sarei opposta con tutto il cuore.
“Capisco. E sono certa che lo capiscono tutti, ma…” proseguì, Chizuru, asciugandosi le precedenti lacrime e facendosi forza per continuare il discorso. “Hikaru-chan è una parente di Okita-san. Non crede dovremmo almeno aspettare di sapere cosa ne pensa lui?”
Vidi Hijikata-san intento a riflettere sulle parole di Chizuru. Evidentemente quel commento doveva averlo scosso e averlo fatto ragionare lucidamente, senza che s’imponesse automaticamente sulla decisione da prendere. “Io…”.
“Io la penso nello stesso qual modo di Hijikata-san” intervenne una voce alle nostre spalle.
Fu così che ti ritrovai nel giardino del cortile, con le braccia incrociate al petto e la tua solita aria tranquilla e serena, a dispetto della situazione. Ti stavi dirigendo verso di noi e mi accorsi che nello stesso tempo, affiorarono in me due sentimenti: l’una era la gioia che provai nel rivederti e l’altro era il dolore che sentii al petto dopo aver udito le tue parole.
Cosa…?
Scossi la testa.
No… Devo aver capito male! Ci deve essere senz’altro uno sbaglio…
Convintami autonomamente che ciò che avevo sentito non corrispondesse al vero, non esitai neanche per un attimo a lasciare il fianco di Chizuru-san che fino ad allora mi era sembrato colui a cui affidare tutto, per arrivare sin da te.
“Sou-nii!” ti chiamai, urlando, in preda all’euforia, correndoti incontro. Una volta che ti ebbi raggiunto, ti abbracciai fortissimo, cingendo con le mie sottili braccia quel tuo corpo che, magari, se fosse rimasto quello di un tempo avrei potuto circondare senza alcun problema. La tua vita però si era allargata e – tralasciando il corpo ormai divenuto scultoreo, sicuramente merito dei tuoi duri allenamenti – ti eri fatto anche notevolmente più alto. A stento ti arrivavo al collo e pur mettendocela tutta per sembrare più alta, ero faccia a faccia col tuo petto. Non riuscivo in alcun modo a raggiungerti. Se volevo guardarti in volto, dovevo necessariamente alzare la testa. E non di poco.
“Sou-nii! Come sono felice di vederti! Come sono felice!” esultai, con le guance arrossate dall’emozione e il volto affondato nel tuo kimono.
Non riuscivo ancora a capire se fosse un sogno o meno, ma sembrava tutto così reale…
La gioia che provai in quell’attimo fu indescrivibile. Per me sperare di rivederti era stato un sogno per tutta la durata del viaggio da Edo a Kyoto, ma… poterti non solo rivedere, ma anche parlare ed abbracciarti era un po’ come l’avverarsi dell’unico sogno della vita.
Ecco… Poterti stare nuovamente vicino era stata la mia utopia sin da piccola, da quando ci eravamo separati. Non avrei mai potuto pensare che il mio sogno si sarebbe realizzato, perciò… puoi solo immaginare come mi sia sentita una volta constatato che quella speranza, quella vana speranza, era diventata realtà!
“Sou-nii! Sou-nii!” continuai ad esclamare, ormai divenuta incontrollabile, abbracciandoti sempre più forte, quasi rischiando di farti andare all’indietro, per l’impeto con cui mi stringevo a te.
Ormai non sapevo più come veicolare la mia felicità, tanto che dovetti addirittura trattenermi dal saltellare su me stessa (nonostante il dolore alle piante dei piedi)!
Tu restasti fermo per un po’, mentre io ti stavo abbracciando. Solo quando continuai a spingerti all’indietro per la troppa euforia con cui ti abbracciavo, fosti costretto ad accerchiarmi le spalle con le tue braccia.
Fu allora che mi sentii al settimo cielo e ti strinsi con più forza, sprofondando il volto ancora di più nel tuo kimono.
“Sou-nii, che bello poterti rivedere! Non immagini quanto sono felice!”.
“Hm” ti sentii annuire. “Anch’io sono felice di rivederti, Hikaru-chan”.
Sussultai per la gioia a quella tua risposta, tanto che ancora incollata a te, inclinai la testa all’indietro per incontrare il tuo sguardo. Ero paonazza come se mi avessero dato fuoco alle guance. “Davvero?” esclamai, raggiante. “Davvero sei felice anche tu di rivedermi?”.
Tu, allora, mi sorridesti. Era il tuo solito sorriso, quello un po’ furbetto, quello che ti fa sempre sospettare che dietro vi sia qualcos’altro. Quello di cui ero tanto innamorata io. “Certamente” rispondesti, per poi piegarti verso di me. “Davvero contento”.
Ancora più euforica, ti sorrisi anch’io. “Dov’eri andato, Sou-nii? Quando mi sono svegliata tu non c’eri e poi… mi hanno detto che saresti tornato! Quindi ti ho aspettato!”
“Ma che brava. Grazie mille” affermasti, non smettendo neanche un secondo di sorridermi, per poi piegarti su un ginocchio, in modo da avermi faccia a faccia.
Riuscii a scrutarti nei tuoi bellissimi occhi verde-foglia. Fu strana la sensazione che provai nel guardarti dritto negli occhi: provavo, sì, una sensazione di benessere, poiché li adoravo, ma un certo senso di inquietudine. Insomma, non leggevo in te la stessa felicità che stavo provando io. E me ne chiedevo la ragione. Ma probabilmente ero troppo felice di averti ritrovato, che non ci feci caso più di tanto.
“E, sai, quell’uomo lì…” esordii, indicando con l’indice Hijikata-san, “… voleva mandarmi via! Non voleva che restassi qui con te e…”
“E aveva perfettamente ragione” m’interrompesti con tono rigido, nonostante sulle tue labbra fosse ancora dipinto quel sorriso persistente.
Cosa?
Mi chiesi nuovamente, pensando di aver capito male per l’ennesima volta.
Che cosa sta dicendo?
“C-come…?” balbettai, non credendo alle mie orecchie.
“Hijikata-san voleva mandarti via di qui, giusto?” mi domandò con aria tranquilla, pacata. “Allora stava facendo la cosa giusta. Il tuo posto non è qui”.
Perché?
“Ma, Sou-nii… Io…” cercai di ribattere, più per farmi ragione, che per un effettivo bisogno di dire qualcosa. In effetti non sapevo neanche che dire, dato lo stupore e la delusione di quelle parole… Ma… dovevo pur risponderti in qualche maniera, no?
“Hikaru-chan,” richiamasti la mia attenzione, facendomi pressione sulle spalle e costringendomi a guardarti. “come sei arrivata qui? Che ci fai a Kyoto?”.
Sussultai. “E…ecco… Io… Io ci sono venuta con oka-san…”. Non mentii. Non fui abbastanza pronta a quella domanda e così non fui in grado di mentirti.
“E dov’è ora Mitsu-onee-san? Dov’è tua madre? Perché quando ti ho trovata insieme a Chizuru-chan non era con te?”.
Rimasi un attimo in silenzio. Mi servì giusto il tempo di elaborare una scusa fattibile. Se avessi saputo la verità, chissà come l’avresti presa.
“Ecco, vedi, oka-san è venuta insieme alla zia, quindi entrambe interessate ai tessuti pregiati di Kyoto volevano fare le loro spese… E quindi…” . Mi fermai, per elaborare adeguatamente il seguito. “E quindi, dato che mi annoiavo, ci siamo separate e ci siamo date un punto d’incontro per ritrovarci in seguito!”.
Soddisfatta della mia risposta, a mio avviso facilmente credibile, ti guardai. Il tuo sorriso e la tua aria serena non si erano mosse dal tuo volto. Lì erano e lì continuarono a restare.
“E come mai sei tanto ferita sotto i piedi? Devi aver camminato davvero parecchio per ridurti in quello stato… Per quale motivo? E poi, perché ridurti sino a sera? Non penso che mia sorella ti abbia dato fino al dì del giorno seguente per farti quattro passi, vero? Sarà preoccupata, non credi?”.
La tua valanga di domande mi colse di sorpresa. Pensavo di aver attenuato le tue preoccupazioni, o le tue perplessità. Pensavo di essere riuscita a scappare al tranello e di essermela cavata, tutto sommato, abbastanza discretamente. Non mi aspettavo che l’interrogatorio continuasse.
E da questo si poteva facilmente notare che ero ancora, in fondo, poco più che una bambina.
Mi sentii disorientata, come se dovessi dirigermi sulla retta via, ma ci fossero quasi cento strade alternative da scegliere e percorrere.
“Ecco, vedi…” cercai di arrangiare, in qualche modo. “Vedi… il fatto è che…”
“Il fatto è che adesso non sai più cosa inventarti, non è vero?” mi cogliesti sul fatto. Il tuo sorriso bello come quello di un dio, ma pungente come una lama mi trafisse il cuore.
Non è possibile…
Nel giro di un attimo quel sorriso e quell’aria apparentemente pacifica e contenta divenne un’espressione accigliata e seria. Non mi guardavi più contento, ma severo e distante. “Eppure dovresti saperlo, Hikaru-chan, che odio quando mi racconti menzogne”.
Sgranai gli occhi: avevi capito tutto.
Ormai avevo preso le distanze da te già da un bel po’. Avevo smesso di abbracciarti già da quando mi ero cimentata per costruire una scusa che potesse reggere l’accaduto e l’andamento dei fatti.
“Io… Io non ti sto raccontando menzogne!” cercai disperatamente di convincerti, con la voce roca e soffocata. Mi veniva voglia di piangere. “E’ la verità! Oka-san mi ha dato il permesso di separarmi da lei! Ed io volevo assolutamente vederti, quindi ho fatto un po’ tardi! Ma va tutto bene! Non c’è alcun problema! La mamma avrà sicuramente capito perché avrò fatto così tardi!”
“Oh…” sibilasti, con tono puramente ironico. Ancora non credevi a quel che dicevo. “Quindi le cose stanno così?”
“Sì che stanno così!”
“Quindi, da quel che mi stai raccontando tu, non c’è nessuno che ti sta cercando, giusto? Perché ti eri data appuntamento con mia sorella, no? Quindi, dato che lei sapeva della vostra separazione, non avrebbe avuto alcun motivo di preoccuparsi, o di cercarti, dico bene?”.
Sussultai a quelle parole. Avrei mentito ancora. Ma che male poteva fare? A mio avviso, solo migliorare le cose. Dal mio punto di vista, ormai, raccontare la verità non avrebbe sorbito alcun effetto, se non quello di farmi dare della bugiarda ancora di più. Tanto valeva continuare a mentire, no?
“S… Sì!” affermai, decisa. “E’ esattamente come hai detto tu!”
“Mhh…” . Così che ti vidi portare l’indice al mento, assumendo un’aria contorta: sembrava ci stessi riflettendo su.
Sì!
Pensai, tra me e me.
Ce l’ho fatta! Mi ha creduta! Ho fatto bene a farmi vedere insistente! Mi ha per forza dovuta credere!
Ero felice di essere riuscita a convincerti. Soprattutto perché non volevo che mi guardassi con quell’aria seria e irritata. Non volevo che fossi arrabbiato con me. Eri l’unica persona che non avrei mai voluto deludere. Questo perché eri e sei rimasto sempre il più importante di tutti.
“Che strano…” esordisti, ancora con espressione riflessiva sul volto. “Eppure, sai, Hikaru-chan, la versione che mi è stata fornita da fuori è leggermente diversa”. Sentii chiaramente l’enfasi su quel leggermente e la cosa non mi piacque neanche un po’.
E poi… di che versione stavi parlando?!
Fu così che ti vidi muovere, mentre ti voltavi alle tue spalle, per far largo a qualcuno che stava giungendo a passo lento, ma comunque pesante.
E fu anche così che il mio cuore si fermò per qualche secondo.



“Ti abbiamo ritrovata,” esordì con quella sua voce profonda e bassa, ma con quella tranquillità e freddezza degna di un vero generale. “Hikaru”.
Perché… è qui…?
Con gli occhi sgranati, la labbra dischiuse, ero paralizzata dallo stupore. Non riuscivo più a muovermi.
“Ti ringrazio infinitamente, Souji” sillabò, distintamente. “Non so come avremmo fatto senza il tuo aiuto”.
Perché è qui…?
“Non ditelo neanche, Rintaro-san” rispondesti tu, sorridendogli tranquillamente. “Mi è sembrato il minimo”.
“Perché lui è qui?!” esclamai, rivolgendomi a te, con tono furioso, riferendomi a mio padre che imponente e con aria autoritaria era davanti a noi, seguito da tutti gli uomini con cui sicuramente aveva passato la notte a cercarmi. “Perché si trova qui? Perché lo hai chiamato?”.
Ero infuriata. No… Infuriata era dir poco. Ero imbestialita. Ero fuori di me. Perché lo avevi fatto?
“Perché era la cosa giusta da fare” mi rispondesti con aria seria e rigida. Da lì avrei capito che non sarei riuscita ad ottenere non un solo sorriso da te. Eri deluso. Deluso da me e dal mio comportamento. Deluso dalle mie menzogne e da come ti avevo preso in giro.
Ma non lo avevo fatto in cattiva fede… Io volevo soltanto…
“Non è vero che era la cosa giusta da fare!” ribattei, furiosa. “Non è vero! Perché lo hai chiamato? Perché gli hai detto che ero qui?”
“Non è stato il solo a cui l’ha detto” aggiunse una voce dolce e familiare. Una voce che ero abituata sentire la mattina al mio risveglio, il pomeriggio prima e dopo la sua esecuzione di flauto, e la sera mentre mi addormentavo. La voce che mi aveva cresciuta.
La voce di mia madre.
La sentii provenire dalla parte di mio padre e fu così che la vidi al suo fianco, schierata in prima linea, e dietro di lei la zia Kin, che la sosteneva.
A prima vista sembrava quasi che fosse malata: aveva i capelli arruffati (e della pettinatura accurata che si era fatta quella stessa mattina del giorno precedente, non v’era rimasta più traccia), gli occhi arrossati, il viso stanco e la vedevo chiaramente invasa da un tremolio che, se la zia non l’avesse sostenuta, probabilmente l’avrebbe ridotta a terra. Sul volto l’aria eternamente preoccupata che conoscevo quasi come me stessa, e il fiato corto, come se avesse corso per miglia e miglia, senza concedersi un attimo di tregua.
“Oka-san…” mi lasciai sfuggire dalle labbra.
E, in un attimo, quel colpo…
Era la seconda volta nell’arco di due giorni che mi succedeva, eppure non ero ancora riuscita a farci l’abitudine…
“Rintaro-san… No, ti prego!” sentii urlare da mia madre…
La guancia sinistra incominciò ad arrossarsi e a dolermi prima ancora che mi rendessi conto di ciò ch’era successo: vidi mio padre di fronte a me, con la mano ancora alzata, per l’impeto con cui mi aveva dato quello schiaffo; la sua espressione che prima avevo visto sempre calma, invasa tutt’al più da quel minimo di ansia, ora era di mera rabbia e freddezza. Aveva in quegli occhi dorati e felini la stessa freddezza del ghiaccio e della neve. Sentivo che più mi osservava, più il mio cuore sarebbe gelato.
Caddi istintivamente in ginocchio per l’impeto di quel colpo e non sapendo come reagire, l’unica cosa che mi limitai a fare fu quella di portarmi una mano sulla guancia dolorante e guardarlo inerme.
“Hikaru-chan!” sentii esclamare alle mie spalle. Si trattava di Chizuru che, evidentemente, vista la violenza di mio padre, mi corse incontro per aiutarmi, ma ti vidi chiaramente fermarlo, trattenendolo per un polso.
“Non andare, Chizuru-chan. Non sono affari che ti riguardano” lo ammonisti, serio.
“Ma…” cercò lui, in qualche modo, di ribadire. “Hikaru-chan è…”
“Sono affari di famiglia. Per favore, Chizuru-chan, non farmelo ripetere. Non intrometterti”.
Perché?
Mi domandai, con gli occhi languidi.
Perché lo fermi? Perché non vuoi che lui mi aiuti?
No… Non era quella la domanda che mi facevo con più premura.
Perché non sei tu ad aiutarmi? Perché lasci che mi facciano questo?
Il solo pensiero che ti avessi delusa a tal punto da desiderare la mia punizione a questi livelli mi fece quasi morire dal dolore.
Incrociai il tuo sguardo che ormai mi osservava rigido e senza far trapelare un minimo di compassione.
“Hikaru” mi sentii chiamare. E così voltai lo sguardo verso quell’uomo che mi guardava con aria severa e inflessibile. “Questo schiaffo non era per me. Non era per tutte le parole che mi hai rivolto a casa di Fujiwara-dono; non era per il fatto che mi hai fatto mobilitare l’intera squadra per farti cercare; non era perché ho passato la notte, insieme a loro, a sperare che non ti fosse accaduto niente…” . Facesti una pausa, per poi riprendere, solenne: “Questo schiaffo… è per tua madre”.
Sgranai ancora di più gli occhi, voltando il mio sguardo istintivamente a lei che, piangente, tra le braccia di mia zia, si copriva la bocca e cercava di mantenersi in piedi, controllando il tremolio che prese ad invaderla maggiormente.
“Hai idea di quanto fosse preoccupata? Hai idea di come abbia passato le ultime dieci ore?” mi domandasti con tono infuriato. Un tono che non gli avrei mai immaginato potesse rivolgere a me. Ma che quel pomeriggio, in quella stanza, avevo tanto sperato di udire. “Sai come si è dannata, pensando che fosse tutta colpa sua, se avevi deciso di scappare? Hai idea di come fosse terrorizzata all’idea di saperti tutta sola, in mezzo alla strada, di notte, con le persone losche che ci sono in giro? E hai idea di quello che, se non ti avesse ritrovata Souji, ti sarebbe potuto accadere in una città come Kyoto, di notte fonda? E, lo sai che tua madre, infine, per la disperazione, si è messa a cercarti anche lei, fino all’ultimo secondo, fino al momento in cui non è arrivato Souji ad avvisarci? E, se non fosse arrivato lui, avrebbe continuato a cercarti, anche da sola, anche con la pioggia, la neve, la bufera, anche malata, o morente per tutta la città! Avrebbe continuato fino ad esalare il suo ultimo respiro!” . La tua voce mi rimbombava nelle orecchie, ma non riuscivo a non ascoltarti, continuando ad osservare il volto di mia madre che continuava ad essere trafitto dal dolore e dalle lacrime. Quelle lacrime che, probabilmente, l’avevano accompagnata per tutta la notte. Ora la mia guancia non doleva più. Tuttavia non perché, effettivamente, non soffrissi. Ma, perché, confrontato al dolore che provavo dentro, quel semplice arrossamento non era nulla.
“Non m’importa se mi odi, non mi sopporti o vuoi farmi soffrire. Non m’interessa quanto dolore vorrai provocare a me e ogni qual volta vorrai ferirmi te lo perdonerò sempre, ma…”. Fece una pausa, poi: “Ma la sofferenza che hai provocato a tua madre, questa non posso davvero perdonartela…” dichiarò, per poi alzare nuovamente la mano verso di me.
Mi avrebbe colpita. Lo avrebbe sicuramente fatto, ne ero certa. Non provai a fermarlo, dunque. Ero consapevole del dolore che avevo provocato a mia madre. Non mi sentivo minimamente in colpa nei confronti di quell’uomo, ma provavo una gran pena per mia madre, per come si era ridotta. E me ne pentii. Non provai neanche a ribellarmi. Semplicemente attesi.
Attesi quello schiaffo come si attende la fine del mondo: ineluttabilmente.
“Nooo!!” sentii urlare nuovamente da quella dolce voce e fu così che il colpo…
… non mi raggiunse.
Aprii istintivamente gli occhi per notare come mia madre mi aveva stretta tra le sue braccia, facendomi scudo col suo corpo ed impedendo, quindi, che mio padre mi colpisse.
Non aveva colpito neanche lei, però, dato che quell’uomo ebbe dei riflessi talmente pronti che, accortosi dell’intervento della mamma, non si permise neanche di alzarle su un dito. Anzi, abbassò direttamente il braccio e la guardò con aria sorpresa.
“Mitsu?” chiese, stupito, mentre la guardava dall’alto in basso, in ginocchio, che mi stringeva a lei, per impedire che il suo colpo mi giungesse nuovamente.
“Per favore no, Rintaro-san. Fermati. Ha capito…” sussurrò. Riuscii a percepire il suo tremore che, stando a contatto con me, mi percosse tutto il corpo.
“Però…”
“Ha capito!” ripeté, guardandolo, implorante. “Ha capito di aver sbagliato. Conoscendola, non si sarebbe fatta riprendere oltre, se non avesse compreso il suo errore. Per cui, t’imploro, basta. Non farle più del male…Ti prego”.
Oka-san…
Non mi sentii più ferita. No, anzi… Mi sentivo            quasi come se mi avessero guarita totalmente. Una sensazione di benessere e di gioia mi affiorarono e traboccarono dal petto, tanto da non riuscire a contenere quella felicità.
La mamma non mi aveva tradita… La mamma non mi aveva messa da parte per quell’uomo, né contavo meno di lui per lei! La mamma era disposta a tutto per me, anche a mettersi contro di lui!
La mamma era con me!
E quella per me fu la cosa più importante del mondo.
Con le lacrime agli occhi, che nel frattempo mi avevano rigato le guance, la abbracciai fortissimo affondando il volto tra i suoi soffici ed arruffati capelli.
“Oka-san... Oka-san!” esclamai, di gioia, stringendomi a lei ancora di più. “Oka-san, scusami! Scusami tanto… Mi dispiace! Mi dispiace veramente!”.
“Lo so… Lo so, bambina mia. Spiace anche a me per tutte quelle cose che ti ho detto… E’ solo che…”
“No, sono io che devo scusarmi! E’ tutta colpa mia, oka-san! Solo colpa mia…”.
Vidi parecchie persone sorridere alle mie spalle. Solo che, onestamente, tante erano le lacrime che non riuscii davvero a distinguere di chi si trattasse.
Riuscivo solamente a notare il verde-foglia dei tuoi occhi. Quelle due gemme ci osservavano: me e la mamma. Anzi, no… osservavano me. Osservavano me e… sorridevano.

Ci volle un po’ perché sia io, sia oka-san (sia la situazione) ci calmassimo un po’.
Sotto ordine di mio padre, gli uomini di Fujiwara-san attesero all’ingresso del tempio, mentre quest’ultimo era rimasto, in compagnia della zia, ad assistere alla nostra “riappacificazione”.
Beh, questo, certamente non valeva anche per lui. Poteva anche avermi rimproverata e tutto il resto, ma l’unico effetto che aveva sorbito era quello di farmi capire gli errori commessi nei confronti della mamma. Non avevo il minimo rimpianto per come mi ero comportata con lui!
Aveva addirittura osato malmenarmi! Ma di una cosa gli ero grata: di avermi punita. Lo odiavo per quello che avevo fatto, ma nel contempo gli ero davvero grata di avermi fatto comprendere i miei sbagli. Perché io adoravo la mamma e una cosa che proprio non volevo era farla soffrire.
“Non sai quanto ci hai fatte preoccupare, Hikaru-chan!” si lagnò la zia, strofinandosi il naso con la manica del kimono. “Non ne hai la minima idea, piccola idiota!”
“Penso di incominciare a capirlo, zia. Mi dispiace tanto” risposi mortificata.
Mia madre mi sorrise e mi diede un altro bacio sulla fronte per poi voltarsi verso di te che eri in piedi, a fianco a lei. “Non saprò mai come ringraziarti abbastanza, Souji. Non hai idea di come mi hai resa felice!”.
“Non dirlo nemmeno, Mitsu-onee-san. Avevo immaginato quanto fossi preoccupata per lei. Posso ben comprenderlo” rispondesti, tranquillo, sorridendole.
Cosa?
“Il solo pensare a com’eri disperata mi ha fatto logorare il fegato. Era il minimo che potessi fare, vedendoti in quello stato, no?” proseguisti. “Non potevi continuare a cercare come una disperata”
Allora non la ha fatto per tradirmi, ma… perché voleva far smettere la mamma di  preoccuparsi?
Tutto assunse un colore differente ora che la densa nube di dubbio stava lasciando il mio cuore e soprattutto la mia mente.
Mia madre ti si avvicinò e ti abbracciò istintivamente. “Davvero… Non saprò mai come ringraziarti abbastanza. Grazie. Grazie davvero”.
“Avanti, nee-san, basta così. Sei sempre troppo formale. Cos’è, vuoi farmi arrossire dalla vergogna?” . Sorridevi mentre le parlavi, ed era quel tuo solito sorriso raggiante, quello alquanto furbetto. Il tuo solito sorriso, insomma. Forse era anche un sorriso fatto per ingannare e per nascondere l’imbarazzo.
Arrossii mentre ti guardavo e il tuo sguardo s’incontrò subito col mio. Mi fissasti per un po’, per poi piegarti verso di me. “Hai imparato la lezione, Hikaru-chan? Non devi far preoccupare così tua madre e, soprattutto, ricordati di non mentirmi mai. Perché la prossima volta non te la faccio passare così liscia, intesi?”. 
Io annuii pian piano, facendomi piccina piccina e nascondendomi maggiormente tra le braccia di mia madre.
Tu allora, mi sorridesti e mi accarezzasti la testa, scompigliandomi leggermente i capelli, già arruffati di loro. “Bene. Così ti voglio”.
“Mitsu” la chiamò ad un certo punto mio padre, attirando la sua attenzione e lanciandole uno sguardo d’intendimento che lei percepì ed interpretò alla perfezione. Annuì verso di lui per poi alzarsi in piedi, spingendomi a fare altrettanto.
“Bene, è ora di togliere il disturbo. Abbiamo arrecato sin troppo fastidio a degli uomini importanti come voi. Con tutto il da fare che avevate…” commentò mia madre, rivolgendosi un po’ a tutti i membri del gruppo che erano silenziosamente rimasti a guardare in disparte tutta la scena, dall’arrivo di mio padre sino ad allora. 
Eh? Come sarebbe a dire…? Togliere il disturbo?!
“Cielo…” sospirò sempre lei, rossa in volto. “Abbiamo anche dato spettacolo…  Mi sento così in imbarazzo!”
Hijikata-san, di tutta risposta, le andò incontro sorridendole comprensivamente. Cosa che, davvero, mi sarei aspettata forse più da mio padre che non da lui. “Non vi preoccupate, non è successo nulla di che. Non avete dato alcuno spettacolo, non temete. Sono incidenti che, avendo figli, capitano. Ed anche spesso, aggiungerei. Non avete alcun bisogno di sentirvi in imbarazzo”.
Il suo tentativo di consolarla era riuscito piuttosto bene, tanto che mia madre non trattenne un sospiro di sollievo. “Vi ringrazio… Oh, voi dovete essere Hijikata-san, vero? Lieta davvero di conoscervi. Mi spiace solo di aver fatto la vostra conoscenza in questa circostanza davvero poco piacevole. Mi scuso a nome mio, di mia figlia e di tutta la mia famiglia”.
“Vi ripeto, Mitsu-dono, che non ve n’è alcun bisogno. E il piacere è soltanto mio, quello di conoscere la famiglia di Souji. Non posso che esserne lieto”.
Non me ne stavo accorgendo, ma pian piano mentre loro discutevano e mia madre mi stringeva ancora a lei, ci stava spostando tutti verso l’uscita del tempio. Lo capii vedendo gli uomini di Fujiwara-san ad attenderci con una pazienza quasi esasperante.
“Io insisto invece. Ora dobbiamo davvero lasciarvi. Abbiamo usufruito anche troppo della vostra pazienza e ciò mi addolora tantissimo” insistette, convenevole, la mamma. “Mi scuso nuovamente di tutto il tempo che vi abbiamo fatto perdere e della spiacevole situazione. Vi ringrazio, inoltre, della vostra pazienza, del fatto che vi siate, anche se per poco, presi cura della mia bambina e, soprattutto, che vi prendiate cura anche di Souji”
Presi cura per poco…? Ehi, un momento solo…!
Hijikata-san le rivolse un grande sorriso, degno del migliore e affascinante degli attori. “Non vi preoccupate, davvero. Non è stato un disturbo” affermò, fermandosi sulla soglia dell’entrata/uscita del tempio, seguito da tutta la ciurma. “E come potremmo non prenderci cura di Souji, uno dei nostri migliori spadaccini? E’ praticamente quasi cresciuto con noi!”
“Già” rise lei. “Praticamente sì. Mi auguro che continuiate a prendervene cura. Abbiate cura di voi” disse poi, rivolgendosi un po’ a tutto il resto delle persone.
“Mi spiace di dovermi congedare così, vice-comandante. E vi ringrazio per tutto quello che avete fatto” aggiunse poi mio padre, sorridendogli e inchinandosi leggermente, gesto che Hijikata-san ricambiò solennemente. “Non è stato nulla di che, come ho già detto a vostra moglie. Sempre a disposizione, se avesse necessità, Okita-dono”.
Mi venne da ridere pensando a come, poco tempo prima, mi stava praticamente cacciando di forza dal tempio.
A proposito di cacciare…
“Ti ringrazio, Souji” ti salutò mio padre, non facendoti mancare una mano sulla spalla, come segno del suo rispetto per te, nonostante la differenza d’età che vigeva tra voi. “Grazie per quello che hai fatto. Ci hai salvato”.
“Sì, Souji. Grazie” proseguì mia madre, sorridendogli. “Spero di rivederti al più presto”.
Un momento… Aspettate un secondo!
“Lo spero anch’io” ricambiasti il sorriso ad entrambi, con dolcezza, quella che solo con la mamma e la zia eri capace di tirar fuori. “Fate buon viaggio”.
Dopo averti salutato anche la zia e dopo aver accordato le ultime cose, mio padre, mia zia e mia madre, che praticamente mi trascinava con sé, fecero per avviarsi verso gli uomini di Fujiwara-san e quindi verso il suo palazzo.

“NOOO!!!” esclamai io, all’improvviso, scappando dalla stretta di mia madre e attraversando nuovamente l’ingresso del tempio.
Appena fui nuovamente tra il gruppo di sette ragazzi, corsi ad attaccarmi alla tua vita, e tu, non aspettandolo, balzasti all’indietro e cercasti in tutti i modi di riprendere l’equilibrio, per non cadere. 
“Hikaru!” mi rimproverarono all’unisono la mamma, la zia e, credo anche, mio padre.
“Hikaru-chan, ma che stai facendo?!” esordisti tu, poi, un po’ spaesato.
“Oka-san, io voglio restare qui!” dichiarai, con tono deciso. “Voglio restare con Sou-nii!”.
“Cosa?!” esclamarono sia mia madre che mia zia, per poi guardarsi reciprocamente, scambiarsi un’occhiata che io non riuscii ad interpretare, e tornare verso di me con aria premurosa.
“Avanti, Hikaru, smettila di fare la bambina” mi riprese oka-san. “Non hai più otto anni. Comportati da adulta”.
“Io non sto facendo la bambina!” ribattei, continuando a stringermi a te, quasi offesa per quelle parole. “E non sono mai stata più seria di così! Non voglio andarmene! Questa volta voglio davvero stare con Sou-nii!”.
“Hikaru-chan…” intervenne la zia, per cercare di convincermi con quel suo solito sorriso complice. “… io capisco perfettamente come ti senta ad aver ritrovato Souji. E capisco anche che tu voglia rimanere con lui, ma… Quello che devi capire tu è che ci sono date circostanze che non ti permettono di assecondare questi capricci. Quindi, per favore, sii ragionevole e torna a casa con noi, va bene?”.
Il discorso della zia sembrò filare e lei stessa se ne sentì profondamente soddisfatta: era convinta che facendomi credere di comprendere i miei sentimenti, potessi lasciar perdere tutto. Ma quello che non aveva capito la cara zia era che quelle parole potevano convincermi su tutto, meno che lasciare il tuo fianco, una volta che ti avevo ritrovato, dopo tanto tempo!
“Non se ne parla!” insistetti io, ostinatamente, deludendo le aspettativa di successo di mia madre e di mia zia. Poi mi rivolsi sorridente a te. “Sou-nii, io voglio stare con te! Va bene?”.
Vidi sul tuo volto quel leggero stupore che, però, fece largo a quel tuo solito sorriso. Mi tenesti stretta a te, mentre ti parlavo, quindi ero convinta che, in fondo, anche tu lo volessi.
“Hikaru-chan, lo sai che anch’io vorrei passare molto più tempo con te…”
“Infatti!” ti interruppi io, raggiante. “Se resto qui, avremo un sacco di tempo da passare insieme!”.
Mi sorridesti nuovamente, per poi piegarti su un ginocchio ed accarezzarmi la testa, dolcemente. “Hikaru-chan, ascolta… Non immagini quanto mi ha fatto piacere rivederti” . Nonostante il tuo sorriso fosse quello di sempre, il tuo sguardo aveva quel non so che di serio e di… autentico. “Certo, la circostanza è stata poco piacevole, ma mi ha fatto piacere rivederti in forma, cresciuta e diventata ormai una piccola donna. E non immagini neanche quanto mi piacerebbe poter passare ancora del tempo in compagnia tua, di Mitsu-onee-san e Kin-onee-chan, ma…”. Il tuo sorriso rimase comunque sul tuo volto, ma cambiò significato: ora era un sorriso di velato dispiacere, piuttosto che di dolcezza. “Ma non puoi davvero restare qui”.

Eh…?
“Perché…? Perché non posso?!” esclamai, contrariata. “Cosa c’è che non va?!”
“Questo non è il luogo adatto ad ospitare una ragazzina come te, Hikaru-chan”.
Perché mi stavi rivolgendo quelle parole? Perché mi stavi ferendo nuovamente?
Allentai leggermente il mio abbraccio, ma senza staccarmi definitivamente da te.
“Perché no?! Non posso restare perché sono una ragazzina? E’ questo?!”
Scotesti la testa, in senso di diniego. “Non solo per questo. Vi sono parecchi problemi…”
“E quali sarebbero questi problemi?! Ti prometto che cercherò di non darti fastidio, Sou-nii!”
“Qui non ci vivo soltanto io!” controbattesti, ora leggermente alterato. “Siamo a decine, a volte a centinaia!”
“Non darò fastidio a nessuno! Davvero! Ma, ti prego… Permettimi di restare!”
“E’ un posto troppo pericoloso per te. Come devo spiegartelo?”
“Farò attenzione! Farò attenzione a non mettermi nei guai! Te lo giur…”
“Smettila di comportarti così” mi riprendesti, interrompendomi e… zittendomi. Avevi un’aria seria. Quella stessa aria che avevi assunto prima, durante il mio precedente rimprovero. “Ti stai comportando esattamente come quando ti vidi l’ultima volta. Con la differenza che sono passati quasi sei anni da allora e a quel tempo avevi otto anni. E’ comprensibile ad otto anni fare capricci del genere, ma sei cresciuta, ormai, no? Dov’è andata a finire la maturità che si presume tu abbia raggiunto?”
Ti fissai impotente, quasi come se mi stessi lanciando contro, uno dopo l’altro, dei pugnali affilatissimi che cercavo con tutto il cuore di schivare, per evitare di rimanerne ferita.
“Ma… Io…” cercai, inutilmente, di reagire. “Io volevo solo…”
“Pensi solo a te stessa e ai tuoi desideri, egoisticamente, senza riflettere sulle conseguenze delle tue parole, né tanto meno dei tuoi gesti. Pensavo di avere a che fare con una ragazza matura, dopo tutti questi anni, ma… evidentemente mi sbagliavo. Mi hai deluso, Hikaru-chan. Mi hai profondamente deluso”.
Sgranai gli occhi, mentre vidi che ti allontanavi, con aria indifferente, da me. “Ed ora, per favore, smettila di comportarti in maniera infantile. Sii ragionevole e segui i consigli dei tuoi genitori e di Kin-onee-chan: vai via con loro”. Mi allontanasti da te, spingendo via le mie mani che ti abbracciavano, per poi dirigerti verso il resto del gruppo che aveva assistito, anche quella volta, a tutta la scena. Chizuru-san ti venne incontro con un’aria intristita sul volto: “Okita-san, come hai potuto parlarle così?”.
Avrei voluto saperlo anch’io…  Ma tu non rispondesti a quella domanda. Ti limitasti ad osservarmi di sbieco, girando appena il volto nella mia direzione. “Allora? Sei ancora qui? Avanti, Hikaru-chan, non farmelo ripetere. Vai con Mitsu-onee-san, Rintaro-san e Kin-onee-chan. Ci rivedremo un giorno non molto lontano e, allora, passeremo tanto tempo insieme”.
Rimasi in silenzio, con il volto leggermente inclinato verso il basso. Ero immobile, come una bambola.
Non ero nemmeno cosciente del fatto che stessi pensando. No, forse non stavo neanche pensando in quel momento.
Il troppo dolore mi offuscava la mente…
Mi sentii trascinare via per il polso, ad un certo punto. Era qualcuno dalla stretta forte. Mia madre? No. Mia zia? Molto probabile. Ma dalla ruvidezza della mano, fu quasi immaginabile che si trattasse di mio padre. L’idea di essere toccata da quell’uomo, nuovamente, mi fece ribrezzo, ma in quell’attimo fu nulla paragonato al dolore che provavo. Tanto dolore che non mi fece neanche curar del fatto che fosse mio padre a trascinarmi via da lì.
“Avanti, Hikaru. Abbiamo già perso troppo tempo e dato fin troppo fastidio. Basta essere scortesi. Non intendo tollerare oltre”.
Il silenzio invase il mio cuore. Non ascoltavo le parole di mio padre. Non ascoltavo niente. Divenni sorda in meno di un attimo.
Le tue parole mi avevano resa sorda.
In quel silenzio degno di un cimitero e di una persona che ormai aveva perso la luce della propria vita, sorgeva dall’abisso una sola frase. Una frase che era rimasta incisa nel mio cuore come la prima legge su una pietra…  Una frase che aveva dato senso al resto della mia vita e mi aveva dato la forza di andare avanti.
“Bugiardo…” sussurrai tra me e me, con un filo di voce, constatando che ormai mio padre mi aveva trascinata fuori dall’ingresso del tempio e mi stava conducendo verso la mamma e la zia.
Ah…
Mi bloccai di colpo, impedendo a mio padre di condurmi oltre quel tratto. Alzai improvvisamente il volto, già rigato di lacrime da un po’, per poi urlare a gran voce: “Bugiardo!” .
L’hai dimenticata…
“Sei un bugiardo!” ti inveii contro, mentre mi accorsi che ti eri voltato verso di me, con aria leggermente sorpresa.
Eppure eri stato proprio tu il primo a raccomandarmi di non scordarla…
“Stai mentendo… Stai mentendo anche ora… come facesti sei anni fa!” esclamai, adirata e singhiozzante. “Tu prometti, prometti… Ma non mantieni mai le tue promesse, Sou-nii!”
Ma il fatto è… che per te non contava realmente, giusto?
“Hikaru!” mi riprese mio padre, cercando di portarmi via con sé, ma non riuscendoci.
“Me lo avevi detto anche allora, al nostro addio di sei anni fa, che ci saremmo rivisti e saremmo restati insieme! Me lo avevi promesso! Ma non sei stato di parola! Mi hai mentito!” .
Non vidi la tua espressione: ero troppo occupata a sfogare la mia frustrazione e la mia rabbia. Tutta quella che avevo accumulato in quegli anni vedendo che, man mano che passava il tempo, tu non arrivavi.
“Ho passato gli anni, i mesi, i giorni, le ore a sperare di vederti tornare da un momento all’altro… Ma non sei mai tornato da allora! Neanche una volta! E, probabilmente, se non fossi venuta a Kyoto e non fossi scappata di casa, non ti avrei neanche rivisto! E chissà per quanto avrei continuato ad aspettarti, quando tu, invece, non avevi neanche più l’intenzione di ritornare!”
“Hikaru!” proseguì col rimprovero, mio padre. “Adesso, basta!”
Per te era semplicemente la promessa fatta ad una bambina, senza alcun valore, né importanza…
“Non hai mantenuto la tua promessa… Non avevi intenzione di mantenerla sin dal principio! Ti sei preso gioco di me! Ti sei divertito alle mie spalle, vero?”
Una promessa ormai dimenticata.
“Hai ragione, sai. Probabilmente io sarò anche un’immatura… Ma tu, Sou-nii… Tu…” esordii singhiozzante e ormai con gli occhi rossi per quante lacrime stavano sgorgando dagli occhi. “Tu sei un bugiardo!”.
Evidentemente anche mio padre rimase colpito dal mio pianto, tanto che mi lasciò il polso strattonato fino ad allora, per cercare di muovermi da quel punto, ed io caddi in ginocchio, nascondendomi il volto tra le mani. I singhiozzi si fecero insistenti, tanto che non riuscii più a dire una sola parola.
Ormai era tutto finito… Adesso sì che era finito tutto.
Non solo ti avevo deluso e ti avevo fatto arrabbiare, ma ti avevo anche dato del bugiardo e me l’ero presa con te…
Era davvero la fine…
Sentii dei passi farsi vicini. Erano passi leggeri, come quelli di un coniglietto. Li conoscevo quei passi. Avevo imparato a conoscerli anche se da poco.
Un rosa caldo e dal profumo accogliente mi circondò le spalle e mi trasse verso di sé.
Il tepore che emanava quel kimono color del salmone era indescrivibilmente accogliente, più di quel che mi aspettassi. L’odore di Chizuru-san mi avvolse completamente.
Passandomi una mano sui capelli, carezzandomi la testa, per cercare di calmarmi e consolarmi, lo sentii esordire: “Okita-dono… giusto?”
Sentii un silenzioso assenso da parte di mio padre ed il mio salvatore proseguire:  “Vi supplico… quello che vi chiedo è un favore personale: lasciate che Hikaru-chan rimanga qui con noi”.
“Cosa?!” sentii esclamare da più di qualcuno.
“Ciò che mi chiedete è…”
“Vi prego! Sarà solo per poco! Datele qualche mese… Se e quando la situazione qui si farà pericolosa, la verrete a riprendere voi stesso! Deciderete voi quando riprenderla con voi!”.
“Ma… non è solo di questo che si tratta… Innanzitutto sarebbe un fastidio per voi…” sentii pronunciare da mia madre. “Non vorremmo provocarvi altri fastidi…”
“Non lo sarà! Non sarà assolutamente un fastidio! Me ne occuperò io personalmente. La seguirò passo per passo. Ma, per favore, esaudite questo suo desiderio: lasciatela stare qui. Lei… Non la conosco da molto, ma sembra davvero tenerci molto ad Okita-san!” .
Osservai il volto di Chizuru, combattivo e fiero. Ero così felice che ci fosse lui dalla mia parte: mi sentivo capita ed appoggiata. Non avrei mai pensato che un estraneo potesse superarti in gentilezza. Mai.
Dopodiché lo vidi voltarsi verso di te e gli altri. “E se ad Okita-san e agli altri va bene… non ci saranno problemi!”
Fu così che ti vidi… che vidi la tua espressione. Il tuo volto, apparentemente inespressivo, era serio, rigido e severo. Non sorridevi. Beh, suppongo fosse logico, dopo tutto ciò che ti avevo detto.
Ma, nonostante tutto… nonostante ciò che mi avevi detto, nel profondo del cuore volevo davvero restare con te… Volevo davvero…
“Che faccia come vuole” dichiarasti, sospirando, voltandoti di spalle. “Se ai suoi genitori sta bene così, non posso oppormi, giusto?”. Sembravi parecchio infastidito, urtato, a giudicare dal tono della tua risposta. La cosa mi addolorò profondamente. E mi addolorò ancora di più quando ti vidi allontanare senza salutare né i miei, né venirmi incontro.
Dovevi essere davvero arrabbiato.
“Per noi non ci sono problemi!” affermarono, in compenso, Harada-san, Todou-san e Shinpachi-san.
“E vale anche per lui!” proseguì quest’ultimo, indicando con l’indice Saitou-san che continuava ad astenersi dal dire la sua.
Minna-san…!” sussurrò, lieto, Chizuru, con un’aria sollevata sul volto.
Hijikata-san si fece, dunque, avanti, sospirando. “Non so come andrà a finire questa storia, a dire il vero. Sono profondamente contrario al fatto che questa ragazza rimanga qui, ma… me ne assumo anch’io pienamente la responsabilità. Vedremo cosa si deciderà in seguito al rientro del comandante, Kondou-san. Vi prego, dunque, di aspettare ulteriore conferma domani sera, Rintaro-dono”.
Mio padre annuì, per poi inchinarsi dinnanzi a lui. “Non so come ringraziarvi e scusarmi allo stesso tempo. La vostra gentilezza e disponibilità non hanno limiti. Sono sicuro che Kami-sama ha la vostra stessa pazienza” .
Lui gli sorrise, di rimando. “Non v’è bisogno che mi ringraziate, o vi scusiate. Mi rendo perfettamente conto che il disturbo e le preoccupazioni non sono solo nostre…”.
Mia madre sospirò e s’inchinò Kami-sama sa solo quante volte. “Hijikata-san, grazie. Grazie davvero. Per favore, scusateci tanto. E porgete le nostre scuse anche a Souji, per come si è comportata nostra figlia, che spero avrà il buonsenso di scusarsi con lui più tardi” affermò, rivolgendosi a me, che ero ancora col volto affondato nel kimono di Chizuru-san.
Proprio quest’ultimo fu poi ringraziato a ruota dai miei tre parenti che (seguiti e scortati dall’esercito di Fujiwara-san) , con non poche raccomandazioni e qualche pianto amareggiato, finalmente abbandonarono quel tempio che quel giorno era stato invaso da urla,  sussurri,  pianti e  sorrisi, sconfitte e vittorie.
  
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